Riforma Renzi: il mantra della governabilità

Per capire la valenza del discorso sulla centralità decisionale del Governo occorre riflettere sulla categoria centrale intorno a cui ruota tutta la riforma: il concetto di Governabilità, parola chiave dal significato non sempre chiaro, spesso invocata come argomento risolutore dal Presidente del Consiglio.

Renzi sicuramente è un comunicatore che ci sa fare: è disinvolto sino all’ arroganza, non risponde mai nel merito dei rilievi che gli vengono mossi, preferisce attaccare personalmente i suoi avversari (“corvi” “rosiconi”, “hanno nostalgia del Pd al 25%”, “remano contro”, “non vogliono agire” “perditempo”) il tutto condito con una robusta dose di maleducazione molto trendy.

Fra le sue tecniche di comunicazione c’è quella di usare termini assiomatici, dandone per scontato il significato, che, in realtà, è spesso diverso e molto più complesso. E’ il caso della “parola magica” che regge tutta la riforma, “Governabilità” che sottintende solo una cosa: che il problema del sistema politico italiano è la scarsa durata dei governi, dovuta al carattere composito delle maggioranze che li sostengono. In questo c’è una sintonia perfetta con quello che sosteneva Gelli nei suoi documenti ed interviste. Governi resi deboli dal loro carattere composito e con un Presidente del Consiglio dotato di poteri troppo limitati.

Ricordiamo la frase di Renzi per la quale il sistema elettorale deve far sì che gli italiani sappiano “già dalla sera dei risultati” chi governerà nei 5 anni successivi. Per Renzi non si vota per eleggere un Parlameno, ma per eleggere un governo di cui il Parlamento non sarà che cassa di risonanza con opposizioni limitate ad un puro “diritto di tribuna” ma assolutamente non in grado di incidere sul processo decisionale. E questa è la “governabilità”.

Questa è solo una estrema banalizzazione di un dibattito politologico e costituzionale aperto sin dai primi anni settanta, quando si fece evidente la difficoltà dei governi di mediare fra la pressione di una crescente conflittualità sociale, le espansive politiche militari della guerra fredda ed il crescente indebitamento dello stato, reso ancor più ingestibile dalla combinazione di stagnazione ed inflazione (la stagflation di cui trattarono Paul Baran, e Paul Sweezy). Il dibattito fu innescato da intellettuali di sinistra come James ‘O Connnor -con la sua teoria sulla “crisi fiscale dello Stato” -, o Claus Offe che sosteneva il collasso del compromesso socialdemocratico, ormai incapace di tenere insieme mantenimento del consenso e limiti della spesa pubblica.

A queste analisi si contrapposero economisti, filosofi e politologi di destra  liberista come Rise, Friedman, Hayek, Niklas Luhmann, Noczik. Per i primi l’ingovernabilità era insita nello stesso sistema capitalistico e nel suo conflitto con lo sviluppo dei mezzi di produzione (come nella classica teoria marxiana ripetuta forse troppo rigidamente) e con la conseguente crescita delle aspettative.

Per i secondi, era l’eccesso di aspettative che sovraccaricava di domande il sistema politico ed andava curato con lo smantellamento dello stato sociale ed una robusta dose di iniziativa privata. Come è noto, prevalsero i primi mentre si apriva la strada alla “rivoluzione” neoliberista.

In realtà, a distanza di 40 anni da quei primi dibattiti la situazione sembra essersi sensibilmente ed ulteriormente complicata: la crisi fiscale dello Stato si è riprodotta, ma questa volta non certo per effetto del residuo stato sociale, quanto piuttosto per il peso degli interessi sul debito pubblico, che ha conosciuto una impennata per l’irrisolta crisi bancaria che periodicamente si riaccende.

Soprattutto, la crisi dell’ordine bipolare ha prodotto una elevata instabilità internazionale che si è tradotta nella moltiplicazione delle sfide esterne (dal fenomeno di immigrazione e profughi al contagio finanziario, dal terrorismo internazionale alle montagne russe dei prezzi delle materie prime, dalle guerre locali all’inquinamento ambientale). Di fronte al proliferare di queste sfide la reazione più facile ed istintiva è quella dell’unità decisionale simboleggiata dall’ “uomo solo al comando”, che risponde con prontezza ad ogni sfida e, dunque, un sistema istituzionale imperniato sul “dittatore temporaneo”.

Ovviamente, è indubbio che in un contesto internazionale di questo genere è essenziale opporre una risposta tempestiva all’emergenza. Ma siamo sicuri che tempestività faccia sempre  rima con immediatezza? Mi spiego meglio: noi viviamo in un’epoca di crisi del pensiero strategico in gran parte prodotta proprio dai processi di globalizzazione con la loro velocità e complessità che moltiplicano i fenomeni di tipo controintuitivo.

Basti una rapida (e necessariamente schematica) carrellata sulle crisi dell’ultimo decennio:
–    nel 2007 i prezzi petroliferi toccarono il picco contribuendo ad affettare il crollo bancario americano dovuto ai mutui sub prime
–    la crisi bancaria indusse la speculazione finanziaria a spostarsi sul biofuel (e più in generale sulle materie prima) il che si combinò, nel 2009,  con l’epidemia fungina africana ed i grandi incendi dei campi russi  che distrussero i rispettivi raccolti di cereali e con i pessimi raccolti di Francia e Canada ebbe l’inevitabile effetto di un brusco rialzo dei prezzi del frumento, E questo, a sua volta, produsse una ondata senza precedenti di rivolte della fame in 55 paesi
–    I prezzi petroliferi, per il calo della domanda mondiale seguito alla crisi finanziaria ed alla produzione di combustibili da fonti rinnovabili, ma le rivolte della fame contribuirono a determinare lo scoppio della “primavera araba” che, se da un lato, fecero temere una nuova impennata del barile di greggio, dall’altro determinarono una estesa destabilizzazione dell’area mediorientale e non africana nella quale si inserirono maldestramente Usa, Francia e Gran Bretagna con un intervento diretto in Libia ed indiretto in Siria che precipitarono in guerre interne ancora irrisolte
–    I focolai di Libia e Siria hanno determinato, da un alto, ingentissimi ed incontrollati flussi di profughi verso l’Europa, dall’altro hanno aperto la porta ad un soggetto islamista ben più pericoloso di Al Quaeda, l’Isis, lo stato islamico intorno a cui si è costituita una fittissima rete di foreign fighters e di terroristi in parte mescolati con u flussi migrativi, in parte nella popolazione islamica già presente sul territorio europeo
–    gli effetti congiunti di crisi economica (ancora perdurante con indici di occupazione e consumi proporzionalmente fra i più bassi dal 1945 in poi), dell’ondata migratoria e degli attentati terroristici ha prodotto violente reazioni di tipo populista nei paesi europei che stanno destabilizzando i rispettivi regimi politici.
–    questa serie di fenomeni sta generando una situazione internazionale sempre più ingovernabile ed il processo tende a peggiorare; basti considerare lo sbigottimento delle classi dirigenti occidentali che non sanno che fare di fronte alla Brexit ed all’evoluzione della crisi politica in Turchia in qualche modo prodotte proprio dai processi che abbiamo descritto subito sopra.

Fermiamoci qui: certamente non sono mancate le risposte molto rapide ma, sfortunatamente,  non delle più riuscite, per cui ogni scelta ha posto le premesse per la crisi successiva ed a tamburo battente. E’ mancata una adeguata considerazione degli effetti controintuitivi che esse avrebbero comportato. Dunque, non sempre immediatezza è garanzia di successo, anzi spesso pregiudica la possibilità di una risposta che, per quanto tempestiva, sia strategicamente più calibrata.

In secondo luogo, il modello dell’”uomo solo al comando” forse (forse…) offre qualche vantaggio nell’immediato, ma, nel medio periodo, comporta anche effetti non desiderabili. L’opinione pubblica, di fronte ad una emergenza  qualsiasi, in genere reagisce facendo quadrato intorno al governo e meglio ancora se esso è personificato da un leader dal quale ci si attende la difesa contro la sfida che viene.  Spesso questo comporta l’isolamento delle opposizioni e la delegittimazione di ogni dissenso. Ma la gente vuole risultati e non ha una pazienza infinita: se dopo un certo periodo la crisi continua ad imperversare, l’occupazione stagna e il reddito medio scende oppure, se dopo qualche tempo, gli attentati terroristici si infittiscono anzi che diminuire, si produce una sostanziale delegittimazione del sistema che trova sfogo in una ondata di proteste che non si indirizza verso le opposizioni interne al sistema –a suo tempo emarginate- ma in nuovi soggetti molto più radicali e no  sempre di ispirazione democratica (basti pensare al Fn francese o ad Alba Dorata in Grecia). Oppure può accadere che la protesta, pur contenuta in limiti democratici, possa produrre situazioni come la Brexit o rendere molto più prossime al successo le istanze secessioniste come sta accadendo in Scozia o Catalogna. Il leader che prima univa la nazione contro la sfida esterna, a quel punto incarna il simbolo della spaccatura ed il paese si scopre più diviso e perciò più debole, il tutto, mentre la democrazia finisce per correre rischi molto seri. Siete sempre convinti che il metodo “dittatore temporaneo” sia preferibile al metodo delle decisioni condivise di una normale democrazia?

D’altra parte, parlare oggi di governabilità significa fare i conti con una governance  mondiale sempre più instabile ma sempre più condizionante. Governare come, senza la sovranità monetaria? Quale governabilità con una forte di produzione giuridica del tutto indipendente, e non sottoposta nemmeno alla Costituzione, come la Ue con le sue direttive? E si pensi alla vicenda del bail in.

Dunque, il problema della governabilità c’è ma è cosa molto più sofisticata e complessa di quanto non dica la retorica provinciale  e un po’ sgangherata che sostiene questa riforma.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (20)

  • Professore, buongiorno!
    Concordo pienamente. Sono appena rientrato dalla non stop dei miei soliti millecento km in auto, dove dopo gli immancabili cd sono ricorso per tenermi sveglio ai gr nazionali: gr3 delle 18.45 uguale, non simile, uguale, al gr1 del 19.00 (forse è il caso di iniziare a risparmiare da qui, invece che dalla scuola o dalla sanità, a questo punto). Informazione data soltanto perché, per due volte in un quarto d’ora, ho sentito le parole di Guerini che mi sono rimaste impresse e, una volta rientrato alla base, ho cercato su internet: “Questa riforma è stata discussa, sostenuta e votata dal Partito democratico, si iscrive nella cultura costituzionale del Pd, e prima ancora dell’Ulivo e del centrosinistra” (http://www.unita.tv/interviste/guerini-sulla-legge-elettorale-discutiamo-con-tutti-ma-basta-ultimatum/) Basta lo diciamo noi, Guerini! A parte la palese ricostruzione-bufala di una storia politica a proprio uso e consumo, oltre i limiti della decenza (anche i cinesi hanno smesso da tempo di ricondurre il proprio modello di capitalismo monopolistico di Stato alla NEP leniniana…), stride ancor più quel “si iscrive nella cultura costituzionale”! Ipocrisia allo stato puro, in altre parole “ci fanno”. Spero solo che il loro imbroglio naufraghi miseramente insieme al loro carrozzone. Un caro saluto.

  • Nessuno ha l’impressione che la predilezione delle narrazioni personalistiche da parte dei media costituisca un fattore di manipolazione (quanto di creazione del consenso) che si oppone alla logica anonima delle democrazie deliberative (dunque assembleari) ?

    Oppure che troppi liberisti autoproclamati non disdegnino di apprezzare le “nuove vestiti dell’imperatore” posto che non vengano lesi i propri interessi economici?

    Non credo che i liberisti presunti avrebbero la faccia di sostenere che i prodotti meno diffusi (nuovi o di nicchia che siano) vadano sopratassati o rimossi dal commercio.

    E poi sarebbe per caso liberista creare artificiosamente posizioni dominanti nel mercato dei beni di consumo?

    Se risulta di difficile comprensione sarà forse perché sui media si preferiscono favole invece di mercificare l’offerta politica proprio nei paesi ove il commercio è cosa più seria “democrazia” personalistica in favor di telecamera.

    Spesso e volentieri le favole dei liberisti presunti avrebbero altrettanto senso se girassero l’Italia facendo propaganda per ridurre il numero di prodotti culinari per evitare la “frammentazione” delle scelte.

    I “luoghi comuni” che non si richiede si precisare sono _creazioni_ spesso diffuse mediante canali di comunicazione di massa gestiti da elite che ultimamente si divertono ad pubblicare narrazioni che fanno riferimento a “poteri forti”

    PS: Il programma fatto da tal Francesco Cosentino prevedeva il controllo dei media ma non spiegava il perché.

    • Forse è il caso di richiamare la definizione di efficienza formalizzata da Pareto, nonostante le simpatie fasciste che questi ebbe, per indurre ciascuno a valutare eventualmente in che _misura_ creda opportuno che i vari paradigmi presentati come “democratici” all’opinione pubblica possano derogare alla “rappresentatività” finanche giungendo a trasfigurare la già compromissoria “regola di maggioranza”.

      Sarebbe una occasione per rompere la monotonia, giacché non passa giorno che venga ripetuto che la “governabilità” risulti l’unico metodo proponibile per migliorare il benessere collettivo nell’ebbrezza di altalene normative restituite dagli avvicendamenti al potere.

      PS: Col ritardo cronico dei decreti attuativi dovrebbe risultare chiaro che non sia la necessità di “tempestività” ad ispirare la propaganda che da decenni suggestiona l’opinione pubblica.

      http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/14/decreti-attuativi-il-ritardo-cronico-di-renzi-dopo-due-anni-di-governo-arretrato-quota-700/2824230/

      Bisogna forse incrementare la numerosità dell’esecutivo per evitare code attuative che durano anni?

      Visto ché è l’ era del #cambiareverso si può dare all’esecutivo il ruolo del parlamento ed al parlamento il compito di curare i decreti attuativi “risonanti” con le leggi dell’esecutivo. 😛

  • Anche B. aveva proposto una riforma simile, di accentramento di potere, con la scusa della ‘governabilità’; ai tempi alla carica proposta era stato dato il nome di ‘premierato’. Fortuna che la riforma non passò. Spero che questa proposta sgangherata di riforma faccia la stessa fine. E persone con l’ideologia e il narcisismo di B. e di R. non dovrebbero mai arrivare a posizioni di potere nel pubblico.

  • Sempre per quanto riguarda le simulazioni, che a lei prof Giannuli piacciono così tanto, sarei curioso di leggere le sue simulazioni conseguenti alla mancata approvazione del referendum.
    Cosa ne sarà di Renzi? Ci sarà un altro Governo? e quale? Quali ripercussioni a livello economico? e la Borsa? e a livello comunitario EU quali ricadute?
    Così finalmente potrò toccare con mano la “sostanza” di questi discorsi….

    • lei confonde le simulazioni con le previsioni, per fare quello che dice lei occorrerebbe fare un modello che certamente è una simulazione ma richiederebbe molto tempo ed un matematico, non so se ne vale la pena

      • Forse potresti dotarti di strumenti in grado di aiutarti per la bisogna.
        Nei mercatini delle pulci, con pochi soldi si possono trovare palle di vetro in buone condizioni ;_)

          • A me non pare proprio.
            Prevedere è preconizzare se e quando un avvenimento avrà luogo.
            Tratteggiarne poi le conseguenze, in base alla esperienza ed alle circostanze. è una simulazione.
            Esempio:
            posso prevedere che alle prossime presidenziali francesi vinca la LePen.
            Ne simulo quindi le possibili conseguenze tratteggiando un quadro nel quale la Francia farà un referendum per uscire dalla UE, l’Olanda idem, la Finlandia… la Germania ecc.
            Chiaramente poi, in difetto di meglio, per questo esercizio posso anche far affidamento sui fondi di caffè

          • le previsioni si possono anche fare e spesso ne faccio, ma non sono simulazioni che sono cose più complesse ed hanno quasi sempre una dimensione matematica

  • L’articolo parla di governabilità ma, per quel poco che ne capisco, questo è solo il fine propagandato della riforma. Il fine autentico è trasformare la democrazia in governance, col tacito (ma determinante) assunto che questa venga esercitata dal servidorame del capitalismo di rapina.

    Ai padroni del vapore non interessa tanto la stabilità degli esecutivi quanto impedire che il potere passi a forze politiche fuori dal loro controllo. Per questo ci vuole un gregge che parli una volta ogni 5 anni secondo un meccanismo elettorale architettato per garantire la vittoria dei dominanti, e un governo blindato che porti avanti lo sfacelo liberista salvo profondersi in regalie una tantum nel semestre pre-elettorale.

    Questo dev’essere chiarito con forza all’elettorato. Non bisogna lasciarsi stringere sulla difensiva ragionando all’interno della propaganda avversaria.

    • giuseppe Del Zotto

      Sì, anch’io per mesi sono corso dietro la confutazione delle varie parole d’ordine di Renzi, “governabilità”, “velocità decisionale “, “economicità”, ecc, ecc. ma poi mi sono stufato perchè questi sono tutte “parole di distrazione” per fuorviare da quello che è lo scopo renziano : consegnare questo paese ai poteri forti che peraltro sono stranieri.

    • Proprio per questo dobbiamo votare ‘NO’, perchè questa riforma elimina ad esempio il contrappeso del Senato. Più ostacoli il sistema trova e meglio è. Un giorno le riforme che servono davvero le faremo noi.

  • Buongiorno,

    Nell’articolo il professore sembra non tener conto di una varabile non tanto “nascosta”. E cioè quella di un possibile attacco terroristico in Italia (come sicura ritorsione per la nostra decisione di dare la disponibilità delle basi come Sigonella per la guerra in Siria. En passant: siamo sicuri che gli aerei che decolleranno da Sigonella concentreranno le loro azioni sulla Siria??). In autunno, nel mese di novembre(??), ci sarà il referendum, un giudizio tranchant in termini di Sì o No sulla legge costituzionale, ma ancora di più sul governo renziano-piddino. Cosa ci può essere di meglio di qualche attentato stragista, sul patrio suolo, per indurre dal basso una sorta di “Unità Nazionale” fondata sulla paura? Essere feriti gravemente, subire lesioni permanenti, veder morire un proprio caro tagliato in due da una raffica di fucile-mitragliatore, è più grave del perdere il posto di lavoro, del non poter pagare un’esosa bolletta della luce, del non poter permettersi le cure mediche dentistiche, o anche del perdere i magri risparmi, a causa del bail-in per il salvataggio della banca. In frangenti come questi, con rischi di guerra, di attentati sul proprio territorio, di conseguente instabilità politica, il terrore stragista sul patrio suolo potrebbe tornare utile a qualcuno. E non mi si risponda che sarebbe un “calcolo politico” miope. La Storia insegna che chi è al comando, spesso, ci vede benissimo..

    Cordialità

  • giuseppe Del Zotto

    1 ) Ma un governo che sia sicuro della sua inamovibilità che interessa ha a fare leggi difficili , impopolari ? Anche le le abbia nel programma , le rimanderà sempre 2 ) Un governo che goda della “governabilità ” possiede gli strumenti per durare in eterno.. GRADIREI QUALCHE PARERERE SU QUESTI DUE ARGOMENTI. G R A Z I E ! ! !

  • Questo è nuovo e può essere ironicamente definito come organo (para)costituzionale sostitutivo del CNEL.

    http://www.ilgiornale.it/news/politica/unit-crisi-ue-ci-commissaria-1295193.html

    E poi «L’Italia è una repubblica fondata sulla Stabilità« suona meglio. 😛

    Se non erro si trattava di una raccomandazione.
    http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32012Y0214(01)&from=IT

    Articolo 10 Atto Senato n. 2345
    http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/972620/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione14-h2_h210&spart=si

    https://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_macroprudenziale

    Quello che manca nell’Italia zeppa di economisti è lo sperimentalismo democratico e la evidence based policy.

    http://www.cresa.eu/progetti-di-ricerca/evidence-based-public-policy/

    Circe le prossime innovazioni per adesso ho solo l’impressione che W. Lippmann sarebbe stato contento.

  • Riso amaro, se non ci fosse da piangere (in senso metaforico, perchè i personaggi in ballo davvero non lo meritano!).
    Adesso Renzi sente davvero puzza di bruciato; le ha provate tutte per scansare questo referendum, senza successo, e adesso dopo esserselo intestato, in tempi in cui era convinto di vincere facile, cerca di scrollarselo di dosso con dichiarazioni come quella alla Festa dell’Unità: “…questo referendum non è il mio referendum, perché questa riforma ha un padre che si chiama Giorgio Napolitano.”.
    Che tristezza! Credo che tutti noi abbiamo avuto almeno una volta un compagno (a scuola o in altri posti) del tipo che, sorpreso a comportarsi male, nel tentativo di salvarsi da una punizione accusa un altro di aver cominciato lui ed averlo trascinato. Questi soggetti se finiscono in galera hanno vita dura: vengono subito riconosciuti ed etichettati come “infami”.
    Non che noi non sapessimo che dietro di lui c’è Napolitano, altro personaggio di quella caratura. Sono curioso di vedere il Presidente Emerito (sic!) se e come reagirà: secondo copione, in questi casi i due compari la buttano in caciara, accusandosi a vicenda del misfatto.
    Che tristezza!!

  • Qui troverete altri due autorevoli commenti, oltre a quelli di Giannuli, a favore del ‘no’ al referendum:

    http://www.corriere.it/politica/referendum-riforma-costituzionale/cards/referendum-domande-riforma/ugo-de-siervo-il-no.shtml
    http://www.corriere.it/politica/referendum-riforma-costituzionale/cards/referendum-domande-riforma/gaetano-azzariti-il-no.shtml

    Spiace vedere come gli italiani vengano presi in giro. Per tagliare il numero di deputati/senatori, e risparmiare così un mucchio di soldi, basta fare tre piccole modifiche: agli articoli 56 e 57, mentre riformando il 59 si eliminerebbero finalmente i senatori a vita. Perchè con la riforma non hanno tagliato i 630 (!) deputati alla Camera? La verità è che non vogliono perdere il loro ben remunerato posto ‘di lavoro’. E il loro capo piazzista ha promesso che se vincerà il ‘no’ si dimetterà: è quindi anche una buona occasione per toglierselo dai piedi.
    Attenzione, questa volta non c’è da scherzare, perchè con la nuova Costituzione e la nuova legge elettorale si rischia davvero di consegnare lo stato a un solo partito, che oltretutto agisce contro gli interessi degli italiani. Il fatto che siano state presentate delle riforme del genere è già una prova dello squilibrio rappresentativo che hanno generato anche le leggi elettorali con le quali si è votato negli ultimi due decenni.

  • C’è un piccolo dettaglio che mi infastidisce. Lo schieramento politico che si schiera per il NO porta fra le sue ragioni principali il forte rischio di concentrazione di potere sull’Esecutivo: insomma, più governabilità “renziana” a prezzo di minori dibattiti e controlli. Insigni giuristi per il NO sostengono invece che la riforma renziana, se passasse, comporterebbe una quasi paralisi dell’attività legislativa per via del carattere lacunoso, farraginoso e talvolta contradittorio delle nuove norme. Quindi, una crisi di governabilità. Sono io un po’ troppo cacadubbi, o c’è effettivamente qualcosina che non quadra?

    • ls concentrazione di potere avviene soprattutto in materie come gli organi di garanzia (Presidente, Corte Cost, Csm) ed è una tendena abbastanza prevedibile, mentre sul piano legislativo c’è leventualità che si producano effetti distorsivi (ma evemntualità resa poco probabile dal fatto che il Senato non funzionerà)
      POeraltro cincentrazione di poteri non significa nevessariamente goivernabilità

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