
Rimettere la finanza sotto l’economia reale.
A quanto pare, non ci sarà ripresa economica se non usciremo dalla crisi del debito, come osserva Adrien De Tricornot. Questo per diversi ordini di ragioni. In primo luogo perché se la bilancia commerciale continuerà a restare in rosso, il debito pubblico diventerà fatalmente insostenibile: una bilancia commerciale in passivo significa che un paese sta consumando più di quello che produce, per cui i debiti (anche privati) non possono far altro che aumentare. Di conseguenza, si innesca l’effetto “Regina Rossa” (o “tapis roulante contromano”).
Pertanto, è inevitabile ripensare il modello economico, contrastando le concentrazioni oligopolistiche e riportando la manifattura in Occidente.
L’obiezione più frequente, a questa idea, è la non sostenibilità della concorrenza asiatica ed, in parte, latino-americana. Come spesso accade, la cosa è tanto più creduta quanto più ripetuta, sino al punto di sembrare ovvia come il fatto che a mezzogiorno ci sia luce ad a mezzanotte il buio.
Ma esaminiamo un po’ più da vicino l’argomento, partendo da una premessa: se il problema fosse solo questo, esso riguarderebbe tanto la manifattura quanto i servizi, e, se questa concorrenza non fosse battibile, questo significherebbe l’irrecuperabilità del deficit commerciale ed il sicuro fallimento. A quel punto, potremmo starcene seduti in riva al mare ad aspettare che il fato si compia. Per fortuna le cose non stanno così.
I due fattori determinanti nel processo di delocalizzazione industriale sono stati il basso costo del petrolio e il regime alterato dei cambi: uno scenario destinato a modificarsi. Per quanto oggi si sia in una fase di calo dei prezzi energetici (per la verità non priva di turbolenze) la tendenza di lungo periodo è, all’opposto, la loro crescita. A quanto pare, sta finendo il petrolio “facile”, quello che giace più in superficie, e, pertanto, bisogna scendere molto più in giù e cercare sotto i fondali marini, il che significa un considerevole aumento dei prezzi di estrazione. Inoltre, non sembra che la domanda sia destinata a calare, per lo meno in un futuro prevedibile, quanto piuttosto a salire. Si potranno ottenere dei risparmi con tecnologie più efficienti, in parte sviluppare fonti energetiche diverse, ma, nel complesso, i costi probabilmente saliranno.
Inoltre, occorre considerare che, a partire dai tardi anni novanta, si è manifestata una nuova pirateria che, ovviamente, impone ulteriori costi per i noli marittimi fra diretti ed indiretti (scorte armate, assicurazioni, carichi perduti, risarcimenti, sistemi di vigilanza satellitare ecc). Anche se è vero che l’apertura di nuovi canali modificherà sensibilmente le rotte (in particolare, il taglio dell’istmo di Kra permetterà di evitare il terribile stretto di Malacca. Ma torneremo a parlarne) tutto sommato, sembra che i costi dei trasporti marittimi siano destinati a crescere. Riducendo, quindi il margine di profitto sulle esportazioni via mare.
Il secondo fattore è quello dello squilibrio nei cambi monetari. Una situazione che difficilmente potrà durare ancora molto a lungo, senza sfociare in una durissima guerra commerciale, fatta di dazi protezionistici e boicottaggi e, forse, in una guerra punto e basta.
E’ difficile dire quale sarà il punto di caduta di questa tensione, ma è facile prevedere che un qualche riaggiustamento dei cambi ci sarà e andrà nel senso di una rivalutazione delle monete degli emergenti.
D’altra parte, sapreste dirmi che razionalità economica ha che il maggior creditore mondiale abbia una moneta che vale un decimo di quella del maggior debitore mondiale?
Infine: la politica del basso costo del lavoro è anche essa destinata a rientrare parzialmente, soprattutto in Cina, dove, nei prossimi 8-10 anni una considerevole parte dell’attuale forza lavoro uscirà dal mercato e, stante la sostanziale inesistenza del sistema pensionistico cinese, questo significa che ogni famiglia dovrà sostenere un maggiore peso di persone inattive, quel che riesce molto difficile senza una qualche rivalutazione salariale. D’altra parte, già nell’estate del 2010 ci fu un’ondata di scioperi soprattutto nelle aziende giapponesi presenti in Cina, che portò ad apprezzabili aumenti salariali. E comunque, se la Cina vuol continuare a crescere deve dilatare il suo mercato interno.
Certamente questa parte del ragionamento è vera per la Cina ma, almeno per ora, non per l’India, il Vietnam o la Corea del Sud, dove, in effetti, si è parzialmente spostata la produzione industriale dalla Cina. Tuttavia, anche questi spostamenti non avvengono a costo zero e pongono spesso altro tipo di problemi.
Dunque, il quadro sta mutando e le condizioni generali che hanno favorito l’emigrazione della manifattura dai paesi avanzati verso quelli asiatici e latinoamericani si stanno considerevolmente ridimensionando. Tanto è vero che negli Usa abbiamo assistito ad un parziale rientro di aziende manifatturiere.
D’altro canto, è possibile ridare competitività alle industrie europee ed americane anche attraverso una riduzione dei costi di produzione. Ma questo è un punto su cui occorre capirsi. Sin qui parlare di costi di produzione ha significato automaticamente abbassare il “costo del lavoro”, cioè i salari. C’è, un’altro capitolo della questione che viene affrontato molto superficialmente e riguarda le retribuzioni del management. Facciamo l’esempio degli Usa, dove i manager guadagnano 8 vote quello che guadagna un premio Nobel, 28 volte di più del Presidente, 178 volte lo stipendio di un infermiere, 213 volte quello di un poliziotto, 225 volte di un insegnante e 252 volte quello di un vigile del fuoco. Parliamo di stipendi medi, ma ci sono punte che raggiungono la proporzione di 1 a 9.000 fra il top manager e l’ultimo operaio della sua azienda. Peraltro, non si tratta di poche persone perché, ad esempio, l’apparato manageriale di una multinazionale è fatto di molte centinaia di persone. Sarebbe interessante fare un’ inchiesta che ci dicesse quale è il peso percentuale delle retribuzioni manageriali rispetto a quelle del monte salari, azienda per azienda.
Sappiamo che i proventi dirigenziali sono spesso ottenuti attraverso la clausola della shareholder value che non si scarica immediatamente sui costi di produzione, ma è comunque un costo che incide sul bilancio generale ed ha un suo riflesso sulla competitività dell’azienda.
Dunque, un vigoroso taglio di queste retribuzioni potrebbe avere riflessi assolutamente salubri sullo stato delle imprese americane ed europee, in fondo, se un manager non guadagnasse più 250 volte quello che guadagna un suo operaio, ma solo 80 volte, non è che andrebbe in miseria. Sarebbe un interessante esperimento quello di uno sciopero che chieda di diminuire i guadagni del management. Chissà se i sindacati americani ed europei avranno mail il coraggio di farlo.
Tutto ciò considerato, le condizioni per una reindustrializzazione delle nostre economie non appaiono così impossibili come si pensa comunemente.
Il punto è che dobbiamo riabituarci a pensare che una parte del consumo deve essere prodotta localmente e non ha senso una produzione così frammentata, con costi elevatissimi di trasporti e di organizzazione del lavoro. O meglio, un senso lo ha: disperdere la forza lavoro frantumandone la capacità contrattuale per tendere bassi i salari ed inesistenti i diritti. Ma questo non ha a che fare con una razionalità economica più generale.
Per consentire la ripresa di produzioni locali non sarebbe neppure scandalosa la ripresa di dazi moderatamente protezionistici e temporanei (e immaginiamo l’eventuale lettore neo liberista che si starà strappando i capelli inorridito). Ma un contributo può darlo anche l’adozione di monete locali per cui un quinto o un sesto delle retribuzioni poterebbe essere corrisposto in moneta spendibile solo localmente e, dunque, per prodotti locali.
D’altra parte, non è scritto da nessuna parte che tutti dobbiamo produrre le stesse cose: se ci sono già abbastanza auto, blue jeans e macchine edili è abbastanza inutile aprire nuove fabbriche di auto, jeans e macchine edili. Ma questo non vuol dire che non ci siano altre cose da produrre e scambiare. Occorre pensare in termini di una nuova divisione mondiale del lavoro. E ci sono campi nuovi in cui si stanno muovendo appena i primi passi, come la l’ecoindustria. La green economy sta dischiudendo interi settori produttivi nel campo delle energie rinnovabili, del riciclo e dell’ efficienza energetica, dell’energia prodotta dal riciclaggio dei rifiuti. Jeremy Rifkin parla di una terza rivoluzione industriale che sta appena iniziando e che porterà al superamento dell’attuale “economia del carbonio”. Forse è una valutazione eccessiva e dovemmo nutrire aspettative meno ambiziose, ma non c’è dubbio che fra le sue proposte ve ne siano di molto interessanti che possono effettivamente contribuire ad una nuova organizzazione dell’economia reale.
Ci sono poi segnali molto promettenti nel campo della robotica, si parla di una nuova generazione di robot che potrebbe cambiare il nostro stile di vita (anche se, magari occorrerà essere molto attenti agli eventuali effetti controintuitivi). Molto prossimo a questo campo è quello delle nanotecnologie dai più diversi impieghi (e si pensi alla microchirurgia). Accanto a tutto questo, occorre anche prestare attenzione al nuovo artigianato digitale che sta sorgendo.
Ma soprattutto è evidente che il campo dove si giocheranno le sfide principali sarà quello delle innovazioni, che esigono uno stretto rapporto con la ricerca scientifica, un settore in decisa decadenza in Europa ed in Italia in particolare, nel quale è possibile fare molto e ricavare molto.
Come si vede l’ipotesi di un ritorno della manifattura in Occidente è una prospettiva tutt’altro che astratta e che merita di entrare di forza nel dibattito politico. Quello che, però, esige una politica industriale che ormai non esiste da almeno venti anni in Europa (negli Usa è essenzialmente legata al complesso militar industriale). E questo, a sua volta, esige di nuovo lo Stato imprenditore.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, assicurazioni, crescita economica, dazi doganali, deindustrializzazione, economia mondo, economia reale, green economy, microchirurgia, nanotecnologie, pirateria, produttività, reindustrializzazione, robotica, salari lavoro mondo, salari manager, sviluppo economico

ilBuonPeppe
Aggiungerei una frase di chiusura.
“E tutto questo, ancora, esige che si faccia Politica, altra cosa assente da troppi anni.”
Tenerone Dolcissimo
Ben venga il ritorno della politica purcheé si occupi di quanto di sua competenza e cioè:
1) GIUSTIZIA (magari correggendo certe impostazioni come l’introduzione da parte dei giudici del reato di violenza a pubblico delinquente nell’esercizio delle sue funzioni);
2) POLIZIA (che dovrebbe servire a tutelare i cittadini e non accompagnare i politici dalla mignotta di turno);
3) DIFESA (magari dotandoci di forze armate che servano allo scopo per cui sono nate e cioè difendere i confini, evitando ad esempio. di riconsegnare gli scafi agli scafisti …. dopo averli sequestrati, gli scafi non gli scafisti).
Quanto all’economia, lo stato meno se ne occupa e meglio è per tutti.
mirko g. s.
Professore sempre più beppegrillesco nelle sue opinioni!!! Ma farebbe bene a scrivere (e ripeterlo sovente) un pezzo sugli effetti controintuitivi. Non so se si stesse riferendo a questo ma rischiamo una catastrofe se non poniamo un argire all’automazione della manifattura: http://www.tomshw.it/news/amazon-assume-10-000-lavoratori-ma-sono-tutti-robot-58355
oppure anche leggere le varie notizie sui bar e pub che negli USA stanno iniziando ad usare robot e tablet per sostituire commessi e camerieri…
Tenerone Dolcissimo
Egregio Professore, l’economia è come l’amore: non si può forzare; ha le sue regole e vanno rispettate. Pertanto, tentare di imbraghettarla per scopi etici è inutile e spesso controproducente.
In ogni caso, si può risparmiare la fatica di ipotizzare strumenti per favorire l’economia a km zero, perché qui tra un po’ di imprese non ce ne saranno più né finanziarie né di economia reale. E allora saranno cazzi per i parassiti consumatori di tasse, che vivono alle spalle dei lavoratori percependo sussidi e prebende varie.
Quanto ai lavoratori, alcuni se lo meritano di finire sul lastrico: per esempio gli edili e quelli della nautica iscritti alla CGIL e CISL, che hanno seguito il loro sindacato nelle lotte per avere piu’ tasse sulla casa e sulle barche, per far piangere i ricchi. I quali ricchi hanno portato la barca in Croazia e pare non piangano affatto, mentre calde lacrime le piangono i lavoratori del settore nautico rimasti a spasso.
Dolcissimi saluti a tutti
paolo rabissi
Eh sì, tutto ciò, analisi e prospettive comprese, detto con questo garbo, sembrerebbe quasi a portata di mano. Un soggetto politico capace di mettere in atto solo la metà delle cose che prospetti garantirebbe, non solo a me, una vecchiaia luminosa. Tant’è, siccome non si può tenere sempre il broncio con la realtà che ci circonda, un po’ di ottimismo non guasta.
Simone
Pare perció evidente che per riattivare la produzione industriale e ritornare ad investire in ricerca e sviluppo ci sia la necessitá di poter decidere autonomamente quando,come e quanto denaro spendere.
Ma non essendo padroni della nostra moneta non possiamo fare quasi nulla in questa direzione…o sbaglio?!?!?
Mauro
Gentile ospite, l’articolo è molto bello ed istruttivo. Vorrei farle solo notare due piccoli difetti, per quanto ne so io (ed ho illustrato qualche mese fa).
1) Per realizzare il buon proposito, non si fa cenno ad alcuna possibilità di raccolta del risparmio privato a favore di microcredito a privati, sotto (mero) inquadramento istituzionale pubblico.
2) Rifkins avrà da aggiornarsi. L’economia rimarrà del carbonio, ma assumerà processi e localizzazioni oggi inimmaginabili dai più. L’idrogeno comparirà, ma solo come elemento costituente dei processi di produzione del gasolio sintetico.
maurizio
questa è una visione a medio termine credo….
a breve termine con il governo che abbiamo non abbiamo nessuna possibilità di reinvestire sull’economia reale
questi perdono tempo a litigare se mantenere o meno i vitalizi ai condannati figuriamoci se hanno tempo di pensare all’economia reale…
marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
oltre che la riduzione delle retribuzioni dei manager sarebbe fondamentale introdurre la cogestione obbligatoria dei lavoratori nelle aziende. E’ prevista dall’art. 46 della Costituzione e praticamente inattuata, con l’eccezione del art. 2549 del codice civile che però in merito è riduttivo e non vincolante. In regime di cogestione in un’azienda, le sperequazioni esagerate che ha registrato nell’articolo diverrebbero praticamente inattuabili.
Saluti,
Marco
Giovanni Talpone
Solo qualche osservazione:
1) probabilmente l’apertura delle rotte artiche e dei nuovi canali tenderà a stabilizzare i noli marittimi
2) secondo la mia esperienza, gli alti stipendi dei manager delle imprese globali nascono dal conflitto di classe fra middle management (che controllo la complessità del processo e il know-how) e azionisti (che devono “comperare” i top manager affinchè usino le loro competenze a favore dei finanziatori e contro i loro ex colleghi). E’ un’osservazione, non una giustificazione.
Giovanni Dall'Orto
Lei scrive: “D’altra parte, sapreste dirmi che razionalità economica ha che il maggior creditore mondiale abbia una moneta che vale un decimo di quella del maggior debitore mondiale?”
Intende dire che duemila lire valevano meno che un euro perché un euro vale duemila volte la lira?
O sta parlando di “massa monetaria”, che è cosa diversa dalla moneta?
In entrambi i casi, la frase va riformulata.
fabio
credo parli del rapporto di cambio monetario usa-cina o giappone-cina
Giovanni Dall'Orto
Lei scrive: “Ma un contributo può darlo anche l’adozione di monete locali per cui un quinto o un sesto delle retribuzioni poterebbe essere corrisposto in moneta spendibile solo localmente e, dunque, per prodotti locali”.
Dunque, grazie a questo meccanismo, compreremo petrolio prodotto in Sardegna, e banane coltivate sulle Alpi? Anche questa frase va riformulata.
Giovanni Dall'Orto
Infine, e qui non c’è da riformulare nulla, esperimenti di doppia moneta sono stati già fatti in passato, e sono finiti così: le tasse, gli affitti, i mutui andavano pagati in moneta nobile, gli stipendi venivano pagati in moneta vile, a questo punto quando lo stato doveva svalutare (per esempio, per le conseguenze di una guerra) non svalutava certo le monete nobili, usate dai potenti che avevano denti per difendersi, e dallo stato stesso per farsi pagare, ma la moneta “vile” usata dalla gente “vile”. Il che favoriva il calo degli stipendi. Esattamente l’opposto dello scopo che lei si prefigge.
Roberto B.
Corretto! Sacrosanto, direi.
Se però utilizziamo la doppia moneta come metodo per una transizione “morbida” dall’euro ad una moneta nazionale, per tornare così alla sovranità monetaria, unica possibilità reale di liberarci dei cravattari globali giacchè l’uscita del singolo Paese dall’area euro è teoricamente fattibile ma praticamente impossibile (si consideri il caso della Grecia, tenuta artificialmente in vita con un trattamento da accanimento terapeutico), allora il discorso cambia.
Naturalmente, la prima condizione è che lo Stato, attraverso una Banca d’Italia nuovamente sotto il controllo del Tesoro, sia l’emittente e primo sostenitore della doppia moneta, accettando e anzi pretendendo il pagamento delle tasse in baiocchi (o fiorini, o sesterzi. Tutto tranne che chiamarli di nuovo lire!).
Ma, Renzi e la sua cricca ce lo farebbero fare?
L’alternativa a questo punto potrebbe essere quella di aspettare e sperare nella perfida albione, in Cameron che faccia davvero il referendum nel 2017 ( perchè non farlo subito? Ah, saperlo!), illudendosi che questa non sia solo una manfrina per ottenere ulteriori migliori condizioni e vantaggi dall’UE, oltre quello già incomprensibile e ingiustificabile di mantenere la propria sovranità monetaria e farsi le proprie manovre quando e come le fa comodo. Sia beato chi ci crede.
Aldo Giannuli
Un momentop, io non parlo di una doppia moneta nazionale ma di una di quelle monete locali come quella attualmente in corso in Sardegna e il suo uso sarebbe limitato all’cquisto di beni di consumo di costo limitato, ad esempio al super mercato. Dunque non una moneta controllata dallo stato e dunque svalutabile a piacere
Roberto B.
E chi dovrebbe emettere questa specie di doppia moneta? Chi ne sarebbe il garante? Quale sarebbe il concambio con l’euro, e chi lo stabilirebbe? Giorno x giorno? E se valesse in tutto il territorio nazionale, in cosa sarebbe diversa da una doppia moneta? Come “invogliare” (obbligare, in realtà), i supermercati ad accettarla, piuttosto che ad essere pagati in euro? Quanto poi alla possibilità di “svalutarla a piacere”, a piacere di chi?
E potrei continuare …..
Aldo Giannuli
sono esprimenti fatti, in sardegna è un accordo fra ditte e banche ed il meccanismo è quello dei buoni mensa, èer darti una idea molto approssimativa
Roberto B.
Va bene, prof. Come dice sopra Paolo Rabissi, un po’ di ottimismo ci sta, sognamo almeno un po’.
Ma, al risveglio, prendiamo atto che usciremo dall’euro solo quando farà comodo a lorsignori finanzieri liberisti, nei modi, tempi e modalità studiate su misura per i loro interessi; e non sarà a nostro vantaggio.
Con ciò non voglio sminuire l’iniziativa del referendum promossa dal M5S, anzi: nel bene e nel male, è l’unica azione concreta in Italia (e non solo) per cercare di mettere un granello di sabbia nell’ingranaggio. Poca cosa è vero; ma trovatemene qualche altra, da noi o qualche altra parte, che non sia solo un vuoto e querulo chiacchiericcio. Se fosse vero, quello inglese potrebbe invece rappresentare davvero una speranza.
Paolo
Io sono di Cagliari e l’esperimento della moneta locale (Sardex) sta funzionando benissimo..stanno aumentando le aziende che aderiscono..e in tutte quelle che hanno aderito è aumentato il fatturato…però per porre rimedio alle criticità create dall’euro (rarefazione “voluta ” della moneta…che dobbiamo procurarci attraverso i “mercati” a tassi strozzini..e non più emettendola dal nulla come fanno tutti gli Stati del mondo eccetto l’area della disgraziata Eurozona ) ..ci vuole una “moneta parallela ” quindi emessa e riconosciuta dallo Stato…(non c’è nessuna norma UE dei trattati che possa impedirlo..) sotto forma di Titoli di Stato particolari chiamati CCF..(Certificati di Credito Fiscale )…non aumentano il debito pubblico (anzi lo diminuiscono)…perché son gratuiti ….e si danno alla domanda e all’offerta per un tot di circa 200 miliardi annui…questo incrementerebbe il consumo e quindi farebbe ripartire la produzione…riequilibrando gli sfracelli derivanti dall’Euro (che non è una moneta vera e propria perché non ha una realtà statuale dietro e perché ha una BCE…”anomala” con regole assurde che non ha simili con tutte le BC del mondo di ieri e di oggi….non funziona come ad esempio la FED americana….)…sui dettagli tecnici dei CCF non mi soffermo…(ci vuole troppo spazio ) ma eventualmente metto dopo metto dei link che ne spiegano le caratteristiche…(il Quantitative Easing…di Draghi non serve a nulla…non va dove dovrebbe arrivare cioè alla domanda e all’offerta ma in gran parte si ferma nelle riserve delle banche e finisce per foraggiare le medesime…per poi speculare “ulteriormente” nella finanza..creando le premesse per “ulteriori” bolle…)…
Paolo
Paolo
dimenticavo: l’Euro di fatto non è una moneta ma solo un blocco dei cambi a favore della Germania..in quanto di fatto è un vero e propri Marco camuffato da Euro (l’Euro è stato calibrato sull’economia tedesca…)…una moneta unica per realtà economiche diverse con aree valutarie diverse…porta solo guai…i CCF potrebbero porci rimedio..senza sfasciare il sistema euro…diversamente il crash ci sarà (è matematico ) e potrebbe essere molto ma molto doloroso…per tutti.
Paolo
Roberto B.
Per capire quanto sia inconsistente e deleteria questa EU, basta considerare che mentre regola la lunghezza delle banane e dei cetrioli, impone limiti e criteri di austerità (regole che valgono per chi è già in difficoltà, ma non per Germania e Francia, insomma non per quelli MUSCOLOSI), non ha neppure cercato di uniformare le aliquote VAT (la nostra IVA).
Per cui oggi su 14 Paesi dell’area Euro, abbiamo 7 (sette) diverse aliquote: con quali effetti sulla competitività e sulle politiche economiche, è facile immaginare. Alla faccia dell’Unione; sarebbe come se in Italia ci fosse un’IVA diversa a seconda della Regione.
Paolo
Sono perfettamente d’accordo con te…sulla pesca per esempio hanno imposto delle regole adatte per i mari del nord e non per il mediterraneo..e stanno mandando in rovina i pescatori. Oltretutto in “generale” stanno costantemente cercando di promuovere delle regole..che affossano il “mady in Italy ” che è una nostra eccellenza.L’ossatura della nostra economia è sostanzialmente formata da piccole medie imprese che sono un UNICUM come caratteristica in tutto il mondo..l’UE non ne ha mai tenuto conto (volutamente ) e promuove una linea che favorisce solo le grosse realtà imprenditoriali..di fatto stanno distruggendo l’italia (bisogna esser proprio orbi per non vederlo…è sotto gli occhi di tutti )
Ciao
Ps- in questo scenario si possono fare due cose
1 ) introdurre i CCF come supporto alle criticità dell’Euro (e non sfasciare il sistema UE/Euro…ma rivederne poi con calma e buon senso tutto l’impianto correggendolo )
2 ) diversamente è meglio uscirne: ma uscire dall’euro..non è una passeggiata ..potrebbe essere molto ma molto doloroso
se invece restiamo con queste regole…il disastro è sicuro.D’altronde lo avevano previsto 25 anni fa ben 7 economisti premi nobel (keynesiani e neoliberisti..tra cui addirittura il Padre del Neoliberismo Milton Friedman..che aveva avvertito: sarà un disastro—–>>> è cosi è stato è sotto gli occhi di tutti..(ma “lor signori”..avevano beatamente bypassato tutto..fregandosene..) domando : anche sto popò di luminari dell’economia erano “populisti ” e “complottisti” ???
Ciao
ho terminato il mio spazio di intervento…posterò i link dei CCF più tardi…chi vuol saperne di più può chiedere in quel blog tutte le domande che vuole (critiche, chiarimenti , dubbi , perplessità etc etc ..c’è un economista (laureato alla Bocconi ) che risponde a tutte le domande pertinenti…ma proprio a tutte )
Vincenzo Cucinotta
Nel futuro…saremo tutti morti, e forse dovremmo puntare l’attenzione non tanto su possibili tendenze di sviluppo, ma sul presente.
Ed il presente non lascia dubbi, sottoporsi alla competizione in un mercato mondiale significa subire ciò che abbiamo fin qui seguito.
Se quindi non si parte dal rifuto della globalizzazione totale, non si va da nessuna parte, è questo l’unico possibile punto di partenza per far finire a gambe all’aria il progetto neoliberista, meno di così non si può fare.
Questo comporta scelte drastiche e dolorose, comunque auspicabili visto che il non prenderle, produrrebbe effetti e danni ben peggiori. Significa uscire dall’euro ma anche dalla UE, quasi inevitabilmente dare default, e ripristinare forme di controllo dei flussi di merce e finanziari, e naturalmente stampare di nuovo una moneta nazionale. Tutti questi provvedimenti come si vede stanno nell’alveo della scelta antiglobalista.
Questo è a mio parere il punto di partenza obbligatorio, senza ristabilire la sovranità nazionale, non si può fare politica e meno che mai politica economica, biaogna come intera nazione sottoporsi alle onde del mare in tempesta del mercato globale senza la possibilità di orientare il timone in una specifica direzione, l’ultima corrente deciderebbe per noi dove andremo a finire.
Tuttavia, un punto di partenza non fa ancora un percorso, ne stabilisce solo il punto iniziale, poi abbiamo bisogno di fissare una serie di obiettivi. Il primo e più importante rimane per me il grado di occupazione che dovrebbe tendere ad un tasso di piena occupazione, abbandonando la sirena del PIL, che si iscrive in questa religione degli oggetti, impedendo di rimettere l’uomo come fine di ogni sistema sociale.
andrea z.
L’idea di riportare la manifattura in Occidente è destinata a scontrarsi con la realtà di un sistema economico basato sulla finanza, che ha iniziato a formarsi nel corso degli anni ’80 con la deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico e si è andato evolvendo con la creazione all’infinito dei derivati e la possibilità di creare moneta senza controllo da parte delle banche.
Anche i politici sono stati selezionati da questo sistema, sulla base della vicinanza con i grandi centri finanziari e dei favori che possono concedere loro.
Se un politico provasse a favorire la produzione a scapito della finanza verrebbe semplicemente scartato dal sistema vigente; non riceverebbe più finanziamenti per la sua campagna elettorale e verrebbe allontanato o denigrato dai media che sono controllati in un modo o nell’altro dalle solite mega banche.
Questo sistema è talmente rodato e ormai immodificabile, che potrà cadere solo come è caduto il comunismo: per implosione interna.
White_Rabbit
Questo sistema funziona; magari sono accecato dalla giovane età, ma non avendo mai visto nient’altro all’opera, e vedendo quanto inarrestabile sia questo sistema, dubito che si fermerà mai. Mi auguro che si evolva lasciando sul campo meno vittime possibile.
Per quel poco che ho visto, pur con stipendi da terzo mondo, la ricerca nelle università italiane è viva e di buon livello. Con il sotto-finanziamento e la disorganizzazione che regnano, mi stupisco che dei risultati sensati vengano comunque raggiunti (vedetevi cosa fa l’Istituto Italiano di Tecnologia ad esempio, o ATLAS presso il CERN). A scarseggiare è la ricerca fatta dalle aziende; ma neanche troppo: nel 2015 o innovi o muori, e ci sono _tante_ aziende italiane che non muoiono, quindi deduco che innovino.
Forse sono un illuso e mi sono bevuto la propaganda, ma ho l’impressione che in media oggi siamo più liberi di 20 o 40 anni fa. Sicuramente più di 70 anni fa. Forse, da un punto di vista anarchico, si è solo allungata la catena che ci lega ad un sistema opprimente; sarebbe comunque un miglioramento.
In generale (guardando _tutto_ il mondo) possiamo visitare più luoghi dei nostri genitori (sia per ragioni economiche che legali), mangiare di più, ammalarci di meno, comunicare più cose con più persone più facilmente. E contemporaneamente possiamo essere più spiati, tracciati, misurati e perseguitati rispetto al passato. Volendo, possiamo bruciare i documenti, gettare il cellulare e sparire da ogni videocamera di sorveglianza andando a vivere dove non ci sono: i nostri predecessori non potevano comprare cellulari o comunicare via internet.
Sogno un mondo senza dittature, senza oppressioni. Vorrei che cinesi, indiani, africani, fossero liberi come me: non me ne potrebbe fregare di meno di vivere chiuso su questo stivaletto per avere la libertà di stampare moneta.
La finanza compra i politici che controllano gli eserciti: la vedo dura a cambiare questo meccanismo.
Aldo Giannuli
Abbi fede!
Mario Vitale
Buongiorno Professore, mi rifaccio vivo dopo un lungo periodo in cui sono riuscito, purtroppo, a leggerla solo saltuariamente.
Mi permetto un consiglio che forse farà sorridere, perché probabilmente sarà ritenuto di portata risibile, ma che io credo potrebbe dare un contributo importante a ribaltare l’ottica distorta della globalizzazione.
Il consiglio è: andate a fare acquisti, per quanto possibile, nei negozi e non nei supermercati. Ancora meglio, acquistate quello che potete dai produttori locali. Lo so che sembra difficile, ma lo è meno di quanto potreste pensare. Io vivo a Bologna, quindi non in un paese di campagna, e trovo facilmente delle aziende agricole che vendono direttamente i loro prodotti. Si guadagna in salute, in gusto e si promuovono le attività locali. Inoltre è meno difficile di quanto si possa ritenere, perché frutta e verdura comprati in aziende agricole sono prodotti appena colti che durano anche parecchi giorni, per cui dimenticatevi l’immagine della casalinga che fa la spesa tutti i giorni, si può benissimo conciliare l’acquisto diretto dall’azienda agricola con l’esigenza di fare la spesa una volta alla settimana. Se a questo aggiungete un’alimentazione più ricca di cereali (no, non intendo pasta mattina, mezzogiorno e sera; sono cereali anche orzo, miglio, mais, riso, avena e segale) e legumi, avrete come risultato la possibilità di fare anche grosse scorte di cibo a basso costo e senza necessità di acquisti al supermercato (i legumi si trovano secchi e possono essere facilmente conservati per lunghi periodi).
Paolo
L’economista di cui parlavo nei miei post precedenti è Marco Cattaneo…che insieme ad un altro economista Giovanni Zibordi hanno formulato la proposta dei Certificati di Credito Fiscale (CCF ) ….con un libro ove spiegano tutto nei dettagli intitolato : LA SOLUZIONE PER L’EURO (200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana— creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la moneta —-
La prefazione e dell’economista statunitense Warren Mosler (mmt ) e l’introduzione è di Biagio Bossone economista del FMI,,
qui un video di Claudio Messora (M5S ) che intervista Marco Cattaneo che spiega in sintesi i meccanismi dei CCF
https://www.youtube.com/watch?v=iQUrAdHooX4
qui il Blog di Marco Cattaneo..(ove è spiegato tutto nei vari post…e dove Marco Cattaneo si rende disponibile per qualsiasi domanda nel forum )
http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/
questo è il blog di Giovanni Zibordi (non si parla di CCF nello specifico come nel blog di Cattaneo ma di economia in gererale..)
http://www.cobraf.com/
le monete locali tipo il Sardex in Sardegna funzionano (qui sta funzionando benissimo ) ma a livello “macro” non risolvono…oso dire le “tragiche” criticità…che crea all’economia e al Paese in generale sta disgraziata pseudo-moneta (marco cammuffato..di fatto non moneta ma un micidiale blocco dei cambi che affossa le economie di mezza europa…a favore della Germania ovviamente e a lungo andare danneggia anche l’economia tedesca…: criminale chi ha ideato e chi in Italia ha introdotto sto orrore monetario..che non ha precedenti come “impianto tecnico monetario” in tutta la storia monetaria dal baratto in poi: tutta responsabilità della sinistra fascista rossa…hanno sognato per decenni l’alternanza alla destra democristiana e poi Berlusconiana..poi una volta che sono arrivati al potere (concesso da poteri sovranazionali..in cambio della servilità ai loro disegni…) hanno venduto e rovinato l’ Italia tradendo tutti i loro principi e la loro storia oltreché gli italiani : QUESTA è LA SINISTRA ….(oggi una firnazione politica che promuove il peggior neoliberismo…e rinnega di fatto tutto cio di cui “blateravano” per decenni sin dal dopoguerra. )
Ho finito
bye bye
Paolo
Paolo
creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la moneta —-
Cit mio precedente post-
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correzione : pardon…ho sbagliato—->>> Creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare l’ECONOMIA…(il sottotitolo del libro è questo )