La riforma costituzionale di Renzi ed il regime in arrivo.
Giornali e Tv parlano, con una certa enfasi, di “approvazione della riforma del Senato e del Titolo V”, in realtà si tratta solo del primissimo passo: l’approvazione in Commissione, dopo di che il ddl deve andare in aula (dove le cose non sono scontatissime), per passare alla Camera, quindi, dopo tre mesi, deve tornare al Senato, per poi tornare alla Camera nuovamente. Sempre che fra un passaggio e l’altro non ci scappi qualche emendamento che fa ricominciare il giro. E non è affatto escluso che non si debba tenere un referendum confermativo, visto che appare poco probabile una maggioranza dei due terzi in entrami i rami del parlamento alla votazione finale. Insomma la strada è ancora lunga. Però è fatto il primo passo, quello più importante, che definisce l’accordo Pd-Fi-Lega con il codino del Ncd (che non si capisce perché voti una cosa del genere da cui ha tutto da perdere e nulla da guadagnare). Lasciando da parte la questione del Titolo V, su cui torneremo con una riflessione specifica, la riforma prevede questi punti.
Il Senato sarà composto da 95 componenti eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato e che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa decisionale sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali, mentre, sulle leggi ordinarie potrà chiederne la modifica alla Camera che, però, non sarà obbligata tenerne conto, con l’unico limite delle leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, per le quali la Camera potrà respingere la richiesta del Senato solo con voto a maggioranza assoluta.
I 95 senatori saranno ripartiti tra le regioni sulla base della popolazione e saranno eletti dai Consigli Regionali con metodo proporzionale (uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco).
I senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica per il quale sarà necessaria la maggioranza del 2/3 sino alla terza votazione (come oggi), del 3/5 nelle successive quattro e della maggioranza assoluta dalla nona in poi (limite assai tenue, visto che basterebbe “mandare in bianco” tutte le votazioni a maggioranza qualificata).
Cambia anche la norma sui Referendum per i quali si richiedono 800.000 firme, con un parere preventivo di ammissibilità, pronunciato dalla Corte Costituzionale dopo le prime 400.000 firme. Poco chiara la norma per la quale i quesiti pur potendo riguardare intere leggi o loro singole parti, dovranno avere “un valore normativo autonomo”.
Per le proposte di legge di iniziativa popolare le firme necessarie salgono da 50.000 a 250.000, ma i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame.
Prime osservazioni: si conferma il disegno di sommare ad una Camera eletta senza preferenze, un Senato con legittimazione di secondo grado, il che già indica un regresso del livello di incidenza popolare sul processo decisionale. Tuttavia, la norma, per cui il parere del Senato sarà sostanzialmente ininfluente sulla legislazione ordinaria, lo definisce come un ente inutile che la Camera ignorerà sistematicamente: anche la maggioranza assoluta richiesta per respingere le richieste di revisione su leggi di interesse del rapporto Stato-regioni non è un limite reale alla volontà della Camera, perché è piuttosto difficile che una legge sia passata senza una precedente maggioranza assoluta e, comunque, la composizione maggioritaria dell’organo (con 354 seggi in mano alla maggioranza di governo) mette al sicuro da ripensamenti di sorta.
Quello che, invece, definisce come dannoso questo nuovo Senato è la piena potestà legislativa sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali. In concreto, se la maggioranza del Senato (cioè dei consigli regionali) sarà dello stesso colore di quella della Camera, farà passare tutto senza fiatare, se, al contrario, prevarrà il colore opposto, realisticamente assisteremo ad un braccio di ferro ostruzionistico fra un contendente con legittimazione di primo grado e l’altro di secondo.
In questo quadro, un peso notevole lo avranno i 5 senatori di nomina presidenziale che, sin qui rappresentavano l’1,5% dell’assemblea, mentre nel nuovo Senato peseranno per il 5,2%, che non è poco. Non ci vuole la zingara per indovinare che le nomine presidenziali dei senatori saranno sempre più “politicizzate” e monocolori, determinando la nascita di un piccolo “partito del Presidente” istituzionalmente tale. Quel che asseconda la tendenza già in atto di un Presidente sempre più interventista e sempre meno “arbitro neutrale”. E questo avrà il suo peso in particolare nei dibattiti di riforma costituzionale.
Le conseguenze più pericolose riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Sinora la composizione del collegio elettorale per il Capo dello Stato prevedeva 630 deputati, 320 Senatori (315+ quelli a vita, lasciando da parte gli ex Presidenti) e 58 consiglieri regionali, per un totale di 1.008 grandi elettori, per cui la maggioranza assoluta era di 505. Già l’introduzione del maggioritario ha sbilanciato fortemente la partita a favore della maggioranza governativa, quello che, però, trovava un limitato contrappeso nel Senato eletto “su base regionale”, per cui la maggioranza di governo era sempre più risicata che alla Camera e nei 58 consiglieri regionali che, pure, non erano necessariamente dello stesso colore della maggioranza governativa.
Nel nuovo Parlamento in seduta comune, che in totale conterebbe 725 membri (non ci sarebbero più i 58 rappresentanti delle regioni ed i senatori sarebbero fortemente ridotti) la maggioranza sarebbe di 363 voti; considerando che con l’Italicum la coalizione di maggioranza disporrebbe già di 354 seggi alla Camera, questo significa che, con il voto di 9 senatori su 95, potrebbe eleggersi il Presidente da sola (e con questo acquisirebbe ulteriori 5 voti nel Senato). Ovviamente, a condizione che il gruppo parlamentare di maggioranza resti compatto e non si decomponga come è successo al Pd nel 2013. Dunque, l’elezione del Presidente sarebbe decisa sostanzialmente da una maggioranza che, con ogni probabilità, rappresenterebbe solo una minoranza degli elettori. Ancora peggio per quel che riguarda i giudici costituzionali, dove, sulla carta, ad una maggioranza di governo d’accordo con il Presidente, basterebbero solo 4 senatori per prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero ad affiancarsi ai 5 di nomina presidenziale. E con 10 giudici bloccati su 15, facciamo dire alla Costituzione tutto quello che ci piace.
Ancora meno tranquilli lascia il fatto che nulla si dica sulla messa in stato d’accusa del Presidente: stando alla lettera del testo costituzionale che resterebbe dopo la riforma, i senatori parteciperebbero come sempre alla seduta del Parlamento in seduta comune che dovrebbe deciderlo ed, ancora una volta, alla maggioranza di governo basterebbero pochissimi voti (in questo caso 9 di provenienza regionale, visto che sarebbe molto improbabile un voto contrario al Presidente da parte di uno dei suoi 5 senatori) per decidere il deferimento del Presidente di fronte all’Alta Corte di Giustizia. Dunque, tutto spinge verso una “diarchia imperfetta” fra Palazzo Chigi ed il Quirinale.
Di fatto, questa riforma, disegna una diarchia imperfetta ma consegna nelle mani della maggioranza governativa non solo Palazzo Chigi, ma anche le due principali istituzioni di controllo e garanzia: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale (ed ha riflessi anche per il Csm). Il che mi pare abbastanza per dire che si avvia un processo di regime.
Non sono mai stato un presidenzialista ed ho sempre sostenuto la forma di governo parlamentare, ma di fronte a questa architettura di potere, constato che sarebbe meglio, decisamente molto meglio, una repubblica presidenziale, magari temperata da un Parlamento eletto con sistema proporzionale.
E tutto questo, con norme che rendono sempre più difficile l’esercizio di quei pur limitati strumenti di partecipazione popolare diretta (referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, ma sul punto torneremo).
Nessun ordinamento costituzionale nel mondo democratico contiene un combinato disposto così micidiale. Siamo ancora in tempo a fermare tutto.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, berlusconi, boschi, fi, lega, parlamento, pd, regime in arrivo, renzi, riforma del senato
e. adamo
ma vuoi mettere….
appena passa la “RIFORMA” usciremo dalla crisi, non ci sarà più disoccupazione e precariato e sarà natale … “due volte l’anno”.
pur condividendone la svolta strategica, mi pare grave che il m5s non faccia chiarezza su questo punto, denunciando la strumentalità e la pericolosità di questa agenda politica imposta dal governo (?) che è una vera e proria arma di distrazione di massa dai veri problemi del paese
Tenerone Dolcissimo
Egregio Professore, mi sembra evidente che stiamo tendenzialmente andando verso una repubblica presidenziale. Il che non sarebbe un male, anzi …. purché il presidente venga eletto direttamente dal corpo elettorale come in Francia. Ma visto che noi non siamo francesi anzi stiamo sempre buoni e manzi.
La mia non sembri un avallo al Berlusca. Da sempre chiedo ad amici rimasti nel cdx come si possa attribuire all’elettore il potere di eleggere il presidente ma non il proprio deputato.
Gerardo
“Siamo ancora in tempo per fermare tutto”. Domanda scontata e banale: in che modo? Ci vuole qualcuno che coordini un movimento di opposizione?
mezzo pensante
è semplicemente l’inizio della dittatura parlamentare.
Donato Cirasola
Condivido quasi totalmente l’analisi. Non condivido quando afferma: “si avvia un regime”. Per me è più corretto: si condoluta il regime.
Cordialmente
Donato
Donato Cirasola
Si consolida il regime. Chiedo scusa
Umberto Baldocchi
Sì c’è ancora un po’ di tempo per fermare tutto, purché non si raggiunga la maggioranza qualificata e resti la pendenza referendaria.
Ma è evidente che queste osservazioni di buon senso costituzionale non hanno diritto di comparire sui media che fanno opinione.
L’opinione pubblica in Italia non esiste più. Bisognerebbe provare a ricostruirla. Forse, per farlo, bisognerebbe anche provare a disegnare le linee guida di una vera RIFORMA che ripristini i principi costituzionali di fronte alla democrazia plebiscitaria di fatto operante dal governo Monti in poi. A partire dalla legge elettorale, valorizzando la rappresentatività vera- quella che esiste coi sistemi maggioritari e quelli proporzionali anche se mescolati tra loro, ma mai con gli ibridi- e che l’ Italia credo non abbia quasi mai avuto dal 1861 in poi. Sono le maggioranze coese perché vere, oneste e sincere quelle che rendono i governi duraturi e stabili in democrazia. Non sono i poteri di comando o di manovra del premier a far questo.
Certo c’è anche l’altro sistema, quello delle dittature e delle oligarchie. In effetti le linee della riforma attuale configurano un regime oligarchico. Che a suo modo “funzionerà”, non temo opposizioni da parte di un Senato delle “autonomie” di facciata. Ovviamente funzionerà per rispondere ai fini che gli oligarchi si proporranno. Ma i fini di un governo chi ha diritto di determinarli?
Se girassimo la domanda al’ italiano medio credo che la risposta sarebbe inquietante.
Quando mai le finalità vere della riforma costituzionale in atto sono state esposte ai cittadini?
La velocità decisionale, il risparmio di soldi pubblici e la governabilità alla speedy Gonzales sono risposte buone per una discussione da bar.
Gli italiani dovrebbero però essere posti di fronte al problema vero dei fini della riforma. Domandiamolo a voce alta a ministri e parlamentari.
Forse si capirà che è l’ora di uscire dai bar.
Cordiali saluti
Umberto Baldocchi
Tepozzino
Più che l’inizio della dittatura parlamentare, mi sembra il disperato tentativo di modellare le istituzioni in modo da renderle quanto più insensibili possibile al paese reale.
Praticamente il Paese legale intende definitivamente distaccarsi da quello reale. Oltre tutto seguendo un tragitto illegale, dato che tutte le riforme sono varate da un parlamento claudicante e saranno promulgate da un Presidente parimenti zoppicante. In punto di legittimità costituzionale, ovviamente.
Mi pare si dimentichi che senza un coefficente abbastanza esteso di consenso del paese reale nessun regime, nemmeno le dittature e le relative istituzioni, sono destinate ad avere lunga vita.
Alberto Zennaro
Chiediamo il contrario di quello proposto da Renzi. Più Sovranità e più democrazia. Leggi popolari con 50.000 firme e obbligo di approvazione entro 6 mesi o referendum entro 12 mesi dalla presentazione.
giovanni
“senza un coefficente abbastanza esteso di consenso del paese reale nessun regime, nemmeno le dittature e le relative istituzioni, sono destinate ad avere lunga vita.”
il fascismo ha affamato gli italiani per 20 anni (lo sa che i sindacati di regime chiedevano spontaneamente ai padroni di abbassare i salari?), e ne siamo usciti solo perchè si è suicidato con la guerra, altrimenti sono assolutamente convinto che Mussolini sarebbe morto di vecchiaia da dittatore in carica come Franco.
Mentre NON sono affatto convinto che dopo il franchismo sarebbe venuta la democrazia
giandavide
“siamo ancora in tempo a fermare tutto”…
ecco, dato che ogni volta che gli astuti 5 stelle si sono mossi per salvare qualcosa, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, cosa ne direste, o furbissimi seguaci del messia genovese, di esimervi almeno per una volta dalla vostra vocazione spirituale di salvare il mondo con peppecrille? se il vostro partito di merda non si sarebbe voluto sostituire a berlusconi per le trattative costituzionali con renzi queste sarebbero rimaste lettera morta, un pò come la riforma elettorale, divenuta da tempo lettera morta, savo poi essere resuscitata con il pretesto del giannulum.
devo dire che ogni volta è una bella lotta decidere se fa più schifo il pd o il movimento 5 stelle: entrambi partiti completamente disinteressati alle sorti economiche del nostro paese (per entrambi la migliore combinazione possibile è che siano i neoliberisti tedeschi a fare le scelte di tipo economico), ma che diventano tutti dei piccoli craxi quando si parla di leggi elettorali, riforme costituzionali, e altra roba che se non si è golpisti come sti stronzacci non dovrebbe manco passare per la testa.
e leggere sti post che parlano della solita fuffa costituzionale come se fosse una cosa con una maggioranza che la vota, e non la solita pagliacciata di renzi e grillo mi sembra una cosa semplicemente incredibile. l’unica spiegazione che mi dò è che nel partito di grillo c’era scritta la data di scadenza ma nessuno l’ha letta, e ora il m5s è scaduto, come un qualsiasi prodotto aziendale di terz’ordine. non mi sorprenderei se tra la fuga generale dell’elettorato non zelota rimanessero in mezzo venditori di fumo come messora, ma che tra questi handicappati ci rimanga il prof giannuli mi sembra una cosa indegna rispetto alle sue capacità
aldogiannuli
giandavide: va bene il M5s nion serve a niente, fa danni ecc, d’accordo. Ma mi sai dire che altro c’è?
giandavide
anzi mi scuso di avere usato il termine “handicappato” sicuramente ci sono delle diffuse tare cognitive nel m5s, ma il problema non è questo in fondo: nel non statuto è previsto che il militante il cervello non lo debba usare proprio: tanto c’è messora che pensa per lui
Paolo Federico
Se il vostro partito di merda non si sarebbe voluto? Rilegga quello che scrive , oppure un ripassino alla grammatica, oh fine conoscitore della cultura occidentale.
Ma si può sapere lei per chi fa?
cinico senese
Purtroppo la partita politica è persa. Grillo diceva o noi o loro. Hanno vinto loro. Col 40% preso alle elezioni,il patto col delinquente scudato da Napolitano, il berluskino Renzi ha vinto il piatto: novello imperatore ha zittito tutti gli oppositori che, si sa ci tengono alla kadrega. Tutti i media lo appoggiamo acriticamente come sotto già un regime. E’ peggio che con berluskoni dove c’era una finta opposizione dei media.
Male faciste a sottovalutarlo….
Lo strumento autoritario non sono tanto le riforme costituzionali del Senato e del titolo V; quanto la legge elettorale che darà il potere assoluto ad una minoranza eletta con un sistema bastardo assoluto nè proporzionale nè maggioritario. Il controllo su tutti gli organi di garanzia è la derivata seconda della legge elettorale. Controlleranno anche le Procure della Repubblica per bonificarle da giudici pazzi anticorruzione e antimafia,a garanzia della immunità totale della casta criminale che deve avere libertà di mandarci in rovina e poi fuggire. Tempo al tempo, arriverà anche quello quando i mezzi di distrazione di massa avranno fatto passare la voglia di pulizia della politica nel popolo (=cd antipolitica). La discussione sulla rediviva immunità dei senatori voluta da tutti è la prova del 9.
Si realizza il peggio del peggio. Altro che P2! Un regime presidenziale governativo dei nominati della casta criminale senza il contropotere di bilanciamento degli organi di garanzia e senza elezione diretta del presidente della repubblica o del capo del governo.
Craxi Almirante Berluska e Gelli erano più democratici perchè volevano la repubblica presidenziale.
Una lezione per tutti noi: vedevamo in quelli dei pericolosi ducetti in doppio petto, invece l’alien ducesco è uscito dalla pancia dell’erede del PCI. La democrazia la sfascia il PD.
Che fare? niente: non esistono possibilità in parlamento per bloccare nulla, l’accordo col delinquente scudato da Napolitano e la paura dei mediocri del PD di perdere la kadrega ha cementato una maggioranza assoluta che andrà avanti colpi di fiducia.
I mass media non informano e stanno dalla loro parte. CGIL e trimurti varie pensano a salvare la kadrega pure loro e stan zittini, caso mai gli togliessero le briciole di potere che restano da pappare. SEL chi è?
Si dovrebbero fare continue manifestazioni in piazza in ogni paese città come ai bei tempi,per riaccendere una opposizione e illuminare la massa dei pecoroni italioti, ma l’unica opposizione è M5* che non farà alcunchè perchè Grillo non ci crede, non è nella sua cultura, non sono organizzati, non hanno i danè a cui han rinunciato (e gli italioti li ha ringraziati del gesto come s’è visto…) e, per me giustamente, Grillo s’è pure rotto le palle di sto popolo di pecoroni.
Si apre un ciclo storico “secolare” cioè di lunghissimo periodo: creare organizzare una opposizione per vincere le elezioni e andare a governare. Che sia M5* o altro è la partita futura. Perchè una cosa è certa: sarà il PD ad realizzare il neoliberismo che ci chiede Markel. E’ necessario che PD resti a governare, si prenda tutte le sue responsabilità e massacri fino in fondo il suo popolo che lo vota. Solo così può cambiare qualcosa.
Il Senato del Presidente – caposele5stelle
[…] “Giornali e Tv parlano, con una certa enfasi, di “approvazione della riforma del Senato e del Titolo V”, in realtà si tratta solo del primissimo passo: l’approvazione in Commissione, dopo di che il ddl deve andare in aula (dove le cose non sono scontatissime), per passare alla Camera, quindi, dopo tre mesi, deve tornare al Senato, per poi tornare alla Camera nuovamente. Sempre che fra un passaggio e l’altro non ci scappi qualche emendamento che fa ricominciare il giro. E non è affatto escluso che non si debba tenere un referendum confermativo, visto che appare poco probabile una maggioranza dei due terzi in entrami i rami del parlamento alla votazione finale. Insomma la strada è ancora lunga. Però è fatto il primo passo, quello più importante, che definisce l’accordo Pd-Fi-Lega con il codino del Ncd (che non si capisce perché voti una cosa del genere da cui ha tutto da perdere e nulla da guadagnare). Lasciando da parte la questione del Titolo V, su cui torneremo con una riflessione specifica, la riforma prevede questi punti. Il Senato sarà composto da 95 componenti eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato e che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa decisionale sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali, mentre, sulle leggi ordinarie potrà chiederne la modifica alla Camera che, però, non sarà obbligata tenerne conto, con l’unico limite delle leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, per le quali la Camera potrà respingere la richiesta del Senato solo con voto a maggioranza assoluta. I 95 senatori saranno ripartiti tra le regioni sulla base della popolazione e saranno eletti dai Consigli Regionali con metodo proporzionale (uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco). I senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica per il quale sarà necessaria la maggioranza del 2/3 sino alla terza votazione (come oggi), del 3/5 nelle successive quattro e della maggioranza assoluta dalla nona in poi (limite assai tenue, visto che basterebbe “mandare in bianco” tutte le votazioni a maggioranza qualificata). Cambia anche la norma sui Referendum per i quali si richiedono 800.000 firme, con un parere preventivo di ammissibilità, pronunciato dalla Corte Costituzionale dopo le prime 400.000 firme. Poco chiara la norma per la quale i quesiti pur potendo riguardare intere leggi o loro singole parti, dovranno avere “un valore normativo autonomo”. Per le proposte di legge di iniziativa popolare le firme necessarie salgono da 50.000 a 250.000, ma i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame. Prime osservazioni: si conferma il disegno di sommare ad una Camera eletta senza preferenze, un Senato con legittimazione di secondo grado, il che già indica un regresso del livello di incidenza popolare sul processo decisionale. Tuttavia, la norma, per cui il parere del Senato sarà sostanzialmente ininfluente sulla legislazione ordinaria, lo definisce come un ente inutile che la Camera ignorerà sistematicamente: anche la maggioranza assoluta richiesta per respingere le richieste di revisione su leggi di interesse del rapporto Stato-regioni non è un limite reale alla volontà della Camera, perché è piuttosto difficile che una legge sia passata senza una precedente maggioranza assoluta e, comunque, la composizione maggioritaria dell’organo (con 354 seggi in mano alla maggioranza di governo) mette al sicuro da ripensamenti di sorta. Quello che, invece, definisce come dannoso questo nuovo Senato è la piena potestà legislativa sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali. In concreto, se la maggioranza del Senato (cioè dei consigli regionali) sarà dello stesso colore di quella della Camera, farà passare tutto senza fiatare, se, al contrario, prevarrà il colore opposto, realisticamente assisteremo ad un braccio di ferro ostruzionistico fra un contendente con legittimazione di primo grado e l’altro di secondo. In questo quadro, un peso notevole lo avranno i 5 senatori di nomina presidenziale che, sin qui rappresentavano l’1,5% dell’assemblea, mentre nel nuovo Senato peseranno per il 5,2%, che non è poco. Non ci vuole la zingara per indovinare che le nomine presidenziali dei senatori saranno sempre più “politicizzate” e monocolori, determinando la nascita di un piccolo “partito del Presidente” istituzionalmente tale. Quel che asseconda la tendenza già in atto diun Presidente sempre più interventista e sempre meno “arbitro neutrale”. E questo avrà il suo peso in particolare nei dibattiti di riforma costituzionale. Le conseguenze più pericolose riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Sinora la composizione del collegio elettorale per il Capo dello Stato prevedeva 630 deputati, 320 Senatori (315+ quelli a vita, lasciando da parte gli ex Presidenti) e 58 consiglieri regionali, per un totale di 1.008 grandi elettori, per cui la maggioranza assoluta era di 505. Già l’introduzione del maggioritario ha sbilanciato fortemente la partita a favore della maggioranza governativa, quello che, però, trovava un limitato contrappeso nel Senato eletto “su base regionale”, per cui la maggioranza di governo era sempre più risicata che alla Camera e nei 58 consiglieri regionali che, pure, non erano necessariamente dello stesso colore della maggioranza governativa. Nel nuovo Parlamento in seduta comune, che in totale conterebbe 725 membri (non ci sarebbero più i 58 rappresentanti delle regioni ed i senatori sarebbero fortemente ridotti) la maggioranza sarebbe di 363 voti; considerando che con l’Italicum la coalizione di maggioranza disporrebbe già di 354 seggi alla Camera, questo significa che, con il voto di 9 senatori su 95, potrebbe eleggersi il Presidente da sola (e con questo acquisirebbe ulteriori 5 voti nel Senato). Ovviamente, a condizione che il gruppo parlamentare di maggioranza resti compatto e non si decomponga come è successo al Pd nel 2013. Dunque,l’elezione del Presidente sarebbe decisa sostanzialmente da una maggioranza che, con ogni probabilità, rappresenterebbe solo una minoranza degli elettori. Ancora peggio per quel che riguarda i giudici costituzionali, dove, sulla carta, ad una maggioranza di governo d’accordo con il Presidente, basterebbero solo 4 senatori per prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero ad affiancarsi ai 5 di nomina presidenziale. E con 10 giudici bloccati su 15, facciamo dire alla Costituzione tutto quello che ci piace. Ancora meno tranquilli lascia il fatto che nulla si dica sulla messa in stato d’accusa del Presidente: stando alla lettera del testo costituzionale che resterebbe dopo la riforma, i senatori parteciperebbero come sempre alla seduta del Parlamento in seduta comune che dovrebbe deciderlo ed, ancora una volta, alla maggioranza di governo basterebbero pochissimi voti (in questo caso 9 di provenienza regionale, visto che sarebbe molto improbabile un voto contrario al Presidente da parte di uno dei suoi 5 senatori) per decidere il deferimento del Presidente di fronte all’Alta Corte di Giustizia. Dunque, tutto spinge verso una “diarchia imperfetta” fra Palazzo Chigi ed il Quirinale. Di fatto, questa riforma, disegna una diarchia imperfetta ma consegna nelle mani della maggioranza governativa non solo Palazzo Chigi, ma anche le due principali istituzioni di controllo e garanzia: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale (ed ha riflessi anche per il Csm). Il che mi pare abbastanza per dire che si avvia un processo di regime. Non sono mai stato un presidenzialista ed ho sempre sostenuto la forma di governo parlamentare, ma di fronte a questa architettura di potere, constato che sarebbe meglio, decisamente molto meglio, una repubblica presidenziale, magari temperata da un Parlamento eletto con sistema proporzionale. E tutto questo, con norme che rendono sempre più difficile l’esercizio di quei pur limitati strumenti di partecipazione popolare diretta (referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, ma sul punto torneremo). Nessun ordinamento costituzionale nel mondo democratico contiene un combinato disposto così micidiale. Siamo ancora in tempo a fermare tutto.” Aldo Giannuli […]
Il Senato del Presidente | NUTesla | The Informant
[…] “Giornali e Tv parlano, con una certa enfasi, di “approvazione della riforma del Senato e del Titolo V”, in realtà si tratta solo del primissimo passo: l’approvazione in Commissione, dopo di che il ddl deve andare in aula (dove le cose non sono scontatissime), per passare alla Camera, quindi, dopo tre mesi, deve tornare al Senato, per poi tornare alla Camera nuovamente. Sempre che fra un passaggio e l’altro non ci scappi qualche emendamento che fa ricominciare il giro. E non è affatto escluso che non si debba tenere un referendum confermativo, visto che appare poco probabile una maggioranza dei due terzi in entrami i rami del parlamento alla votazione finale. Insomma la strada è ancora lunga. Però è fatto il primo passo, quello più importante, che definisce l’accordo Pd-Fi-Lega con il codino del Ncd (che non si capisce perché voti una cosa del genere da cui ha tutto da perdere e nulla da guadagnare). Lasciando da parte la questione del Titolo V, su cui torneremo con una riflessione specifica, la riforma prevede questi punti.Il Senato sarà composto da 95 componenti eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato e che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa decisionale sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali, mentre, sulle leggi ordinarie potrà chiederne la modifica alla Camera che, però, non sarà obbligata tenerne conto, con l’unico limite delle leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, per le quali la Camera potrà respingere la richiesta del Senato solo con voto a maggioranza assoluta. I 95 senatori saranno ripartiti tra le regioni sulla base della popolazione e saranno eletti dai Consigli Regionali con metodo proporzionale (uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco). I senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica per il quale sarà necessaria la maggioranza del 2/3 sino alla terza votazione (come oggi), del 3/5 nelle successive quattro e della maggioranza assoluta dalla nona in poi (limite assai tenue, visto che basterebbe “mandare in bianco” tutte le votazioni a maggioranza qualificata).Cambia anche la norma sui Referendum per i quali si richiedono 800.000 firme, con un parere preventivo di ammissibilità, pronunciato dalla Corte Costituzionale dopo le prime 400.000 firme. Poco chiara la norma per la quale i quesiti pur potendo riguardare intere leggi o loro singole parti, dovranno avere “un valore normativo autonomo”. Per le proposte di legge di iniziativa popolare le firme necessarie salgono da 50.000 a 250.000, ma i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame.Prime osservazioni: si conferma il disegno di sommare ad una Camera eletta senza preferenze, un Senato con legittimazione di secondo grado, il che già indica un regresso del livello di incidenza popolare sul processo decisionale. Tuttavia, la norma, per cui il parere del Senato sarà sostanzialmente ininfluente sulla legislazione ordinaria, lo definisce come un ente inutile che la Camera ignorerà sistematicamente: anche la maggioranza assoluta richiesta per respingere le richieste di revisione su leggi di interesse del rapporto Stato-regioni non è un limite reale alla volontà della Camera, perché è piuttosto difficile che una legge sia passata senza una precedente maggioranza assoluta e, comunque, la composizione maggioritaria dell’organo (con 354 seggi in mano alla maggioranza di governo) mette al sicuro da ripensamenti di sorta.Quello che, invece, definisce come dannoso questo nuovo Senato è la piena potestà legislativa sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali. In concreto, se la maggioranza del Senato (cioè dei consigli regionali) sarà dello stesso colore di quella della Camera, farà passare tutto senza fiatare, se, al contrario, prevarrà il colore opposto, realisticamente assisteremo ad un braccio di ferro ostruzionistico fra un contendente con legittimazione di primo grado e l’altro di secondo.In questo quadro, un peso notevole lo avranno i 5 senatori di nomina presidenziale che, sin qui rappresentavano l’1,5% dell’assemblea, mentre nel nuovo Senato peseranno per il 5,2%, che non è poco. Non ci vuole la zingara per indovinare che le nomine presidenziali dei senatori saranno sempre più “politicizzate” e monocolori, determinando la nascita di un piccolo “partito del Presidente” istituzionalmente tale. Quel che asseconda la tendenza già in atto di un Presidente sempre più interventista e sempre meno “arbitro neutrale”. E questo avrà il suo peso in particolare nei dibattiti di riforma costituzionale.Le conseguenze più pericolose riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Sinora la composizione del collegio elettorale per il Capo dello Stato prevedeva 630 deputati, 320 Senatori (315+ quelli a vita, lasciando da parte gli ex Presidenti) e 58 consiglieri regionali, per un totale di 1.008 grandi elettori, per cui la maggioranza assoluta era di 505. Già l’introduzione del maggioritario ha sbilanciato fortemente la partita a favore della maggioranza governativa, quello che, però, trovava un limitato contrappeso nel Senato eletto “su base regionale”, per cui la maggioranza di governo era sempre più risicata che alla Camera e nei 58 consiglieri regionali che, pure, non erano necessariamente dello stesso colore della maggioranza governativa.Nel nuovo Parlamento in seduta comune, che in totale conterebbe 725 membri (non ci sarebbero più i 58 rappresentanti delle regioni ed i senatori sarebbero fortemente ridotti) la maggioranza sarebbe di 363 voti; considerando che con l’Italicum la coalizione di maggioranza disporrebbe già di 354 seggi alla Camera, questo significa che, con il voto di 9 senatori su 95, potrebbe eleggersi il Presidente da sola (e con questo acquisirebbe ulteriori 5 voti nel Senato). Ovviamente, a condizione che il gruppo parlamentare di maggioranza resti compatto e non si decomponga come è successo al Pd nel 2013. Dunque, l’elezione del Presidente sarebbe decisa sostanzialmente da una maggioranza che, con ogni probabilità, rappresenterebbe solo una minoranza degli elettori. Ancora peggio per quel che riguarda i giudici costituzionali, dove, sulla carta, ad una maggioranza di governo d’accordo con il Presidente, basterebbero solo 4 senatori per prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero ad affiancarsi ai 5 di nomina presidenziale. E con 10 giudici bloccati su 15, facciamo dire alla Costituzione tutto quello che ci piace.Ancora meno tranquilli lascia il fatto che nulla si dica sulla messa in stato d’accusa del Presidente: stando alla lettera del testo costituzionale che resterebbe dopo la riforma, i senatori parteciperebbero come sempre alla seduta del Parlamento in seduta comune che dovrebbe deciderlo ed, ancora una volta, alla maggioranza di governo basterebbero pochissimi voti (in questo caso 9 di provenienza regionale, visto che sarebbe molto improbabile un voto contrario al Presidente da parte di uno dei suoi 5 senatori) per decidere il deferimento del Presidente di fronte all’Alta Corte di Giustizia. Dunque, tutto spinge verso una “diarchia imperfetta” fra Palazzo Chigi ed il Quirinale.Di fatto, questa riforma, disegna una diarchia imperfetta ma consegna nelle mani della maggioranza governativa non solo Palazzo Chigi, ma anche le due principali istituzioni di controllo e garanzia: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale (ed ha riflessi anche per il Csm). Il che mi pare abbastanza per dire che si avvia un processo di regime.Non sono mai stato un presidenzialista ed ho sempre sostenuto la forma di governo parlamentare, ma di fronte a questa architettura di potere, constato che sarebbe meglio, decisamente molto meglio, una repubblica presidenziale, magari temperata da un Parlamento eletto con sistema proporzionale.E tutto questo, con norme che rendono sempre più difficile l’esercizio di quei pur limitati strumenti di partecipazione popolare diretta (referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, ma sul punto torneremo). Nessun ordinamento costituzionale nel mondo democratico contiene un combinato disposto così micidiale. Siamo ancora in tempo a fermare tutto.” Aldo Giannuli […]
Blog di Beppe Grillo: Il Senato del Presidente | Imprese a 5 StelleImprese a 5 Stelle
[…] contiene un combinato disposto così micidiale. Siamo ancora in tempo a fermare tutto.” Aldo GiannuliPS: Non è prevista la partecipazione di Beppe Grillo a manifestazioni di protesta organizzate la […]
giandavide
@ aldo non è che ci deve per forza esserci qualcosa. e al momento non vedo entità politiche all’altezza di ricostruire sulle macerie. ma credo comunque che si possa costruire qualcosa (anche dalla finora poco fruttuosa esperienza dei 5 stelle), basta saper scegliere i materiali giusti
La riforma costituzionale di Renzi ed il regime in arrivo
[…] un combinato disposto cos
dimasi franco
Non è possibile che contestiate l’operato politico democratico del M5S.
Evidentemente non siete in grado di percepire cosa il moVimento vuole.Ebbene sono per l’ONESTA’,TRASPARENZA,GOVERNABILITA’GIUSTIZIA e rispetto della COSTITUZIONE(1948).Infatti questi sono(ce ne sono tanti altri che per brevità di spazio non posso elencare)i pilastri della vita politica italiana che il pd di RENZI e gli altri partiti vogliono cancellare perchè vogliosi di governare solo con leggi “ad personam”, la restaurazione della votazione elettorale(ITALICUM) e l’approvazione dell’immunità parlamentare (ve lo ricordo)ha favorito l’infiltrazione mafiosa in parlamento e la corruttibilità degli appalti pubblici ai deputati e senatori della Repubblica.
Quindi il moVimento si tiene lontano dalle persone”NON ONESTE” e solo con una formidabile vittoria elettorale(70%)delM5S potrà far capire alla cittadinanza italiana che cosa è la GOVERNABILITA’ con persone affidabili e idonee a creare una democrazia partecipata.
Grazie Dimasi franco ANZIO
La riforma costituzionale di Renzi e il regime in arrivo
[…] Fonte: blog di Aldo Giannuli […]
Nazario
Va da sé, che la riforma del Senato, aumenterà il potere di ricatto dei deputati all’interno dei partiti e coalizioni, del tipo: voto la legge se passa questo emendamento, oppure, se passa pure quest’altra legge… Se mi date e fate quello che chiedo… In altre parole, non potendo più essere cambiata in Senato, ogni legge sarà terreno di negoziazione al ribasso, di agguati in aula, di piccole o grandi vendette personali verso la maggioranza… Ma, al di là dei ricatti, le leggi licenziate dalla Camera potrebbero contenere errori, scarsa riflessione sulle conseguenze nefaste sui cittadini… E, se mentre finora, la rilettura al Senato poteva metterci una pezza, in futuro non lo sarà più… Non è esagerazione… L’esperienza lo ha dimostrato e lo dimostra… Chi rimedierà alle future cazzate?
PS – Se la riforma del Senato taglia 215 senatori, per coerenza e logica stessa proporzione di taglio (2/3) dovrebbe gravare sul personale… Cioè passare da 800 unità a 270…
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