Renzi e la sua riforma dell’università.

In una delle sue frenetiche esternazioni, Matteo Renzi ha detto di voler riformare l’università e di pensare al modello americano. Il che farebbe pensare ad un modello ultra privatistico, ma sarà cosi?

Renzi è uno di quei casi in cui il pensiero insegue la parola. Lui la spara, poi cerca di dare un senso a quel che ha detto. Comunque, prendiamo per buono che abbia in testa il modello privatistico degli Usa.

Immagino già le reazioni dell’inutilissima sinistra Pd (che, al solito, farà un po’ di manfrina e poi voterà tutto avendo ottenuto di cambiare colore alla copertina del fascicolo) e della sinistra immobile di Sel, Rifondazione ecc: difesa a corpo morto dell’università attuale. Capiamoci: come ho già avuto modo di dire, il modello statale è in crisi, ma la privatizzazione sarebbe un rimedio peggiore del male. Ma schierarsi a difesa dell’esistente è la mossa più perdente che si possa immaginare.

Il fatto che la sinistra fossile non è capace di immaginare niente altro che l’alternativa fra l’esistente e le riforme neo liberiste, per cui la ricetta solita è “lasciamo stare tutto come sta”.

Tornerò ancora sul tema del superamento dell’università statale (non di quella pubblica: sia chiaro), così come sul modello di università a cui penso, qui cominciamo a dire quello che NON vogliamo:

1. una università per figli di papà, pagata dalle tasse degli studenti che, in mancanza di nobili natali, debbono accendere mutui sanguisuga con le banche (i famigerati “prestiti di onore”) che poi finiranno di pagare alla vigilia della pensione, sempre che ci sia ancora l’istituto della pensione;

2. una università in cui il consiglio di amministrazione sia in mano a quattro finanzieri e due industriali che usino strutture e personale della stessa per i comodi delle proprie imprese;

3. una università che faccia ricerca solo su commissione e stia agli ordini delle imprese private  senza porsi problemi di deontologia professionale, di interessi generali, di tutela dell’ambiente e dei diritti umani;

4. una università ridotta a “centro di addestramento professionale” che prepara “idraulici del diritto” al posto di avvocati, “elettricisti del corpo umano” e non medici, mestieranti delle proprie professioni e non veri ingegneri, architetti, sociologi, economisti, storici ecc…;

5. una università che non rispetti la libertà di chi insegna;

6. una università con un rettore padre-padrone;

7. una università che scambi l’eguaglianza con l’uniformità ed in cui tutto sia appiattito sulle stesse procedure burocratiche, come se i problemi formativi di un architetto, di uno storico, di un chimico o di un politologo fossero gli stessi;

8. una università in cui l’unica forma di didattica sia la solita “lezione frontale” e non si facciano laboratori e nella quale gli studenti non abbiano alcun contatto reale con i docenti;

9. una università in cui si stabiliscono piani di studio assurdi con esami a profusione e totalmente inutili, perché il sindacato ha deciso che tutti devono avere un incarico e quindi occorre moltiplicare materie e corsi di laurea;

10. una università in cui i testi adottati siano sempre e solo del professione che insegna la materia o del professione che porterà in cattedra il professore;

11. una università che decide tutto (da piano di studi all’adozione dei libri di testo, dall’organizzazione del calendario didattico alla scelta dei concorsi da indire)  in funzione delle esigenze di carriera dei professori e delle indicazione dei potentati baronali;

12. una università dove gli studenti fuori sede devono pagare sino a 500 euro  al mese per un posto letto, perché non ci sono case dello studente;

13. una università in cui non si faccia mai alcun tipo di sperimentazione e si pensino profili professionali già superati da anni;

14. una università in cui i professori siano organizzati per soglie di potere (ricercatori, associati, ordinari e mammasantissima) come in un ordinamento militare;

15. una università in cui se lavori i non lavori fa lo stesso perché lo stipendio corre lo stesso;

16. una università in cui tutto, a cominciare dai concorsi a finire a trasferimenti, elezioni alle varie cariche ecc, sia regolato da cupole mafiose;

17. una università in cui si fa ricerca e si pubblica sino a quando non si vince il concorso di ordinario e poi si appende la penna al chiodo;

18. una università in cui i professori ripetano lo stesso programma per 15 anni e non si aggiornino mai;

19.  una università in cui i controllori Rettori, direttori, presidi –quando c’erano- ecc.) sono eletti dai controllati e quindi non controllano niente;

20. una università in cui i non docenti sono trattati come servi;

21. una università mandata avanti da eterni precari che fanno quello che dovrebbero fare i rispettivi “professori”;

22. una università burocratica in cui funziona tutto benissimo sulla carta ed in cui non funziona niente in realtà;

23. una università in cui i docenti impiegano più ore in riunioni di dipartimento, corso di laurea ecc ed a compilare relazioni, registri e carte varie che a fare lezioni o seguire tesisti;

24. una università in cui tutti fanno ricerca ma solo pochissimi trovano qualcosa;

Può bastare? Vediamo se siamo d’accordo su tutto.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (14)

  • Ho smesso di leggere quando sono arrivato a “molti ricercano, ma pochi trovano”. Mi par di capire che le scoperte dovrebbero essere scoperte per editto ed equamente distribuite fra le classi sociali, magari per fascia di reddito e possibilmente equamente distribuite fra le etnie ed i genders che mai si possa dire che bianchi o asiatici scoprono piu’ di neri o arabi.
    Io spero solo che se e quando si fara’ una riforma dell’Universita’ ti terranno ben lontano. Tu il modello Americano (con tutti i suoi difetti) lo conosci solo attraverso chi te l’ha raccontato.

  • Professore per un’università così metterei da parte i miei progetti di nuova vita in Čukotka! Scherzi e renne a parte, d’accordo al 1000%.
    Paolo Selmi

  • Come altro punto ci vedrei bene anche qualcosa del tipo:
    – una università che non sia un “parcheggio”, dove studenti che non studiano possano rimanere tali a tempo indefinito.
    Salvo situazioni eccezionali e adeguatamente documentate, un ciclo di studi andrebbe completato nei tempi previsti con possibilità di sforare un anno, al più.
    Ci sono persone che si laureano ad esempio in ingegneria in dieci e più anni; cosa possono ricordare dell’esame di analisi matematica 1 sostenuto nel primo anno?

  • Mattew, senti a me, pigliati una pastiglia. Tu vuoi fare l’americano, ma sei nato in Italy, come avrebbe detto Renato Carosone.
    Ma chi è il suggeritore delle renzate?

  • Perfettamente d’accordo su come non dovrebbe essere: ma tutti sappiamo che invece è proprio così!
    Cerchiamo allora di puntare – per legge – prima di tutto su un esteso programma di borse di studio, che consenta di frequentare (non semplicemente di iscriversi) anche a chi non ha mezzi propri, pur avendo dei meriti. Imponiamo che le selezioni per le borse di studio si facciano attraverso esami scritti ed esami orali frontali, non con quiz e altre dilaganti stupidaggini. A queste condizioni, la frequenza dei borsisti dev’essere obbligatoria. Gli studenti lavoratori dovranno ottenere invece altri benefici, ma non ridicoli sconti sulle cose da apprendere.
    Imponiamo con leggi chiare (provviste di serie sanzioni) degli obblighi precisi per i docenti (e non si dica che questi obblighi ci sono già, perché sono ridicoli). Imponiamo – seriamente – obblghi di produzione scientifica (in base a parametri internazionalmente riconosciuti) per i docenti, anche dopo il superamento dei relativi “concorsi”, con la condizione della decadenza nel caso di mancato superamento.
    E diciamo subito, con fermezza, che quando una università ha occupato per anni più spazio nella cronaca nera dei quotidiani (quella di Bari ha conseguito in questo campo il record nazionale) che negli annali della scienza, dev’essere chiusa con provvedimento d’autorità. Si pensi che all’Università di Bari, a parte i docenti inquisiti e quelli già condannati, adesso c’è perfino un caso di docente sospeso dall’insegnamento per provevdimento cautelare della magistratura. Insisto: un’università che versi in tali condizioni, va chiusa, perché moralmente non ha nulla da insegnare.

  • Vorremmo una università dove l’accesso sia libero per tutti e non limitato da test d’ammissione. Il diritto allo studio deve essere garantito a tutti. La selezione si fa strada facendo e non dimostrando attraverso un test di conoscere prima le materie che studierai dopo.

  • Marcello Romagnoli

    D’accordo su quasi tutti i punti.

    Sul punto 18 questo poco vale ad esempio (sulla base della mia esperienza) per le materie di base come matematica, fisica, chimica nei corsi dove occorre darne i fondamenti, che sono sempre gli stessi. Diciamo allora non tanto e non sempre gli stessi argomenti, ma si cambino anche i modi di insegnamento, le strategie che devono seguire anche i giovani che cambiano. Nei miei corsi uso tantissimo il PC e le sue possibilità. Se avessi un corso di matematica o di fisica o di chimica pure. Vedo però molti miei colleghi usare ancora il gessetto o non usare le piattaforme che vengono messe a disposizione dall’ateneo. Ovviamente non tutti i corsi necessitano delle tecnologie informatiche. Per i punti 20 e 21 la mia esperienza mi dice che è già così, alcune volte i rapporti di forza si scambiano.

    Il punto 24 non l’ho compreso. Se vuole dire che tutti dicono di fare ricerca ma pochi pubblicano va bene, anche se molti pubblicano e siamo ottavi al mondo come numero di pubblicazioni, se no chiedersi cortesemente una maggiore spiegazione del punto.

    • punto 18: giusto ma il senso della battura è che i docenti (tutti: umanisti matematici ecc dovrebbero aggiornarsi costantemente)
      punrto 24: il senso (riferito suprattutto alle favoltà umanistiche) è che tutti dicono di fare ricerca ma non fanno assolutamente nulla perchè non oubblicano da ere geologiche
      ovviamente poi ci sono quelli che pubblicano ed in ogni caso dovremmo vedere la qualità delle pubblicazioni (essere ottavi, ma dubito che lo siamo, per un paese come l’Italia, con tredizioni universitarie plurisecolari ed un ceto accademico abbastanza numeroso, non è un piazzamento di cui andar fieri)

  • E’ interessante la lista dei 24 generi di università che il prof. Giannuli non vuole. Ne avrei un altro: un’università che sta zitta quando il servizio internet del metaOPAC Azalai Italiano chiude (dal 15 luglio scorso).

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