Pinelli, Napolitano e il Corriere della Sera

L’incontro fra le due vedove di Calabresi e Pinelli ed il relativo discorso del Presidente Napolitano hanno innescato una serie di polemiche a ricaduta per cui una innesca un’altra. Due osservazioni sul discorso del Presidente: se Pinelli è stato una vittima, ci sarà stato pure un carnefice che lo ha reso tale o no? Chi è stato? La teoria del “malore attivo” di D’Ambrosio va a farsi benedire ed occorre essere meno reticenti, come Giuliano Ferrara a fatto notare: le cose non si possono dire a metà. Personalmente sono giunto alla conclusione che Calabresi non era nella stanza al momento del volo di Pinelli, ma che abbia fatto l’errore di avallare la versione dei suoi uomini, come se ci fosse stato.

Delle due l’una: o (come credo) non era presente, ed allora aveva il dovere di dire che non ne sapeva nulla, o poteva sostenere la tesi del suicidio, ma ammettendo di essere stato presente al momento. Credo che egli abbia fatto prevalere il “senso di corpo”, pessima cosa in una vicenda di quella gravità. Questo non toglie che per quell’ errore  abbia poi pagato un prezzo enorme, prima con la violenta campagna (al limite del linciaggio morale) e poi con l’assassinio a soli 32 anni.

Tornando a Napolitano, nel suo discorso ha accennato al Doppio Stato liquidandolo come “fantomatico”. Ovviamente il Presidente è liberissimo di esprimere una sua opinione, doppiamente autorevole ove si consideri il suo passato che lo vede fra le figure principali della storia repubblicana. Dunque, nulla da eccepire, ma solo se la cosa resta in questi termini. Infatti, non ci risulta che, fra le attribuzioni che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato, ci sia anche quella di sancire quale sia l’interpretazione storiografica più calzante. Questo, in un regime liberale, è compito del dibattito scientifico, che non ha bisogno di timbri di nessuna autorità politica, come accadeva in Urss. Peraltro siamo convinti che non fosse intenzione di Napolitano ergersi ad arbitro dei dibattiti storiografici. A inclinare il piano del discorso ci ha pensato un infelice articolo di Pier Luigi Battista (Corriere della Sera del 11 maggio us, leggi in pdf), che tirava per i capelli il discorso di Napolitano, per un sommario regolamento di conti con una serie di autori rei, dal suo punto di vista, di confluire nell’aborrita “ideologia del Doppio Stato” di cui forniva una versione puramente caricaturale. Gli autori citati (una schiera quanto mai eterogenea) hanno reagito in viario modo. Anche chi scrive queste righe ci ha provato, chiedendo spazio al Corriere che, nonostante le assicurazioni opposte, decideva di non pubblicare il pezzo che qui alleghiamo (pdf). Fra gli altri Travaglio ha recriminato sul comportamento del Presidente al tempo in cui era stato Ministro dell’Interno, attirandosi i fulmini di Piero Fassino che ha immediatamente solidarizzato con il Capo dello Stato. Vedremo le prossime puntate del tormentone.

Per ora, dato che la polemica ha investito l’affaire del cd “Archivio parallelo della via Appia”, di cui sono stato testimone diretto, mi incombe il dovere di dare qualche informazione in merito. Sono aiutato nell’operazione dagli appunti che ho costantemente tenuto nel periodo in cui sono stato consulente parlamentare (una sorta di diario che va dal gennaio 1994 al gennaio 2006) e che forse farei bene a pubblicare.

Nella primavera del 1996, come si ricorderà, la sinistra vinse le elezioni e Napolitano diventò il Ministro dell’Interno del primo governo Prodi. Subito la Repubblica andò ad intervistare il vecchio Federico Umberto D’Amato (sarebbe morto il 1° agosto successivo), che disse gran bene del nuovo ministro, sostenendo di conoscerlo bene per averlo “osservato” per un trentennio, in ragione del suo lavoro. Napolitano, da parte sua, si preoccupava di mandare messaggi distensivi alla polizia che, magari, avrebbe potuto essere preoccupata dall’arrivo di un ex comunista al Viminale ed assicurò di non essere venuto a “cercare scheletri nell’armadio”.

Si capisce quindi l’imbarazzo, pochi mesi dopo, quando scoppiò la questione dell’archivio irregolare della Via Appia in cui erano custodite le carte degli Affari Riservati. Napolitano rassicurò l’opinione pubblica che tutto sarebbe stato chiarito e ne sarebbe stata data completa informazione. A questo scopo, nominò una commissione di inchiesta amministrativa che, fra l’altro, ascoltò pure chi vi parla. La commissione ci impiegò diversi mesi e, alla fine, stese una lunghissima relazione che il Ministro inviò tempestivamente in Commissione Stragi. Ma, la relazione venne segretata e per la sua consultazione vennero adottate misure senza precedenti. Sino a quel punto,  i documenti riservati –e per tali si intendeva solo quelli di istruttorie penali ancora in corso- non potevano essere riprodotti in fotocopia, ma erano liberamente consultabili da commissari e consulenti che potevano prendere appunti.

In quella occasione venne stabilito, su esplicita richiesta dell’ente originatore, che parlamentari e consulenti  potessero prenderne visione ma, compilando un apposito modulo sul quale riportare l’orario di inizio e di fine della consultazione preciso al minuto, senza poter prendere alcun appunto ed in presenza di uno dei carabinieri in servizio presso la Commissione che doveva controllare sulla applicazione integrale delle precedenti disposizioni.

La relazione venne rapidamente sepolta in un cassetto e non se ne parlò più. Ovviamente, la delicatezza del tema richiedeva doverose cautele, ma che fine aveva fatto l’impegno ad informare l’opinione pubblica sulla vicenda? Così come si perse per strada la proposta avanzata da più parti di una ricognizione generale sul ministero, per appurare quali e quanti altri fondi archivistici fossero stati abbandonati nei vasti scantinati del Viminale. E, infatti, dopo qualche tempo, spuntò un ulteriore gruppo di fascicoli accantonati nel vano morto sotto alcune scale, dove avrebbe dovuto esserci un deposito di scarpe. Né mi risulta che a tutt’oggi sia stata fatta tale ricognizione per cui non è affatto da escludere che, in un vecchio archivio di deposito, magari insieme a pratiche di pensione o atti amministrativi, ci siano anche scaffali occupati da ben altra documentazione.  Si poteva lavorare meglio.
Ma su tutta questa tematica occorrerà tornarci ancora.

Aldo Giannuli, 17 maggio 2009

leggi:

il discorso del Presidente Giorgio Napolitano del 9 maggio 2009;

l’articolo di Pierluigi Battista dell’11 maggio 2009;

la risposta di Aldo Giannuli del 12 maggio 2009, non pubblicata dal Corriere della Sera;

il commento di Marco Travaglio su Passaparola del 18 maggio ’09;

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Aldo Giannuli

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