Debito pubblico e Pil come previsto, ma la questione centrale è un’altra.

Pil stagnante e debito pubblico ai massimi storici. Nessuna delle due notizie dovrebbe sorprendere nessuno, perché tutto era ampiamente previsto e prevedibile. Ci sono stati interventi congiunturali, montati da una campagna mediatica, che non avevano caratteristiche di veri interventi strutturali e non potevano avere che una efficacia momentanea.
Qui non ne usciamo con queste furbate da avvocato di paese, i problemi vanno affrontati alla radice ed il discorso è sgradevole ma semplice: con una pressione fiscale che supera di slancio il 50% non si va da nessuna parte e non c’è ripresa possibile; ma la pressione fiscale è inevitabile perché la nostra spesa pubblica è altamente anelastica e si mette in moto un circolo vizioso: se le tasse restano alte, i consumi si abbassano e le aziende chiudono, di conseguenza abbiamo un gettito fiscale più ridotto perché ci sono meno occupati, bisogna tappare la falla del minore gettito e fare ricorso a nuove emissioni di debito su cui, poi, bisognerà pagare interessi per cui bisognerà inasprire la pressione fiscale o emettere altri titolo di debito, non si scappa, ed il ciclo ricomincia.

Si, è vero che da diversi anni registriamo un avanzo primario, ma poi la crescita del peso degli interessi (che ormai ammontano ad oltre 80 miliardi l’anno) manda tutto a gambe all’aria. Il tutto aggravato da una moneta che sembra fatta apposta per comprimere e distruggere l’economia italiana: sfavorisce le esportazioni e non consente di svalutare il debito.

Tirare la cinghia? Ma da 5 anni non stiamo facendo altro e questi sono i risultati. Il governo Monti, entusiasticamente sostenuto dal Pd di Bersani, ci riempì di tasse per far calare il debito, risultato: trovò un debito al 119% del Pil e lo lasciò al 132%. Poi venne il governo Pd di Letta che insistette sulla stessa linea ad il debito crebbe, poi il governo Renzi che, mance a parte, mantenne sostanzialmente la stessa pressione fiscale e questo è il risultato. Anche se va detto che l’attuale legge di stabilità segna un intervento positivo sull’Irap. Non è il solo Renzi il responsabile di questa situazione, ma tutto il Pd che sta distruggendo questo paese.

Ma cosa si potrebbe fare di diverso? La prima soluzione da adottare è far crollare la pressione fiscale di colpo e non emettere altro debito. Come fare? La scelta è semplice: ristrutturare il debito ora con un haircut o fare default fra qualche anno (e nemmeno tanti anni). Ora bisogna trattare con i creditori ottenendo la riduzione dei tassi e la dilazione dei pagamenti. Ma perché i debitori dovrebbero accordarci le due cose? Risposta: perché gli conviene.

Un default mette nei pasticci il debitore, siamo d’accordo, ma mette in guai più grossi il creditore che improvvisamente potrebbe trovarsi lui in condizioni di insolvenza. Quello italiano è il terzo debito del mondo che ormai veleggia verso i 2.500 miliardi di dollari, se l’Italia dichiara default, in primo luogo salta in aria l’Euro e, con esso, la Ue, in secondo luogo una bella serie di banche, non solo italiane, ma anche tedesche, olandesi, francesi si riducono in braghe di tela ed alcune devono semplicemente dichiarare fallimento, con l’ulteriore conseguenza che anche altre banche (penso, per esempio, al Banco di Santander o alle più importanti fra quelle inglesi) si troverebbero nelle stesse condizioni, a catena, perché i loro crediti presso le banche fallite sarebbero inesigibili e via di questo passo in un crescente effetto domino.

Ma si potrebbe intervenire emettendo subito liquidità  per frenare l’ondata di fallimenti. Mica tanto facile: in primo luogo, se salta l’euro non c’è neppure una Bce a poterlo fare e non sarebbe facilissimo trovare un accordo fra le banche centrali dei singoli paesi europei per metterci una pezza. Poi c’è il problema delle dimensioni del debito: 8 anni fa, quando partì la crisi dei mutui subprime, il Piano Paulson intervenne con 700 miliardi di dollari e, sei mesi dopo, Obama dovette mettercene altri 900. Qui si tratta di tappare un buco di 2.500 miliardi di dollari circa ed in una situazione in cui non c’è ancora una ripresa mondiale dalla crisi del 2008 e c’è una banca centrale cinese in affanno che difficilmente potrebbe mettere sul piatto i 680 miliardi di dollari del dicembre 2008.  Insomma ne verrebbe fuori un cataclisma finanziario al cui confronto la crisi del 1929 (o quella attuale) sarebbero un passeggero mal di pancia.

E, dunque, molto più ragionevole sarebbe il consolidamento di almeno un terzo del debito a 20-30 anni con interessi nominali all’1%.  Vice versa,  i nostri creditori cercherebbero la via greca: “dateci le aziende pubbliche, gli immobili, i monumenti, le opere d’arte, i porti, le autostrade ecc. in pagamento degli interessi ed andiamo avanti per un po’”. Ed il Pd, servo dei servi della finanza, sarebbe pronto a svendere il paese. Anche per questo è vitale far cadere il Pd, spedirlo all’opposizione e, possibilmente, frantumarlo, sostituendolo con un governo di salvezza nazionale che tratti con l’adeguata durezza con i creditori per ottenere la ristrutturazione del debito.

Una linea rischiosa? Certo, ma l’alternativa è solo il default matematico dopo aver svenduto tutto quello che potrebbe servire alla ripresa economica del paese. E con chi fare il governo di salvezza nazionale? Con chi ci sta.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (55)

  • Mi sembra fermo ai discorsi del 2012, nel frattempo il mainstream è avanzato… si è accorto che la crisi è continentale ed è “crisi da domanda”?

  • E’ un bel pezzo lucido e antiveggente di una storia già delineata per grandi lineee.
    Eppure non è stato sempre così.
    Quando ero piccino il debito pubblico era una bazzecola. Poi arrivarono gli homines novi, una sorta di cavalieri post litteram, e con loro il debito iniziò a galoppare.
    L’apoteosi del liberismo “de noi atri” sarebbe far fallire anche lo stato, buttarlo fuori dal mercato, come se fosse una qualsiasi impresa … Bisogne dare altri Nobel .
    Qualcosa la chiederei a chi ha voluto l’euro, come ha ricordato il prof. Giannuli, ma anche a chi ha voluto le privatizzazioni, come ricordava il prof. Perrone.
    Non saranno mica la stessa persona?!
    Non perdiamo tempo con la Germania miope, annebbiata, egoista e nordica.
    Il defoult o lo si governa o lo si subisce. Purtroppo Palazzo Chigi è sede, anche politica, vacante come ci ricorda ancora Giannuli.
    Ma non drammatizziamo.
    Lui è sicuramente un esperto della questione:
    http://m.memegen.com/5fj31c.jpg
    Lui invece di default ne ha fatti davvero:
    http://m.memegen.com/fit5f7.jpg
    Il massimo però resta lui:
    http://milanoreporter.it/wp-content/uploads/2015/05/cetto_la_qualunque_banner1-599×276.jpg
    Come ci hanno ridotti male. Ci hanno riempito di copponi.
    Itevinne !!

  • Il default all’interno dell’euro non ci risolverebbe niente: resterebbero in vigore tutti i vincoli che ci stanno strangolando e il tutto servirebbe solo a darci fiato per qualche anno. Esattamente come è successo in Grecia che di tagli al debito non ricordo più quanti ne ha fatti. Inoltre la maggiorparte del debito pubblico è in mano italiana, quindi rischia di essere un bel boomerang.
    E se il nostro default, viste le dimensioni, fa saltare l’euro? Bene, così ci liberiamo dai vincoli che ci impediscono di crescere. Ma allora non serve il default, la soluzione è l’abbandono dell’euro. Senza i vincoli di Maastricht il nostro debito è pesante ma sostenibile, lo è sempre stato e lo sanno anche a Francoforte.
    I nostri problemi non nascono dal debito.

      • Non so esattamente come sta oggi, ma una grossa fetta del debito pubblico, precedentemente in mano alle banche estere, è tornato in Italia negli anni recenti. Poi forse con il QE una quota è passata in mano alla BCE; bisognerebbe vedere i bollettini della BI.
        In ogni caso ci sono studi approfonditi (a cominciare da una pubblicazione della stessa BCE, mi pare del 2013) che dimostrano come il nostro debito sia sostenibile sia nel breve che nel lungo periodo; a patto di poter gestire al 100% la politica monetaria.
        La Grecia ha dimostrato cosa succede a tagliare il debito tenendosi l’euro.

  • Buongiorno Prof.
    trovo la sua analisi sulla situazione debitoria italiana sostanzialmente condivisibile, tuttavia penso che non bisognerebbe focalizzarsi solo sulla riduzione delle tasse ad imprese e liberi professionisti, ma anche sul rilancio salariale di chi, in questi anni di tempesta, un lavoro (dipendente) l’ha conservato.
    In caso contrario i consumi non ripartiranno mai e si finirebbe per prestare solo il fianco alla retorica neoliberale, dove i salariati hanno costantemente fatto da camera di compensazione finanziaria per ogni sgravio fiscale, più o meno regolare, che è stato accordato agli imprenditori, i quali storicamente, in questo paese hanno sempre asservito molto poco al ruolo che sarebbero chiamati a rappresentare nel sistema liberale che per altro tanto dicono d’amare.

  • Lei ricorda quel colono inglese che ferito dalle frecce si preoccupava di sapere il nome di chi l’avesse attaccato, piuttosto che curarsi le ferite…

  • Professore buongiorno!
    Concordo e aggiungerei, alla necessaria defiscalizzazione, una seria politica economica. Ma lo Stato, l’interventismo, il clientelismo, i carrozzoni, sento già un nutrito e agguerrito coro di obiezioni… va bene va bene, partiamo da un passo prima, e poi diciamo che il colpevole è il maggiordomo. Siamo in 59 milioni di persone e, sempre qui, ci sono ditte che chiudono, delocalizzano, esternalizzano, etc. perché il 20% di utile è poco mentre, portando tutto fuori, gli utili si gonfiano (ancora per poco…) a dismisura. Il capitale si sposta dai settori a basso profitto verso quelli ad alto, nulla di nuovo sotto il sole. Ma qual è il risultato? Presto detto: perdita di interi settori produttivi, perdita di posti di lavoro e presenza meramente fiscale e dirigenziale di ditte, penso all’abbigliamento, che muovono merce per decine di migliaia di dipendenti teorici (centinaia di migliaia di capi all’anno via container e aerea dall’EO) e che, invece, totalizzano poco più di qualche centinaio di dipendenti. 59 milioni – 200 = 58 milioni e 900 mila e 800 disoccupati. Cosa facciamo fare agli altri? E’ una provocazione, anche ingenua se vogliamo, ma perché ci si renda conto che non siamo piccoli come il lussemburgo e NON POSSIAMO PERMETTERCI QUESTO, come “sistema Paese”, come amava – ipocritamente – ripetere un nostro ex-presidente che, nomen omen, in cinese significava “fucilazione”, Carlo Azeglio “qianbi”. Anche la progressiva finanziarizzazione dell’economia non aiuta. Lo hanno capito anche i nostri dirimpettai svizzeri, al punto che riescono a fregarci, nel loro piccolo, intere zone industriali che non riescono ad andare in Cina e allora… vanno oltre Chiasso, dove comunque stanno meglio di qua. Il futuro non è nel terziario, e la “mano invisibile” ci ha portato nel baratro dove ora ci troviamo, con “il centro commerciale più grande d’europa” (tutto minuscolo) eretto a lapide di quello che era il maggior sito produttivo dell’alto milanese. Premesso questo, non bastano i soli incentivi, ovvero la gestione indiretta dell’economia: la Fiat con i soldi a pioggia ha fatto altro, si è trasferita parzialmente, anche dal punto di vista fiscale, altrove e l’ultima macchina la sta facendo fare in Turchia… Passiamo quindi ad Alitalia, in mano ai “capitani coraggiosi”: ci ricordiamo cosa si diceva e come è andata a finire? Etihad di chi fa gli interessi, oltre che intascarsi i proventi? Neppure quindi il capitale straniero può essere una soluzione, tranne che, ovviamente, per il padrone di turno che vende tutto e si assicura un futuro per le prossime 50 generazioni. A questo punto, non resta molto da scegliere: la collettività può e deve intervenire in economia (tramite lo Stato, gli enti locali, la cooperazione – vera! -), socializzando parzialmente i mezzi di produzione, assumendo il controllo dei mezzi finanziari, determinando politiche di indirizzo nazionali che tengano conto dei NOSTRI interessi, massimizzando l’efficienza e riducendo al minimo gli sprechi… proviamoci almeno. E per NOSTRI interessi, intendo anche il diritto a fruire di beni di consumo durevoli, studiati NON per indurci a ulteriore consumo, ma a crescere qualitativamente, in maniera onnilaterale, diceva qualcuno, migliorando la nostra qualità della vita e l’ambiente intorno a noi. Per questo, non c’è e non ci sarà mai crisi di domanda.
    Chiedo scusa se ho urtato qualche orecchio sensibile, ma è da venticinque anni che certi discorsi inutili, inefficaci, ripetitivi, buttati con supponenza in ogni dibattito o discussione dai cosiddetti “economisti” (perché chi diceva il contrario non capiva niente di economia…) rimbombano nelle orecchie degli italiani, con effetti sotto gli occhi di tutti.
    Un caro saluto.
    Paolo

      • Era un gioco di parole che mi avevano fatto notare al corso di alfabetizzazione proprio i miei studenti. Quando arrivavamo al Presidente della Repubblica, al nome di Ciampi partivano gli sguardi di sottecchi e le risatine… Alla fine poi mi dissero il perché: 枪毙 qiāngbì nella loro lingua significava “fucilazione”. Nomen omen… e saggezza orientale! 🙂

  • Una ristrutturazione del debito pubblico è indiscussa professore ma penso che occorrano due presupposti essenziali:1) ripristino della sovranità monetaria e quindi politica al fine di definire e governare le politiche monetarie indispensabili per qualsiasi progetto di sviluppo industriale di un Paese, 2) una classe politica che sappia regolamentare i rapporti sociali definendo ed indicando valori etici e morali di riferimento sulla base dei quali si qualifichi la gestione la Cosa Pubblica.

  • Ho notato che proprio non perdoni a Renzi d’esser un avvocato di provincia( mi permetto il “tu” perché una volta l’hai usato con me ).
    Conoscevo, attorno ai vent’anni, un futuro avvocato di provincia, un giovane calabrese spigliato, estroverso e berlusconiano, Francesco Pagliuso. E’ stato assassinato qualche settimana fa a Lamezia Terme: temo abbia deluso o indispettito alcuni esponenti della ‘ndrangheta con la quale aveva collaborato. E’ possibile che anche Renzi sia, prima o poi e metaforicamente, eliminato dai suoi superiori delusi, cioè che si rifiuti di svendere il Paese ai creditori? Chi precisamente si appresterebbe ad acquisire i beni italiani, i soliti teutonici?

    • certamente possiamo darci del tu che preferisco al Lei.
      Non è che io non perdono a Renzi di essere un avvocato di provincia: conosco molte degnissime persone di questa comndizione che stimo e di cui sono amico, il problema è che se vuoi fare il Presidente del Consiglio devi fare un salto e vedere le cose con ottica internazionale e non provinciale. E Renzi questo salto non l’ha fatto

  • Alessandro Icardi

    Buongiorno Professore,
    la sua idea trova il mio appoggio più totale, da anni, almeno da quando lo fece l’islanda, sono un convinto assertore dell’haircut, della mossa unilaterale da parte del nostro governo di dire: “grazie da domani si ricomincia da capo”.
    Ho solo due dubbi:
    – chi comprera più i nostri titoli di stato dopo una mossa del genere?
    -parte consistente del debito è detenuto da privati o aziende italiane che si vedrebbero andare in rovina senza quei soldi.
    -che vogliano svendere il nostro patrimonio pubblico, o quel che ne rimane, considerato che i gioielli di casa furono regalati e non svenduti ai tempi di un certo direttore generale del tesoro che adesso abita dalle parti di Francoforte, è possibile, ma vista la storia non sarebbe una cessione e basta. Non sarebbe un adesso comandiamo noi e basta. Sarebbe, a mio dire, un adesso ci portiamo tutto in germania e qualcosa in francia. voi chiudete.
    Più o meno come hanno fatto in grecia, con la differenza che laggiù il manifatturiero aveva un peso compreso tra 0 e 1 qui ha ancora un certo valore (anche in termini occupazionali) e non hanno risolto nulla. Il tutto mentre in uk volano i consumi dopo la brexit e la “catastrofica ed insensata e voluta solo da ultra 75enni uscita dall’europa”

    cordialmente

  • L’unica soluzione possibile per la “salvezza nazionale” sarebbe nominare Beppe Grillo ministro delle Finanze e Giannuli suo sotto sottosegretario.
    Sarei curioso di vedere una coppia del genere all’opera e quanto riuscirebbe a spuntare nei negoziati internazionali sulla ristrutturazione del debito.

    • @Brugial.
      Il Pil è un indicatore molto importante continuamente usato, ma se lo sostituisse con le entrate avrebbe delle sorprese. Escludendo i particolari casi di Usa e Giappone, rivolga la stessa domanda ai governi di Portogallo, Irlanda, Spagna, e oda oda, Gran Bretagna, piuttosto che a un partito di opposizione che non ha concorso a creare quel debito. Se proprio vuole, quella domanda in Italia la rivolga a Renzi e Padoan.

  • Giannuli, se la Banca d’Italia non fosse indipendente e, come accadeva sino al 1982/3, potesse acquistare i titoli del debito pubblico invenduti, questo potrebbe essere anche doppio, come in Giappone.
    Ma per fare questo occorrerebbe recuperare la nostra indipendenza e sovranità economica e monetaria, come ben sa

  • O.T.
    Buongiorno professore, sarei felice di leggere un Suo scritto in merito all’operazione “scudo dell’Eufrate” e più in generale alla deriva imperialistica turca e alla consueto appeasement delle varie diplomazie.
    Cordiali saluti

  • Continuo a pensare che l’abbandono unilaterale dall’euro è irrealizzabile e se anche fosse possibile, sarebbe un bagno di sangue al cui confronto quello che è successo con la sua adozione sarebbe una passeggiata.
    Anche perchè un’uscita volontaria darebbe il via con tutta probabilità anche alla fine dell’euro e della EU, attirandoci l’avversione di tutti e l’aiuto di nessuno. Per cui, anche se egoisticamente non me lo auguro, data l’età che mi sconsiglia emozioni brusche e troppo intense, penso che sarebbe meglio per noi dare un taglio netto, possibile solo con un default: sospetto che durerebbe meno e farebbe meno male. Quando il dente è marcio prima te lo fai cavare, prima starai meglio.
    Resta poi sempre la speranza di un improvviso rinsavimento di tutti i pezzi da novanta coinvolti: ma certi miracoli non sarebbero possibili neppure a San Gennaro, e poi sono troppi quelli che dovrebbero rinsavire.
    I paragoni con l’UK sono distorsivi, perchè gli inglesi non hanno mai davvero fatto parte dell’EU, tantomeno dell’euro, quindi non abbandoneranno nulla, se e quando lo faranno davvero. E infatti non hanno ancora neppure iniziato a fare i primi passi ufficiali e godono perciò di una situazione molto comoda, cioè conservano quello che fa loro comodo e possono permettersi di rifiutare quello che non gli conviene, ad iniziare da quella seccatura compromettente del semestre di Presidenza del Consiglio europeo. Lo credo che adesso la loro economia va meglio! Oltretutto gli si è anche svalutata un po’ la moneta, per cui esportano anche meglio.
    Voglio proprio vedere quanto durerà questa situazione e chi avrà la forza di imporre loro l’uscita. Se lo faranno, sarà come e quando farà loro comodo. La City è ancora il centro finanziario del mondo, non bisognerebbe mai dimenticarlo; è pericoloso pestargli i piedi, anche perchè hanno gli americani che gli guardano le spalle.

  • «è vitale far cadere il Pd, spedirlo all’opposizione e, possibilmente, frantumarlo, sostituendolo con un governo di salvezza nazionale che tratti con l’adeguata durezza con i creditori per ottenere la ristrutturazione del debito.»
    In questo questo programma politico la cosa più caratteristica è “il crescendo” del realismo.
    1) «è vitale far cadere il Pd, spedirlo all’opposizione e, possibilmente, frantumarlo». Mi chiedo: ma a chi giova un progetto del genere? Al popolo italiano? La distruzione del PD fa bene all’Italia? Si può sinceramente e onestamente fare questa affermazione? Mi chiedo poi: a chi serve questa distruzione e chi serve chi la propone. Dubito peraltro fortemente della fattibilità: non è fattibile.
    2) Attuata la distruzione del PD poi si tratterebbe solo (!?!?!?!!!) di mettere in piedi «un governo di salvezza nazionale» ovviamente con i partiti dell’attuale opposizione cioè realisticamente stando ai sondaggi: M5S, Lega, FI, FDI, ossia (30% + 12,8% + 11% + 6% + 4% = 58,4%). E qui appare con una certa evidenza: “a chi giova” la distruzione del PD; chi serve chi la propone; la vera natura di M5S.
    3) Un governo di unità nazionale per trattare «con l’adeguata durezza con i creditori per ottenere la ristrutturazione del debito». Qui il crescendo raggiunge il top del realismo. Insomma uno Tsipras bis. Si tratta solo di fare la voce grossa, di avere il coraggio di fare la voce grossa ed è certo che sicuramente gli altri calano le brache.

    • In questo sei rimasto totalmente togliattiano: per te la politica è sempre guerra di posizione e mai di movimento, per cui gli attiri sulla scacchiera sono sempre gli stessi, non camniano nè dell’interno ne per un rimescolamento di carte. 5 anni fa avresti previsto al’arrivo del M5s? L’auspicabile sgretolamento del Pd (che sarebbe senz’altro un bene per l’Italia) libererebbe forze che potrebbero mettere in modo una riorganizzazione complessiva del sistema politico italiano.
      E’ fattibile una sconfitta radicale del Pd? Intanto vediamo come va il referendum
      E’ fattibile una rinegoziazione del sebito? Non è che gli altri debbano calarsi le braghe ma semplicemente bisogna trovare un punto di caduta accettabile per tutti, se ci si riesce.
      Alternativa ad un haircut oggi? Un default domani: scegli tu

  • Ma – mi chiedo . a questo punto non sarebbe più semplice riprendere il controllo di una valuta nazionale (segmentando il sistema di pagamenti nazionale in pochi giorni e mettendo controlli, anche solo temporanei, sui movimenti internazionali di capitali) per ridemìnominare il debito in tale valuta (l’euro si può considerare fino ad oggi valuta ufficiale ANCHE della Repubblica italiana, no? Altrimenti si sarebbe chiamato direttamente Deutchmark) e finanziare il fabbisogno pubblico (alias deficit) monetizzandolo fino all’occorrenza con l’intervento della banca centrale NON indipendente, come si poteva fare prima del divorzio del ’81 (a seguito del quale il debito è raddoppiato per gli interessi usurari imposti da “i mercati”)?

    Preciso, per i diversamente acuti, che il deficit si può fare per ridurre le tasse a parita di spesa, per aumentare la spesa (ad esempio per un piano di investimenti edilizi di messa in sicurezza delle aree sismiche e di ammodernamento delle infrastrutture: penso alla rete internet nazionale ma anche alle reti ferroviaria e stradale nelle tratte considerate “secondarie” ) o – come secondo me auspicabile per dare una scossa alla nostra economia stagnante da troppi anni – per ENTRAMBE LE COSE contemporaneamente.

    I moltiplicarori della spesa pubblica più il funzionamento del mercato dei cambi (deprezzamento della valuta nazionale contro le valute estere e, dunque, non soltanto effetto export ma ANCHE, SI BADI, IMPORT SUBSTITUTION ) farebbero il resto e, favorendo il ritorno della crescita economica, rimetterebbero il debito pubblico su una traettoria di sostenibilità nel tempo.

  • Con l’abbandono dell’euro e la ridenominazione del debito pubblico in lire (operazione contraria alla ridenominazione del debito da lire in euro precedentemente fatta o pensa che qualcuno incassi cedole in lire del debito emesso prima del 1999?) e la successiva svalutazione ci sarebbe un taglio secco del valore per chi detiene il debito pubblico e non è italiano. Dopo a garantire il debito ci sarebbe la Banca d’Italia e non più la BCE. Quanto al valore del cambio non si preoccupi troppo perchè gli altri stati non lascerebbero svalutare troppo la valuta di un grande concorrente industriale come è l’Italia. Oppure pensa che lascerebbero far girare merci di un concorrente con un grosso sconto dovuto al cambio? Mi pare che lei abbia tante idee e anche molto confuse. Vada a rileggersi di come piangevano gli industriali tedeschi dopo la seconda svalutazione della lira del ’95 e soprattutto di quanto in attivo era ritoranto il nostro conto con l’estero. Ultimamente è stato Theo Weigel ex ministro delle finanze tedesco a descrivere uno scenario del genere che sarebbe da incubo per i tedeschi, non certo per noi o di certo non peggio di quello che stiamo vivendo oggi.

  • Tenerone Dolcissimo

    con una pressione fiscale che supera di slancio il 50% non si va da nessuna parte e non c’è ripresa possibile;
    —-
    Ueh, Professor Giannuli, qui si bara. Il liberale sono io. Non è corretto rubare il lavoro al prossimo.
    ==================
    Ma cosa si potrebbe fare di diverso?

    Qualcuno ricorda la legge sui sopraprofitti di regime emanata per colpire gli speculatori che avevano indebitamente accumulato patrimoni sfruttando le aderenze con il fascismo e le relative protezioni?
    Si potrebbero confiscare i patrimoni di coloro che hanno sfruttato il regime postfascista:
    – chi ha avuto superstipendi e superpensioni restituisce quanto indebitamente percepito;
    – chi ha avuto un autoblu senza essere ministro paga un canone parametrato a quanto avrebbe pagato per avere un auto identica a noleggio e versa lo stipendio dell’autista;
    – chi ha votato per l’ESM restituisce quanto versato per dare i soldi alle banche tedesche a meno che non convinca gli amici crucchi a ridare il maltolto:
    ecc ecc

  • Peraltro, sottolineerei come la svalutazione avrebbe l’effetto di un haircut (pari al deprezzamento della valuta italiana, in cui sarebbe ridenominato il debito pubblico, contro la valuta del singolo detentore di titoli) ma soltanto per i creditori esteri e non per i creditori interni. Meglio di così!

    @Riccardo

    Ma il suo commento risponde a me!? Perché se così fosse ciò vorrebbe dire che non ha ben compreso il senso del mio commento. Stiamo dicendo la stessa cosa, mi sa. Se così non fosse mi scuso in anticipo.

    • Mi riferivo all’articolo del professor Giannuli, che mi sembra abbia il terrore della svalutazione ma soprattutto il terrore delle soluzioni ragionevolmente lineari con la nostra storia…. Mah.

        • Guardi signor Giannuli, già dire che se salta l’euro e non c’è più la BCE e quindi non c’è nessuno che immette liquidità è come minimo ridicolo. Se salta l’euro si torna alla lira, la Banca d’Italia non potrebbe tranquillamente immettere liquidità come fanno la banca centrale polacca o ceca o ungherese ad esempio. Già qui il suo discorso fa acqua da tutte le parti. La Banca d’Inghilterra ha stampato a più non posso nella crisi del 2008 svalutando la sterlina del 30% e salvando il sistema dal crollo senza di certo consolidare il debito pubblico che è continuato ad aumentare, non mi pare che la regina si sia suicidata. E comunque se il debito pubblico è garantito dalla banca centrale del paese la questione si chiude lì, caso mai il discorso è su come devono essere ripartiti i solidi e quindi sulla politica economia e soprattutto fiscale. Anche perchè non si capisce il motivo per cui il deficit dello stato non possa essere semplicemente finanziato dalla banca centrale (nel nostro caso la Banca d’Italia) senza emettere debito pubblico (fino alla stabilizzazione della crescita ).

          • Mi sono accorto di un errore in una frase nel mio commento sopra che va corretta con questa sotto. Va tolto il “non”.
            …la Banca d’Italia potrebbe tranquillamente immettere liquidità come fanno la banca centrale polacca o ceca…

          • ma lei cosa ha letto? Insisto: non è colpa mia se lei immagina che ci siano scritte cose che non ci sono scritte

          • Scusi ma questo pezzo è tratto dal suo articolo, non l’ho scritto io:
            “Ma si potrebbe intervenire emettendo subito liquidità per frenare l’ondata di fallimenti. Mica tanto facile: in primo luogo, se salta l’euro non c’è neppure una Bce a poterlo fare e non sarebbe facilissimo trovare un accordo fra le banche centrali dei singoli paesi europei per metterci una pezza. Poi c’è il problema delle dimensioni del debito: 8 anni fa, quando partì la crisi dei mutui subprime, il Piano Paulson intervenne con 700 miliardi di dollari e, sei mesi dopo, Obama dovette mettercene altri 900. Qui si tratta di tappare un buco di 2.500 miliardi di dollari circa ed in una situazione in cui non c’è ancora una ripresa mondiale dalla crisi del 2008 e c’è una banca centrale cinese in affanno che difficilmente potrebbe mettere sul piatto i 680 miliardi di dollari del dicembre 2008. Insomma ne verrebbe fuori un cataclisma finanziario al cui confronto la crisi del 1929 (o quella attuale) sarebbero un passeggero mal di pancia.”

            L’ha scritto lei che non è mica tanto facile, non io. invece è facilissimo, la banca centra è lì apposta per stampare moneta, che poi i governanti vogliano sempre farlo passare per via fiscale e non con intervento diretto della banca centrale è POLITICA ECONOMICA PROPRIA DEL NEOLIBERISMO. E poi vorrei ricordare che dal 2008 negli USA praticamente ogni anno la banca centrale ha pompato 800 miliardi l’anno. Il fatto che non abbia sortito effetti è dovuto alla politica economica niente affatto redistributiva attuata negli stati uniti. Ed è qui il punto, come vengono spesi i soldi. Le metto alcuni link
            http://icebergfinanza.finanza.com/2016/02/26/america-qe4-allorizzonte/
            http://goofynomics.blogspot.it/2015/12/stampare-moneta-ovvero-la.html
            http://icebergfinanza.finanza.com/2016/08/31/bazooka-italia-monetizzazione-del-deficit/

          • solo che lì io non parlo dell’Italia in particolare ma di tutti i paesi europei che sarebbero contagiati. Poi è vero che l’Italia ed ogni singolo paese potrebbero tornare ad emettere moneta con la propria banca centrale (in fondo le banche nazionali non sono state sciolte) ma, a parte il fatto che questo automatismo euro-moneta nazionale, non è propriamente scontato, ci sarebbe da chiedersi, data l’entità dell’emissione, quanto varrebbe la nuova moneta nazionale dopo una elissione di quelle proporzioni. E non è neanche sicuro che sarebbe possibile ridenominare i titoli nella nuova moneta. Insomma sarebbe un bel casino, anche per questo suggerisco che prima, insisto: Prima, del collasso finale si arrivi ad una exit strategy concordata. Sono stato più chiaro?

          • Che l’exit strategy concordata sia la migliore soluzione non vi sono dubbi. Poi vorrei ricordare che non si deve monetizzare tutto il debito pubblico ma solo la parte che eventualmente non venga assorbita dal mercato. Vorrei anche ricordare che gli altri paesi non lascerebbero svalutare troppo la moneta altrimenti gli squilibri sarebbero troppo grossi anche per loro. E gli esempi si sprecano anche con paesi non grandi (e quindi con più voce in capitolo) vedi Zloty polacco, l’Ungheria, lo stesso Regno Unito ecc. Qui l’unica grande domanda è come mai non si arriva mai a minacciare pesantemente la Germania, quella che avrebbe più da perdere dall’uscita dell’Italia dall’euro.

    • Conosco bene il sito, visto che lo seguo. Quello che non capisco è l’articolo di Giannuli che cerca di rendere ancor più complicata la situazione. Francamente questa storia del taglio del debito mi pare grottesca (se esci dall’euro hai la banca d’Italia che lo garantisce), al massimo sarà da gestire il debito delle società contratte con l’estero, che di solito comunque vanno a finanziare le attività estere di suddette società e che quindi sono coperte dal fatturato estero. Ripeto, le idee del professor Giannuli sono molto confuse. Basta anche vedere come il governo Ungherese ha gestito il debito dei privati cittadini che avevano contratto mutui su valute estere per capire che i problemi non sono insormontabili. Mi pare strano tutta questa necessità di far vedere le cose come se fossero problemi insormontabili. Ma dico, l’Islanda dopo tutto quel che è successo è ancora viva e nemmeno lontanamente nelle condizioni della Grecia. E cosa dobbiamo dire del Regno Unito che nel 2008 ha svalutato la sterlina del 30%, non mi pare di aver visto il suicidio di chi ha investito in titoli inglesi compresi quelli pubblici. Dico, ma queste cose Giannuli le ha viste?

      • Il punto è che il pil non cresce abbastanza, anzi non cresce per nulla … quando va bene, ergo il debito pubblico può solo aumentare, come sta aumentando, ( più o meno di un 5% annuo), ma non può crescere all’infinito.
        I defoult degli stati sono stati numerosi, ma c’è modo e modo di farli.
        O la politica dice la sua, o la leggge della jungla coprirà e occuperà il suo vuoto.

        • @Gaz

          Il PIL non cresce perché, fino a quando saremo dentro l’euro con le mani legate e non avremo la flessibilità di cambio rispetto a partner europei, non potremo fare le politiche economiche per farlo tornare a crescere

          • @Andrea T.
            Sforbiciare i cambialoni (titoli di stato fa senso) in euro o in lire sono cose diverse, così come è il metodo politico seguito, o la percentuale ( chiamola così), di sconto, con risultati diversi. Non è solo una questione monetaria apparentemente neutra.
            Il primo pensiero corre al tasso di inflazione, alle aliquote da ridefinire, alla p. a., alla ricerca, alla redistribuzione, alle politiche regionali …
            Quanto alle considerazioni politiche sul Neuro, non mi sembra di essere mai stato tenero su questo blog con le pseudo strategie dell”Allemagna magna magna e con la Franza sfranzata.

      • Il sotteso di questo discorso è tecnicamente matematico, ma socialmente è anche politico.
        Potrei anche sbagliarmi, ma appena si scrive Sigma/sommatoria l’attenzione scema.

  • Dunque, proviamo a ragionare su uno scenario possibile di abbandono unilaterale dell’euro.
    Trascuro tutte le insidie e le difficoltà insite nelle modalità e nei tempi della conversione e trascuro anche i costi stratosferici di adeguamento dei sistemi informatici, non solo quelli italiani, anche quelli degli altri Paesi, per gestire importi con così tante cifre. Pensate soltanto a tutta la documentazione cartacea che abbia importi ed agli interventi necessari su tutti gli archivi e i programmi informatici per “allargare” tutti i campi importo: chi pagherebbe tutto ciò? e, sopratutto, quanto ce lo farebbero pagare, visto che i sistemi informatici sono per la gran parte in mani straniere (principalmente tedesca e anglosassone)? Ma non ci pensiamo per il momento.
    Cominciamo col dire che un ritorno alla denominazione lira sarebbe sciocco, per due motivi:
    1) applicare lo stesso tasso di cambio, ci riporterebbe a ragionare in milioni invece che in migliaia: immaginarsi, il nostro debito pubblico che ora viaggia sui 2.200 miliardi di euro, applicando il cambio a 1.936 lire si tramuterebbe in circa 4.347 milioni di miliardi di lire! Semplicemente ridicolo.
    Quindi, il tasso di cambio dovrebbe ragionevolmente avere un moltiplicatore a decine (1 a 10, o qualcosa di simile): già un tasso di 1 a 100 ci porterebbe ad avere un debito pubblico di 220 milioni di miliardi di lire. Non mi sembra una buona idea.
    2) A queste condizioni, tornare alla lira sarebbe anche psicologicamente deleterio. Immaginarsi chi nel 2000 aveva uno stipendio annuo, poniamo, di 22.000.000 di lire e che, anche considerando gli adeguamenti intervenuti nel frattempo, si vedrebbe retribuito con qualcosa come 15-20.000 lire: assolutamente demoralizzante nel confronto.
    Ne consegue che la moneta nazionale sarebbe certamente denominata in altro modo, scudo, tallero, fate voi: questo anche per evitare confusioni con situazioni di un passato ancora troppo recente.
    Quando siamo passati all’euro, nel giro di 2-3 anni abbiamo sofferto una svalutazione della ricchezza individuale pari al 200%; cioè, la famosa equivalenza 1 euro=1.000 lire, che ci ha portato ad un dimezzamento netto delle nostre sostanze.
    Il tutto grazie all’assenza (voluta, ormai lo sappiamo) di una politica di controllo dei prezzi: ma anche grazie alla tipica maleducazione dell’italiano medio che si crede sempre più furbo, commercianti, ristoratori, e quant’altri, molti dei quali hanno pagato e stanno ancora pagando la loro “furbizia” con la chiusura dell’attività.
    Ora, per concludere, tutto ciò premesso, se qualcuno riesce a sostenere con argomenti concreti e ragionevoli che in questa operazione di “reverse engeneering” unilaterale, non dovremmo soffrire degli stessi inconvenienti, e magari anche peggiori, prego, si faccia avanti.

    • @Roberto B.

      Non vorrei sembrare scortese, ma il suo commento tradisce una certa confusione e un’ignoranza radicale delle basi della materia in cui ha deciso di avventurarsi.

      Eppure è così facile documentarsi oggi. Nel 2016, a 6 anni dall’inizio della crisi dell’eurozona, esiste una vasta letteratura: persino gli avvoltoi degli studi legali internazionali e delle banche d’affari straniere, contrari per ovvi motivi di classe allo smantellamento del sistema euro, già dal 2012, hanno prodotto dei report sintetici, che può facilmente trovare con una ricerca su google, per spiegare ai loro clienti come avverrebbe la conversione dei contratti nazionali denominati in euro e la creazione di nuove valute nazionali.

      Mi spiega solo una cosa (la più paradigmatica della sua confusione): per quale assurdo motivo la conversione dovrebbe essere fatta 1 euro = 1936,27 lire quando si potrebbe fare 1 = 1, semplificando tutto e azzerando quei costi che lei dice sarebbero insostenibili (ammesso e non concesso che siano superiori ai costi di rimanere in questa tonnara)? O a limite, provando a seguire il filo del suo ragionamento, cosa impedirebbe al governo di chiamare la valuta nazionale “scudo”, “tallero” o “giggetto” invece di “lira”?

      Il tasso 1=1 sarebbe il più logico ed economico tasso NOMINALE di conversione. Il che, si badi, non vuol dire che 1 (nuova) lira varrebbe 1 euro sul mercato dei cambi (i mercati troverebbero un nuovo equilibrio di cambio già a partire da un minuto dopo la creazione della nuova valuta). Vuol dire soltanto che tutti i contratti covertibili in lire (quelli basati sul diritto italiano come legge applicabile) non dovrebbero essere oggetto di un assurdo – e insensato – calcolo per stabilirne il controvalore in lire. Di più, sarebbero oggetto di svalutazione alleviando fardelli debitori e riducendo il valore dei crediti per gli INCAUTI creditori stranieri (che hanno deciso di dare troppo al debitore Repubblica italiana, peraltro ben remunerati con gli interessi per il rischio sostenuto) in relazione alla loro valuta di riferimento: proprio quello di cui avremmo bisogno.

      Se ancora non fosse chiaro, i danni dell’euro alla nostra economia NON sono dovuti al tasso di conversione con la lira stabilito nel 1996-97 o al mancato controllo sui prezzi, ma alla rigidità del cambio rispetto alle altre economie dell’eurozona, all’impossibilità di fare politiche monetarie attagliate alla realtà economica italiana (che non ha gli stessi problemi e la stessa struttura di quella tedesca o di quella dell’eurozona intesa nel suo complesso) e, SOPRATTUTTO, la cosiddetta ‘”indipendenza” della banca centrale dal governo, che ha obliterato (ormai anche nella memoria delle persone) uno strumento di politica economica (il coordinamento tra una politica fiscale espansiva, cioè tagli delle imposte E/O aumento della spesa, e una politica monetaria accomodante che lo consenta ANCHE, all’occorrenza, con la monetizzazione diretta del deficit di bilancio pubblico, come avviene in quasi tutti i paesi del mondo se il Tesoro lo ritiene opportuno), uno strumento di cui ora avremmo tanto bisogno, nella situazione in cui ci troviamo.

    • @Andrea T
      Forse non sono stato chiaro, me ne scuso e ci riprovo.
      Non contesto la necessità di abbandonare l’euro, magari potessimo! Contesto due cose: la “possibilità” di farlo in modo unilaterale, ovvero che ci consentano di farlo, visti gli interessi in gioco a livello planetario e non solo Europeo e occidentale in genere, senza rischiare di provocare uno sconquasso che a noi, visti come i primi e maggiori responsabili, farebbero certamente pagare caro in termini economici e forse persino alla nostra sovranità.
      E contesto che l’uscita unilaterale sarebbe vivifica, perché sospetto, credo con qualche ragione, che dovremmo soffrire molto ed a lungo, e nel frattempo si allargherebbe ancora di più la forbice tra ricchi e poveri, a vantaggio dei primi, beninteso.
      Non puoi fare una politica monetaria autarchica, avendo tutti contro, a ragione o in modo strumentale ai loro interessi.
      Inoltre, mi infastidisce parecchio l’affermazione “tornare alla lira”, frutto di approssimazione e ignoranza, fattori che certo non aiutano quando si deve fare un discorso serio e ragionato.
      Poi sono naturalmente d’accordo che un rapporto di conversione di 1 a 1 limiterebbe (limiterebbe, eh!) alcuni danni come il necessario adeguamento dei sistemi informatici, ma insisto nel pensare che la nuova moneta debba essere denominata in altro modo (ecco perché limiterebbe e non eviterebbe).
      Comunque se si abbandonasse davvero l’euro, oltre alla diversa denominazione, mi augurerei un tasso di conversione almeno di 1 a X, laddove X sia dell’ordine delle decine, come ho scritto: questo per compensare almeno in parte uno dei fattori che ci ha molto penalizzati nel passaggio lira-euro (e di cui purtroppo non si parla mai).
      Infatti, l’unità minima dell’euro rappresenta già uno svantaggio rispetto alla lira. Per intenderci, se prima qualcosa, almeno in linea teorica, poteva costare al dettaglio un multiplo di lira, adesso costa un multiplo di centesimi: peccato però che un centesimo di euro corrisponda a 19,36 lire.
      Prima conseguenza, infatti, fu la scomparsa dai prezzi prima del corrispondente delle vecchie 20 lire, subito dopo delle 50, sostituite da uno e due centesimi ed immediatamente arrotondate prima ai 5 e poi ai 10 cent, cioè prima alle vecchie cento lire, poi alle duecento. E questo, a parer mio, non ha aiutato la dinamica dei prezzi. Ma magari mi sbaglio; parlo da uomo della strada che ha vissuto e vive ancora i danni dell’euro quando va a fare acquisti, specialmente di derrate alimentari. Se è così chiedo venia, in nome della mia “confusione e un’ignoranza radicale delle basi della materia”, e attendo che i grandi esperti mi illuminino (Vabbè!, una notarella polemica ma senza cattiveria: apprezzo sempre il contraddittorio).

      • Nessuna persona seria potrebbe argomentare che la creazione di una nuova valuta nazionale avrebbe costo zero. L’errore è stato fatto a suo tempo e avrà – in ogni caso – un costo che dovremo – tutti gli italiani, non solo quelli che lo hanno fatto – sostenere responsabilmente.

        I costi della riappropriazione della valuta nazionale (che poi, nel caso di specie, significa creazione di un sistema di pagamenti nazionale segmentandolo rispetto all’attuale, più ampio, sistema di pagamenti dell’eurosistema, evitando nella transizione fughe di capitali verso le economie, all’interno dell’attuale sistema di pagamenti unico, dove si verificherebbe una rivalutazione a seguito della scissione: ed è questa, a mio parere, la principale difficoltà tecnica che andrebbe pianificata dal governo in segreto, soprattutto per l’eventualità che si verifichi una “rottura” senza la cooperazione degli altri appartenenti dell’attuale area unica) vanno però raffrontati con i costi, per l’economia italiana, di rimanere stritolati nell’attuale sistema (seppur lentamente).
        Lei, in generale, preferirebbe un cazzotto in faccia (che magari le romperebbe il setto nasale) o uno strangolamento lento fino al soffocamento? E mi scuso per la figura retorica cruenta.

        Sul fatto che l’Italia sarebbe isolata… questo è tutto da vedere! Basti sottolineare il conflitto evidente, seppur dissimulato, che sta gradualmente aumentando di intensità, tra Stati Uniti e Germania: il surplus commerciale tedesco (illecito sulla base dei trattati europei, che – come sempre accade -si applicano per i dominati e s’interpretano per i dominanti) è un problema per tutto il mondo. Gli Stati Uniti avevano già lanciato un avvertimento mafioso con la stangata (quasi mortale) alla Volskswagen. Qualche mese fa la Germania è stata messa dal Dipartimento di Stato nella blacklist dei manipolatori di valuta (QE ha causato la svalutazione dell’euro sul dollaro nonostante il surplus ASTRONOMICO, superiore in percentuale a quello della Cina, che la Germania continua ad avere senza accennare a politiche economiche di riequilibrio verso la domanda interna). Adesso arriva il libro di Stiglitz (economista molto vicino a Clinton) e per tutta risposta cosa accade? Apple, la principale multinazionale USA, viene condannata dalla commissione europea (cioè la filiale straniera del governo tedesco) a pagare 13 miliardi di imposte con gli interessi e il governo tedesco, negli stessi giorni, annuncia il fallimento dei negoziati sul TTIP (molto caro alla business community americana).

        Si tratterebbe, per l’Italia, di cercare appoggi internazionali (facendo capire meglio agli americani quello che stanno già capendo da soli: la Germania va arginata e l’UE, sicuramente l’eurozona, NON è, o non è più, un elemento di stabilità per la NATO in Europa ma, al contrario, di instabilità e di crescenti tensioni politiche).

        Però questo richiederebbe una classe politica capace e preparata, oltre che disposta a fare gli interessi nazionali (che poi, nel caso di specie, sono gli interessi della maggioranza degli italiani, schiacciati da questo sistema, a fronte degli interessi di una minoranza di collaborazionisti che sta svendendo il paese agli stranieri sperando di sedersi ai tavoli che contano). E su questo – ahime – non sono molto ottimista: abbiamo al governo soltanto delle teste vuote, lacché cresciuti a pane e slogan di propaganda europeista e di esaltazione dell’assolutismo del mercato e della globalizzazione.

        • Va tutto bene, a una sola condizione: che ci si renda conto che l’Italia da sempre è un vaso di coccio in mezzo a vasi di bronzo(a parte gli illusi nostalgici del ventennio, che credono ancora che allora contavamo davvero come Germania, Francia, Inghilterra, Russia e USA ).
          E questo indipendentemente dai vari Renzi, Berlusconi e chi altro si vuole: è solo questione di rapporti di forza, anzitutto militare, poi economica.

          • Ok, ma anche nella “Prima Repubblica” l’Italia si trovava nella stessa posizione geografica di adesso.
            Eppure si era ritagliata – con una classe politica incomparabile per qualità e statura, nel bene e nel male, rispetto a quella odierna – una sua posizione e una sua strategia di influenza regionale nel Mediterraneo che aveva garantito comunque una costante crescita dell’economia, un avanzamento del progresso sociale e anche dell’importanza del paese nelle relazioni internazionali.

            Se vogliamo argomentare che oggi il mondo è diverso e c’è la globalizzazione e c’è la Cina – come da vulgata – ricordiamoci che OGGI, la Corea del Sud, in una situazione geopolitica di tensione di non poco momento con il suo vicino del Nord, persegue una sua strategia di crescita e di sviluppo AUTONOMO (che non è sinonimo di “autarchico”) nel mondo della globalizzazione. E CRESCE (basta guardare la dinamica galoppante del suo PIL pro capite degli ultimi decenni), pur essendo vaso di coccio tra due vasi di bronzo (Cina e Giappone) e pur non avendo materie prime (altra vulgata).

  • è dura venirne fuori perché il capitale si muove sempre in anticipo. Negli anni ’70 la Fiat ha risposto agli scioperi con l’utilizzo dei terzisti (meno sindacalizzati e più ricattabili) e con la robotizzazione (i robot non scioperano). Oggi sopravvivono le grandi organizzazioni che hanno gli strumenti per essere all’avanguardia. Prendo esempio dal software, settore che conosco un po’. Le piccole aziende di software non hanno i capitali per costruire un gestionale, né per seguire l’evoluzione tecnologica. Basta un nuovo aggiornamento della Microsoft e subito si trovano obsolete. Voglio dire che oggi solo le multinazionali hanno la capacità di reggere. I piccoli, se vogliono continuare a lavorare, fanno la fame. E così in tutti i settori dove conta la tecnologia.

    • @ 🙂 Herr Lampe
      “1. Se è verde o si muove, è biologia.
      2. Se puzza, è chimica.
      3. Se non funziona, è fisica.
      4. Se non si capisce, è matematica.
      5. Se non ha senso, è economia o psicologia.” A. Bloch
      Tra le cose spassose ci sono i saggi dei sociologi e degli informatici che ci occupano di economia che ci prendono e le previsioni degli economisti che sbarellano, per non dire di chi consulta le stelle, -ma su quest’ultimo aspetto sono assolutamnete impreparato-.

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