Quel che resta del rating
A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.
Che le agenzie di rating americane fossero un canale di direzione –più o meno occulta- della finanza mondiale nelle mani di Wall Street era noto. E non c’era bisogno della chiromante per scopreire che esse hanno (come dire…?) un rapporto …“privilegiato” con l’amministrazione americana. E che l’indipendenza delle agenzie di rating americane dai “poteri fortissimi” fosse solo una favola era chiaro al colto e all’inclita. Ma che non si salvasse nemmeno la forma e che il responsabile di una delle tre potentissime agenzie fosse licenziato in tronco come una colf, su esplicita richiesta del potere politico, era una prova di tutto questo che nemmeno il più sfegatato avversario degli Usa e del rating avrebbe mai osato sperare.
Ma questo finisce di distruggere la credibilità del rating. Immaginiamo che fra qualche mese S&P rettifichi il suo giudizio, restituendo la terza A ai bond Usa, che valore avrebbe questo apprezzamento? Tutti capirebbero che si tratterebbe di un giudizio politico e frutto di un accordo politico. Ma, qualcuno potrebbe obbiettare. la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto e gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A. Ora, a parte il fatto che una manipolazione transitoria di mercato non è cosa impossibile quando si hanno alle spalle la Fed ed il servizio segreto del Tesoro (a proposito, lo sapevate che anche il dipartimento del Tesoro Usa ha un suo servizio di informazioni e sicurezza, vero?, va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.
E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio. Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato. Tutto sta a vedere quanto possa durare questa dinamica in una situazione di questo genere che ha pochi precedenti. Peraltro, anche accettando l’idea che la degradazione dei bond americani sia stata un errore (e che errore, a questo punto!) questo dice quanto poco credibili siano i giudizi del rating. Se il mercato avesse seguiti l’indicazione di S&P, questo sarebbe costato al Tesoro Usa molte centinaia di milioni di dollari. Vice versa, se è sbagliato il giudizio di Moody’s e di Ficht che hanno confermato le tre A, questo significa che le due agenzie manipolano il mercato, consentendo al Tesoro Usa di risparmiare indebitamente quelle centinaia di milioni di dollari.
Chi ha ragione? La questione potrebbe essere ragionevolmente risolta solo esaminando i calcoli delle società di rating ed i criteri che hanno usato per giungere alla loro conclusioni. Ma, qui sta il problema, le procedure delle agenzie di rating, i loro dati, i loro criteri, le loro formule di calcolo, sono segrete. Ufficialmente questo viene spiegato con la necessità di non rivelare i dati che i loro clienti gli hanno fornito per ottenere la “certificazione” del solo stato di solvenza. Peraltro, le stesse agenzie definiscono i loro giudizi come “pareri”, “consigli” che ogni singolo operatore è libero di seguire. Ad esempio, uno Stato è liberissimo di offrire i suoi titoli a basso interesse anche se ha un rating BB, anche se poi bisogna vedere se qualcuno se li compera.
In realtà, il rating appare come un servizio all’acquirente del titolo, ma, nello stesso tempo, fa un servizio anche al venditore che cerca una certificazione del suo grado di credibilità e, per questo, concede la visione dei suoi bilanci e della sua documentazione interna. Il risultato è il regno dell’ambiguità e dell’opacità che rende il rating uno strumento di governo occulto della finanza mondiale (le sue indicazioni, in regime di monopolio, non sono semplici consigli, ma profezie che si autoinverano).
Facciamo ora l’esempio opposto: che fra 6 mesi o un anno, anche Moody’ e Ficht declassino il debito americano, cosa succederebbe? Potrebbe essere un disastro senza prevedenti: S&P avrebbe avuto ragione ed, a questo punto, i mercati potrebbero registrare un effetto slavina nell’uscita dai bond americani, con esiti imprevedibili. Ergo, se anche le condizioni degli Usa peggiorassero molto di più del presente, non è immaginabile che lo facciano, per lo meno non per ora.
Ma, messa così, come si fa a credere ancora a qualsiasi cosa dicano dopo un episodio come quello di Sharma?
Aldo Giannuli
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rick
Ottimo Articolo. La credibilità, il prestigio e la reputazione di queste tre agenzie di rating è pessima. Gli azionisti di maggioranza sono gli stessi grandi investitori che non esitano ad attaccare Stati e imprese quando si diffondono voci su possibili downgrades. Hanno giudicato da tripla AAA tutte le obbligazioni spazzatura (juk bonds) che le grandi banche d’investimento emettevano, impacchettando migliaia e migliaia di mutui subprime di dubbia solvibilità sino al giorno del fallimento di Lehman Brothers (il 15/09/2008). Hanno in mano i destini economici di interi paesi e delle imprese. Una loro decisione negativa può far alzare il costo dell’indebitamento di miliardi di euro e scatenare il panico nelle Borse Mondiali. Sono un’assoluta vergogna, un conflitto d’interessi nel conflitto d’interesse, l’essenza dell’opacità e della mancanza di trasparenza. Oltretutto, ritornando all’articolo, sapete con chi ha rimpiazzato S & P il dimissionario Presidente? Con Douglas Peterson, grande funzionario di Citigroup per 26 anni nella filiale giapponese, una delle banche “too big too fail” – troppo grandi per fallire e troppo grandi per essere smembrate, una delle banche salvate con i soldi dei contribuenti dalla Fed, una delle banche che ha piazzato migliaia di titoli tossici in tutto il pianeta. Il mese scorso, un ex analista sul mercato dei derivati di Moody’s – William Harrington – che ha lavorato per l’agenzia dal ’99 al 2010,ha scritto una lettera di 78 pagine alla SEC (la Consob USA) sui metodi d’intimidazione che i Managers dell’Agenzia usano nei confronti dei propri analisti, per indurli a emettere giudizi positivi o negativi in base ai committenti. Questi sono i metodi usati dalle agenzie nei confronti dei propri dipendenti.
Rosario
Cosa si potrebbe dire che non sia già stato detto? Io, per parte mia, faccio notare che gli investitori veramente grossi non pescano nelle acque stagnanti del rating (i cui giudizi sono equiparabili alle quotazioni sul libero mercato del petrolio): loro vanno a cercare proprio dove la tempesta è più forte ele mareggiate (perdonate la metafora) spiaggiano parecchio pesce con fatica zero. In sostanza le borse oggi sono un gigantesco gioco degli specchi che deformano le immagini a seconda di quello che si vuole vedere. La realtà sta dietro e solo pochi ci guadagnano davvero.
Maurizio Bosco
Gentile Aldo, gli Stati Uniti non conoscono il pudore e su questo siamo d’acordo. Ma sappiamo esattamente quello di cui stiamo parlando? Mi pare francamente di no. Davvero crediamo che quello di S&P sia stato agli occhi del governo USA un “errore”, come la esemplare e plateale “punizione” inflitta dovrebbe pubblicamente attestare? Non credo che sia così. Credo viceversa che il Governo USA abbia intimamente “apprezzato” il regalo del “non errore” di S&P, a cui si è dato di “fare la cosa giusta” fingendo poi, in un battibecco di facciata, che abbia “fatto la cosa sbagliata”. Considerato che quello dei bond americani costituisce ancora, e per ora, un insostituibile volume di investimento per gli investitori mondiali, anche dopo l’innalzamento del tetto del debito (e guarda caso il downgrade è stato decretato dopo il suddetto innalzamento e non prima…), il declassamento del rating è servito sostanzialmente a produrre una “svalutazione” dei valori di scambio sul mercato secondario,del debito già piazzato sul mercato mondiale (ed “in pancia” ai grandi investitori), ancora fortemente “legato” all'”egemonia” dal dollaro e dall’economia USA. Non è un caso che la Cina abbia a sua volta e per ben solidi motivi ed intelligenza dei fatti stigmatizzato l'”errore” di S&P.
Mettiamola così. Diciamo che naturalmente il declassamento del rating non è stato “tecnicamente” un “errore” perchè è chiaro che il debito USA è “tecnicamente” inesigibile (lo era anche prima dell’innalzamento del tetto). Ma il valore di “esigibilità” che un debito può esibire, al di là dell’aspetto tecnico “formale”, dipende assai più materialmente dal grado di confidenza o se vuoi di potenza relativa tra blocchi economici. Mi pare che lei stesso abbia intravisto il fenomeno “reale”: “la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto”, ma non sembra che ne abbia colto il significato essenziale. Infatti, il senso dell’interpretazione non regge e non rende ragione delle aparrenti irragionevolezze: “gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A”. Gli investitori hanno mostrato di credere? Non credo che “gli investitori”, che operano secondo la “ferrea razionalità” del mercato capitalistico, “credano” o “non credano”. Ad esempio la Cina, non “crede” certo alle agenzie, che si tratti di S&P o di Moody’s (questi ulltimi, ben noti avvoltoi di grossa taglia).
L’osservazione obiettiva dei fatti è corretta: “va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.
E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio.” Ma se si cerca di dar conto di nuovo dei fenomeni senza comprender gli snodi fondamentali e dialettici, ecco riapparire nuovamente il “paradosso”: “Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato.” Già, ma non sarebbe allora forse meglio da interrogare questo…”paradossalmente”?
Cordiali saluti.
rick
E’ La forza relativa momentanea del dollaro nei confronti delle altre valute mondiali il significato del “paradosso” di cui sopra. E’ una forza più apparente che reale ma in mancanza di una valida alternativa valutaria ci si rifugia nel dollaro, nonostante esso possa considerarsi carta frusta. Oltretutto gli USA, nonostante il declino economico e morale relativo sul breve periodo (e assoluto sul lungo, invece) sono ancora una superpotenza militare ed economica. Gli investitori sanno che l’Euro è sul punto del collasso: ciò che potrebbe salvare la valuta unica è solamente il varo degli Eurobond, ma questo difficilmente potrà concretizzarsi; perché i paese virtuosi (Germania, Finlandia, Olanda) a livello di conti pubblici dovrebbero pagare almeno due punti in più sui propri titoli di stato, per “salvare” i PIIGS? E oltretutto il varo degli Eurobond porrebbero fine anche all’ultima sovranità rimasta alle strutture statali: la sovranità fiscale, e questo è un punto difficile da far accettare alle proprie popolazioni. Almeno per adesso. Oltretutto, gli stati europei le cui banche potrebbero essere pesantemente coinvolte nel default della Grecia, stanno andando in ordine sparso per salvare il salvabile delle loro banche esposte (vedi Finlandia, Germania, Francia). A riconferma che l’Europa politica non esiste. Perché dare fiducia all’Euro e riversare nell’Eurozona vasti capitali, dato che è una creatura di una ristretta élite di banchieri senza alcun collante politico? L’Europa Unita è una costruzione fittizia, artefatta, immaginaria; questo si riflette nel valore della sua moneta (il valore di una “fiat currency” dipende dalla solidità e dalla credibilità dell’emittente, e l’Europa non ha reputazione alcuna per gli investitori internazionali, non ha una politica estera, una difesa comune ecc.). E su quali altre monete e mercati dovrebbero puntare sul breve periodo gli investitori? La Sterlina Britannica è una pallido ricordo del passato, il Giappone viaggia con un debito pubblico di circa il 223% del proprio PIL pertanto il suo Yen è carta straccia, e il franco svizzero è manipolato al ribasso dalla propria Banca Centrale e oltretutto non vi è un mercato obbligazionario in grado di assorbire la domanda. Altri mercati valutari validi sono quello del dollaro canadese, neozelandese e corona norvegese, ma non hanno mercati di tale ampiezza da poter assorbire l’intera domanda mondiale. Ecco perché ci si “rivolge” ancora al dollaro, acquistando titoli di debito pubblici (T-bill e T-Bond) nonostante il rendimento di detti titoli sia altamente sotto il livello d’inflazione e nonostante il declassamento di S&P (le tre AAA agli USA erano una vergogna assoluta).
Maurizio Bosco
Gentile rick, sono sostanzialmente d’accordo con le sue considerazioni, che sono esattamente in linea con le mie.
La questione, però, che ho cercato di porre in eveidenza, commentando l’articolo di Giannuli, si riferiva ala fatto che nel porre al centro della lettura la questione della “credibilità” delle agenzie di rating, si perdeva di vista il cuore del problema.
E cioè che, come io credo, il declassamento di S&P (tecnicamente corretto) abbia avvantaggiato di fatto ( e non per caso..)la strategia USA di sostenere l'”egemonia” del dollaro, che come lei stesso correttamente riassume è fondata su “rapporti di forza” non meramente “contabili”. Perfettamente d’accordo anche sul quadro della situazione europea. Le “notizie” dell'”ultim’ora” mostrano un ulteriore avvitamento del “cappio” che si stringe attorno all’area euro con una nuova spira “atlantica”. Le banche centrali europee, britannica e svizzera, in clamorosa congiunzione con quella giapponese(!) si uniscono alla BCE, in un formidabile “quantitative easing”, stile FED ed a vantaggio del sistema bancario (!!), di …dollaroni sonanti. Coasì, mentre le monete, dollaro in testa, si fanno “guerra” svalutando, lo stesso dollaro strappa un altro margine nella posizione egemonica, spingendo un po’ più in la il momento della resa dei conti nella battaglia valutaria mondiale. Il prossimo “salvataggio”, se mai ce ne sarà uno temo non potrà più farlo la BCE, se non come articolazione dell’FMI.
rick
Caro Maurizio,
condivido quanto da te affermato sia in precedenza che nell’ultimo tuo commento. Il dollaro USA, brilla non per valore intrinseco ma per la debolezza delle altre valute principali di riferimento. La questione è effettivamente “paradossale”: quale altra nazione può permettersi un deficit di bilancio alle stelle, un debito pubblico siderale e in continua ascesa (e un downgrade dello stesso) , un deficit cronico della bilancia estera (maggiori importazioni rispetto alle esportazioni)e nonostante tutto ciò, mantenere tassi ufficiali di sconto ai minimi storici e nel contempo “attrarre” capitali verso i titoli di stato? Nessun’altra potenza è in grado di imporre queste condizioni al resto del mondo. Gli USA, in virtù del fatto che sono un impero, possono permettersi (per ora) di calamitare detti capitali nonostante tassi a zero e un clamoroso downgrading della più importante agenzia di rating internazionale. La ragione sta nel fatto che sono riusciti a imporre il dollaro come valuta di riserva internazionale. Pertanto, non solo gli investitori internazionali vedono il dollaro come valuta rifugio e ci si buttano a capofitto, ma tutte le banche centrali del mondo sono costrette a ricorrere al dollaro come valuta di riserva: ogni nazione è “costretta” a detenere riserve in T-Bonds o in dollari americani alimentandone la richiesta, pertanto contribuendo al paradosso di cui sopra: la domanda delle varie Banche Centrali di dollari e titoli di stato mantenine artificiosamente alto il corso del dollaro e bassi i tassi d’interesse a livello centrale(nonostante da anni a questa parte il dollaro USA sia in verticale calo contro tutte le valute mondiali). La questione fondamentale è? Quanto potrà durare questo “PARADOSSO”? Io ritengo che l’argomento delle valute di riserva sia il tema principale dei prossimi mesi: probabilmente, il “bailout” ovvero il salvataggio dell’Euro di cui tu parlavi, avvenuto di concerto settimana scorsa tra le maggiori banche centrali (perché in effetti si tratta di un salvataggio della FED nei confronti dell’Eurozona – la FED metterà a disposizione delle istituzioni finanziarie, nei prossimi mesi, qualche cosa come 700 miliardi di dollari- a carico del contribuente americano) in combinazione con una girandola di scadenze fiscale del triennio 2012-2014 di cui ci parla Aldo nel suo libro (2012 la grande crisi) accentuerà la caduta del dollaro americano, rimettendo sul tappeto la questione della valuta di riserva internazionale. Con i prossimi G20 i paesi del BRIC (Brasile, Russia, Cina e India) chiederanno formalmente e concretamente l’istituzione di una NUOVA valuta di riserva, che sostituisca nel lungo periodo il dollaro americano. La questione è già stata posta ma mai affrontata in modo tangibile (vedi i Diritti di Prelievo). La riforma della valuta di riserva ritornerà presto d’attualità (come la riforma della governance del FMI che non può rimanere un club dei benestanti). Ed è probabile che arrivino (nel breve periodo) altri downgrading del debito pubblico USA, ponendo fine al dominio valutario statunitense. E ponendo fine al paradosso di cui parlavi. Gli Stati Uniti perderanno il Signoraggio del dollaro su tutte le altre valute (la possibilità di stampare a costo zero la propria carta moneta e imporla come valuta di riserva). Se vorranno ancora polarizzare capitali verso gli USA dovranno alzare il tasso ufficiale di sconto, ma questo causerebbe loro una crisi economica di proporzioni inaudite. Pertanto, manterranno ugualmente bassi i tassi, i capitali defluiranno dagli USA dando il via a un lungo periodo di inflazione galoppante. Il grande problema starà nella rapidità di questo corso: se fosse troppo celere andremmo incontro a una spaventosa crisi finanziaria. I BRIC lo sanno, sono consci della loro accresciuta influenza economica e vogliono che il processo sia graduale (i creditori non hanno interesse a strozzare rapidamente i loro debitori). Il 2012 sarà l’anno del “redde rationem” per la valuta USA.
Gustavo Gesualdo il cittadino x
Downgrade italia : Standard & Poor’s taglia il rating italiano
A dire il vero, il preannunciato taglio del rating italiano lo attendevo per il 17 settembre, conseguentemente alla estromissione di Unicredit Banca e Intesa Sanpaolo dall’Euro Stoxx 50, avvenuta in data 15 settembre ed alla ridicola comica politica delle manovre finanziarie annunciate. modificate, eliminate, ritirate, ripetute, di cui nessuna ha colto nel segno delle richieste dei mercati internazionali e dei paesi europei “amici” dell’italia, quelli che sarebbero chiamati a rispondere del debito pubblico italiano in caso di default definitivo del sistema paese italia.
Invece, è Standard & Poor’s a determinare l’annunciato downgrade italiano, nonostante il tentativo di intimidazione partito proprio nei confronti delle due più importanti agenzie di rating internazionale (Moody’s e Standard & Poor’s) proveniente dalla Procura della repubblica italiana di Trani che aveva avviato un fascicolo sulle due agenzie americane, sotto la spinta di denunce generiche di associazioni di consumatori italiane e di un loro omologo greco, denunce che favoleggiano di un «atto criminoso organizzato dalla mafia finanziaria internazionale».
Ma il tentativo italo-greco (ma guarda caso, proprio i due paesi maggiormente a rischio default in Europa …) non ha intimidito le agenzie di rating, che hanno continuato ad analizzare i continui errori del governo italiano nel rispondere alle richieste esogene al sistema italia che chiedevano contrazione significativa della spesa pubblica (che invece è aumentata!), contenimento e diminuzione del debito pubblico, varo effettivo delle riforme strutturali, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, indirizzi peraltro giù contenuti nel programma della maggioranza di governo e puntualmente quanto volontariamente disattesi dalla casta politico-burocratico-partitocratica italiana.
Ma le caste corporative che effettivamente governano il paese hanno impedito ogni sostanziale modifica del loro status quo, ogni possibile perdita di potere e di ricchezza raggiunto sinora, aprendo la strada al downgrade di tutto il sistema paese.
La casta dominante non ha varato nessuna manovra “lacrime e sangue” che diminuisse di almeno la metà l’enorme, inutile ed ingiustificato numero posti di lavoro pubblici, delle poltrone, dei privilegi e dei costi della casta politica, condannando così l’italia ad un fallimento annunciato.
Ed è proprio un fallimento annunciato e non contrastato del sistema italia quello di cui assistiamo oggi.
A vuoto sono andati i richiami continui e pressanti delle agenzie di rating internazionale, della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea, e di autorevoli leader politici e di governo europei che richiamavano il governo italiano al proprio dovere, come pure numerosi e continui sono stati i moniti indignati partiti dalle parti sociali come il potente sindacato degli industriali italiani e le numerose grida allarmate provenienti dal libero mondo del web, a partire proprio da questo blog.
Ma la casta politica ha fatto finta di non udire il grido di dolore che partiva dal basso e nemmeno i richiami provenienti dall’alto, ed ha praticato procedimenti inutili che avevano il solo scopo di procrastinare e ritardare le scelte difficili e coraggiose che il momento imponeva.
Con tali comportamenti, la casta si è resa colpevole e responsabile in toto di questo fallimento annunciato, come pure ha contribuito grandemente e gravemente alla continua e massiccia perdita di credibilità del sistema italia, già depresso dalla continua e dilagante corruzione politica e burocratica, dalla oppressione e dai condizionamenti delle numerose organizzazioni mafiose operanti in tutto il territorio italiano, dalle ampie fette di mercato economico e produttivo illecite o illegali, dal mondo del lavoro nero, dalla intollerabile pressione fiscale che grava su famiglie ed aziende italiane, dalla enorme evasione fiscale che grava sui conti pubblici, dall’impossibile degrado delle società meridionali e napoletana in particolare, responsabile di gran parte della caduta di credibilità del paese, anche a causa della infinita emergenza della monnezza napoletana e della extra territorialità concessa ai napoletani in tema di rispetto della legge.
Ora, il sistema esogeno a quello italiano ha fatto la prima mossa, declassando il rating italiano e limitando l’acquisto dei BTP italiani.
La casta politica italiana è avvisata:
ogni errore d’ora in poi, sarà pagato da chi lo commette.
La casta politica italiana è avvisata:
il popolo non può essere raggirato ancora, nemmeno una volta, mai più.
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X
rick
Assolutamente d’accordo con quanto scrivete sulla Casta. L’analisi è puntuale e incisiva. Ma torniamo al senso dell’articolo di Aldo “Quel che resta del rating”. Chiediamoci? A chi sono funzionali dette agenzie? Da chi sono controllate? Le agenzie, soprattutto le tre ‘grandi’ (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch), sono partecipate da investitori che – date le dimensioni dei loro interessi – ricevono benefici o danni dalle oscillazioni del mercato. Gli azionisti di queste agenzie sono grandi gestori di fondi obbligazionari e azionari statunitensi (Berkshire Hathaway, Fidelity Managemente, BlackRock Global Investors, McGraw-Hill Company ecc. Pertanto i gestori dei fondi sono azionisti delle stesse agenzie che votano i bond!
Sono fraudolente società che si fingono super-partes; in realtà agiscono da “insiders”, informano anticipatamente alcuni fondi sulle valutazioni da emettere(in violazione a tutte le norme e regolamenti), orientano le politiche dei governi tramite gli abbassamenti di ratings ecc. Il fine? Razziare gli assets mobiliare e immobiliari di una nazione sottoposta al downgrading. Queste agenzie, con la corporate governante attuale, servono solo a rendere l’economia instabile e in balia degli squali della speculazione.
Essere bocciati o promossi da Moody’s non significa assolutamente nulla. Non è certo un mistero che per decenni alla Grecia sia stato permesso di tutto, dalle superbaby pensioni alle più sfrenate spese individuali e pubbliche, ed oggi viene tirata la cinghia: una sorta di trovata usuraia che obbligherà la scellerata Grecia a vendersi tutto, dalle opere artistiche ai porti (come quello di Salonicco). E che dire dell’Italia? Degli sprechi, delle inefficienze del sistema, della corruzione dilagante, di tutte questi argomenti che la stampa nazionale e internazionale si pronuncia da anni, con la conseguenza di avere il terzo più alto debito pubblico del mondo, le agenzie si accorgono proprio ora? Il trend era declinante da anni, ma ci colpiscono proprio ora, in un momento economico-finanziario delicatissimo. E’ il secondo tempo dell’Operazione Britannia (la speculazione contro la lire orchestrata nel 1992 da Soros/Rotschild per obbligarci a svendere il patrimonio pubblic . Se nel 1992 l’obiettivo (realizzato) era la privatizzazione (leggi: cessione a prezzi di favore) dell’INA, ENI, TELECOM, IRI, Credito Italiano, Enel ora l’obiettivo attuale della speculazione è la previdenza, la sanità, i trasporti e le utilities.
Domandiamoci? Dove erano le agenzie di rating durante la bolla immobiliare USA? Come mai giudicavano degni di tripla A le cartolarizzazioni-spazzatura emesse dalle grandi banche d’affari aventi come collaterali pacchetti di mutui di dubbia solvibilità? Hanno taciuto perché lautamente pagate dai loro committenti (che erano le stesse banche d’affari) o perché sapevano che nel caso di un collasso finanziario mondiale causato dalla scoppio della bolla immobiliare, i titoli tossici sarebbero stati rilevati dalle Banche Centrali a spese del contribuente? Ovvero del futuro di tutti noi e dei nostri risparmi?
I gestori delle tre agenzie andrebbero processati davanti alla Corte dell’Aja per frode, aggiotaggio e insider trading.
La Commissione Ue, che vuole interdire l’analisi delle agenzie di rating sui paesi oggetto di un aiuto internazionale (come annunciato dal commissario Ue al mercato interno Michel Barnier) è un primo passo verso la disintossicazione da rating.
Adriano
Siamo nella merda!!!