Guerra: quante probabilità ci sono che scoppi a breve termine?
Forse il titolo dovrebbe essere una altro: “Che guerra combatteremo?” perché, probabilmente, la guerra è già iniziata l’11 settembre 2001 ed è poi proseguita in forme molto diverse dal passato (terrorismo, rivolte, guerre monetarie, commerciali, cyber, sanzioni economiche ecc.)
Abbiamo già detto altre volte che la guerra ha cambiato modalità: da scontro armato, aperto ed a dominante militare, è diventata coperta, multiforme e a dominante strategica complessiva, dove la strategia integra sia forme di pressione sia militare che economiche, finanziarie, monetarie, di intelligence, di guerra indiretta, ecc. C’è chi parla di guerra a “bassa intensità”, intendendo per essa una bassa intensità militare, che, però, non esclude un’altissima intensità economica, politica, tecnico-scientifica.
Dunque, la domanda che dobbiamo porci è: “quante probabilità ci sono, che la guerra prosegua in queste forme a bassa intensità militare e non si trasformi in guerra aperta e ad alta intensità militare?”.
Nel secondo caso, ovviamente, l’attuale guerra a bassa intensità diverrebbe solo un lungo prologo di quella successiva.
Per rispondere dobbiamo in primo luogo constatare come la crisi duri ormai da parecchi anni ed abbia assunto carattere realmente globale. Per globale non intendiamo solo “internazionale” o “mondiale”, ma “complessiva”, cioè che intrecci finanza, economia, relazioni interstatali, tendenze sociali, stabilità politica interna ecc (torneremo su questo concetto recensendo il libro di Alessandro Colombo “Tempi decisivi”).
Per quanto riguarda la durata, ricordiamo che i primi fallimenti bancari risalgono al 2007 e che non siamo affatto certi di esserne usciti. Dal punto di vista finanziario, ci sono stati momenti di tregua (segnatamente il 2009, e dal 2013 ad oggi,) ma con andamenti discontinui e differenziati da paese a paese e con segnali di ripresa molto modesti ed isolati, ma dal punto di vista dell’economia reale (in termini di produzione, consumi ed occupazione) la crisi non è mai terminata ed ora ci sono solo timidissimi segnali solo negli Usa.
Storicamente tutte le grandi crisi economiche sono sfociate in conflitti di vaste proporzioni: quella del 1873 nella guerra balcanica, conclusa con la Pace di Berlino, quella del 1907 nella prima guerra mondiale e quella del 1929 nella seconda. Fa parziale eccezione quella del 1973-74 che, però, non ebbe i caratteri di intensità e di generalizzazione delle precedenti.
Adesso ci sono le premesse per un nuovo conflitto di ampie proporzioni? E partendo da dove?
Allo stato attuale, abbiamo molti punti di crisi che possono degenerare in conflitti di ampie proporzioni: in primo luogo c’è l’esteso arco di crisi del Me-Na che include molti conflitti ancora non saldatisi fra loro (Mali, Libia, Egitto, Palestina, Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen, Barhain ecc.), poi ci sono diversi focolai territorialmente localizzati, ma che si collegano sul piano politico-ideologico con altri (ad es Nigeria) e vecchie aree di conflitti “dormienti” che si riattivano periodicamente (Frontiera Indo-pakistana, isole Senkaku ed isole Paracel). Ma, allo stato dei fatti ed a meno di eventi imprevedibili, non è probabile che nessuno di questo possa portare ad un conflitto generalizzato.
Lo scenario più preoccupante, che può innescare uno scontro militare di proporzioni incalcolabili, è sicuramente quello ucraino del quale possiamo temere una rapida degenerazione già in estate.
Abbiamo una serie di scenari possibili della crisi ucraina che, in ordine di successione e di gravità crescente, possiamo descrivere in questo modo:
1: i contendenti minori (russofoni e ucraini) continuano a combattersi nelle forme attuali (sotterraneamente aiutati dai rispettivi sponsor) ancora per qualche tempo, in attesa di una soluzione diplomatica
2: uno dei due contendenti minori (Ucraina o Donetsk) lancia una forte offensiva verso l’altro, ottenendo di metterlo in ginocchio e chiudere il conflitto con la sua sconfitta militare
3: l’offensiva vincente di uno dei due contendenti obbliga lo sponsor del perdente ad entrare esplicitamente nel conflitto per evitare la sua sconfitta militare
4: il risposta all’ingresso di uno degli attori maggiori, anche l’altro entra apertamente nel conflitto (con due varianti per gli occidentali: Usa ed Europei insieme o Usa da soli), ma il conflitto si tiene nell’area geografica dell’attuale Ucraina (con o senza Crimea) e con armi convenzionali
5: uno dei due contendenti maggiori ricorre all’uso di atomiche tattiche
6: le azioni militari (soprattutto bombardamenti aerei, attacchi satellitari, eventuali sconfinamenti di carri ecc.) si estendono al territorio russo o di uno dei paesi europei eventualmente impegnati nel conflitto o colpisce unità navali americane
7: gli incidenti su territorio degli attori maggiori si susseguono e provocano l’aperto stato di guerra fra le potenze maggiori
8: la Cina si schiera con i Russi ed i Giapponesi attaccano la Cina generalizzando la guerra.
Come si vede andiamo dall’ipotesi più favorevole (la prosecuzione del conflitto nelle forme attuali sino alla sua composizione) a quella più catastrofica che è la generalizzazione del conflitto, in una vera e propria guerra mondiale a dominante militare.
Allo stato dei fatti (sottolineo: allo stato dei fatti) sembra poco probabile la prima soluzione ed ancor meno probabili le ultime tre. Mentre il calcolo delle probabilità favorisce gli scenari 2, 3, 4. Il problema è che ogni passaggio alla soglia successiva rende sempre più probabile quello ulteriore. Per capirci con un esempio banalissimo: passare dalla fase 1 alla fase 2 implica il superamento di una soglia di resistenza 80, ma dalla fase 2 alla fase 3, la soglia si abbassa a 70, poi dalla 3 alla 4 si passa a 60 e così via, come su un piano inclinato.
A giocare a favore dell’escalation sono una serie di fattori:
-l’obbiettiva difficoltà di Usa e Russia di fare “marcia indietro” senza un fortissimo danno di immagine;
-la radicalizzazione dei due contendenti minori
-l’esigenza di Obama di ottenere un successo in politica internazionale ad un anno dalle nuove elezioni (anche se il candidato democratico non potrà essere lui)
-l’esigenza di Putin di non prestare il fianco ad attacchi degli ultranazionalisti russi.
Ma, soprattutto, gioca la collisione fra i rispettivi progetti strategici: gli Usa che, per mantenere la posizione di unica superpotenza e per contenere la Cina, devono impedire che la Russia diventi il “terzo incomodo” fra loro e i cinesi e l’esigenza opposta dei Russi che vogliono tornare ad essere nel Top delle potenze mondiali.
Al contrario, i fattori frenanti possono essere:
-una eventuale iniziativa cinese che “sparigli” i giochi ed attragga altri (ad esempio India, Brasile e Sud Africa) in un “polo di stabilizzazione” ostile alla guerra
-il probabile inserimento di terzi che approfittino del conflitto per farsi spazio (in particolare nell’area Me-Na) obbligando i contendenti maggiori a frenare la corsa allo scontro per dedicarsi ad altri scenari
-un crollo del fronte interno russo, con una caduta di Putin
l’eventuale mobilitazione dell’opinione pubblica europea contro l’ipotesi di coinvolgimento della Ue o di singoli paesi europei nella guerra.
Questi fattori meritano qualche considerazione in più. La Cina tradizionalmente è piuttosto debole sul piano diplomatico internazionale, concependo la politica estera come una serie di relazioni bilaterali e rifuggendo da iniziative plurilaterali, ragion per cui conta su pochi alleati e piuttosto infidi (come Pakistan e Corea), dunque non sarebbe assolutamente semplice ed implicherebbe un mutamento della prassi sin qui seguita, cui, però, potrebbe essere spinta dal timore di una prossima guerra con il Giappone ed in un momento economicamente e socialmente piuttosto delicato. Infatti, la Cina deve fare i conti con la graduale discesa dei suoi tassi di crescita e con il “vuoto demografico” delle prossime classi di età destinate a sostituire quanti stanno per uscire dal mercato del lavoro: ogni guerra miete vittime prima di tutto fra i ventenni e trentenni, per cui, un ulteriore assottigliamento delle prossime classi in età da lavoro, potrebbe stroncare definitivamente i sogni di espansione di Pechino. Dunque, la Cina ha ragioni maggiori degli altri per temere un conflitto di proporzioni vaste in questo momento. Inoltre, in un quadro fortemente perturbato dell’ordine mondiale, la Cina potrebbe temere il riacutizzarsi del suo contenzioso con l’India o con Giappone o Vietnam. Di qui la possibilità che Pechino si induca ad una iniziativa straordinaria.
Il secondo fattore è essenzialmente legato a tre punti principali: la guerra contro il Califfato, una possibile nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese, l’improvvisa destabilizzazione dell’Arabia Saudita magari a seguito della guerra yemenita. A parte andrebbe considerato lo scenario iraniano attualmente orientato alla distensione, ma non per questo totalmente pacificato.
Ovviamente il punto più delicato è quello saudita: l’Arabia Saudita rappresenta circa un quarto delle riserve mondiali attualmente in uso, la messa in pericolo dei suoi pozzi, prevedibilmente, implicherebbe una impennata senza precedenti nei prezzi degli energetici. E, se un contenuto rialzo di questi prezzi potrebbe essere visto di buon occhio da Washington, ben altra cosa sarebbe una loro esplosione. Segnali di una destabilizzazione di Ryiad iniziano ad esserci, ma ancora siamo a livelli piuttosto bassi di allarme, le cose cambierebbero in presenza di una esplosione fondamentalista, magari innescata dal volgere al peggio della guerra yemenita. Se dovesse profilarsi una situazione del genere, gli Usa sarebbero costretti a convertire la loro attenzione prevalente verso la penisola arabica, allentando presa verso l’Ucraina.
Il terzo fattore è un’eventuale caduta di Putin che è esattamente quello cui gli Usa stanno lavorando. Di una destabilizzazione interna russa c’era stato un segnale con l’omicidio Nemstsov e l’improvvisa assenza di Putin, ma la cosa sembra essere rientrata e, nel complesso, pare che per ora Putin continui ad avere dalla sua l’opinione pubblica russa.
Ma il punto decisivo, probabilmente, è l’evolvere della situazione europea. Per gli Usa un intervento nella guerra ucraina senza il contemporaneo intervento europeo sarebbe altamente disagevole, sia per l’ isolamento politico che ne deriverebbe, sia perché sarebbe arduo e costoso inviare e rifornire truppe in campo ucraino, senza poter fare affidamento sulle basi europee. Nella decisione dei governi europei sul da farsi pesa il consueto servilismo verso gli Usa, ma pesano anche gli interessi economici e l’ostilità dell’opinione pubblica europea a lasciarsi coinvolgere in una guerra. Il guaio peggiore è che, almeno per ora, non ci sia una percezione adeguata del pericolo e l’opinione pubblica europea è piuttosto inerte.
Sensibilizzare gli europei in materia è, pertanto, il problema prioritario in questo momento.
Aldo Giannuli
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marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
gli scenari 1 e 2 sono ormai inevitabili.
Lo scenario 3 a mio avviso prevede una dicotomia. A) Una cosa è se vince militarmente il Donbass: i separatisti non hanno la voglia né la forza né l’obiettivo di conquistare Kiev; al massimo possono aspirare a conquistare Kharkiv (in cui si sono già verificati episodi di guerriglia) e Odessa. Non penso che puntino nemmeno a Dnipropetrovsk, che pure è a maggioranza russofona, perché militarmente imprendibile. Questa è la conseguenza della politica putiniana, che ha optato, dopo Euromaidan, di dividere la parte più orientale dell’Ucraina dal resto del paese, creando una specie di stato-cuscinetto con Kiev. Una scelta che ha fatto arrabbiare i nazionalisti russi, i quali considerano Kiev parte della Rus’, nonché sua culla natale. Pertanto, in caso della vittoria del Donbass, probabilmente la NATO non sentirebbe il bisogno di intervenire, evitandoci lo scenario 4.
B) Qualora invece l’esercito di Kiev riuscisse a riconquistare Donetsk e Lugansk, in questo caso le probabilità di un intervento russo diretto crescerebbero, portandoci allo scenario 4.
E’ possibile che lo scenario 4 regga invariato: è ciò che accadde negli anni ’50 con la guerra di Corea. Ma – come diceva Lei – la probabilità che si passi allo scenario successivo sarebbe a quel punto piuttosto alta.
Gli scenari 5, 6, 7, 8 evolverebbero tutti ineluttabilmente in una guerra termonucleare totale. Né USA né Russia accetterebbero di essere bersagliati da bombe atomiche tattiche facendola passare liscia all’avversario. Le consiglio di fare come Raul Castro e convertirsi al cristianesimo, perché in questa eventualità tutto ciò che Le rimarrebbe da fare è la preghiera.
Sull’Europa: la sudditanza neocolonialista dei governi europei è tale che non c’è pressione dell’opinione pubblica in grado di evitare che obbediscano a Washington come tante scimmiette ammaestrate.
Saluti
Marco
Junius
Mi permetto di suggerire che la crisi del ’73/’74 è stata una crisi “indotta” dagli amici di TeneroneDolcissimo, strumentalizzando lo shock petrolifero (è da lì che i comunisti traditori cominciarono a moralisteggiare di “austerità”): non era una “vera” crisi capitalistica, visto che si arrivava da decenni di benessere diffuso a causa delle politiche socialiste e keynesiane. Non era una crisi “dal lato della domanda”, era una crisi “dal lato dell’offerta” (non c’era petrolio), come nelle crisi medievali (si pensi alle “carestie”).
La crisi attuale, come le altre citate nel post, sono le tipiche crisi del capitalismo liberale in cui i geni dell’economia liberista promuovono paradigmi che creano la stagnazione dei salari rispetto alla produttività, portando a quel disastro sociale che Marx chiamava “crisi da sovrapproduzione” per cui, un mezzo efficace per risolvere la crisi di domanda, piuttosto che redistribuire benessere e potere politico ai lavoratori/schiavi, era maglio agire “dal lato dell’offerta” distruggendo i mezzi di produzione tramite un conflitto bellico.
A livello geopolitico sono assolutamente allineato con Mauro, che mi può correggere: gli angloamericani faranno di tutto per dimunuire di un bel po’ la popolazione terrestre cercando di finire di deframmentare tutte le entità statuali e nazionali che più o meno si autodeterminano e che sono più o meno sovrane. Il problema maggiore, infatti, sono i BRICS.
L’obiettivo, a differenza del passato, è gestire anche il collasso ecologico e demografico, perseguendo una deindutrializzazione controllata vincolando le economie dal lato dell’offerta, non più solamente come da consuetudine anglosassone, ovvero tramite il controllo privato del credito, ma imponendo monopoli su tutte le risorse: monopoli che saranno al contempo giuridici (brevetti) ma anche “tecnici”, ovvero che avranno caratteristiche di “irreversibilità” per motivi “ingegneristici”. L’esempio tipo è il monopolio del “pane” tramite gli OGM.
La vision angloamericana, di carattere “dionisiaco”, è di arrivare ad un ordine apparentemente caotico ma, al contempo, stabile nei rapporti di classe. Ovvero un feudalesimo 2.0 in cui ci sia un chiara gerarchia per il vassallaggio, in cui tutto viene privatizzato e le entità statali e territoriali saranno macroregioni che verranno gestite come corporation controllate da altre holding globalizzate.
Quest’ordine “nietzschiano” attraverserà sconquassi periodici, e garantirà alla nuova aristocrazia privilegi dinastici e di libertà edonistica su tutta l’ecumene globale; gli schiavi saranno vincolati alla legge “malthusiana”.
A contrapporsi a questa vision, vi è qualla “apollinea” russa, che, per tradizione propone la negazione dell’individualismo liberal-aristocratico, proponendo un modello statuale in cui l’individualismo dei “padroni” viene negato, favorendo un nuovo modello di totalitarismo, avulso dall’instabile ipocrisia occidentale, e motivato ad essere un “sociostatalismo” mobile a livello di “pseudo-classe”, ma, totalmente ingessato, e con vocazione all’eternità come da tradizione “cosmista”.
Aldo Giannuli
24 righe sono troppe
Junius
Mi scusi Professore, ho sbagliato blog.
benito
Innanzi tutto ringrazio il professore Giannuli per questa analisi lucida e razionale.
A me sembra che lo scenario 3 sia gia’ in atto, gli USA non solo stanno rifornendo di armi letali il governo ucraino ma hanno deciso di partecipare non piu’ sotto copertura. Per questo ritengo che un conflitto importante sia molto probabile. Sta all’Europa salvarsi dichiarandosi neutrale. Non facciamoci illusioni sui governanti europei sono tutti piu’ o meno corrotti (non solo gli italiani) e in quanto tali ricattabili, e poi pensano solo alla loro carriera. Dobbiamo essere noi cittadini a chiedere subito l’uscita dalla nato. Personalmente sono disponibile a qualsiasi iniziativa in merito
cinico senese
La guerra USA per procura fatta in Ucraina è direttamente contro la Russia, in via indiretta contro la Cina e i BRICS, ma anche contro la Germania. Agli USA serve la guerra per mantenere il predominio sul mondo e il dollaro come riserva di valuta mondiale. Ma il ciclo storico si è spostato verso l’Asia.Non ci resterà che gridare: NO alla Guerra.
Per approfondire:
Cosa vuole Putin
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14979
Gli USA contro la Germania?
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15042
I progetti dell’Impero.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15012
Luigi
Si é dimenticato la fase N° 9 – Soccorso dell’ italia in aiuto ai vincitori del conflitto.
andrea z.
Sul sito dell’osservatorio internazionale Ossin viene riportata la notizia che nell’Agosto del 2013 un attacco missilistico della NATO contro la Siria è stato neutralizzato dal sistema russo antimissilistico dispiegato dalla flotta russa partita dalla Crimea.
Lo smacco subito sarebbe stato uno dei motivi che avrebbero spinto gli USA a sostenere il colpo di Stato in Ucraina e a cercare di impadronirsi della Crimea.
Crede che sia una ricostruzione realistica?
Mauro
Caro Andrea Z., Ella dice “lo smacco subito”. Tuttavia tenga conto che anche gli americani, se sono folli nella loro strategia di fondo (la megalomania è infatti una malattia mentale, per quanto di origine diabolica), tuttavia possono essere molto pragmatici nella tattica. Non fanno un costosissimo colpo di stato in Ucraina solo per uno smacco subito in Siria: lo smacco lo hanno incassato di malgrado e con altri sistemi hanno cercato di perseguire comunque i propri obbiettivi strategici in Medio Oriente (cioè la regolazione in dollari delle transazioni internazionali di idrocarburi).
Tra gli obiettivi tattici c’è sicuramente il cambio di governo in Siria. Infatti, qualora Washington volesse ricattare l’Europa, non le basterebbe controllare Tel Aviv, ma dovrebbe anche poter gestire la politica estera di Damasco: la chiusura degli oleodotti siriani è infatti fondamentale per rendere efficace un’eventuale chiusura indiretta di Suez tramite un nuovo conflitto israelo-egiziano (da innescarsi ovviamente a Gaza). Inoltre gli oleodotti siriani farebbero risparmiare la circumnavigazione della penisola arabica alle petroliere statunitensi al fine ultimo di saccheggiare alla svelta il petrolio dai pozzi del kurdistan iracheno (per stivarlo in Texan). Oggi la superpotenza americana lo fa con Daesh attraverso la Turchia, suo malgrado perché diffida di poter controllare una nazione così grande quando la partita a scacchi est-ovest dovesse farsi più dura (come in effetti sta succedendo con il Turkstream).
Vero è che “uno dei motivi” del colpo di stato a Kiev sta nel tentativo di minacciare un uovo nel paniere russo com’è la base navale di Sebastopoli. D’altra parte in Crimea la prontezza dei cittadini di lingua russa (che comunque rappresentano la stragrande maggioranza) a votare il referendum di adesione alla Russia sta a significare che a Mosca il piano di consolidamento delle basi militari nella strategica penisola era già pronto da un bel pezzo e contemplava anche la necessità di neutralizzare localmente gli effetti di un colpo di stato americano a Kiev. Altrettanto possiamo affermare che gli americani ne fossero a conoscenza e lo avessero messo nel conto della loro manovra, ora però essi hanno un pretesto per far eventualmente scoppiare una guerra tra Kiev e Mosca. Mosca a sua volta glielo ha dimezzato, perché, se da un lato ha tolto a Kiev l’accesso alle fabbriche di armi del Donbass, si rifiuta di annettere anche questa regione.
Resta da chiarire quali siano gli altri motivi che hanno spinto gli USA a intervenire in Ucraina. Direi principalmente l’appetibilità internazionale del rublo a tutto discapito di quella del dollaro. Se l’Unione Doganale fra Bielorussia, Russia e Kazakistan dell’Ottobre 2011 (prevede il sigillo del container dal confine cinese a quello polacco o viceversa) diventerà operativa anche per il traffico ferroviario eurasiatico ultra-veloce di cui ho ampiamente scritto qui in passato, Europa e Cina avrebbero interesse allo scambio reciproco via terra di prodotti agricoli e industriali finiti da conguagliarsi in moneta russa, in quanto un eventuale surplus commerciale accumulato temporaneamente da uno dei due colossi sarebbe comunque spendibile nei “Paesi di mezzo” (ex-URSS) per comprarci idrocarburi ed una infinità di altre materie prime. Con quei soldi i russi potrebbero acquistare, a Occidente o a Oriente a seconda di dove tira aria più amica, semilavorati per l’industria militare, così da mantenere un forte esercito per il loro controllo esclusivo di pozzi e miniere e quindi adeguatamente alto il tasso di cambio con le altre due monete in gioco, appunto euro e yuan. D’altra parte i Russi potrebbero anche ripianare un eventuale squilibrio commerciale cronico tra Europa e Cina agevolando i prezzi al partner più debole e rincarandoli a quello più forte, cioè a quello che è riuscito a contenere di più i salari. Ciò comporterebbe anche una notevole influenza russa nella politica interna dei due colossi qualora questi volessero mantenere il loro reciproco cambio fisso.
Questo nuovo equilibrio, che rappresentava il sogno degli ultimi due zar, è invece l’incubo che viceversa affliggeva i banchieri anglosassoni già più di cento anni fa, al punto che fomentarono niente di meno che la rivoluzione bolscevica. Stavolta però Mosca si sente le spalle più coperte di allora, soprattutto da Oriente, e dunque rimettere al Cremlino dei pupazzi manovrati dalla longa mano di Wall Street e London City potrebbe non riuscire più così facile.
Resta infine da vedere cosa produrrà, anche in questo nuovo equilibrio basato sul rublo, l’avvento delle “tecnologie del gasolio sintetico”, che ridimensioneranno notevolmente il fabbisogno di idrocarburi prima in Cina e poi in Europa.
AM
Il punto 8 mi sembra cosi’ poco… strategico.
Il Giappone che attacca la Cina… non e’ un puro suicidio?
Chiedo lumi per il punto 8!
Mauro
Caro AM il Giappone attaccò la Cina già nel 1894-95 e vinse, ma il bottino dovette dividerlo con l’Occidente. Ci riprovò ancora più massicciamente nel 1937, senza tuttavia il consenso del proprio parlamento, ed il bottino (l’annichilimento dell’industria cinese) fu incassato innanzitutto dal mandante, la superpotenza americana, che dopo aver ridimensionato (con napam e atomiche) il suo stesso randello, gli concesse nel dopoguerra una supremazia industriale continentale, senza però mai perdere il controllo sui suoi traffici.
Nelle due guerre del 1894 e del 1937 il rapporto tra la popolazione della Cina e quella Giapponese era di 5-6 a 1, oggi è divenuto di 11 a 1 e la Cina è un colosso politicamente alquanto più coeso e accorto di allora. Nè d’altro canto il Giappone è disposto a fare di nuovo da randello. Dunque sono mutate le condizioni di partenza. Peccato però che l’anglosassone è pervicace sulle sue vetuste megalomanie e proverà nuovamente a infinocchiare abbastanza giapponesi da poter sperare in un nuovo conflitto.
AM
Grazie mille per la risposta. Quindi possiamo parlare di un… “tentativo di induzione al suicidio”.
Ovviamente il Giappone non ha gli attributi per imbarcarsi in una tale guerra a due, a meno che il nostro caro mondo non prendera’ una brutta-brutta strada da qui a pochi anni e le cattive compagnie non diventino ancora piu’ cattive…
alexfaro
Egregio Giannuli,purtroppo i punti 3 e 4 sono già superati dagli eventi,infatti già da alcune settimane sono presenti in Ucraina militari USA/UK,Canadesi e forse anche Polacchi con i Baltici(Estonia,Lettonia,Lituania)tra i quali ben 300 parà Statunitensi provenienti da Aviano(173^ Airborne brigade)x gli altri credo che arrivino direttamente dai loro paesi.
C’é poi da dire che Washington ha stanziato parecchie centinaia di milioni di $ x rifornire l’esercito(E la guardia nazionale neonazista)Ucraino anche udite udite armamenti letali ma difensivi!
E’ pur vero che anche i separatisti ricevono consistenti quantitativi di rifornimenti dalla Russia,carburante,viveri,munizioni,pezzi di ricambio ed equipaggiamenti vari,attraverso il cd”voentorg”,ma di militari Russi,intendendo reparti organici non ce ne é nemmeno l’ombra,a parte ovviamente i 4/5000 volontari che combattono nelle file delle milizie della repubblica di Novorussia.
Infatti il web é pieno di siti o blog che documentano come i militari del Donbass si siano procurati la stragrande maggioranza dei mezzi corazzati,blindati,pezzi di artiglieria e veicoli,la cosa é semplice o li hanno ricevuti dai disertori Ucraini o li hanno catturati in combattimento,alla faccia di chi dice che siano i russi a darglieli,infatti se volete approfondire la questione andate su questo sito:
http://lostarmour.info
ovviamente con tanti altri che ora non mi ricordo.
un saluto
Alexfaro
andrea z.
Anche in Macedonia sta accadendo qualcosa che ricorda gli avvenimenti ucraini.
La minoranza albanese è in rivolta e nella capitale 20.000 persone sono scese in piazza per protestare.
In Macedonia dovrebbe passare il gasdotto Balkan Stream, che dovrebbe sostituire il progetto South Stream, bocciato dalla Bulgaria.
Entrambi i gasdotti sono fortemente avversati dall’amministrazione americana, che evidentemente vuole tagliare ogni legame tra Russia e Europa.
Il gasdotto Balkan Stream ha ricevuto, tra l’altro, l’assenso di Tsipras per il passaggio sul territorio greco.
La politica americana sembra diventare ogni giorno più spregiudicata; fino a quando noi europei saremo costretti a seguirla, contro i nostri interessi?