Rifondazione: tempo scaduto.
Come diversi lettori ricorderanno, il 21 marzo, ho invitato ancora una volta a votare per la Federazione della Sinistra anticapitalista.
Probabilmente già alcuni avevano colto una certa freddezza. Pur accennando a diverse critiche, mi era parso inopportuno esplicitare, nell’immediatezza del voto, dubbi e giudizi che ero andato via via maturando. Mi ero limitato a dire che, comunque fosse andata, dopo sarebbe stato necessario avviare un profondo ripensamento su tutta la vicenda di Rifondazione.
E’ arrivato il momento di parlare senza riserve.
Come è nei riti della politica, la direzione di Rifondazione, ha discusso dei risultati elettorali e -come di rito- ha trovato che le cose non sono andate così male, anzi “abbiamo retto”.
Strana concezione del reggere: si perde in voti assoluti e percentuale anche rispetto all’anno scorso, si perdono un sacco seggi su cinque anni prima, si resta esclusi da 4 regioni su 13 (Lombardia, Campania, Basilicata, Puglia), però “abbiamo retto”. Quale catastrofe nucleare deve verificarsi perchè si possa chiamare sconfitta?
Non perdiamo tempo in convenevoli: siamo stati sbaragliati e, questa volta, senza rimedio.
In primo luogo, non si può fare a meno di notare la totale perdita di credibilità di Rifondazione, che non si riprende dalla disfatta del 2008. In quella occasione si persero 2.800.000 voti sui 4 milioni presi due anni prima dalle tre liste di sinistra riunite nell’Arcobaleno. Poi nelle Europee dell’anno successivo, Rifondazione con Comunisti italiani ed un pezzettino degli ex Ds mise insieme poco più di un milione di voti. Considerando che Vendola –associato ai Verdi, agli ex Ds ed ai socialisti che da soli avevano avuto circa 300.000 voti l’anno prima- ebbe 950.000 voti, possiamo dire che la maggior parte dell’elettorato dell’ex Arcobaleno era restato con Rifondazione che vi aveva aggiunto un po’ di voti recuperati da Sinistra Critica (assente alle europee) o Pcl (presente solo in due circoscrizioni. Insomma un risultato inferiore all’obiettivo del 4%, ma comunque un timidissimo accenno di ripresa.
Oggi la Fs, riunita intorno a Rifondazione, prende poco più di 600.000 voti dei 900.000 ottenuti un anno prima in quelle stesse regioni. Cioè, non solo non recupera nulla, ma perde un elettore su tre dei pochi che gli erano rimasti e se non sprofonda in percentuale è solo perchè c’è una ulteriore flessione dei votanti.
E questa sarebbe una tenuta?
In secondo luogo, colpisce il raffronto con altri partiti comunisti e coalizioni di sinistra che avanzano in Europa, anche per effetto della crisi (Portogallo, Grecia, Germania, Francia, Islanda…). Dunque il problema è proprio italiano, non c’è un trend elettorale negativo a livello continentale, dove, al contrario il trend è favorevole.
In terzo luogo c’è una questione molto semplice: la scommessa era quella di riportare Rifondazione sopra il 4% (la soglia di sbarramento alle politiche) per consentirle di restare una forza politica indipendente da accordi con altri e questa scommessa è stata perduta e nulla fa presagire una ripresa.
Su questo punto, notiamo che relazione ed interventi nel dibattito glissano amabilmente. Segno che si dà per scontato che quota 4% ormai è irraggiungibile.
Forse non ci ricordiamo che un anno fa fu Vendola a proporre una lista unitaria alle europee, andando incontro al rifiuto di Rifondazione. Magari era giusto evitare di ripetere la sciagurata esperienza dell’Arcobaleno, ma è evidente che il rifiuto si giustificava solo nella prospettiva di raggiungere da soli quota 4%.
Ora è Rifondazione che ripropone una alleanza che, piaccia o no, è la riproposizione dell’Arcobaleno magari allargato all’Idv, ma è Vendola ad avere altri piani più ambiziosi. In ogni caso, non ci vuole molto a capire che si tratta solo di un espediente per sopravvivere adattandosi definitivamente alla dimensione di piccolo gruppo privo di capacità espansiva. Si cerca solo di rimediare qualche posto di deputato o di assessore regionale ed un po’ di soldi di finanziamento pubblico per mantenere un piccolo Welfare per funzionari di partito.
Era un esito scontato? Era una via segnata sin dal 2008?
Non lo credo. Per quanto la situazione fosse molto difficile, era possibile invertire la tendenza e raggiungere la soglia del 4%, dopo di che si sarebbe potuto ragionare in termini diversi.
La crisi, la presenza di un movimento giovanile come quello dell’Onda, la flessione del Pd ecc. avrebbero potuto aiutare la ripresa e si trattava di raccogliere 150.000 voti in più. Quel che sarebbe potuto venire da un accordo pieno con Sinistra Critica, dal Pd (alle europee non c’èra il ricatto del “voto utile”) e dall’astensione, visto che Rifondazione non era più al governo. Non si trattava di fare miracoli, bastava fare seriamente autocritica, riprendere l’iniziativa politica, proporre una immagine diversa e più credibile.
Invece, niente di tutto questo: la parentesi governativa è stata archiviata frettolosamente senza nessuna analisi, l’iniziativa politica è stata pari a zero, l’analisi della crisi completamente sbagliata, il gruppo dirigente è rimasto lo stesso che aveva portato il partito alla disfatta, la sonnolenta prassi organizzativa è rimasta quella di sempre, il bilancio è stato prosciugato per pagare un apparato pletorico e nullafacente. Gli organi di partito (soprattutto periferici) hanno proseguito a languire, sfibrati dalle polemiche post-congressuali culminate nella scissione di Vendola poco prima delle europee.
L’attività e stata azzerata salvo iniziative grottesche come i gas (gruppi di acquisto solidale) o la vendita della “michetta ad un euro”, di fronte alle quali non sapevi se ridere o imbestialirti. Questo era presentato come l’applicazione della linea del “partito sociale”, che, già di per sè, non era una idea geniale.
Ma, soprattutto, il colpo di grazia è venuto dal fuoco pirotecnico di fesserie del segretario Ferrero, Ricordiamo solo la perla del “populismo di sinistra”.
Ricordo di aver avuto una pessima impressione di Ferrero già nel congresso provinciale di Milano che lui concluse con un interminabile discorso del quale ricordo solo la fierissima antipatia per il congiuntivo ed una dichiarazione sconcertante: “Riconosco che nel congresso precedente, mi sono sbagliato schierandomi a favore della partecipazione organica al governo, riconosco che avevano ragione gli altri che vi si opponevano”, e morta là. Come dire: “compagni sono stato fra gli autori del principale errore strategico che ci ha portati al disastro, ma voi promuovetemi segretario del partito”.
Pensai che era stato un mediocre ministro e sarebbe stato un cattivo segretario. Sbagliavo: è stato un pessimo segretario.
Unica costante: la capacità di fare discorsi lunghissimi in cui non dice niente.
Ha girato come una trottola fra le fabbriche italiane, ma non un operaio ha preso la tessera di Rifondazione e non sembra neanche che abbiamo raccolto messi di voti nei quartieri popolari.
Quando c’è stato il movimento dell’Onda se ne è accordo solo a novembre, quando ormai stava per finire.
Poi ha avuto la trovata della Federazione di sinistra, solo allo scopo di evitare una fusione con i comunisti italiani che avrebbe potuto mettere a rischio la sua poltroncina di segretario del partito.
Quando venne proposta la legge per introdurre la clausola di sbarramento alle europee, minacciò sfracelli: se il Pd avesse votato a favore, Rifondazione avrebbe fatto cadere tutte le giunte di sinistra e non avrebbe fatto nessun accordo nelle elezioni amministrative. Il Pd votò a favore, non un solo assessore di Rifondazione si dimise ed alle amministrative di giugno Rifondazione era regolarmente in coalizione con il Pd! Come dice Sciascia? Uomini, mezzi uomini, ominicchi, e quacquaraquà…
In 40 anni di militanza politica non ho mai visto una persona così al di sotto del compito affidatogli.
Ma non voglio infierire e mi fermo qui.
Spiace dire che il giudizio sul segretario coinvolge anche il resto del gruppo dirigente che si è appiattito su di lui.
Ora è troppo tardi per rimediare e non è cercando l’ennesimo pateracchio con Sel, Idv o grillini che ne usciamo.
Rifondazione –messa da parte l’aspirazione ad essere forza politica autonoma- può ancora svolgere un ruolo positivo ponendosi come gruppo di spinta per una riaggregazione unitaria della sinistra dal basso,
evitando di fare l’ennesima sommatoria di ceti politici.
Ma questo non si può fare con lo stesso gruppo dirigente.
Per quanto mi riguarda, ho ancora votato per Rifondazione in questa occasione, ma, se le cose non dovessero mutare e molto in fretta, credo proprio che sia stata l’ultima volta.
Aldo Giannuli, 8 aprile ’10
aldo giannuli, elezioni regionali 2010, fausto bertinotti, federazione della sinistra, paolo ferrero, rifondazione comunista, vendola

www.upnews.it
Rifondazione: tempo scaduto….
Come diversi lettori ricorderanno, il 21 marzo, ho invitato ancora una volta a votare per la Federazione della Sinistra anticapitalista.
Probabilmente già alcuni avevano colto una certa freddezza. Pur accennando a diverse critiche, mi era parso inoppo…
davide
mi sono isctritto a Rifondazione nel 2002,sotto la spinta di Genova e sopratutto perchè nel 98 Bertinotti aveva-così dicono le cronache,tralasciando il ruolo decisivo di D’Alema-fatto cadere il primo governo prodi-già,c’era bisogno di un secondo?
Entrato convinto di militare in un partito comunista,mi accorsi invece che il bertinottismo era mero narcisismo amministrativo e che le sue trovate-movimento dei movimenti,affidare ai casinari disobbedienti i ggiovani,la non violenza- una sequela di scemenze radical chic.Tra le chicche il capo dei gc ,il quale ci disse che in manifestazione era meglio vendere i nostri accendini e magliette,che occuparsi delle questioni per le quali eravamo in piazza-indimenticabili i suoi discorsi con il tono stile Mondo Marcio,i suoi lanci di biscotti dal camion sound,poichè le manifestazioni sono diventate delle discoteche all’aperto.Rammento una ragazzina,la quale durante una manifestazione contro la guerra ,al telefono strepitava felice perchè avevano messo la sua canzone preferita-
Il bertinottismo che cancella la storia del 900,senza dare una svolta all’interno delle reali questioni politiche.Anzi.Una sequela di cretinerie,di arroganza maggioritaria,di soffocamento delle minoranze.L’abbandono del movimentismo per sostenere l’insostenibile:Prodi e compagnia.Ci diedero la notizia il giorno dopo la pesante sconfitta per il referendum sull’articolo 18,boicottato dai ds e persino da cofferati.Eppure quel risultato pessimo,diventò:il csx è cambiato ora possiamo fare alleanze con loro!Me cojoni!
Non hanno compreso la disgregazione e smantellamento delle classi lavoratrici.Quindi o si ponevano certe correnti sull’operaismo duro e puro oppure chi se ne frega dei lavoratori-d’altronde i disobbedienti quando mai hanno lavorato-per sposare il democretinismo dei dirittiumanisti.
Ai bei tempi del pcus o in nazioni come la Cina,magari questa banda di controrivoluzionari,di anti comunisti , sarebbero finiti a zappare la terra .Dopo una pesantissima autocritica.No,ma qundo mai!Ora non sparo sulla croce rossa,su Ferrero.Non può fare altro-poteva evitare di manifestare contro l’iran e in favore della rivoluzione verde,ma l’analisi politica non c’era prima…perchè ora?
Ammetto però anche una forte delusione nei confronti del mio partito attuale:niente analisi,paura di discussione dei limiti,visione pleonastica dei cambiamenti sociali politici e zero in politica estera.
Che fare?Io resisto,personalmente ed individualmente,studio da solo.Mi creo la mia formazione,visto che non l’hanno mai fatta ne in rifondazione nè nel partito attuale.La banda del comunismo:suoni,colori,emozioni,ha distrutto tutto.E gli altri non hanno le forze e le risorse per risollevarsi.
Peccato,già mi immaginavo i bertinottiani a zappare la terra o a fare lavori forzati,eh…non siamo mai stati l’urss!
Giovanni Talpone
Se fossi saggio, me ne starei zitto, perchè non sono mai stato iscritto a Rifondazione. Non sono saggio.
Secondo me, il limite dell’analisi di Aldo sta nell’assenza di un altro gruppo dirigente pronto a sostituire quello che ha fallito. A questo punto, non basta qualche aggiustamento tattico, una diversa retorica propagandistica o una diversa propensione ad alleanze con Vendola, PD o IDV. Bisogna ricostruire le analisi fondamentali e il paradigma organizzativo del Partito. Personalmente parteciperei volentieri allo sforzo di una qualsiasi organizzazione (dentro o fuori Rif) che si ponesse seriamente questi obiettivi.
Giovanni
Luciano Muhlbauer
A caldo, subito dopo il risultato elettorale, avevo scritto che dopo la disfatta serviva un fatto nuovo a sinistra. Ora, più a freddo, ribadisco la stessa cosa.
Penso sia irresponsabile e miope attestarsi sulla tesi dell’“in fondo abbiamo tenuto”, perché la realtà è palesemente diversa. Possiamo girare la frittata come vogliamo, possiamo guardare soltanto la Lombardia o tutte le regioni, possiamo guardare Milano o Roma, ma alla fine il panorama è chiaro: l’erosione di consensi e voti è costante, più accentuato di qua, più mitigato di là, ma ormai siamo sotto il minimo sindacale.
Anzi, questa dinamica discendente e costante negli ultimi anni non riguarda soltanto Rifondazione o la FdS, ma tutte le formazioni della sinistra, compresa Sel, che come unico dato in controtendenza ha la figura Vendola. Ma più ti allontani dalla Puglia, più il panorama è analogo.
In altre parole, a sinistra non si tratta di fare aggiustamenti, accordi più o meno unitari o dei dejà vu tra gruppi dirigenti. Si tratta di lavorare per un soggetto nuovo della sinistra.
Non so come sarà fatto, ne so immaginare il percorso esatto con il quale ci arriviamo, ma sono convinto che occorra, da subito, dichiarare l’obiettivo e mettere a sua disposizione anche la nostra forma organizzata. E credo anche che occorra un passo indietro dei gruppi dirigenti, nella consapevolezza, come dice Giovanni, che non è pronto il ricambio. Ma non c’è tempo per aspettare un ricambio che andando avanti così non arriverà mai; il ricambio, semmai, va costruito strada facendo.
Penso sia una questione terribilmente urgente, che non abbiamo anni di tempo.
E, per favore, smettiamola di parlare di scindere, dividere, distruggere, azzerare. Concentriamoci sulle cose da costruire, invece. Nella misura in cui riusciremo a costruire il fatto nuovo, ciò che non serve più sparirà senza clamori e rimpianti.
Infine, io sto a Milano, come Aldo. E a Milano tra un anno ci sono le elezioni comunali. Nella situazione in cui siamo sembra quasi una maledizione. Ma la realtà è questa. Quindi, perché non proviamo di fare di necessità virtù?
Gheorgi
L’analisi di Giannuli è condivisibile. Non sono d’accordo su una parte di accuse nei confronti di Ferrero. Ha tentato di salvare un impossibile salvabile e ha fallito…altri avrebbero fatto di meglio? Chissà…
Io sono convinto che le ragioni siano chiare: è cambiata la società e il mondo del lavoro. E’ un cambiamento antropologico. Rifondazione e tutti i partitini virus sono ahimè oramai archelogia. Occhio! Non mi riferisco alle istanze e agli ideali…mi riferisco alla rappresentazione dei nostri ideali…Milano è lo specchio di questi mutamenti: basta leggere Aldo Bonomi e Giulio Sapelli per capirlo….l’intera società si sta atomizzando (bestemmio se dico americanizzando), è una terribile deriva. Non riesco a trovare rimedi.
Roberto
Analisi sacrosanta. Si poteva anche andare giù più duri. E’ cambiata la società e il mondo del lavoro e Rifondazione non è mai stata capace di cambiare il linguaggio, di crearlo e tagliarlo sui nuovi tempi e i nuovi modi che stiamo vivendo. Rifondazione non è mai voluta uscire dal Novecento; capisco che lì abbia le sue radici, ma le radici servono per andare avanti, non per rimanere immobili sul proprio terreno di nascita. Io l’ho votata tante volte, ma sono parecchi anni che ho smesso, per queste e per altre ragioni (e sì, Davide ha ragione: queste scene in manifestazione io le vivi già nel ’99 in occasione delle proteste contro l’aggressione Nato alla Serbia: una tristezza, guardare gli aerei partire carichi dalle basi militari mentre intorno si parla delle playlist desiderate nei locali per la serata…). Ora davvero tutto l’apparato dirigenziale dovrebbe mettere le proprie cose negli scatolini e tornare a casa, possibilmente in silenzio.
Davide Conti
Le regionali hanno segnato un punto di non ritorno per il gruppo dirigente ma soprattutto per la segreteria di Rifondazione.
La proiezione nazionale di Vendola presidente confermato in Puglia e di Ferrero con l’1,5% in Campania (dove a sinistra c’era una prateria di consensi disponibili aperta dal disastro Bassolino)sancisce nella (negativa)dimensione leaderistica della politica di oggi un rapporto di forza quasi spropositato.
Il problema però sta nel fatto che Vendola esiste come se stesso e non ha un partito o una struttura alle spalle e la proposta da lui formulata (sciogliamo tutti i soggetti a sinistra e formiamone uno nuovo con più o meno tutti dentro)ne è la prova.
In Italia, a differenza della Francia ma soprattutto della Germania con la Linke, la sinistra si percepisce ed è percepita ormai come uno spazio culturale,tra l’altro minoritario, e non come un soggetto agente in un tessuto sociale. Come sappiamo quindi uno spazio culturale non rappresenta alcuna offerta politica e come tale non viene votata. La lega nord non è mai stato (prima d’ora) un partito a due cifre percentuali di voti ma ha sempre mantenuto l’idea di una rappresentanza sociale precisa (Pmi, partite Iva, artigiani, agricoltori ecc..) ed ha modellato progressivamente la sua offerta politica fino a raggiungere un grado di aggregazione di consenso intorno ad un paio di idee come il federalismo fiscale e soprattutto la gestione territoriale delle risorse finanziarie a favore dell’impresa privata locale (leggi i nuovi rapporti di forza nelle fondazioni bancarie Intesa San Paolo-Cari Genova-Cari Torino nel Nord Ovest CariVerona e soci nel Nord-Est e i rapporti con Unicredit). è una prospettiva certamente conservatrice, tradizionalista anti-progressista e finanche discriminatoria ma è un’offerta politica chiara con un referente chiaro che viene presentata come risposta alla crisi economica internazionale.
Nulla esiste di tutto questo a sinistra e anche se non credo che tutte le responsabilità siano da attribuire a Ferrero (Vendola ne ha almeno pari se non di più per la scissione e la definitiva distruzione del partito) penso che sia irrinunciabile un cambio di segreteria per rilanciare la proposta di un soggetto a sinistra capace di esprimere chiari riferimenti economici, sociali e politici ad una parte della società (giovani e meno giovani precari e confusi, lavoratori investiti dalla crisi e migranti) ormai completamente afona all’interno del dibattito politico ma materialmente presente nella sfera pubblica.
Giovanni Talpone
Luciano, io pensavo a qualcosa di più strategico, ma comunque, come provocazione, provo a dire come organizzerei l’operazione elezioni comunali.
1) Si parte da un documento semplice e chiaro in cui NON si cercano di sanare tutti i mali dell’universo mondo e/o di accontentare le fisse di tutte le 642 componenti della sx milanese, ma in cui si espongono i criteri e le scelte politiche fondamentali >>che possano essere realisticamente perseguite con gli strumenti di Palazzo Marino<<, in un linguaggio comprensibile anche da coloro che non hanno fatto il… (numero di anno a piacere).
2) Sulla base di queste scelte di fondo, si fa appello alle persone che abbiano, o che desiderino farsi rapidamente, competenze su tutti i principali aspetti dell’intervento comunale. Si crea una Base Dati in cui ciascuno dichiara le competenze e le risorse che è disposto a dedicare all’operazione.
3) Si creano gruppi omogenei per linee di intervento. Questi gruppi si danno piani di lavoro con obiettivi intermedi ben chiari e misurabili, a partire dall’inventario di tutto il materiale di interesse ragionevolmente raccoglibile su ciascun argomento; per il 30/9/2010 presentano una prima bozza di proposta sul tema trattato.
4) Struttura dei gruppi, nomi dei responsabili, piani di lavoro, materiali raccolti (anche in forma di link), resoconti delle spese correnti e bozze di proposte sono resi costantemente disponibili e aggiornati in un apposito sito sobrio e ben strutturato
5) E’ essenziale che ci sia almeno un gruppo che analizzi il bilancio comunale e gli aspetti organizzativi della macchina comunale e almeno un altro gli aspetti di governo del territorio
6) Per il 15/12/2010 si consolida un primo rilascio di programma articolato.
7) Da gennaio 2011, confronto con tutte le realtà organizzate interessate. Ciò potrebbe portare a un secondo rilascio del programma corretto e integrato per fine febbraio 2011.
8) Propaganda e diffusione dei materiali prodotti, sia in forma tradizionale sia in rete
9) Comunque vadano le elezioni, si assume che questo sia il modello organizzativo da sviluppare e correggere per gli interventi successivi (dentro o fuori Palazzo Marino)
Giovanni
davide
credo che in realtà Rifondazione abbia rotto con la storia del 900.Lo ha fatto per voce ed intervista di Bertinotti.Solo che è stato fatto alla kazoo di bau bau, in quanto l’unico risultato è stato un'”americanizzazione” e un occidental-centrismo che lo ha allontanato da molte lotte importanti e impopolari,per sedersi comodamente sul dirittoumanismo o il rebeldismo da serie z.Il collante ad esempio con i soggetti lavoratori precari o stranieri non c’è stato e si è lasciato il tutto alle burocrazie sindacali.
Fuori da rifondazione invece resiste un attaccamento per ricordi giovanili,dei gloriosi anni 70.Straordinari,ma la meglio gioventù di ieri è diventata la simpatica combriccola di pensionanti di oggi.Manca del tutto ,inoltre,la capacità di formare,organizzare,comprendere le dinamiche politiche e sociali estere.Internamente stravince l’anti berlusconismo,gran cazzata,e non si amplia lo schema di indagine e risposta sociale
Pensate tanto alle elezioni comunali,alle nazionali,ma compagni donde andate se non siete capaci di creare il consenso di una possibile base elettorale,che credete nei miracoli?Lasciate stare e impegnatevi/impegnamoci a creare il partito-voi per il prc noi per altre situazioni
massimiliano
Mi pare che Rifondazione e i vari partiti post-para-neo comunisti si stiano avviando a una radicata presenza se non nell’infinitesimale, almeno nella marginalità definitiva politico-elettorale. Non so dire con precisione, ma credo che abbia perso consensi già alle politiche in parte verso l’astensione, come punizione ideale (per essersi “compromessa”), in parte verso altre formazioni politiche concorrenti come punizione “pratica” (per non essersi “compromessa” abbastanza col governo di centrosinistra).
Amerei (io, personalmente) che ci fosse un qualche polo verde (tipo europe ecologie) capace di attrarne i voti, ma temo che la mia sia una pia illusione, per il momento. Direi che la competizione invece è più che mai aperta, con diversi soggetti, compresi i Grillini. Una competizione che per il momento non credo porterà lontano nessuno.
Beppe Foglio
L’analisi di Aldo è come sempre senza possibili repliche o aggiunte: impietosa nei numeri e in aggirabile negli argomenti.
Solo alcune riflessioni, dunque, su due punti che mi sembrano centrali nel discorso di Aldo: le organizzazioni e il gruppo dirigente.
Per quanto riguarda il partito Aldo parte dal ruolo di Rifondazione come possibile centro federatore della sinistra, progetto ormai fallito va da sé. Ma in base a cosa diciamo questo? Solo in base ai dati elettorali che, nel disastro iniziato nel 2008 hanno visto gravitare intorno a Rifondazione più voti che sugli altri ex Arcobaleno-2006? O su un’opzione politica, peraltro dichiarata da Aldo stesso che ha votato per quel partito? Io ho votato per Vendola (senza passione) dacché è possibile, perché in questa raccolta di cocci che è ormai la sinistra italiana, ho avuto l’impressione che fosse lui a poter federare su una base più moderna, non vetero come fa rifondazione…
Cosa voglio dire? Che in realtà il problema è trovare un federatore, un attrattore, in primo luogo dei militanti, delle organizzazioni e dei voti di sinistra. E come si fa a trovarlo? Non è facile, ma innanzitutto riuscendo ad interrompere la deriva di frammentazione in atto. Si diceva, un tempo, che l’estremismo (id est il frazionismo?) è la malattia infantile del comunismo. Qui, se è vero che la storia si ripete in farsa, dovremmo dirlo del narcisismo, del depressionismo (che purtroppo non è una corrente artistica, ma il mood dei dirigenti locali e nazionali di questi partiti). Secondo me non si può trovare un bandolo dell’analisi e dunque una strategia all’interno del pulviscolo esistente, bisogna partire dall’assunto che dividere in politica equivale a non fare politica. Se sinistra critica, rifondazione, sel e quant’altri mi sfuggono, perdonate la mia memoria, ma dipende anche dalla trascurabilità di queste esperienze, non sono in grado di trovare ciò che le tiene insieme, la responsabilità è di tutti, non di qualcuno più degli altri (forse qui il fascino realsocialista anni ’50 di Ferrero ha espresso le sue migliori potenzialità: nell’arte del processo interno; tuttavia non tengo molto all’argomento).
Per concludere dunque sul primo punto, direi che è necessaria una federazione di tutta la sinistra italiana, che tenga conto anche di un mutamento del radicalismo oggi espresso anche da movimenti come i viola, i grillini, ecc… che con la storia della sinistra politica hanno molto poco a che fare (problema storico del qualunquismo…).
A questo punto diventano importanti i dirigenti. Infatti, l’argomento che più mi avvicina all’analisi di Aldo è questo, e non da ora. Tuttavia anche qui è in agguato un doppio vincolo: da un lato di fronte al disastro politico, analitico, tattico, strategico, elettorale, comunicativo, cioè totale, dovremmo andare all’azzeramento: Caporetto docet. Tutto il comando generale si azzera. Ma, dall’altro lato, chi lo azzera? E, soprattutto, chi lo sostituisce e con quali dirigenti lo sostituisce, se ormai da anni le diverse linee politiche, pur opposte tra loro e pur alternandosi alla guida del movimento non producono risultati, anzi si elidono a vicenda? È questa la chiave secondo me: valutare tutto in base a ciò che indebolisce l’avversario, non la propria parte. Invece siamo in preda a tre forze distruttive: la ricerca di una resa dei conti tra veri e falsi rivoluzionari, la difesa miope, anzi ottusa delle proprie poltroncine (di partito o istituzionali che siano), l’ansia pseudo strategica di risolvere il problema della sinistra vincendo sul competitore interno e non sull’avversario politico. Questo punto allarga lo sguardo anche al Pd e al problema epocale che colpisce la sinistra: la fine della divisione del lavoro novecentesca, problema che ovviamente risparmio a me e a voi.
Più concretamente, Ferrero è sicuramente il peggiore segretario comunista anche per me, è riuscito a ridurre un partito rappresentato a tutti i livelli ad una micro organizzazione di ignoranti rancorosi. Una volta, dicevamo che era il partito a rovinare le intelligenze politiche, ora cosa possiamo dire? Forse il contrario…
Dividersi tra uguali è infatti un esercizio di stoltezza.
Un saluto cordiale a tutti i partecipanti alla discussione.
Beppe
Gheorgi
la linke in Germania ha un radicamento sul territorio e dei progetti concreti. E’ una macchina da guerra, lavorano sul territorio con una lena 10 volte maggiore rispetto a tutti gli altri partiti…anche di più della CSU bavarese che è un’organizzazione politica omnipresente in Baviera.
In Italia abbiamo oramai solo due organizzazioni politiche populiste di sinistra, l’IDV e i grillini che nel marasma totale offrono un idea “nuova” di politica. Riescono ad intercettare il voto che prima andava ai rifondaroli + mummie del pdci + fantasmi dei verdi…
Il PD è un partito di pensionati, nel senso che è votato in gran parte da pensionati. Purtroppo è così. Infatti non propone sogni, progetti nuovi, ideali. Appunto: non fa sognare.
Il Berlusca fa sognare, idem la Lega. Ok, fa sognare gli allocchi, ma ottiene il risultato voluto.
La percentuale dei non votanti aumenta proprio perchè c’è poco da sognare? io ritengo che sia anche uno dei motivi. Mi riallaccio anche al discorso sull’americanizzazione della società e del conseguente non voto. In America però non vota la massa di diseredati, e in Italia?
La vedo dura….
ugo agnoletto
ricordo che alle votazioni politiche, prima di queste votazioni regionali, c’erano due liste di rifondazione. Se ce ne fosse stata una sola i voti non sarebbero andati persi. E’ stato l’inizio della fine.
Nico Perrone
Le anaisi di Aldo Giannuli sono inesorbili: perché sono fondate sui numeri; perché sono intelligenti. I numeri non li adopera più nessuno, eppure non se ne dovrebbe fare a meno. Se però allarghiamo l’analisi agli aspetti qualitativi, allora ci accorgiamo che i numeri non bastano da soli. Schematizzo al massimo, per non occupare spazio. In politica, c’è chi difende interessi interni del sistema; c’è chi contesta il sistema. Questa seconda categoria, dispone di numeri elettorali molto esgui: ma in quei numeri c’è un’identità. Chi sente di fare parte di quei numeri, può accettare alleanze, perfino le più impesabili (si pensi a esperienze recenti in Russia), ma non può programmaticamente rinunciare alla propria identià. Se lo facesse, farebbe danni maggiori di quelli che già abbiamo subito. I Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista sono ridotti numericamente molto male, e hanno perso ancora, gravemente: ma rappresentano interessi che non si devono cancellare, neppure nelle parole; affermano un’identità necessaria. Concludo: occorre disperatamente e ostinatamente difendere questa identità, mettendo da parte le ledearship politiche che si sono utodistrutte, e hanno distrutto. Proprio perché l’identià loro volevano mascherarla e cancellarla. Dunque teniamoci la nostra esigua minoranza: cerchiamo di farla crescere, ma non la cancelliamo. E guardiamo alla ricerca di alleanze dalla stessa direzione degli interessi cha abbiamo sempre difeso: costruendole anche con le espressioni nuove, fantasiose, rumorose e colorite della politica. Nico Perrone
Elia R.
Quando ho ricevuto gli sms di Aldo, il primo pensiero è stato, lo dico onestamente, a che serve parlare ancora di Rifondazione?! Eh sì, perchè io questo argomento l’ho archiviato da diversi anni e non credo di essere il solo…
E quando negli ultimi cinque anni mi sono trovato a non vedere più nei cortei in cui andavo neanche uno striscione del PRC, questo mi sembrava avvalorare la convinzione che “il tema Rifondazione” non esisteva più.
Certo caro Aldo tu mi dirai che sono il solito “nipotino di Toni Negri” che odia ancora il PCI per il 7 Aprile, ma devo dire che,anche se l’etichetta non mi dispiace, che non sono mai stato tra quelli che a sinistra ha ballato sul cadavere di rifondazione.
La prova definitiva del decesso del PRC l’avevo avuta il giorno della visita di Bush a Roma nel Giugno del 2007, quando la piazza di Rifondazione e soci ( da Bertinotti a Vendola da Ferrero a Cannavò da Migliore a Grassi…) era vuota, ed il corteo del movimento marciava caparbio in 50.000, dopo essersi conquistato i treni da tutta Italia occupando le stazioni, per le strade della Capitale fino a Piazza Navona.
Da tempo abbiamo quindi imparato a fare da soli: nelle lotte per i beni comuni, nell’antifascismo, nelle lotte dei migranti, contro il precariato; ritrovandoci ad essere l’unica vera opposizione sociale a Berlusconi ed al suo blocco di potere.
Certo questo non mi ha reso felice, ma è un fatto.
Le ragioni sono ovviamente molteplici e da un punto di vista strettamente politologico mi fa schifo pensare che l’alternativa di sinistra partitica oggi sia quel giustizialista di Di Pietro o peggio ancora quei populisti forcaioli di Travaglio e Grillo, ma, senza scomodare Lenin, la scelta del PRC di non stare nelle lotte, di non cercare la frattura, di non agevolare il conflitto è stato un errore storico.
Credo quindi che la scomparsa di Rifondazione sia dovuta soprattutto ad una analisi non all’altezza del reale e quindi dei tempi.
Chi pensa poi che l’Onda avrebbe potuto salvare il PRC commette un errore madornale, anzi è stato l’esatto contrario: l’onda è stato infatti il primo grande movimento post-ideologico del precariato giovanile cognitario in questo Paese, una categoria che ad oggi non esiste nel vocabolario del PRC.
Caro Aldo, scusami, ma questo dibattito non mi appassiona proprio, mi dispiace solo, per restare al caso lombardo, per compagni generosi come Luciano, che pur stando in Rifondazione, si sono sempre dati da fare con costanza e cuore.
Se nella mia Padova ci fossero stati compagni così, forse, dopo tanti anni, sarei anche andato a votare…
Aldo Colonna
L’analisi di Aldo è un’analisi dal di dentro e non potrebbe essere il contrario configurandosi come il lamento di un iscritto e sostenitore; ho letto poi commenti davvero interessanti ma nessuno ha fatto riferimento a Rifondazione come una parte del tutto se,al di là delle statistiche,il partito abbia poi i ‘numeri’ per governare e via discorrendo. Al di là della dabbenaggine di Ferrero(gli uomini passano e si avvicendano)il problema di Rifondazione è culturale. Che cosa intendo per ‘culturale’? Voglio dire se il partito si è mai interrogato su qual’è il suo ruolo nel mondo o,per meglio dire,se si sente davvero forza di governo. Monicelli ha ragione quando dice che questo Paese avrebbe bisogno di una rivoluzione;a me-sto scrivendo una sua biografia-ha detto di più:che per cambiare questo Paese ci vorrebbe un bagno di sangue. Ci sono i numeri per fare la rivoluzione? E da chi dovrebbe partire l’assalto al Palazzo d’Inverno? La risposta al primo quesito è: no. Se l’ISTAT dice che il reddito medio pro-capite(escludo dall’analisi le sacche appurate di povertà,ivi compresi precari e pensionati)è di 1.500 euro al mese vedremo che il ‘no’ appena espresso ha la sua ragion d’essere. Sul chi dovrebbe capitanarla la risposta è retorica: Ferrero e Rifondazione? Ma mi faccia il piacere! Ecco dunque che il partito deve acconciarsi ad essere forza di governo,il che non è ‘borghese’,è nella dialettica politica della nostra condizione di contemporanei.E da qui nasce un’altra domanda,come una matrioska: ha i numeri per farlo? Certamente no per correre da sola,ma per allearsi sì,per coalizzarsi.E qui si ripropone una vecchia storia:l’unità della sinistra. Ma una coalizione ha le sue regole.Se io ho,in una coalizione,il 2% posso dettar legge sul partito principale che magari ha il 28%?E non sarebbe più normale che,scrivendo un programma di governo,le regole si facessero prima e a quelle ci si attenesse? Non entro nel merito della giustezza di tenere nostre truppe in teatri di guerra sparsi per il mondo ma se io,entrando al governo,accetto non posso poi far cadere il governo.L’ultimo Prodi non è forse caduto per le imboscate degli alleati?Ecco,quello che voglio dire,è che c’è un certo velleitarismo che impedisce al partito di crescere e di adeguarsi alle nuove sfide.Quando parlo di coalizioni chiaramente non mi riferico all’UDC che vota a destra e a sinistra ma parlo di una coerenza di cui difetta Rifondazione in bilico tra la Rivoluzione d’Ottobre e la Rivoluzione Industriale.Anche Bertinotti fece cadere Prodi ed oggi i risultati sono questi:un’emorragia inarrestabile.Non dimenticate che Bertinotti era stimato da Berlusconi e questo non ha mai fatto riflettere nessuno:se il signor B.lo stimava vuol dire che non lo temeva,che non era un temibile avversario politico.
Bisognerebbe ripartire dal di dentro per veleggiare nei venti liberi del mondo. Se un operaio,ad esempio,prende 2.000 euro al mese insegnamogli che non esiste solo l’i-Pod o minchiate del genere, ma che è necessario abbonarsi ad esempio ad un quotidiano,e possibilmente non di partito perché altrimenti si rischia di suonarcela e di cantarcela. Entrare al governo in coalizione non vuol dire imborghesirsi ma dare il proprio contributo alla costruzione di una nuova società. Proviamo a ricominciare.Ma scrolliamoci di dosso i vecchi clichè tipo:”yankee go home”,certe coreografie appartengono al passato,ora nuove lotte ci impegnano. La strada è lunga,certo,ma ci si può provare.Una strada lastricata di incertezze come un Veltroni che dice di voler andare in Africa alla fine del suo mandato e di non voler scendere nell’agone politico in un momento in cui i sondaggi lo danno vincente contro il Cavaliere(e il Cavaliere lo teme)e poi che fa? lascia il Comune di Roma nel momento peggiore,perde e resta sempre qua,in Africa non ci va.Alla vigilia delle elezioni dice che lui non imbarcherà gli estremi ma la Binetti sì!!! Ci vuole ricambio,ma anche il coraggio di ‘ripensarci’,noi come attori politici intendo. E’ auspicabile che le prossime mosse siano quelle non di una nuova confederazione come è successo per il PdL,ma di una unità a lungo sognata ed ora improrogabile. Per ciò che mi riguarda ho assunto due linee guida,tanto per cominciare: la prima è quella di una resistenza ‘bianca’. Sono incazzato e lo faccio sapere al potere con una raccomandata ogniqualvolta viene calpestato un mio diritto che è poi un diritto di tutti,e mi batto usando le regole del sistema perché quel diritto venga ripristinato.La seconda è che parlo con tutti,con tutti coloro con i quali è possibile un dialogo,non mi arrocco sdegnato fiero del mio essere comunista. Non posso parlare certo con Gasparri,ma lo posso fare con Fini,non posso farlo con un Casini palesemente in mala fede ma posso individuare nel suo partito qualcuno che sia meno strumentale. Alla prossima,Aldo.
davide
smetterla con “yankee go home”,alleanze con udc-non casini,ma i suoi colonelli?-e sostenere Fini.
Diabolico e innovativo piano,il pd non ci ha mai pensato..ed ha sempre ottenuto grandissimi risultati.
La geopolitica forse è troppo seria da essere scomodata,ma a mio modestissimo e discutibilissimo parere,questo filoamericanismo un po’ servile è battuto dalla storia e dal tempo,la sinistra dovrebbe guarire dal suo occidental-egocentrismo americanizzato e notare le nuove posizioni,strategie,tattiche,crescite di nazioni che per mero democretinismo dirittocivilista noi contrastiamo-esattamente come l’imperialismo in difficoltà,ma che ancora “tiene botta”yankee-superficialmente e con una certa arroganza-noi siamo quelli buoni,che stiamo con i selvaggi,ma quelli son pur sempre dei selvaggi che vanno educati a uno spirito occidentale paternalistico e bbuono.
Il moderatismo strategico,la ricerca larga del consenso hanno distrutto la sinistra,ripeterlo è segno di masochismo.Per carità ottima pratica sessuale,che piace anche alle femministe ,ma per le esigenze di egemonia politica risulta assai dannosa.Lasciate stare il filoamericanismo,e le alleanze di realpolitik dei poveri con i fini e la remusaglia democristianoide.Che ne so?Fatevi invitare su di un altro panfilo,ma non inglese..che la britannia ci ha portato sfiga!^_^
Angelo
Mi è difficile, ma non impossibile, intervenire nella discussione su Rifondazione.
Io la voto da sempre, e l’ho votata ancora a questo ultimo giro, soprattutto per una semplice ma importante ragione: il voto di “garanzia democratica”. Cioè…..sino a che ci sarà un senatore come Luigi Malabarba che in quella notte di Luglio di 9 anni fa era davanti alla scuola Diaz a Genova, o un consigliere regionale come Luciano Muhlbauer che si va a fare all’alba i presidi contro gli sgomberi davanti ad una casa occupata….io voterò il partito che ha mandato Luigi o Luciano al Senato o in Consiglio Regionale. Detto questo, è ovvio che il voto di garanzia democratica non necessariamente ha a che vedere con l’esistenza di una forza politica di sinistra, che si candidi in modo credibile a rappresentare le spinte al cambiamento presenti nella società.
Ed infatti io di Rifondazione non son mai stato né iscritto e né tanto meno militante, e la mia area di riferimento è sempre stata quella dei movimenti.
Entrando nel merito…..
Credo che alle origini delle poco brillanti performance elettorali di Rifondazione e cartelli elettorali affini negli ultimi 2 anni, ci siano una serie di ragioni.
Una immagine complessivamente opaca, da un lato poco presente o poco propulsiva dentro i movimenti reali, e dall’altro poco capace di influenzare le varie esperienze di governo nelle quali pure è stata presente, sia centralmente che localmente. Detto in soldoni: in Italia si può fare politica sia stando nei vari movimenti sociali che nelle istituzioni, o in entrambi….ma se poi tu in entrambi sei poco incisivo e riconoscibile, non puoi pensare di non pagarne il costo.
A questo si aggiunga anche la poca adeguatezza o scarso “appeal” dei gruppi dirigenti, e soprattutto la loro poca capacità di comunicazione politica, ma il dato essenziale mi pare soprattutto quello di cui sopra, sul quale pure influisce la scarsa adeguatezza delle varie segreterie che si son succedute negli ultimi anni.
Che fare allora…????
Bella domanda…..mi pare che oggetto della discussione siano anche le prossime elezioni comunali a Milano nel 2011. Unico appuntamento elettorale col quale misurarsi, qui nella capitale della Padania, da ora alle politiche del 2013.
Dico delle ovvietà….Figure nuove di riferimento, che segnino una chiara discontinuità e capaci di attrarre sia pezzi della vasta area dell’astensione, che quelli che ancora votano a sinistra ma con tanti dubbi e mal di pancia. Figure assolutamente non riconducibili a logiche di appartenenza definita alla tale parrocchietta politica più o meno settaria, ma sempre parrocchia. Capaci di entrare in sintonia con quella vasta e frastagliata area sociale, estesa ma priva di punti di riferimento politici organici, e che non a caso a Milano abbiamo visto puntualmente in piazza proprio nei grandi momenti di, appunto, “emergenza democratica”. Mi riferisco ai 30.000 in piazza nel dicembre 1995 dopo la devastazione squadristica da parte delle forze dell’ordine ai danni del Centro Sociale Leoncavallo, ai 100.000 in piazza nel luglio 2001 subito dopo i fatti di Genova ed il blitz alla Diaz, ma anche se permettete ai 10.000 in piazza nel febbraio dello scorso anno contro lo sgombero del centro sociale Conchetta. Capacità anche di comunicare in modo fresco, intelligente, leggero, incisivo, chiaro ed ironico, muovendosi nel mondo dei nuovi media e della rete, e qui a Milano mi pare impossibile prescindere dalle molte cose che ci può insegnare, pur con alcuni suoi limiti, l’esperienza ormai decennale della May Day Parade e dei percorsi ad essa collegati.
Tutte queste capacità, ed altre ancora, sarebbero tanto più importanti perché credo che alle prossime elezioni comunali a Milano, l’arena dei soggetti che si candideranno a rappresentare i vari “scontenti” della sinistra, sarà probabilmente piuttosto affollata.
Infine….io non ho 40 anni di militanza sulle spalle come Aldo, ma mi avvio ormai ad averne 33, e quello che ho imparato è che uno degli indicatori dai quali si evince impatto e qualità di un qualunque percorso, è la capacità di attrarre ed includere aree e soggetti trasversali per condizione ed età, ed in particolare giovani e donne. Se chiunque dovesse ripartire per una qualunque ipotesi di riaggregazione a sinistra, si ritrovasse in una prima riunione fra over 40 prevalentemente maschi, dovrebbe prendere atto che sta sbagliando qualcosa, e ricominciare tutto da capo.
Lucio Mamone
Sembra ormai arrivato il momento in cui il popolo della sinistra si scrolli di dosso timori e riserve e urli che il re è nudo: ci si è accorti da un pezzo che è ormai spoglio di qualunque credibilità; proprio per questo, a posteriori, ritengo sia stato un grave errore aspettare quest’ennesima disfatta per ammettere che le attuali “forze” politiche della sinistra ( e l’espressione appare come una gentile concessione) non possano più e in alcun modo assolvere al ruolo di rappresentanza. Forse avremmo dovuto anticipare quest’analisi all’esito del congresso che vide vittorioso Ferrero o al tristemente indimenticabile esperimento dell’Arcobaleno. Il nostro errore ha una giustificazione profonda che, se è vero che non può assolverci a pieno, mette in luce le difficoltà della presa di posizione di Aldo e della maggior parte degli interventi: l’angoscia di ritrovarsi, abbandonata la Federazione, di fronte alla nullità, ormai accettata come totale, della proposta politica dei partiti di sinistra. Scegliere di non votare più Prc, Pdci & co. vuol dire ammettere che il voto non può esprimere una scelta politica significativa fino a quando qualche nuovo partito si guadagnerà faticosamente una qualche affidabilità. Di questo evento messianico, dobbiamo dircelo, non se nè intravede neanche il primo dei presupposti.
Tuttavia ritengo che ormai siano diventati più che sufficienti i motivi per perseguire la scelta. Come già detto da Aldo, Rifondazione perde in voti assoluti, perde in percentuale, perde seggi. Direi che non è neanche tutto: bisogna chiedersi chi è oggi l’elettore di Rifondazione. Il vecchio Pci poteva contare su un elettorato che in percentuale consistente era anche militante nel partito e che, oltre al momento del voto, esercitava costantemente una potente azione-presenza politica. Ma senza andare troppo lontano, anche oggi il più opportunista elettore del Pdl, a sentir parlar male di Berlusconi, si incazza o lancia un’occhiata torva o, nella peggiore delle ipotesi, disapproverà tra sé e sé; se lo stesso vedrà passare un altro uomo con la bandiera del Pdl, se nè compiacerà. Ecco adesso fate questo piccolo esperimento mentale: pensate che in uno dei luoghi “archetipici” della sinistra (in un’assemblea studentesca, in una fabbrica, in una manifestazione contro l’ampliamento di una base americana), ostentate orgogliosi una bandiera di Rifondazione; molto probabilmente qualcuno dei presenti si irriterà o vi deriderà. Le conseguenze agghiaccianti sono due: la prima è che la sinistra parlamentare italiana è divenuta completamente estranea ai luoghi dove fondava il suo consenso; secondo chi vi ha deriso o vi ha attaccato verbalmente, molto probabilmente, vota Rifondazione. Questo vuol dire che, non solo la Federazione perde voti a velocità allarmante, ma la sua base elettorale mostra più schifo che consenso. L’elettore medio è anestetizzato verso il panorama partitico, e vota più per affetto verso le proprie idee politiche che per fiducia nei rappresentanti: è egli stesso a nullificare il proprio voto. Esclusa dai luoghi di produzione della cultura politica, esclusa dalla politica di piazza e infine anche dalle camere di potere, Rifondazione è paradossalmente il primo partito comunista italiano ad aver raggiunto l’Utopia, perché, come l’Utopia, Rifondazione non è più in nessun luogo. Peccato che, per raggiungimento dell’Utopia, i vecchi marxisti intendessero la realizzazione del progetto e non l’astrazione-dissoluzione del soggetto.
E’ a questo punto necessario chiedersi, come esplicita il titolo di quest’articolo, cosa fare e, possibilmente, come e quando. Diventa banale ripetere che bisogna costituire un soggetto nuovo e, ahimè, questa volta il principio di non contraddizione è autoritario per cui la riforma o la si fa dall’alto o dal basso. Per cambiare dall’alto, i vari segretari hanno avuto almeno due anni di tentativi. Vogliamo forse che i dirigenti dei vari partitucoli si riuniscano di nuovo e diano vita questa volta, non so, all’Albero Azzurro della Sinistra o al Prato Marxista delle Speranze? Ci aspettiamo ancora che Ferrero e Diliberto elaborino una strategia vincente per una guerra lampo? Lascio lo sviluppo dell’ipotesi “cambiamento dall’alto” alla semplice ironia, perché ormai la ridicolezza intrinsecamente contenuta nell’idea ha esaurito tutti i suoi fuochi d’artificio.
Concordo quindi con Aldo sulla necessità di produzione dal basso di un soggetto nuovo. I movimenti spontanei degli ultimi anni, hanno però mostrato una vita breve, un’eccessiva dipendenza ad un fatto specifico, una tendente marginalizzazione e una certa fatica nel mantenersi e rinnovarsi. Credo quindi che lo spontaneismo debba fornire quella spinta propulsiva per creare, nel minor tempo possibile, una nuova struttura organizzata e internamente coerente. Da questa coerenza potrà nascere la nuova identità. Credo si debba abbandonare la logica movimentistica per cui noi tutti, soggetti diversi, ci mettiamo insieme per combattere una battaglia comune, tutelando la nostra reciproca autonomia. Questa logica può sostenere solo progetti sul breve periodo. Il nuovo soggetto deve anche essere in grado di produrre nuova cultura politica, funzione che sembra completamente sparita in tutti i partiti di oggi, in cui domina invece la cultura del particolare. Non credo però che ci sia l’esigenza di una manciata di nuovi ideali su cui puntare al tavolo, almeno nella misura in cui si intendono gli ideali come insieme di idee sconnesse da utilizzare come slogan da battaglia. Non vorrei che la nuova produzione culturale sia assimilabile alla scena di “Paz” in cui qualcuno prende la parola dicendo: “Deterritorializzazione, riterritorializzazione, soggettivismo isterico, femminilizzazione generalizzata, sovversione creativista, rimozione del soggetto, la felicità è sovversiva quando si collettivizza!” Bisogna rielaborare la nozione di ideale, inteso oggi come parla d’ordine, ed inserirlo come unità all’interno di un modello, in cui la relazione è altrettanto significativa quanto la singola idea. Non mi sembra comunque questa la sede per iniziare a dibattere su come nasce un’ideologia e interrompo quindi il mio discorso. Tengo solo a precisare che è importante che la riflessione teorica sia sviluppata da un apparato che torni ad accettare l’idea di sporcarsi le mani e riprendere tutte le forme di lotta (sciopero, occupazione, controinformazione) elaborate dalla tradizione socialista (ovviamente lasciando nell’armadio i deliri del terrorismo e simili). Concludo con un auspicio: sarà forse destino che dal caos della moderna sinistra italiana non debba nascere una stella danzante, ma speriamo almeno di non dover assistere all’ascesa dell’ennesimo imbecille.
Laura Tussi
IL PARADISO PERDUTO
Pubblicazione curata dal Centro Studi Biologia Sociale
Acireale, Aprile 2008.
Libro di Carmelo Rosario Viola
Recensione di Laura Tussi
Carmelo Rosario Viola, nato a Milazzo nel 1928 e abitante ad Acireale, è uno stimato e serio studioso di scienze sociali ed antropologiche, un intellettuale acuto e preparato, un opinionista e politologo attento e sempre presente nei dibattiti politici, economici, sociali e culturali, attuali e di ogni tempo. Viola è il padre di una nuova disciplina, la “Biologia del Sociale”, un’innovativa corrente di pensiero anarchico e anticapitalista, il cui spirito riecheggia in modo accurato e dettagliato in questa corposa autobiografia, dove la visione e l’analisi dell’intera condizione umana vengono elaborate in chiave storica, sociale e culturale e condotte con rigore metodologico e scientifico. “Il Paradiso Perduto” è un’opera dal taglio intimamente interioristico, in una capillare descrizione autobiografica, di dieci mesi della prima adolescenza dell’Autore, vissuti come parentesi esistenziale, visti oramai con gli occhi della terza età, in un’appassionata narrazione di stile sobrio e chiaro, che coinvolge il lettore in vari esiti di originalità e in indicazioni di concretezza pragmatica, che pongono in rilievo aspetti latenti della maturazione evolutiva dell’uomo, sia sul piano individuale, sia sociale e comunitario, soprattutto nei diversi punti di vista caratterizzati da intrecci di pensiero economico, sociale, antropologico, etico ed esistenziale.
L’Autore indaga, ricostruisce ed approfondisce paesaggi e scene di ambientazioni naturali e umane che ritraggono un’adolescenza a diretto contatto con la natura, dove il dato autobiografico si intreccia con la congiuntura storica, sociale e politica del Meridione e della Sicilia del periodo bellico, in cui è narrata l’esperienza di un giovane immerso in riflessioni contrastanti, tra conflittualità familiari e spinte ideali, nell’acquisizione progressiva di un’identità psicologica e di un’autonomia personale.
Nel racconto si susseguono intere generazioni tra speranze, sogni e disillusioni, gioie e dolori, nella ferrea volontà di riscatto sociale e culturale, in proiezioni propositive di sviluppo materiale ed esistenziale. Nell’autobiografia si incrociano e si intrecciano i sogni, le idealità, le speranze di un adolescente, nei vari colori contrastanti e conflittuali dell’esistenza, tra proiezioni psicologiche illusorie, intimi scavi interiori e vani sogni infranti, dove la realtà si impone, dimostrando la vera natura umana, che frantuma gli aneliti ideologici di speranze future, nelle solitudini solipsistiche della giovinezza.
L’Autore rivive la propria esperienza nell’amore appassionato per la natura, per l’innocenza delle figure dei nonni, i primi amori, in una narrazione sobria e schietta che si manifesta nel desiderio imperante di conoscenza e introspezione di un mondo interiore, proiettato verso uno slancio di rettitudine morale, di giustizia, di verità e pace sociale, etica ed esistenziale, nel rispetto dei valori fondamentali della vita.
L’autobiografia traccia un ampio complesso genealogico, nella descrizione di ambienti familiari, personaggi ed elementi naturali, ripercorrendo itinerari interiori, tracciati analiticamente in una sorta di autopsicoanalisi, sostenuta dall’Autore in uno schietto e profondo pensiero politico e filosofico, avvalorato da una prosa penetrante, per cui il giovane Viola vive un intimo dramma individuale, collegato alla propria situazione familiare, tramite le prime pulsioni dello sviluppo psicofisico e la propulsiva spinta istintiva contro tutte le forme di ingiustizia.
Il mondo culturale nazionale e internazionale rende grazie a Carmelo Rosario Viola, quale studioso profondo, attento e appassionato che testimonia un ricco mondo interiore proiettato nella realtà del presente e nell’attualità sociale, dove egli continua ad affrontare e contrastare ogni atto di ingiustizia, costruendo ed elaborando innovativi itinerari di studio e di analisi culturale, per un cambiamento sociale propositivo, un progresso costruttivo, un futuro a misura di persona e autenticamente sostenibile per le nuove generazioni. Laura Tussi