Privato/Statale: tertium non datur?

Ho pubblicato questo articolo nei giorni scorsi, ma ha avuto poca visibilità per via dei tristi fatti accaduti successivamente. Lo ripropongo, in quanto credo sia una discussione da rilanciare. Buona lettura! A.G.

Un tabù della sinistra è il carattere statale della “proprietà pubblica”: ciò che è pubblico è statale e se non vuoi la proprietà statale vuol dire che sei per la privatizzazione: dall’università alla televisione, dalla sanità alle imprese industriali ecc. E’ proprio così?

In realtà ci sono molte soluzioni pubbliche non statali che conviene esaminare. In primo luogo le “public companies” basate sull’azionariato popolare, una soluzione adottata in diversi paesi europei, per cose molto diverse, dalle università alle società di servizi come acqua o gas. Ovviamente, gli organi sociali sono eletti (secondo regole determinate dalle leggi o dai regolamenti interni) da tutti gli azionisti secondo le regole del voto capitario.

Poi ci sono le imprese autogestite, basare sulla proprietà dell’impresa da parte del collettivo dei lavoratori; si badi: non sulla proprietà personale di ciascun dipendente, che, quindi non può vendere la sua quota a terzi, ma al collettivo dei lavoratori, inoltre, questo tipo di società non hanno la possibilità di avere dipendenti che non siano anche soci dell’impresa come tutti gli altri (questa è una differenza notevole rispetto al modello “cooperative” che spesso non sono altro che società capitalistiche private che pagano meno tasse delle altre). Anche qui gli organi sono eletti dai soci con voto capitario.

Poi ci sono le iniziative economiche di soggetti sociali (associazioni onlus, sindacati, cooperative –quando sono vere-, chiese, partiti ecc): una forma di confine con il privato ma non perfettamente assimilabile ad esso, infatti, gli organi sono espressione dell’organismo dirigente dell’ente finanziatore della società.

Una forma attenuata di proprietà statale è quella degli enti locali.

Come si vede, non è detto che la proprietà pubblica debba necessariamente avere carattere statale, inoltre va considerato anche il caso di società miste che incrociano le diverse forme di proprietà pubblica non statale o che ammettono la presenza di capitale statale o privato nella società. Un modello che si avvicina a questo è stata quella delle Banche Popolari in Italia, basate sul voto capitario prima della “riforma” di Renzi che ne ha fatto società per azioni come le altre.

Possiamo discutere sulla preferibilità del modello statale rispetto a queste altre forme di proprietà pubblica, ma pensare che l’unica forma di proprietà pubblica quella statale è una solenne fesseria che denota una robusta ignoranza.

In secondo luogo: dove sta scritto che l’unica forma di intervento statale debba essere quella della gestione diretta dell’ente in questione) università, fabbrica, società di servizi o banca che sia)?  Lo stato può anche non gestire ma controllare, ad esempio attraverso la presenza di suoi rappresentanti negli organi di controllo della società. Oppure può regolamentare queste società attraverso leggi quadro che stabiliscano i criteri base che esse debbono osservare nei propri statuti o nell’espletamento delle proprie funzioni. In terzo luogo, lo stato può esercitare un ruolo esterno di indirizzo attraverso una legislazione premiale in termini fiscali o con contributi più o meno occasionali.

Come si vede, il fatto che lo Stato non sia proprietario di ogni società di iniziativa economica, servizio o università non significa che  non possa e non debba avere altro ruolo verso le società pubbliche non statali.

Ma quale sarebbe il vantaggio di questo tipo di società pubbliche rispetto a quelle statali? In primo luogo, questa suddivisione della proprietà in più soggetti si concilia molto meglio con le esigenze di un mercato policentrico. E, proprio per questo, più adatto a resistere all’invadenza della burocrazia politica (i partiti) ed amministrativa. Inoltre, in alcuni campi (come ad esempio l’insegnamento oppure nell’innovazione tecnologica) questo favorisce la sperimentazione.

Ed allora, riusciranno i nostri eroi della sinistra d’antan a capire che esiste qualcosa di diverso dal presente? Una sinistra che non ha capacità di progettare un ordinamento sociale diverso, non serve a niente ed è meglio seppellirla il prima possibile.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (4)

  • Sono contento che qualcuno più autorevole di me riprenda questo tema: quando ci provai io, una ventina di anni fa (all’inizio dell’esperienza di Rifondazione Comunista), incontrai solo muri. Comunque, trassi l’impressione che l’ostilità al non-statale (oltre che da ovvie ragioni di difesa della propria seggiola) nascesse da una lettura, ahimè forse non infondata, di Marx, per cui l’economia capitalistica è il regno dell’incertezza, dell’azzardo, del caos: il padrone è anche l’irresponsabile che, cercarndo nuovi modi per fare profitti, rischia ogni momento la bancarotta e il licenziamento degli operai ecc. ecc. Il mondo dello Stato è il mondo della certezza ope legis, per cui è la cosa più simile al paradiso economico socialista in cui tutto è perfettamente calcolato e pianificato da puri tecnici al servizio del benessere del popolo. In questa concezione non vi è posto per un'”imprenditoria pubblica e democratica”, perchè non si accetta l’idea che la sfera dell’economia non sia strutturalmente un sistema a informazione completa, e che per innovare, anche con le migliori intenzioni del mondo, bisogni accettare un margine di rischio. (In questo modo, questa generazione di militanti e di funzionari della Sinistra si è pensata come progressista se non rivoluzionaria, ma è stata in realtà grigiamente conservatrice dello stato di cose esistente).

  • Sottoscrivo anche le virgole, ed aggiungo che la sinistra italiana (ma anche gran parte di quella europea) non ha, ad oggi, le capacità per immaginare il superamento del paradigma statalista, in termini di cultura ed idee. Neppure nel M5S, le cui posizioni sono a metà strada tra il miglioramento dell’attuale (ma senza entrare in dettagli) e la svendita tout court ai privati. Ovvero, qualcuno le ha, queste capacità, ma viene sistematicamente ignorato e messo in condizione di non nuocere.

  • Assodato che proprietà pubblica e proprietà statale non sono la stessa cosa, resta il fatto che nel nostro ordinamento giuridico la proprietà è o statale o privata (associazioni, aziende fondazioni etc etc etc… sempre di proprietà privata si tratta). Non è il caso discutere di che università vogliamo e poi di quale sia l’assetto proprietario, il modello di governance, la fonte di finanziamento etc. etc. migliore per realizzarla?

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