Riannodare i fili del pensiero a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre.

Pubblico volentieri il contributo del mio amico Amedeo Maddaluno anche per riprendere il discorso sul centenario della rivoluzione d’ottobre. A.G.

Per una geopolitica dell’Imperialismo e del Capitalismo.


Il secolo trascorso dalla Rivoluzione d’Ottobre ci spinge ad interrogarci non solo su quanto di valido ci fosse nelle categorie intellettuali, nelle analisi e nei concetti del socialismo “classico” e rivoluzionario e del marxismo (inclusa ovviamente la sua accezione leninista) ma anche su se e come tali categorie e concetti possano farsi strumenti di lettura e comprensione del presente e di lotta politica per il futuro. Una delle categorie che non ha nemmeno avuto la dignità dell’accusa di desuetudine ma che è semplicemente caduta nel dimenticatoio politico è quella di “imperialismo”. Dell’imperialismo – e ancor più, del suo essere espressione di un determinato sistema economico – non si parla semplicemente più.

I due grandi maestri del pensiero socialista che ne hanno approfondito le tematiche geopolitiche sono stati, mutatis mutandis e mutato tempore, Vladimir Lenin e Immanuel Wallerstein. Il primo, in un’opera di strabiliante attualità (“L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”) comprese come il capitale, raggiunto l’apice della possibilità di profitto in un dato mercato, abbia bisogno di espandere il profitto stesso procurandosi mercati nuovi, ambiti economici spaziali dai quali estrarre materie prime e lavoro a monte di quella che oggi chiamiamo “catena del valore” e nei quali riesportare merci, prodotti finiti e servizi a valle della medesima. Per le spicce, i suddetti mercati il capitale se li conquista con le buone o con le cattive, con la penetrazione commerciale, con l’intromissione e la sobillazione, con l’appoggio a regimi amici, con i cannoni e i carri armati, sempre appoggiato dal potere politico sinergico col capitale stesso (con buona pace dei liberisti il mercato non è “stato di natura” ma creazione della politica e delle sue leggi, come hanno dimostrato studiosi non marxisti del calibro di Sombart, Polanyi, Simmel). Il secondo (classe 1930), sull’onda lunga dei grandi storici economici come il Braudel, è il grande sistematizzatore dell’analisi dell’economia globale – e globalizzata! – nella seconda metà del ventesimo secolo e propone una divisione degli spazi e delle economie tra “centri”, “semiperiferie” e “periferie”. Nel pensiero di Wallerstein l’economicismo di matrice marxista discende e si declina compiutamente nello spazio. L’economia diventa geopolitica, cioè relazione tra politica, economia, strategia e dimensione geografico/spaziale. E’ proprio un pensatore borghese – diciamolo pure: reazionario – ma di sicura arguzia che risponde al nome di Edward Luttwak a sancire questo recupero di fine ‘900 della relazione tra dimensione geopolitica e dimensione economica coniando addirittura il termine “geoeconomia”. Edward Luttwak è uno studioso di strategia esponente della destra americana, propugnatore dell’egemonia a stelle e strisce. Si dice che la Storia non insegni nulla ma non perdoni nemmeno chi non sa imparare da lei, ed essa infatti ci ricorda come spesso siano proprio gli esponenti più scaltri della destra culturale a servirsi di validi strumenti concettuali che una certa sinistra ha avuto fretta di rinnegare.

L’imperialismo, dunque. La finanziarizzazione dell’economia, esattamente come i suoi fenomeni gemelli, la digitalizzazione e la globalizzazione, altro non è che naturale evoluzione e sbocco del capitalismo alla ricerca di profitto. Senza anche solo uno di questi fenomeni non potrebbe sussistere la triade intera. La triade formata da digitalizzazione, globalizzazione e finanziarizzazione poggia su di un’infrastruttura politica data dalla pax americana stabilita su buona parte dell’ecumene. L’imperialismo capitalista, la ricerca di sempre nuove fonti di materia prima e lavoro a basso costo e di sempre nuovi mercati di sbocco subordinati al proprio sistema produttivo si sostanzia spesso di cannoni e carri armati e di conquiste spaziali e subordinazione imperialista di interi territori e stati, ma poggia oggi anche su di un’infrastruttura molto più raffinata. La moneta globale è il dollaro, la piazza finanziaria sulla quale il dollaro viene investito e moltiplicato è quella di New York, le infrastrutture digitali su cui corrono la finanza e la “nuova economia” – fatte di software, di cablature, di computer, di indirizzi internet – hanno in buona parte centro nevralgico in territorio americano. La dematerializzazione dell’economia è una delle principali truffe ideali del nostro tempo: tutto rimane così dannatamente fisico!
La potenza del dollaro è data dal fatto di essere principale valuta di riserva globale e mezzo di scambio delle materie prime mondiali. Questo permette agli Stati Uniti d’America di produrre liquidità all’infinito per sostenere i propri consumi: il mondo acquisterà sempre dollari e titoli del bilancio americano e assorbirà sempre l’inflazione americana al fine di concedere agli Stati Uniti la prosperità necessaria ad acquistare le merci del mondo stesso. L’imperialismo, dicevamo, cerca nuovi mercati di sbocco, e infatti l’imperialismo britannico cercava mercati: quello americano E’ IL mercato. A propria volta, con quei dollari, gli americani possono sostenere il più grande apparato militare della storia, a sostegno appunto del proprio potere politico che rende il dollaro moneta affidabile, la più affidabile. Il cannone sostiene la moneta che finanzia il cannone medesimo e l’impero globale si autoalimenta. Direttamente inseriti nell’impero americano e sotto l’ombrello militare statunitense troviamo buona parte dell’America Latina, l’Europa e i paesi NATO, Israele, le petromonarchie arabe e molti paesi dell’Asia Pacifico – dal Giappone alle Filippine, dall’Australia alla Corea del Sud.

Definiremo quello americano come “Imperialismo Infrastrutturale”: non è questo l’unico tipo di imperialismo contemporaneo. Ve ne sono almeno altri due: quello mercantile tedesco e quello feudale dell’Arabia Saudita, tutti e due nell’alveo dell’infrastruttura americana: per quanto gli interessi dei tre imperialismi siano di frequente persino confliggenti essi non arrivano mai a negarsi o ad autoescludersi. L’imperialismo tedesco è un imperialismo da un lato postmoderno – rinuncia tendenzialmente alla forza delle armi – dall’altro estremamente antico e, appunto, mercantilista. Si fonda su tre capisaldi: l’innegabile qualità delle manifatture tedesche, l’euro, e la svalutazione del lavoro tedesco. Del primo caposaldo non vi è da discutere. Quanto all’euro, garantisce che tutti i paesi europei siano con la Germania in regime di cambio fisso, che gli avanzi commerciali tedeschi non causino la rivalutazione della moneta germanica da un lato e che i paesi dell’area euro non possano difendersi con svalutazioni dall’altro. La moderazione salariale praticata in Germania, la massiccia importazione di forza lavoro immigrata a basso costo e la precarizzazione del mercato del lavoro domestico permettono di mantenere basso sia il potere contrattuale di lavoratori locali sia il livello di consumi e quindi di importazioni garantendo alla Germania un continuo surplus commerciale che stritola e sottomette le economie degli altri paesi europei, in barba alle regole europee (ah, la Germania delle regole!) contro l’eccessivo surplus. Il terzo tipo di imperialismo, quello praticato dall’Arabia Saudita, è il più arcaico, basato sulla forza delle armi fornite ai movimenti jihadisti internazionali, sui petroldollari usati per destabilizzare paesi nemici e “acquistare” le finanze pubbliche dei paesi utili, nonché sulla diffusione di una visione dell’islam sunnita che definire oscurantista è ormai ben più che eufemistico.

L’imperialismo americano e quello tedesco, con l’iperfinanziarizzazione dell’economia da un lato e l’imposizione di un modello fatto di precarizzazione del lavoro, moderazione salariale e austerità di bilancio dall’altro hanno già compromesso in Occidente i diritti dei lavoratori, in primis il diritto stesso ad un lavoro. L’imperialismo saudita comprometta la nostra stessa sicurezza ed incolumità fisica, diffondendo l’ideologia fondante il terrorismo islamico. Questi tre imperialismi e le logiche su cui si basano sono nemici dei lavoratori: di più, sono nemici della nostra pace sociale e in ultima analisi del nostro stesso capitale e della nostra indipendenza come paese. Come mai la sinistra non si serve di categorie di lettura geopolitiche della realtà in cui opera, nonostante si possa agevolmente dimostrare che la geopolitica e la strategia, ben lungi dall’essere solo e soltanto scienze “di destra”, trovino fondamento anche nel pensiero dei maestri della sinistra? La cultura di destra si è servita della geopolitica, sviluppando il pensiero geopolitico ad alti livelli e questo deve esserle tributato oltre ogni settarismo; se però il tema della nostra riflessione a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre è il modo di “riannodare i fili” della critica della società capitalista, ecco che la sinistra deve essere capace di riannodare questo specifico filo con la propria stessa cultura più genuina.

Amedeo Maddaluno

aldo giannuli, amedeo maddaluno, centenario rivoluzione russa, rivoluzione d'ottobre, rivoluzione russa


Aldo Giannuli

Storico, è il promotore di questo, che da blog, tenta di diventare sito. Seguitemi su Twitter o su Facebook.

Comments (18)

  • Caro Amedeo,
    complimenti davvero per questo contributo, molto chiaro e approfondito nei contenuti. Un unico appunto: estenderei la critica all’economia politica, utilizzando la categoria leninistica di imperialismo, anche a Repubblica popolare di Cina e Federazione Russa. Non sarebbe, ti assicuro, la riproposizione dell’ennesimo cliché dei “comunisti più comunisti dei comunisti”: sarebbe, anzi, un primo passo verso quella che Confucio definiva “la rettificazione dei nomi”. E, a mio avviso, di imperialismo vale la pena parlare, premesso che in entrambi i suddetti Paesi non esiste né proprietà sociale dei mezzi di produzione, ma tutt’al più un capitalismo monopolistico di Stato, né un’economia di piano, ma quella che – con maggiore decenza e onestà intellettuale – nelle vecchie socialdemocrazie chiamavano “programmazione economica”, premesso che, sia esso il “soft power” della Nuova Via della Seta, sia esso lo “hard power” della Kuznecov a spasso per il Mediterraneo o del nuovo asse con la Repubblica Islamica dell’Iran, i loro interessi all’estero coincidono con, piuttosto che auspicano in maniera più o meno “stracciona”, un ciclo di espansione economica o apertura di nuovi sbocchi o mercati. Sarebbe davvero interessante affiancare l’ultimo discorso di Xi Jinping a Davos sulla necessità di togliere i protezionismi, con gli stessi argomenti addotti dagli inglesi quasi due secoli prima alla vigilia della Prima guerra dell’Oppio.
    Al netto di questa integrazione alla tua analisi, ecco che l’egemonia a stelle e strisce vacilla verso quello che, con un eufemismo, si definisce “mondo multipolare” laddove, invece, appaiono in modo abbastanza evidente contraddizioni interimperialistiche. Anche in questo caso, non si tratta di fare le pulci a nessuno: meglio, per un comunista, avere il padronato diviso anziché unito sotto un’unica egemonia. Inoltre, uscissimo dalla Nato e chiamassimo subito dopo il signor Cosco lasciandogli in concessione per 30 anni il porto di Gioia Tauro a patto che
    1. costruisca due reti intermodali e ad alta velocità sulle dorsali tirrenica e adriatica fino a Fernetti, Brennero, Domodossola e Moncenisio
    2. lo ripulisca dalla ‘ndrangheta
    penso che non solo accetterebbero, ma farebbero a loro spese anche il pezzo Lecce-Bari!
    Scherzi a parte, è importante ragionare a 360 gradi, proprio per cogliere le contraddizioni nella loro complessità ed interezza e usarle a nostro vantaggio. Detto questo, Да здравствует Великий Октябрь! 🙂
    Grazie e ciao!
    Paolo

    • Ciao Paolo e grazie del commento! Dettagliatissimo davvero. Non è la prima obiezione in merito: perchè non citi Cina e Russia?
      In primis, verissimo: stiamo marciando verso un mondo multipolare… ma non ci siamo ancora. Il mio pezzo analizza e fotografa l’esistente con uno strumento analitico dello leninismo classico (la critica dell’imperialismo) e con le sue riletture del secondo novecento.
      in secundis, la Cina per molti aspetti non è ANCORA una superpotenza e la Russia non lo è PIU’. Possiamo dibattere su quanto durerà questo “ancora” (pochi anni, molti, addirittura sempore? I pareri divergono) e su quanto durerà quel “più” (idem) ma ad oggi, 7 Giugno 2017, è un dato di fatto. La Cina non è al cuore del potere finanziario e militare globale.
      In tertiis, se un imperialismo russo vi è, è limitato all’ex area geopolitica dell’URSS e dei vecchi alleati: parlerei più di “interventismo” di rincalzo. Un imperialismo cinese, pacifico, confuciano e basato su una penetrazione commerciale non imposta ma supportata da “co-sviluppo” e massicci investimenti infrastrutturali si comincia ad intravedere da un decennio ma… è qualcosa di totalmente nuovo rispetto al militarismo americano, all’islamismo saudita e al mercantilismo tedesco per interposta troika 🙂

      да здравствуйте Октябрьская Револуция!

  • L’ egemonia americana è stata o è tuttora la base della “globalizzazione liberista”. Però Trump, almeno a parole, ha avanzato riserve sul libero commercio, difeso invece da Cina e Germania; tali nazioni hanno un surplus nella bilancia commerciale, gli Usa un deficit. Non che per gli Usa sia una novità di questi anni, essere in deficit. Ma davvero possono continuare a stampare dollari o accumular debiti senza problemi, nello scenario creatosi? Vale a dire, niente si muove nel quadro dei rapporti tra imperialismi e nelle loro conseguenze per le politiche economiche degli altri paesi?

    • Molto si muove! “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente” direbbe proprio Mao. Il mio pezzo fotografa l’esistente – e prova a riflettere su un paio di strumenti per il futuro. Aldo, col suo osservatorio sulla globalizzazione, ha in mente qualcosa di molto interessante!

  • concordo, anche se mi sorge un dubbio: i partiti comunisti avevano come fine di raggiungere il potere e ridefinire una società + equa, la domanda è con quali soldi riusciranno i nostri eroi a raggiungere il potere senza essere anacronistici?

  • Strano ‘imperialismo’ quello imputato al massimo contributore al bilancio ‘UE’ (Germania) e a chi garantisce, mettendoci mezzi e soldi, la difesa militare di mezza Europa (USA).
    L’imperialismo islamico non è solo quello dell’Arabia Saudita, ma quello di tutta la ‘confraternita’, Qatar e Turchia in primis. Per sconfiggerlo, insieme agli attentati islamici ormai a cadenza giornaliera anche in quello che fu l’Occidente, il modo più umano è quello di attuare politiche di remigrazione.

    • Non era obiettivo del pezzo elencare gli imperialismi esistenti o “tentati”, bensì analizzare dei normotipi 😉
      Per il resto, chi “ti mette i soldi per difenderti” non necessariamente lo fa per spirito d’umanità…
      Sul rimpatrio in massa dei migranti – ho ben tradotto “remigrazione”? – beh, è il miglior strumento per farsi odiare ancora di più. Ciò detto, bando al mulino bianco: l’immigrazione clandestina andrebbe contenuta, se possible arrestata, ma per operare sul complesso fenomeno dell’immigrazione serve uno sforzo di analisi ulteriore.

  • Venceslao di Spilimbergo

    Buonasera a Lei professore e buonasera anche all’Esimio signor Maddaluno
    Prendo atto dei contenuti della interessante analisi dall’Esimio signor Maddaluno elaborata, per al quale le porgo le mie congratulazioni, ma… da esponente di una fazione politica diversa dalla sua (“Conservatrice” o come si sarebbe detto nel passato “Borghese”) non concordo con alcune parti del suo scritto; in particolare non concordo con Egli su tre punti: l’esistenza di un cosiddetto “imperialismo” Statunitense; l’esistenza di una implicita concordia di fondo tra il “sistema economico” Nordamericano e quello Tedesco; l’auspicio che il mondo politico “Progressista” possa aprirsi allo studio della geopolitica. Per quanto concerne il primo punto ritengo che l’Esimio signor Maddaluno confonda due fenomeni tra loro diversi, unendo in un unico concetto due realtà che invece sono ed esistono indipendentemente una dal altra (solitamente addirittura in antitesi una rispetto l’altra): “l’Imperialismo” in quanto tale (che L’America ha vissuto in alcune fasi della sua storia; ultimo episodio in tal senso la guerra contro l’Iraq nel 2003) da un lato, la natura “Imperiale” degli Stati Uniti (status da essi raggiunto de facto da fine ‘800 e de iure dal 1939-40) dal altro lato. Quello Nordamericano è un Impero che, pur non definendosi tale, si comporta come tutti gli Imperi che nella Storia Umana sono esistiti, ovvero applicando una egemonia militare- tecnologica come fondamento per una egemonia anche economica- monetaria e socio- culturale; tale modo di stare nel mondo (e dirigerlo nel limite del possibile) può anche essere criticato o contestato ma ritengo che sia un errore scambiarlo (come purtroppo sono soliti fare i rappresentanti del mondo “Progressista”) per qualche cosa di ben diverso quale è appunto “l’Imperialismo”. La rivista di geopolitica “Limes” si è in più occasioni occupata egregiamente di questo problema, in particolare se ne è occupato magnificamente il signor Dario Fabbri a cui rimando per maggiori approfondimenti. Per quanto concerne invece il secondo punto invito a consultare le analisi di diversi esperti di geopolitica quali il professor Germano Dottori o i generali Carlo Jean e Mario Mori: dalla fine della cosiddetta “Guerra Fredda” è in atto un progressivo allontanamento tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Federale Tedesca… allontanamento che si sta man mano trasformando in avversione sempre più evidente; questo è dovuto ai diversi interessi cui Berlino e Washington fanno riferimento: se per gli Americani l’obiettivo primario è impedire la comparsa di una forza egemonica diversa dalla loro nell’Eurasia (in quanto metterebbe in pericolo la loro “talassocrazia” globale), per i Tedeschi invece è fondamentale aprirsi sempre più verso Oriente, con lo scopo di accrescere gli scambi economici ma anche politici con la Cina (e la forza militare che in futuro potrebbe rappresentare) e la Russia (con i suoi giacimenti immensi di materie prime e fonti energetiche). Quasi a volersi ripetere nuovamente, la Storia sta creando per la terza volta un abisso fra le due sponde dell’Atlantico e questo non potrà che condurre prima o poi che ad una resa dei conti su chi sia la Potenza di riferimento nell’ambito eurasiatico (e quindi planetario); Germania e Cina (e forse Russia), con il loro tentativo di emanciparsi dalla protezione Statunitense stanno portando inevitabilmente questo mondo ad un nuovo devastante conflitto a cui il Nord America si sta già preparando in anticipo (si veda il riarmo deciso dal Presidente Trump con l’entusiastico favore dei solitamente a lui contrari Congresso e Pentagono). Infine, riguardo al terzo punto, mi si permetta di rifarmi alle parole del professor Caracciolo, secondo cui è quasi impossibile per il mondo politico “Progressista” poter sviluppare un pensiero genuinamente geopolitico: mentre infatti i “Progressisti” (in quanto tali) sono per loro natura tendenti all’internazionalismo e/o al cosmopolitismo (a prescindere che entrambe queste due categorie siano irrealizzabili nella Realtà), la geopolitica invece si fonda sul concetto di Stato Nazione e sulla possibilità da parte di questo ultimo di poter assurgere ad Impero in determinate condizioni storico- ambientali. O i “Progressisti” rinunceranno ad un approccio universale o sarà materialmente impossibile per loro accettare le regole di questa Scienza (e pertanto utilizzarla)… come de facto aveva fin troppo ben compreso Lenin quando, memore degli errori della Rivoluzione Francese, fece di tutto per impedire l’esplosione di altre rivoluzioni nel resto d’Europa (condizione sine qua non per poter sedere a dialogare con gli Stati Nazione Occidentali).
    Scusandomi per il tempo che ho loro sottratto, saluto sia Lei professore che l’Esimio signor Maddaluno… augurando ad entrambi ogni bene e una buona serata

    • Il suo interessantissimo commento non mi sottrae tempo! Anzi! Provo a rispondere punto su punto perchè se lo merita appieno.
      – un impero non imperialista non può esistere (secondo me): l’impero o si espande o collassa. Rimando a un mio dettagliato pezzo in merito: ( https://www.eurasia-rivista.com/il-mondo-che-obama-ci-lascia/ ) e al mio libro ( https://www.eurasia-rivista.com/il-caos-globale/ ). Spero di non essere io a sottrarle tempo!
      – Nel mio articolo non elido i contrasti – anche aspri – tra USA e Germania ma anzi sottolineo come siano due modelli di imperialismo DIFFERENTI. Due imperialismi differenti, uno terrestre ed uno marittimo, per andare ai classici della geopolitica (da Tucidide in poi) possono confliggere tra loro (così come quelli ibridi terra/mare). Provo, nel mio pezzo, ad operare una sfumatura: i due imperialismi NON SI CONTESTANO alle fondamenta ma si dichiarano alleati e parte di un modello “liberaldemocratico/occidentalista” che si inserisce nella medesima infrastruttura capitalista e digitale.
      – terzo punto: ebbene sì… la sinistra ha sempre analizzato il mondo tramite categorie “di classe” e non di spazi… almeno fino al secondo novecento, quando guevaristi e terzomondisti sul piano della prassi, e Wallersein su quello della teoria, innovarono il pensiero. Che dire… si fa fatica. Il mio vuole essere uno stimolo proprio alla cultura di sinistra che una rivista di geopolitica ad esempio non ce l’ha! Ci sono le “laiche” Limes, Affari Internazionali e poi ci sono Eurasia e Geopolitica che sono orientate a destra – e con cui collaboro nella massima libertà e laicità 🙂 ma secondo me Aldo ha in mente qualcosa di nuovo 😉

      • “…quando guevaristi e terzomondisti sul piano della prassi, e Wallersein su quello della teoria, innovarono il pensiero.”
        ___________________________
        La teologia della liberazione, innovazione del pensiero? Tutt’al più del ‘pensiero teologico’ o, nelle parole di Borges, ‘ramo della letteratura fantastica’.

      • Venceslao di Spilimbergo

        Buonasera Esimio signor Maddaluno
        La ringrazio sinceramente per la sua squisita gentilezza nel rispondere al mio commento di tre giorni fa (galateo da altri tempi… da me particolarmente rimpianti). Prendo atto del suo interessante scritto e, pur constatando il persistere di una divergenza di opinioni tra di noi riguardo i concetti di “Impero” e di “Imperialismo” (conseguenza della diversa formazione politica da cui proveniamo, molto probabilmente), per il resto non posso non denotare una vicinanza su altri argomenti. Convergiamo totalmente invece rispetto alla necessità da parte delle forze politiche “Progressiste” di incamminarsi nello studio della geopolitica, strumento indispensabile per comprendere il mondo attuale e futuro; le sembrerà paradossale ma da Conservatore sento la mancanza di una opinione diversa, di Sinistra, sulla situazione mondiale vigente. Convinto di quanto scritto e coerentemente al mio pensiero non posso quindi che augurare ogni maggior successo a Lei e al Chiarissimo professore nella riuscita di un eventuale progetto inerente quella particolare disciplina.
        Ringraziandola nuovamente per la sua cortesia nonché per il consiglio di lettura fornitomi (sono già entrato in possesso del suo interessantissimo libro), la saluto augurandole ogni bene e una buona serata

  • Bel pezzo per andare a spasso nella storia.
    L’affidabilità dei prodotti tedeschi sembra essere più che altro una legenda: sui bordi delle strade si vedono in panne le auto di tutte le marche, tranne che di quelle tedesche, che si vedono oltre la strada. Ci sarà pur un motivo.

  • Come spesso succede, queste analisi “marxiste” mi lasciano perplesso non per quello che dicono, ma per quello che tacciono, negano o minimizzano. Per esempio: la Cina sta trasformando mezza Africa in una sua provincia agricola: come entra nel quadro? E il corridoio economico centroasiatico (con ingenti investimenti strutturali e infrastrutturali) fra Cina e Russia? All’interno del capitalismo mondiale, c’è uno scontro fra “fossili” (Trump, Russia, Arabia Saudita, persino Renzi, nel suo piccolo, con le sue trivelle) e “solari” (l’industria delle tecnologie avanzate delle celle solari, che ha un’enorme possibilità di sviluppo, perché è fisicamente possibile un’efficienza del 90%, e ora siamo a meno del 30%). Se vincono i fossili, avremo centinaia di milioni di profughi ambientali; se vincono i solari, crollano i Paesi del Golfo, il Venezuela, la Libia, la Nigeria, forse anche la Russia. Dulcis in fundo, il tema della sovrappopolazione generale del Pianeta, tema esorcizzato dai marxisti DOC dal tempo della critica (a mio parere unilaterale e sostanzialmente errata) di Marx a Malthus. Per non parlare della domandina: bene, allora che si fa?

    • Buongiorno Giovanni e grazie del suo commento. Per quanto riguarda la Cina la rimando alla prima mia risposta – primo commento del lettore Paolo Selmi. Sul tema energetico: non vedo uno “scontro”, quanto un incontro tra mix energetici diversi. Sul tema sovrappopolazione, è un’emergenza sostanzialmente africana – il che non vuol dire che non vada affrontata perché ogni emergenza africana è un’emergenza europea. Che si fa? La sta appunto affrontando la Cina, portando in Africa vero sviluppo e non facendo come l’occidente colonialista e neocolonialista: prendi i diamanti e scappa. Solo lo sviluppo e la stabilizzazione degli stati africani porteranno quel tot di benessere che innescherà l’arrestarsi dell’emigrazione e la diminuzione della natalità che oramai si intravede anche nel mondo arabo – per tacere dell’estremo oriente.

      Sviluppiamo l’Africa come fanno i cinesi, se ne siamo capaci, e ne avremo ovvi vantaggi (non va fatto per buon cuore ma per buon cervello). Continuiamo a sfruttarli con una mano e a fargli l’elemosina pietista con l’altra e non so cosa sia peggio…

      • Buongiorno Amedeo e grazie della cortese risposta. Mi permetto di mantenere il dissenso: se il costo dell’energia solare scende al di sotto del costo dell’estrazione e della distribuzione dei combustibili fossili, essa butta fuori gioco interi Paesi, con conseguenze inimmaginabili; senza contare che è disponibile in modo più uniforme, e quindi fa crollare – per esempio – l’importanza geopolitica del Medio Oriente. La sovrappopolazione non è un problema solo economico, è anche ambientale, ed è globale: c’è un limite a quante persone possono vivere decentemente e non come formiche sul pianeta. La risposta “la Cina porta sviluppo” può piacere ai marxisti classici e anche ai credenti del “crescete e moltiplicatevi”. A me fa paura: ogni miliardo di persone che si aggiunge, rende sempre più insolubili i problemi. Per non parlare del fatto che la Cina non è esattamente famosa per il suo rispetto per l’ambiente (e per le culture locali). E’ verosimile che tratterà l’Africa meglio di quanto abbia trattato se stessa? Con questo non voglio assolutamente difendere lo sfruttamento occidentale (è la parte che condivido), dico solo che non so se la Cina sia parte della soluzione o del problema. E se il problema abbia una qualche soluzione.

        • Grazie a lei dell’attenzione! Il sole non è uniforme: banalmente, non c’è di notte e non c’è al nord. Vedo, per il futuro, un mix di solare (sempre di più) e di fonti pulite – o meno sporche – che diano energia (tanta e a basso costo) e in ogni momento: gas, idroelettrico e, ebbene sì, ancora un po’ di atomo. Petrolio e carbone hanno fatto il loro tempo: non spariranno domattina ma andranno sempre calando.

          Il medio oriente perderà importanza ma non sparirà dalla mappa geopolitica del globo: Guarda caso, è da otto anni di Obama che si cerca un “pivot to Asia” ma alla fine la storia umana torna sempre lì, nel Levante, il passato che non passa mai, e sa perchè? Perchè il Grande Medio Oriente è lo snodo geografico tra tre continenti. Se vuole costruire un porto o una ferrovia per collegare Cina e Germania, è dal mediterraneo che deve passare, è attraverso la “faglia islamica” che deve muoversi. Non bastasse questo, c’è sempre il gas…

          La sovrappopolazione è un problema, concordo. Rimando però ai dati: nei prossimi vent’anni sarà sempre più un problema africano e sempre meno un problema cinese (la Cina ha tassi di natalità Europei).

          Ancora grazie della sua attenzione e cortesia!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.