Si può ridurre il debito con la crescita?
C’è una sorta di mantra per il quale il modo “vincente” per risolvere il nodo del debito pubblico è solo quello di puntare sulla crescita del Pil: se io ho un debito di 160 ed un Pil di 100 vuol dire che il mio debito è il 160% del Pil, ma se il mio Pil diventa di 200 vuol dire che il debito, pur restando fermo, è diventato l’80% del Pil e se arrivo a 400 si è abbassato al 40%. Man mano, il gettito fiscale dovrebbe crescere in cifra assoluta così da permettere la graduale riduzione del debito e dei relativi interessi, per cui, già dopo i primi anni (sempre che non ci sia un ulteriore disavanzo statale da finanziare con nuovo debito) il capitale inizierebbe ad essere gradualmente rimborsato e, via via, ridotto.
Semplice, logico, lineare. In effetti, la crescita è uno degli elementi necessari in una strategia di azzeramento tendenziale del debito,
Ma questo pone due problemi distinti ma connessi:
a- quali sono i limiti della crescita del Pil
b- in quanto tempo è possibile ridurre significativamente il debito.
Infatti, è evidente che non si può pensare in astratto ad una crescita illimitata, ma relativa ad una serie di fattori interdipendenti ed, in particolare, alla base di partenza ed alla popolazione. Infatti, se abbiamo un paese come la Cina degli anni Novanta, con un Pil intorno ai 3.000 miliardi di dollari ed una popolazione di circa 1 miliardo e 200 milioni di persone, un incremento del 10% nell’anno successivo significa, in cifra assoluta, un incremento di 300 miliardi di dollari, vale a dire un incremento di 250 dollari pro capite. Nell’anno successivo, un ulteriore incremento del 10% significa 330 milioni di dollari che, considerando in incremento demografico del 1,5% circa, significa un incremento pro capite, sull’anno precedente, di poco superiore.
Ma se consideriamo un paese come gli Usa attuali, con un Pil di circa 10.000 miliardi (per fare cifra tonda), una popolazione di 308 milioni di persone con un incremento demografico inferiore all’1,5%, significa che un incremento del 10%, sull’anno precedente, implica una crescita in cifra assoluta di 1.000 miliardi di dollari, con un incremento di 3.246 dollari pro capite.
Lasciamo da parte la questione del se il Pil sia un indicatore affidabile e sino a che punto. Qui ci limitiamo a segnalare che le ragioni di una sua possibile crescita sono molteplici: investimenti, andamento demografico, sviluppo tecnologico, ecc,. E’ ragionevole supporre che ad ogni aumento del Pil corrisponda un incremento, più o meno variabile, di consumi, di materie prime impiegate ed, in particolare di risorse energetiche ecc. Nel caso degli Stati Uniti, abbiamo un paese che ha già un consumo energetico annuo di 2.170 milioni di tep, leggermente inferiore a quello di 2.252 tep della Cina, ma con una popolazione di circa un quarto di quella cinese, Dunque un consumo di energia pro capite quasi quadruplo. Pur non pensando ad una aumento di consumi energetici direttamente proporzionale all’incremento del Pil va da sè che il raddoppio del Pil americano (da 10.000 a 20.000 miliardi di dollari) implicherebbe un sensibile aumento di energia, per quanto si possa ricorrere a misure di contenimento (prodotti e processi a basso contenuto energetico, limitazione dei consumi individuali ecc), con conseguenti riflessi sul costo del petrolio ecc.
E dunque, non appare credibile che il tasso di crescita degli Usa possa superare di molto il quasi 2% attuale. Ma ipotizziamo che esso possa raggiungere il 4%, questo significa che per raddoppiare il Pil occorrerebbero 17 anni e mezzo, che è già un tempo molto lungo: pensare ad una serie ininterrotta di incrementi al 4% per 17 anni di seguito non è cosa facile, sia perchè è normale che possano esserci fluttuazioni sfavorevoli, sia perchè è ragionevole attendersi, in un periodo così lungo, qualche evento particolare che crei complicazioni negative. Inoltre, occorre tenere conto del saldo demografico tendenzialmente negativo per le società avanzate (anche se questo è più vero per Europa e Giappone che per gli Usa) e, sul lungo periodo questo non facilita le cose, introducendo un ulteriore fattore sfavorevole.
Nel caso degli Usa, inoltre, c’è da considerare un altro fattore negativo: l’altissimo tasso di debito aggregato che supera il 450% del Pil (il debito pro capite degli Usa ammonta a 160.000 dollari). Questo significa che anche le famiglie e le imprese debbono recuperare denaro per alleggerire la loro esposizione debitoria ed i relativi interessi e, dunque, la pressione fiscale non può salire oltre una certa soglia senza compromettere la stessa crescita.
Ma il punto più dolente è un altro: con un debito pubblico complessivo al 160% del Pil (includendo amministrazioni locali ed enti pensionistici di cui lo Stato si è fatto garante), considerando gli interessi medi annui sul debito esistente, questo significa che il 2-2,5% dell’aumento del Pil è assorbito dagli interessi, e circa un terzo di essi va ad investitori esteri, il che significa che è sottratto alla crescita interna.
Dunque, il rimborso del debito dovrà attendere un bel po’ prima di essere effettuato. Per ora restiamo alla previsione lineare di un incremento annuo costante del 4% senza considerare alcun rimborso del debito. Questo significa che per portare il debito al 40% del Pil (un livello di accettabile sostenibilità) occorrono circa 30 anni, un tempo infinito nel quale non ha senso fare previsioni economiche.
Il Giappone ha margini di debito pubblico molto più pesanti (oltre il 220% del Pil) però può giocare su tre fattori a suo favore: il possesso di 850 miliardi di dollari di debito Usa, il minore debito aggregato, il possesso della maggior parte del suo debito da parte dei suoi cittadini, ma ha indici demografici molto più negativi in prospettiva.
L’Italia ha un debito al 120%, ha crediti molto più modesti di quelli giapponesi, ma ha una situazione decisamente più favorevole dal punto di vista del debito privato, mentre gli indicatori demografici sono ugualmente cattivi. In entrambi i casi, gli interessi sul debito si “mangiano” una bella fetta del bilancio statale e sottraggono risorse agli investimenti.
Dunque anche in questi due casi, l’ipotesi di una crescita in grado di azzerare il debito o anche solo ridurlo a proporzioni intorno al 60% è pensabile solo in tempi lunghi. Probabilmente inferiori a quelli degli Usa, ma pur sempre troppo lunghi per poter essere considerati significativi sul piano economico.
Nel caso italiano, il problema maggiore viene dal tasso di crescita ormai inesistente e dalla difficoltà di immaginare un piano di sviluppo che possa credibilmente portare la crescita a tassi del 3 o del 4% anno del Pil.
Dunque, per una ragione o per l’altra, l’ipotesi di sconfiggere il debito solo con la crescita non appare credibile in nessuno di questi tre casi.
Di Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda non diciamo, ma dubbi molto forti si possono esprimere anche per Francia, Inghilterra e persino per la “virtuosa” Germania che denuncia un debito del 73% sul Pil ma che, in realtà, ha una situazione ben più sfavorevole (ma ne parleremo più diffusamente in un’altra occasione).
Ovviamente, la crescita è necessaria ed è auspicabile che essa sia la componente più importante di una strategia anti-debito, ma, in ogni caso, non appare realistico pensare di farcela solo in questo modo. Peraltro, occorrerebbe poi entrare nel merito di cosa significa crescita , ma di questo parleremo in un altro momento.
Per ora ci limitiamo a segnalare quanto sia ideologico e propagandistico il mantra della “crescita che sconfigge il debito” da cui siamo partiti.
La crescita è necessaria, ma, nei casi di Usa, Giappone ed Italia, non basta.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, cina, crescita economica, crisi del debito, debito pubblico, default, pil, sviluppo demografico, teoria della decrescita, usa
Michele Intorcia
Gentile Prof. Giannulli, questa e’ la prima volta che leggo su un blog o sito italiano un ragionamento sensato sul rapporto tra crescita economica e debito. Fuori dall’Italia c’e’ da anni, forse decenni, un dibattito sui limiti, ambientali ma anche sociali, della crescita economica nelle societa’ affluenti. Mi riferisco per esempio ai recenti Prospetiry without Growth di Tim Jackson e The End of Growth di Richard Heinberg. Ma anche ai rapporti reperibili dal CASSE (Center for Advancement of the Steady State Economy) nato intorno al pensiero di Herman Daly e i lavori di Serge Latouche. Credo che l’attuale crisi sia un’ opportunita’ per ripensare l’ economia come sottosistema di un ambiente con risorse finite (invece che l’ opposto). Ma servirebbe piu’ visibilita’ per questi temi e questi argomenti che non raggiungono le prime pagine dei giornali e dei blogs affollati dai guru della “crescita a tutti i costi”.
aldogiannuli
crescita a tutti i costi no e neppure crescita illimitata e irrazionale, ma comunque la crescita è necessaria. Diciamo che va ripensato il modo di fare crescita per mettere insieme l’esigenza di soddisfare le esigenze di una popolazione umana in drammatoico aumento e le risorse ambientali in ancor più drammatico calo
Mario Vitale
Non posso che sottoscrivere al 100% quanto scritto.
Mi voglio però soffermare su un punto che in particolare mi ha positivamente colpito, anche se appare solo di sfuggita: entrare nel merito di cosa significa crescita.
Io non sono un esperto di PIL, ma a sensazione secondo me c’è qualcosa che tocca. Facciamo un esempio. Diciamo che devo produrre una risma di fogli di carta per stampante.
Caso A: abbatto un albero sulle Alpi; trasporto il tronco alla segheria; lavoro il tronco; trasporto il materiale alla cartiera; produco la risma di fogli.
Caso B: raccolgo carta riciclata; trasporto la carta in una cartiera che produce la risma riciclando la carta.
Come dicevo, io non sono un esperto, ma a occhio con il caso A ho un contributo al PIL molto superiore, di cui una buona parte dovuto al trasporto, mediante mezzi inquinanti, delle materie prime.
Il caso B invece ha da vantare importanti punti a favore:
1. riduco i rifiuti
2. riduco i consumi di petrolio e conseguente inquinamento
3. favorisco l’impresa locale e l’occupazione nel territorio
Tutto questo senza incidere minimamente sulle mie abitudini, cioè io ottengo un bene del tutto identico ma che ha un impatto ambientale molto minore. Se, come credo, il prodotto ottenuto nel caso A comporta un PIL superiore a quello ottenuto nel caso B, non dovremmo forse cominciare a mettere in dubbio la validità del PIL come strumento di misura della nostra economia?
Sia chiaro, non mi sfugge affatto il concetto che utilizzando più materie prime aumento i consumi di tali materie, che qualcuno dovrà estrarre o produrre e questo innesca un meccanismo di crescita, ma questo ragionamento fila se consideriamo l’ambiente un “vuoto a perdere”, ossia qualcosa che una volta sfruttato possiamo permetterci di buttare. Poiché sappiamo che le risorse non sono infinite, siamo perfettamente consci che lo stile di vita attuale non potrà essere mantenuto in eterno, ma non possiamo permetterci di continuare a ragionare come abbiamo fatto finora per molto tempo, altrimenti i nostri figli non avranno più carta, ma soprattutto non avranno più alberi. Bisogna introdurre nel calcolo del PIL dei fattori che tengano conto delle risorse che impieghiamo per produrre i beni, così che l’uso di una risorsa non rigenerabile, come il petrolio, mi riduca il valore in termini di PIL del bene prodotto, perché utilizzando risorse non rigenerabili sottraggo risorse alle generazioni future impoverendo il pianeta.
ugoagnoletto
Non mi sembra che ci sia crescita perché il benessere di oggi utilizza le risorse e i risparmi del passato. Finite le riserve cosa si fa? I genitori oggi aiutano i figli, ma un domani come potranno i figli aiutare i genitori se non potranno bastare nemmeno a se stessi? Pensioni che permettono di andare in casa di riposo sono sempre meno. Probabilmente si andrà verso un tipo di famiglia allargata per ridurre le spese di base, ma tutta l’edilizia va in senso contrario: monolocali, non tre stanze letto.
Paola Pioldi
Bravo Mario!!
E basta con questi parametri arbitrari! Come lo sono le agenzie di reting! Vogliamo o no capire che il nostro sistema è in agonia? Vogliamo o no proporre alernative? Io non so quali, non sono un’addetta ai lavori, ma non sono del tutto deficiente. Se la prospettiva è quella che paventa Agnoletto … va bè … frasi fatte. Ma possibile che non si possa, non si riesca, a ribaltare, almeno in parte, gli schemi idioti che ci stanno portando al collasso?
Scusate lo sfogo, ma oggi è una giornataccia.
Paola
Rosario
Probabilmente un’aumento della crescita provocherebbein un primo tempo un aggravamento del debito pubblico, tali e tante sono le spese e gli investimenti privati e pubblici compressi da tempo da soddisfare. Il problema a questo punto non è tanto ridurre quello di ridurre il debito in modo quasi totale, sforzo titanico forse inutile, ma quello di riportarne le proporzioni dello stesso con gli interessi da pagare ad un livello ragionevole, possibilmete qualificando le spese per investimenti produttivi. In fondo il debito è un elemento strutturale nella nostra società, usato da aziende e Stati per finanziare ricerca e investimenti. Dovremmo, se riuscissimo a crescere, usare le entrate come un agricoltore che raccoglie dalla terra i frutti del suo lavoro tenendo una parte per le sementi del nuovo raccolto (cosa che uno Stato dovrebbe ottenere non regalando le sue terre e le sue proprietà produttive). In conclusione a mio parere la crescita è positiva in sè, affermazione ovvia, ma ricca di implicazioni, perchè sarebbe necessario realizzare una nuova fase economica in grado di invertire i rapporti tra produttori e consumatori nel mondo ed una nuova stagione politica di integrazione tra i Paesi europei per programmare un rilancio delle economie pesanti (industrie) e dei consumi interni.
steffa88
prof. Giannuli, mi perdoni se sembro sempre il bastian contrario, (laddove sono d’accordo ritengo inutile intervenire) ma ritengo la strategia della crescita l’unica adatta a diminuire il debito. In realtà non ci interessa lo stock di debito in sé, ma il flusso che il debito genera, e che è dato dalla quantità di debito ma anche dalla sostenibilità dello stesso. Una crescita sostenuta non solo diminuisce il rapporto debito/pil ma anche gli interessi
gae
Una crescita sostenuta nel breve-medio periodo avrebbe l’obiettivo non tanto di ridurre il debito, quanto di garantire un avanzo primario che almeno ripaghi completamente gli interessi passivi; così che per pagarli non sia necessario ricorrere ad altro debito. In questo modo i creditori, e quindi i mercati, sarebbero sicuri che lo Stato ripagherebbe in tranquillità i loro interessi che gradualmente tenderebbero a diminuire grazie alla fiducia sulla capacità di solvenza da parte dello Stato il quale, libero dall’indebitamento netto, se vorrà potrà dedicare col tempo il proprio avanzo primario alla riduzione del debito.
Stupirsi che la crescita in sé non riduca il debito è come stupirsi che la gallina, pur facendo l’uovo, non faccia la frittata!
C’è sempre bisogno di un soggetto pubblico [o umano nel caso della gallina ;)] che decida la destinazione dell’eventuale accrescimento netto [l’uovo ;)], in quanto lo Stato, prevedendolo, potrebbe anche decidere di dedicarlo alla spesa per trasferimenti o per investimenti- tanto il parametro di Maastricht sul debito/pil non lo ha mai tenuto in conto nessuno!
Quindi, sono curioso di sapere a chi ti riferisci, Aldo, quando parli di coloro che propagandano il “mantra della crescita” tout court per ripianare il debito. Perché secondo me non esiste nessuno che lo sostenga.
Oppure è semplicemente l’indicatore Pil misurato col metodo della spesa che non ci piace? Misuriamolo col metodo del valore aggiunto. Oppure è proprio l’indicatore Pil in sé che non ci piace? Costruiamone un altro. Fatto sta che ci sarà sempre un denominatore che dovrà crescere sul numeratore debito!
Sarà sempre questione di crescita, no?
La crescita, quindi, è vero, non è la soluzione; è semplicemente la precondizione necessaria per qualsiasi intervento strutturale in questo Paese figlio del peggio che padroni incompetenti e ingordi insieme a un movimento operaio arraffone e miope potessero partorire.
Negli anni Novanta (nello specifico tra il 1993 e il 2001) il nostro Paese ha ridotto il suo debito pubblico di 20 punti, con uno degli interventi di finanza pubblica, in chiara salsa liberista, più pesanti della storia repubblicana. Pur avendo avuto l’effetto di sistemare i conti pubblici, la società italiana ancora si sta leccando le ferite che quella manovra le ha causato. E tutto questo con un valore medio del tasso di crescita del Pil al 1,6%! Un’intervento di finanza pubblica simile con l’attuale tasso allo 0,sarcazzo% a cosa porterebbe?
E’ per questo che, finché agli occidentali piacerà vivere all’occidentale (pur nelle differenze di reddito e ricchezza), è necessario ripetersi il “mantra della crescita”.
Il resto son pugnette.
ugoagnoletto
frasi fatte? vorrei capire dov’è la crescita? Ho la partita iva. Sono passato da un reddito annuo di 30 mila euro e 8 mila euro. Una ragazza laureata qui vicino ha aperto uno studio di architettura. Dall’inizio dell’anno è entrata una persona. Conosco diverse persone, non solo extracomunitari che da più di un anno non trovano lavoro, e hanno perso anche la casa sulla quale stavano pagando il mutuo. Le ragazze che lavorano ai call center dopo aver lavorato qualche settimana vengono mandate vie senza percepire nulla. Il polo raffineria-Agip di Mestre chiuderà per sei mesi. Ormai siamo costretti a utilizzare i risparmi. I bot-btp valgono sempre meno. E’ questa la crescita?
steffa88
mi sembra evidente che non c’è crescita, ancora non sappiamo quando torneremo ai livelli pre-crisi!
qui il problema è un sistema-italia marcio fino al midollo: rendite di posizione, appalti truccati, corruzione, nepotismo, università di livello sempre più basso, classe politica disonesta, giustizia lenta, burocrazia bizantina, sistema sanitario allo sfascio con liste di attesa eterne, zero ammortizzatori sociali, “mercato del lavoro” (termine che odio ma tant’è) pessimo, una generazione perduta, e soprattutto i cittadini sembrano rassegnati ad accettare la situazione attuale
Nicola Mosti
Alcuni teorici indicano nella ristrutturazione del debito, ovvero in un default selettivo, l’unica strada realisticamente percorribile. Sarebbe un fallimento soft, con caduta pilotata sul materasso. Pare che, nelle odierne circostanze, tergiversare ulteriormente condurrebbe ad un probabile peggioramento della situazione economica… così, al posto dell’amputazione di un dito, si potrebbe rendere necessaria l’amputazione dell’arto.
D’altro canto, è verosimile che una bancarotta “tecnica” andrebbe ad alimentare spiacevoli attriti internazionali; ma in fondo, dai media non abbiamo notizia di più allettanti alternative.
Paola Pioldi
Caro Ugo,
hai ragione, sono anch’io libera professionista e per pagare tasse e cassa previdenza ho dovuto chiedere un prestito al mio babbo (appunto: genitori e loro risparmi), ma qui si tratta di capire e cercare soluzioni possibili. Comunque conosco anch’io persone (pure in altri Stati europei) che non sanno più come cavarsela. Rimango però convinta che ognuno debba fare il proprio “pezzo”: partecipare e organizzarsi perchè qualcosa cambi e consumare meno. Personalmente non saprei cos’altro fare.
Scusami se mi sono spiegata male.
Un caro saluto a tutti,
Paola
Igor Giussani
Caro Giannulli,
siccome il mito della ‘crescita’ è un tabù pressoché inviolabile da parte di tutti, voglio limitarmi a plaudire a al suo articolo senza esporre alcuni rilievi che potrebbero sembrare inutili sofisismi: è più che mai importante che tutte le persone con un po’ di sale in zucca ragionino sui dogmi incontestabili dell’economia. Solo due osservazioni:
1) se invece della ‘grandi opere’ inutili e impattanti realizzassimo tanti piccoli interventi di riqualificazione energetica e mantenimento del territorio (l’unica crescita che mi sento di definire ‘necessaria’), avremmo una una crescita nel breve periodo accompagnata da una stagnazione successiva dovuta al minor consumo energetico in primis. Per questo occorre una visione di lungo periodo che si interroghi su come affrontare questa situazione.
2) Il secondo punto della questione è il debito estero USA. Oggi chi lo possiede, come la Cina, ha un forte potere di condizionamento, ma per quanto tempo gli USA decideranno di onorarlo? Parliamo della nazione che ha sempre cercato di rifiutare vincoli anche blandi che venissero da legislazioni internazionali, adesso addirittura rischiano di vedere alcune scelte fondamentali burattinate direttamente dall’estero. Ma se gli USA prendessero questa decisione, si destabilizzerebbe tutta la crisi del debito a livello mondiale.
Igor Giussani
Vorrei sottopporre alla discussione questa relazione della Eia statunitense, che trovate all’url http://www.eia.gov/environment/emissions/carbon/ (ripresa anche in un articolo del Fatto Quotidiano); essa dimostra la correlazione diretta tra aumento del PIL, emissioni di gas serra e ricorso al carbone per produrre energia negli USA: sicuramente un tipo di crescita non necessaria.
Il ricorso al carbone è particolare per la sua flessibilità di impiego, superiore anni luce ad esempio a quella del nucleare: per una centrale atomica occorrono anni di costruzione, mentre quelle a carbone possono richiedere anche pochi mesi, e il carbone è più disponbile dell’uranio e meno bizzoso dell’atomo. La crescita recente di Cina, India e Brasile è basata in modo quasi esclusivo sul carbone (se tutta l’energia nucleare del pianeta venisse dirottata in questi paesi, non basterebbe a coprire quella prodotta dal carbone in queste tre nazioni).
In poche parole: se la politica non torna prepotentemente con una visione di ampio respiro, le ricette tradizionali saranno foriere di guai che in confronto il debito pubblico sembrerà un’inezia.
Pierluigi Tarantini
Ho l’impressione che il dibattito scaturito da “Si può ridurre il debito con la crescita?”
abbia prodotto un’inestricabile commistione di temi.
E ciò non aiuta a capire.
Il peccato originale va individuato, a mio modesto avviso, proprio nel pezzo di Aldo.
Per evidenziare quanto, in Italia, il mantra della “crescita che sconfigge il debito” sia la classica cortina fumogena non è necessaria chi sa quale analisi sulla sostenibilità della crescita.
La crescita, ai fini dell’abbattimento del debito, è necessaria ma focalizzare l’attenzione solo su di essa,significa non
chiedersi quanto il debito verrebbe ridotto da una seria lotta all’evasione fiscale.
Impelagarsi poi, perlomeno in questo contesto,
nella complicatissima alchimia sulla sostenibilità della crescita equivale a dimenticare colposamente lo sconcio di un paese nel quale il premier elogia l’evasione fiscale.
E i piagnistei sulla crisi servono ancora meno.
Credo non solo nel vecchio teorema sulla necessità di individuare il nemico ma anche sul corollario relativo al caso in cui di nemici ce ne siano più d’uno.
In Italia abbiamo la “fortuna” di avere ben chiaro chi sia il nemico più pericoloso
del nostro paese.
E non sono certo la finanza internazionale o gli Stati Uniti che fanno il loro onesto mestiere di pescecani.
Pierluigi Tarantini
P.s.
In altri paesi europei la riduzione del debito passa anche attraverso la vendita delle frequenze del digitale terrestre ad aziende telefoniche e televisive.
In Italia l’asta per la vendita delle frequenze telefoniche ha fruttato 4 mld.
Le frequenze televisive sono state regalate.
Immaginate a chi.
daniela lo curto
scusate il mio linguaggio terra -terra, ma io ragiono con le mie azioni di consumatore. Bene, se non mi aumentano le entrate e, anzi , me le riducono col blocco degli stipendi, io, per continuare a vestirmi e non dover mettere sempre gli stessi abiti, aumentero’ sì la crescita, ma non del prodotto italiano , bensì di quello cinese. . .Mi dispiace, ma è esattamente quello che succede alla gente
Maurizio
Gentile Aldo,
concordo, fondamentalmente, sul fatto che l’invocazione della “crescita” sia diventato un mantra bypartisan ed, in un certo senso, pour cause, sebbene per ragioni connesse ad equivoci, illusioni o pie speranze… Ideologie.
Per come la vedo io, l’esplosione del debito pubblico (“rendita” per i capitali) insieme alla crescente “finanziarizzazione”, in certa misura sempre esistita e quindi alla esplosione della bolla creditizia, è connessa alla striciante crisi di sovraproduzione ormai in fase conclamata. Chiedere o auspicare che ci sia una nuova ripresa del livello di crescita coincide pressapoco con l’invocare la possibilità che si possano determinare condizioni per una ripresa dell’estrazione di plusvalore “produttivo”, senza accettare di fare i conti con i limiti che lo scenario di contesto impone e con le conseguenze ordine assai materialmente “politico” a cui questo può condurre (condurrà). C’è un solo sbocco possibile, in queste condizioni, che può preludere ad una possibile ripresa della “crescita” ed è la guerra in una o più delle sue forme note o inedite.
Mi scuso per lo schematismo eccessivo, ma non credo si possa girare troppo a lungo attorno al cuore del problema.
Cordiali saluti