Ricordi di Rossana Rossanda
Con partecipazione e interesse, vi propongo questi due ricordi di Rossana Rossanda inviatimi dagli amici Nico Perrone e Adriano Voltolin. Spero siano di vostro interesse. Buona lettura, Aldo
Ricordo di Rossana
di Nico Perrone
Occorre trovare il taglio, il tono obiettivo. Anche se chi scrive non può mettere del tutto da parte la sua passione politica. E bisogna soprattutto riuscire a interessare, magari a coinvolgere quelli che, da una parte o dall’altra non hanno partecipato. Però non si può negare che la storia del PCI è stata quella di un partito veramente grande: nei progetti, nel coinvolgimento, e nell’avere nemici altrettanto fermi.
In quella storia si è verificata una scissione, nel 1969, dalla quale nel 1971 è nato “il manifesto”, che prima un gruppo politico e poco dopo divenne un giornale quotidiano: impresa temeraria per quei tempi.
Allora anche i partiti erano capaci di avere un’anima, e un’anima l’avevano anche i giornali. Il Manifesto, fu entrambe le cose, ed ebbe un successo elettorale e perfino una vasta diffusione ma restando ai fatti che hanno toccato direttamente la sua sensibilità. Tutta la sua anima aveva il nome Rossana Rossanda. Veniva da Pola, dove era nata il 3 aprile 1924 in una famiglia di militari della Regia Marina. La sua formazione scolastica la compì a Milano, prima al liceo Manzoni, dove ebbe per maestro il filosofo Antonio Banfi (1886-1956). Sempre a Milano, la sua formazione politica la compì invece nella lotta partigiana, e poi nel Partito comunista italiano, il PCI che rappresentava una vera calamita intellettuale per i giovani con la voglia di capire il funzionamento delle cose nel nostro paese, e che soprattutto volevano cambiarle fin dalla radice dei rapporti economici. Non tardò perciò a guadagnarsi la fiducia del segretario nazionale, Palmiro Togliatti (1893-1964), che la volle come responsabile della cultura e come deputato.
Critica nei confronti di una costruzione dell’Europa che si realizzava con meccanismi sempre meno democratici e metteva al proprio centro invece della crescita generalizzata, il rafforzamento di alcuni privilegi.
Naturalmente il passo da tali posizioni a forme di vera e propria vicinanza con la lotta armata che imperversava in quegli anni, era breve. E proprio “il manifesto” ne parlò apertamente in due articoli della Rossana Rossanda, nel 1968. Uno di questi, s’intitolava esplicitamente L’album di famiglia, (ebbe una prima versione sintetica e una successiva più articolata). Vi si riconoscevano molti protagonisti del tempo. Il discorso che il giornale fece sulla DC e le sue responsabilità (marzo 1988), riprendeva questi argomenti in relazione ai drammatici giorni del rapimento di Aldo Moro (1916-1978).
Rossana Rossanda è stata impegnata per tutta la vita nella politica, anche in quella più aspra del dopoguerra, mettendoci dentro però il contributo della sua umanità (quando da tutte le parti si accompagnava sostanzialmente Moro alla morte, lei ebbe parole a favore della trattiva). Aveva una qualità non frequente anche nei giornali: il senso della storia.
Nico Perrone
Una maestra del sospetto
di Adriano Voltolin, Società di Psicoanalisi Critica
La scomparsa di Rossana Rossanda, al di la dei rituali e sciocchi omaggi di cui, anche a sinistra, si farebbe volentieri a meno, propone, ci avrebbe suggerito lei, un tema di rilievo: perché un pensiero critico che, in quanto tale, non devia mai da questa sua natura, alla fine risulta sempre essere un grido nel deserto? E ancora: perché quando l’andamento delle cose nel mondo in questo primo scorcio di XXI secolo stanno confermando le più fosche previsioni del pensiero critico del ‘900, la capacità di pensare in modo diverso diviene sempre più latitante?
La grandezza della Rossanda non sta tanto nell’essere stata una donna fiera del suo essere donna, comunista, critica, curiosa senza tentennamenti, quanto nell’aver continuato a proporre interrogativi su tutti i temi del presente e sulla stessa natura di questa sua ostinata fierezza.
Molti anni fa le chiesi di intervenire ad un convegno organizzato dalla Società di Psicoanalisi Critica: preferì non farlo senza darmi troppe spiegazioni. Pensai che non si trovasse eccessivamente a suo agio con la psicoanalisi che temo lei ritenesse, probabilmente non conoscendone a fondo le vicende dottrinali, un tentativo di rimettere a posto le questioni del singolo senza portare in discussione la sua relazione con il reticolo sociale di cui esso fa parte, pratica questa peraltro fatta propria con ottusa convinzione da tanta parte della psicoanalisi contemporanea. Questo era proprio il tratto che contraddistingueva Rossanda: porre ogni cosa come elemento complesso, da dirimere, invece che come dato di fatto sulla base del quale costruire fantasie ammantate di realismo.
Ebbe a dire in un’occasione Rossanda che il comunismo era stato il sale del novecento, definizione non solo vivida, ma che poneva una discriminante che lei stessa riprese più volte: che le persone fossero uguali e che fosse giusto e sacrosante che coloro che la politica ed i rapporti di produzione ponevano ai margini lottassero per i diritti negati e per retribuzioni decenti, era stata la buona e bella idea che si era chiamata comunista. Il comunismo poi inteso come realizzazione di un certo programma da parte di un partito che in questo programma riconosceva un obiettivo da raggiungere, era quel comunismo che aveva fatto grandi errori disse. Quando vi fu la rivolta ungherese nel 1956 Rossanda sottolineò che quelli che si battevano, armi alla mano, contro i sovietici che occupavano Budapest e contro il partito che li sosteneva, erano operai. E questo significava pur qualcosa. Dodici anni dopo, la critica del gruppo del Manifesto alla repressione della primavera di Praga riproponeva la questione e per questo gruppo non vi fu più posto nel PCI.
Il nuovo che si propone sulla scena sociale e politica non va mai liquidato come sbagliato semplicemente, bensì deve essere indagato per capirne la formazione, le spinte dalle quali proviene, la funzione che svolge. In altri termini ciò che proponeva come metodo Rossanda era molto simile a ciò che propone la psicoanalisi freudiana quando riesce a porsi come interrogazione piuttosto che come risposta: di ciò che non va, che appare o è cattivo, che cosa non sono stato in grado di cogliere e che cosa continuo a non capire?
Non solo la rivolta ungherese e l’invasione della Cecoslovacchia Rossanda propose come temi dei quali non si potevano ignorare la portata e le implicazioni: così fu per la ristrutturazione capitalistica degli anni sessanta e per il movimento del ’68.
Fece molto scalpore l’affermazione della Rossanda a proposito delle azioni delle Brigate Rosse ove si affermava che queste azioni stavano anche nell’album di famiglia del PCI. Il rifiuto sdegnato di questa idea da parte del PCI, era il 1978 e su l’Unità fu Emanuele Macaluso a condannarla, non solo non riconosceva un pezzo di storia dei partiti comunisti all’epoca di Stalin e Zdanov, ma soprattutto si impediva di cogliere altri aspetti di della storia dello stesso PCI legati alla lotta armata contro il nazifascismo nel biennio 1943-45 e alla relazione tra lotta partigiana e conflitto di classe che, come hanno messo in luce gli storici Luigi Borgomaneri e Santo Peli, non solo fu questione densa e spinosa, ma si protrasse almeno fino agli inizi degli anni cinquanta.
Ciò che possiamo e dobbiamo far nostro di Rossana Rossanda è questo suo rimanere ostinatamente attaccata all’idea che una cosa appare semplice, ma questa semplicità è un risultato di un processo e l’indagarlo è ciò che ci consente di capire il tempo in cui viviamo ed il nostro stesso agire. E’ questa l’essenza del pensiero dei maestri del sospetto, come Ricoeur ha chiamato Marx, Nietzsche e Freud. Tre comunisti? In che modo Rossana Rossanda era comunista?
Adriano Voltolin
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