India: quali rapporti tra governo Modi e Israele?
Da New Delhi, Daniele Pagani
@paganida
Alla luce della rinnovata volontà di attivismo internazionale del governo Modi, è interessante notare come l’India abbia mantenuto un profilo politico molto basso nei confronti della recente offensiva israeliana a Gaza. Il Ministro degli Esteri Sushma Swaraj ha optato da subito per la diplomazia della neutralità, dichiarando che: “la situazione non cambia; l’India continua ad appoggiare la causa palestinese mantenendo ottime relazioni con Israele. La violenza è sempre da condannare; il governo auspica una soluzione pacifica del conflitto e consiglia alle parti in causa di accettare la proposta di dialogo egiziana”.
Poco dopo l’inizio del conflitto, le opposizioni avevano avanzato la richiesta di un dibattito parlamentare per definire la posizione indiana sul tema, un’iniziativa affossata dallo stesso ministro secondo cui, non essendosi verificato alcun cambiamento diplomatico, la discussione sarebbe risultata una inutile perdita di tempo.
Come spesso accade in politica, però, equidistanza e silenzio sono validi indicatori: la Repubblica indiana e lo Stato d’Israele coltivano da tempo un solido rapporto strategico e commerciale. Il principale terreno d’incontro tra le due nazioni è il mercato degli armamenti: secondo recenti stime, Delhi, nell’ultimo decennio avrebbe acquistato da compagnie israeliane armamenti per circa 750 miliardi di euro, trasformandosi nel principale acquirente dello stato ebraico.
I rapporti tra i due stati non sono però sempre stati floridi e la loro amicizia è storia recente. Nel 1947 l’India, reduce dalla drammatica esperienza del distacco del Pakistan mussulmano, fu tra i contrari alla partizione della Palestina proposta nella Risoluzione 181. Il rifiuto nasceva in seno all’allora dirigenza del Congress Party, convinta dell’elevata problematicità nell’utilizzo dell’elemento religioso come base di’unità nazionale. Nel 1950, un anno dopo aver votato contro l’ingresso di Israele nelle Nazioni Unite, il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru decise comunque di riconoscerne l’esistenza, senza per questo avviare relazioni diplomatiche. La situazione non ha subito evoluzioni negli anni della Guerra Fredda: la politica estera indiana si è svolta principalmente all’interno della cornice del Movimento dei Paesi non allineati (NAM), schierato su posizioni filoegiziane e di riflesso filopalestinesi.
Nel 1974, per esempio, l’India fu il primo stato non arabo a riconoscere l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) come legittimo organo di rappresentanza del popolo palestinese.
La posizione di Delhi cominciò a cambiare rotta con il crollo dell’Unione Sovietica ed il graduale dissolvimento del bipolarismo. Nei primi anni Novanta, in seguito all’avvio del programma di liberalizzazioni economiche iniziato dal Ministro delle Finanze Manmohan Singh, il governo indiano intraprese i primi dialoghi con Israele. Le due nazioni realizzarono di avere più di un interesse strategico in comune, soprattutto verso alcuni paesi islamici: Pakistan in primis.
Alla luce di questo interesse, nel 1997, il presidente israeliano Ezer Weizman decise di recarsi in visita ufficiale a Delhi per incontrare il primo ministro H.D. Deve Gowda. Oggetto principale dell’incontro era la stipula di un accordo significativo per la fornitura di missili terra-aria israeliani Barak-1, che avrebbero fornito alla marina indiana un eventuale strumento di contrasto verso gli aerei antisommergibile Lockheed P-3 Orion e i missili antinave Harpoon forniti dagli Stati Uniti alla marina pakistana. Il buon funzionamento della marina militare indiana rappresenta ancora oggi un interesse sensibile del governo israeliano, bisognoso di un alleato di peso nell’Oceano Indiano (qui un articolo sull’argomento) che sia in grado di garantire sicurezza alle rotte commerciali e sorveglianza verso i paesi costieri ad alto rischio di infiltrazione terroristica.
In merito a questa ultima necessità, risulta importante anche la collaborazione in materia di tecnologia spaziale: nel 2008 l’India ha fornito a Israele a prezzi vantaggiosi la piattaforma di lancio per il satellite spia TecSar, cortesia a cui lo stato ebraico ha ricambiato dopo gli attentati di Mumbai nel novembre 2009, con la fornitura del satellite spia di ultima generazione RISTAT-2.
Il settore militare, però, non è l’unico punto di incontro economico tra le due nazioni: il forte incremento della middle class indiana ha reso il mercato edilizio del Subcontinente molto proficuo, opportunità che non è sfuggita ai grandi costruttori israeliani. Non sembra essere passata inosservata neanche la passione dei miliardari indiani per diamanti e pietre preziose, un mercato in cui le comunità ebraiche ricoprono tradizionalmente un ruolo di primo piano.
La recente vittoria del Bharatiya Janata Party (Bjp) rappresenta una variabile molto positiva per le relazioni tra i due stati: nel 2006, nelle vesti di Chief Minister del Gujarat, Narendra Modi si era recato con successo in Israele con l’obiettivo di avviare fruttuosi scambi in materia di tecnologie agricole e idriche in grado di rendere produttive le ampie aree desertiche dello stato indiano.
Non sono soltanto, però, le ragioni economiche a giustificare la grande soddisfazione di tutti i media israeliani per la vittoria di Modi. Il nuovo capo del governo, come i suoi più importanti ministri (qui un articolo in materia) proviene infatti dalle fila della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), un’organizzazione culturale attiva dal 1925 e caratterizzata da un intollerante nazionalismo religioso. La dirigenza della Rss – nonostante apprezzamenti verso il regime nazista e le teorie sulla purezza della razza – si è dimostrata da subito ammiratrice del desiderio di molti ebrei di costituire uno stato sulla base dell’appartenenza religiosa, schierandosi dall’inizio a favore della nascita di Israele. Il Bjp è espressione della Rss nella politica istituzionale: non è difficile interpretare la soddisfazione espressa per via telefonica dal presidente Netanyahu, poco dopo i risultati elettorali indiani. L’attuale Ministro degli esteri, inoltre, è stata presidentessa del gruppo parlamentare per l’amicizia tra l’India e Israele dal 2006 al 2009.
La Repubblica Indiana, alla luce delle relazioni economiche fruttuose, della condivisione di interessi strategici e della recente cordialità politica è probabilmente l’alleato più prezioso di Israele, anche più degli Stati Uniti attanagliati da problemi economici di non poco conto.
Una posizione ben lontana dalla presunta equidistanza espressa nelle dichiarazioni del Ministro Swaraj.
Da New Delhi, Daniele Pagani
@paganida
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Rinaldin Franco
VIVA LA PALESTINA, VIVA LO STATO DELLA PALESTINA!!!
Germano Germani
Chandra Bose il capo del movimento “India Libera” che combatteva per l’indipendenza dell’India dal colonialismo inglese, era apertamente filo nazista e ammiratore di Hitler; negli ambienti induisti Hitler era visto come una incarnazione di un “avatar”, vale a dire una sorta di divinità. Senza scoradare l’enorme diffusione in India della svastica, che è simbolo sanscrito augurale e di buon auspicio.Stessa popolarità Hitler godeva tra gli arabi;basta ricordare i militari egiziani (compreso Nasser)che erano apertamente filonazisti.Per non parlare dei palestinesi.Quindi evocare continuamente il “male assoluto” vale a dire il nazifascismo, come succede da noi in occidente, è roba da somari,inoltre è merce avariata, buona per la pattumiera della storia.Concludo con il richiamo al fatto che le buone relazioni odierne tra l’India e Israele,sono legate al commercio dei diamanti e alla presenza finanziaria ebraica sempre più egemone. Vale a dire che la volpe perde il pelo ma non il vizio.