Per un dibattito sulla riforma della Giustizia
Nicola Colaianni è un mio vecchissimo amico (ci conosciamo da poco meno di mezzo secolo), è stato valentissimo magistrato sino alla fine degli anni novanta, ed ha militato in Md quando questa fu l’ala progressista della magistratura italiana. E’ stato parlamentare del Pds autore della relazione conclusiva dell’XI legislatura in Commissione Stragi. E’ docente di diritto ecclesiastico.
Mi manda questa lettera aperta che vi propongo. Praticamente siamo d’accordo su tutto ed è molto importante che questo venga detto da una persona con questa biografia, e considero questo pezzo come l’apertura del dibattito sulla riforma della giustizia in questo blog. Siamo largamente d’accordo, direi su quasi tutto, salvo il punto dell’Anm. So che il diritto di associazione è garantito tanto dalla Costituzione quanto dalle norme internazionali e mi rendo conto che una proibizione così drastuca sarebbe uno “sbrego” costituzionale (per quanto, come ricorda lo stesso Colaianni nel suo pezzo, i magistrati, in ragione del loro delicato ruolo, suniscono delle limitazioni come quella di iscriversi a partiti) e la cosa mi pesa, ma la degenerazione è tale che serve un provvedimento, anche solo temporaneo, che segni una reazione secca. D’altra parte, se vogliamo sciogliere le correnti non possiamo mantenere l’associazione nella quale si sono formate.
Riconosco tutti I meriti dell’Anm che Nicola cita e ripeto che le correnti sino agli anni settanta furono un fattore di grande vitalità della nostra magistratura, ma oggi siamo di fronte ad una degenerazione corporativa semplicemente insopportabile (e sono pienamente d’accordo sul fatto che gli attacchi forsennati di Berlusconi sono stati una delle cause di questa degenerazione) ed è arrivato il momento di pestare un pugno sul tavolo per rimettere le cose un po’ in ordine.
Comunque, questione Anm a parte, iniziamo a parlare di come fare a ripulire questa altra stalla d’Augia.
Aldo Giannuli
Da Nicola Colaianni
“Caro Aldo,
ho atteso che passasse qualche giorno dalla sbornia esagerata per un Parlamento minore, che serve ahinoi! soprattutto a dare ai capi di governo le fiches per I loro giochi di palazzo nella nomina dei commissari europei, per puntare sulle considerazioni che hai svolto il 21 maggio sulla magistratura a partire dal caso di Milano. Le condivido tutte (ci torno dopo), tranne una: “vengano proibite, anche per decreto legge, le associazioni di magistrati e le correnti interne (certo: va sciolta anche l’Anm) e si proibisca una volta per tutte di costituirne”. L’hai sparata grossa, per non dire altro, perchè non si può – e non si deve – fare. La libertà di associazione si annovera tra i diritti umani. Non c’è dichiarazione dei diritti umani (dall’ONU alla CEDU alla carta di Nizza alle dichiarazioni islamiche e così via) che non la contenga. E’ insopprimibile e perfino incomprimibile: infatti, la nostra Costituzione ne riconosce l’esercizio “senza autorizzazione”. Non ho bisogno di insistere perchè lo sai bene.
Piuttosto vorrei dire che, a parte il valore che essa riveste per il pieno sviluppo della persona, la libertà associativa dei magistrati è anche un bene prezioso per tutta la collettività. La storia dell’ANM lo dimostra. Si dice normalmente che fu soppressa dal fascismo nel contesto delle leggi liberticide approvate nel 1925-26: è sostanzialmente esatto, ma non rende completamente la verità. L’associazione agì in prevenzione e, pur di salvaguardare l’indipendenza della magistratura e non prostrarsi al nuovo regime, si autosciolse con un editoriale sull’ultimo numero del suo giornale: “La mezzafede non è il nostro forte: la ‘vita a comodo’ è troppo semplice per spiriti semplici come i nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire”. Seguì la destituzione dalla magistratura dei dirigenti dell’associazione, a cominciare da Vincenzo Chieppa, ultimo segretario dell’associazione e verosimilmente estensore di quell’articolo (mi piace ricordare che da ultimo ne parla il nostro amico Peppino Tucci, civilista dell’università barese, nel suo bellissimo libro La giustizia e i diritti degli esclusi, Napoli, 2013).
E anche dopo la caduta del fascismo la ricostituita ANM ha dato un grande contributo all’affermarsi di una maggiore giustizia nel nostro Paese, così come è stato salutare – lo riconosci anche tu – il ruolo delle correnti almeno fino agli anni settanta. Se può valere anche un’esperienza personale, quando entrai in magistratura quarant’anni fa avevo già una formazione politica costituzionalmente orientata ma senza Magistratura democratica, alla quale subito aderii, e in generale la stessa ANM mi sarebbe stato più difficile trovare il sostegno e l’apertura di orizzonte per rispondere nella concreta attività professionale alla domanda fondamentale: “quale giustizia?”.
Poi sono venuti gli anni ottanta, il terrorismo, l’emergenzialismo e, certo, anche le “storie di ordinaria ingiustizia”, per riprendere il titolo di un libro di Genah e Vecellio di quegli anni. Gli attacchi forsennati della classe politica hanno provocato non un miglioramento della resa complessiva dell’attività giurisdizionale, e in particolare di quella investigativo-requirente, ma piuttosto un arroccarsi dell’associazione a difesa della propria indipendenza, in senso non esclusivamente costituzionale (come garanzia, cioè, a tutela di tutti i cittadini, che possono così fare affidamento su un giudice soggetto solo alla legge) ma anche abbondantemente corporativo: una vittoria di Magistratura indipendente, che (come il berlusconismo nei confronti di tutti i partiti) ha inoculato il suo virus in tutte le correnti. Persistono oasi ideali, come per esempio il gruppo di MD-Europa dedito alla diffusione e all’approfondimento dell’ormai ineludibile “dialogo tra le corti”, ma in generale anche MD s’è acconciata al voto di scambio nel CSM, come se il fine nobile giustificasse i mezzi, che, talvolta, sono comuni intrighi.
L’associazione è ormai la notte in cui tutte le vacche (i migliori perdonino l’accostamento letterario) sono nere. Come spiegare altrimenti, per fare un esempio ancora oggi agli onori delle cronache, il voto all’unanimità per il procuratore Laudati? Poco dopo il suo insediamento a Bari si dotava di una propria unità investigativa, diversa da quella di p.g., interferendo nelle indagini dei sostituti, per cui è sottoposto a processo penale: ma senza conseguenze disciplinari, perchè assolto proprio ieri da quel CSM che pure lo aveva trasferito un anno fa per incompatibilità ambientale.
Il CSM è il regno della correntocrazia. I suoi atti sono ispirati al principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione pubblica solo nella misura in cui esso sia compatibile con l’interesse delle correnti a piazzare i propri esponenti in determinate sedi o funzioni. Per evitare brutti scherzi, che cioè una corrente occupi più posti direttivi di quanti gliene spettano proporzionalmente si usa raggruppare i posti e decidere contestualmente (ieri Bruno Tinti sul Fatto ha raccontato l’ultimo di questi misfatti).
Poco importa che così passino mesi, e talvolta anche un anno (tanto è passato per nominare il sostituto di Laudati), prima della presa di possesso del nuovo dirigente. Basterebbe vietare – per legge, se il CSM non è capace di autoregolamentarsi – che gli incarichi vengano raggruppati per impedire il do ut des, stabilire che due-tre mesi prima la scadenza di un dato incarico si istruisca la pratica per la successione, in modo da consentire un fruttuoso passaggio delle consegne. Ma non se ne fa niente perchè ogni corrente vuole evitare il rischio di rimanere a bocca asciutta.
Si può certo intervenire anche sul sistema di elezione dei magistrati al CSM. Sorteggio? Per vero, in questa tornata elettorale i magistrati l’hanno in parte adottato per individuare le candidature. Ma non credo che in ultima analisi si possa prescindere dal consenso elettorale. Si potrebbe pensare a piccoli collegi uninominali, senza recupero proporzionale, in modo da far convergere il voto sulle persone e spingere le stesse correnti a presentare candidature di livello professionale alto. Il sorteggio si potrebbe provare con i componenti della sezione disciplinare, che comunque dovrebbero essere gli stessi per la durata della consiliatura e fare solo quello, senza partecipare, come ora invece, alle altre attività del Consiglio. Qualunque magistrato, invero, è per definizione capace di giudicare anche disciplinarmente: non c’è bisogno, e anzi è meglio, che non stia lì per consenso ricevuto. Ne guadagnerebbero, credo, la qualità e la rapidità dei giudizi, che ora sono in molti casi la continuazione della politica del Consiglio con altre forme.
Bisognerebbe poi stabilire che nessun altro magistrato, a parte gli eletti, debba far parte del Consiglio come segretario: e ciò in applicazione di una auspicabile regola generale per cui nessun magistrato (compresi quelli amministrativi e contabili) debba essere distaccato presso altri organi dello Stato, tranne – e in numero limitato – quelli da prevedere con legge: tipo l’assistente del giudice costituzionale o il capo gabinetto o il dirigente di alcuni uffici (solo) del ministero della giustizia. La pubblica amministrazione è certo malandata ma non fino al punto di non avere cento-duecento dirigenti di qualità, che consentano ai magistrati attualmente distaccati di tornare nella “produzione”.
C’è poi la piaga dei magistrati che entrano in politica senza soluzione di continuità: il che con il Porcellum (ma l’Italicum sarebbe lo stesso) significa che essi vengono nominati dai partiti. Prima dicevo che il diritto di associazione è fondamentale. Ma in verità c’è un’eccezione prevista dall’art. 98 cost: il divieto per i magistrati di iscriversi a partiti politici, sancito anche dall’ordinamento giudiziario. La Corte costituzionale ha chiarito che tale divieto vale anche per i magistrati in aspettativa per mandato elettorale. Ma figuriamoci se il CSM pensa a queste quisquilie: in Puglia c’è un magistrato, la cui aspettativa scade in questi giorni per fine mandato, che non solo è iscritto ma fa addirittura il segretario regionale (del PD). Nonostante articoli di stampa, nessuno s’è premurato di aprire un’istruttoria nel CSM. Non sono per soluzioni drastiche, credo che anche il magistrato debba godere dell’elettorato passivo: ma, per esempio, mettendosi in aspettativa senza assegni almeno sei mesi prima e candidandosi solo fuori distretto e, al termine, senza poter rientrare nei distretti in cui ha esercitato in precedenza.
Bisogna correre ai ripari, insomma. Senza attaccare le libertà o, all’opposto, invocare la venuta di masanielli che rottamino i lazzaroni. Bisogna cambiare le leggi e introdurne di nuove. Ma senza farsi molte illusioni. Il problema, infatti, è che esiste una questione morale anche per i magistrati. Troppi sono i casi di collusioni, inframmettenze, abusi di potere, finanche concorsi in reati, come ancora in questi giorni sta dimostrando Venezia. La questione morale non è stata mai messa all’ordine del giorno da nessun CSM. Semplicemente rimossa. Le leggi possono aiutare ma non bastano. Come ebbe a scrivere, caro Aldo, il “nostro” Leonardo Sciascia, “il problema vero, assoluto, è di coscienza, è di «religione»”. E se non viene avvertito dai magistrati deve agire la società con il suo giudizio pubblico. Infatti, scriveva ancora Sciascia in quell’articolo, “Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli. E siamo a questo punto”.
Nicola Colaianni
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ilBuonPeppe
Vorrei fare solo una sottolineatura sull’impegno in politica dei magistrati. Penso che il nodo fondamentale su cui agire, come accennato, sia banalmente quello della divisione dei poteri: non ci possono essere porte girevoli che consentono qualsiasi acrobazia. Chi fa parte del legislativo o dell’esecutivo non può far parte del potere giudiziario. Ci devono essere barriere alte che non consentano giravolte e cambi di casacca repentini.
Questo però ovviamente, ma non lo dice mai nessuno, riguarda anche i rapporti tra potere esecutivo e legislativo: non si può far parte di entrambi, altrimenti dov’è la divisione dei poteri?
menici60d15
Uno dei segni dell’inconsistenza e della sventatezza degli italiani come cittadini è l’aver lasciato la critica della magistratura ai delinquenti e ai corrotti. I cittadini dovrebbero vigilare, e prendere posizione, in modo da poter contare su una magistratura che sia organizzata e funzioni in maniera tale da dover essere giudicata il meno possibile:
Il celibato dei magistrati
http://menici60d15.wordpress.com/2011/04/01/il-celibato-dei-magistrati/
marchetti claudio
bg, ho letto e mi trovo perfettamente d’accordo, oggi al csm dove io sono umile dipendente dal 1995, dopo 4 anni antecedenti, al min di giustizia,si sta’ svolgendo un seminario ” la convenzione di palermo e la lotta alla crim organizzata “, ci sono tutti piu’ la sorella di Falcone, se ripenso agli ultimi fatti comprese le itercettazioni tra quirinale e mancino, mi viene molta tristezza!il 23/05/1992, io ero al concorso per ud giudiziari, dove era pres di commissione la dott Morvillo dopo poche ore ci fu’ il boato a Capaci!
leopoldo
Giovedì 19 Giugno, 2014
CORRIERE DELLA SERA
La mescolanza dei princìpi
di PIERLUIGI BATTISTA
La riforma della Pubblica amministrazione annunciata dal governo rischia di incagliarsi. Ne stanno rallentando l’ iter le proteste dei magistrati. I quali contestano con ardore l’abbassamento dell’età pensionabile che consentirebbe l’avvio del turnover nel pubblico impiego e l’immissione di forze giovani nei gangli dello Stato. Il governo ha già dichiarato che modulerà i tempi di attuazione del provvedimento per non lasciare traumaticamente sguarniti gli uffici giudiziari. Ma i magistrati insistono. E cercano di frenare, sinora con relativo successo. Bollano un normale avvicendamento come un attentato all’integrità della magistratura. Prefigurano conseguenze apocalittiche su un provvedimento di snellimento burocratico e generazionale. Resistono e ostacolano l’azione del governo. E nella trincea corporativa non esitano a scomodare princìpi sommi come «l’indipendenza» della magistratura: tutto questo solo per due anni di pensione anticipata.
Ovviamente, come del resto è già stato fatto, si può criticare un provvedimento che capovolge la ratio di una riforma delle pensioni che posticipava l’età pensionabile anche per arginare le spese dello Stato. Così come non c’è niente di male che l’organo sindacale dei magistrati, l’Anm, si disponga a difesa delle tasche e delle condizioni di lavoro di chi ha il diritto alle tutele che ogni lavoratore deve avere dalla sua in uno Stato democratico. Ma i magistrati non sono lavoratori come tutti gli altri. Lo sanno anche loro. E per non prestare il fianco alle critiche di chi li accusa di attestarsi in una difesa meschina dei propri interessi, mettono in campo in modo magniloquente allarmi sulla democrazia in pericolo e sulla magistratura calpestata. Le cronache raccontano che anche nel 2002 e nel 2006 i magistrati gridarono all’«indipendenza» minacciata: ma in quei due casi il pericolo veniva dalla proposta di alzare l’età pensionabile, non già di abbassarla. L’«indipendenza» non c’entrava niente, allora come adesso. Ma una potente corporazione ha fatto ricorso ai sacri valori della convivenza democratica per difendere lo status quo . Anche qualche mese fa, quando il governo Renzi per finanziare alcuni sgravi fiscali ha esteso ai magistrati il rispetto del tetto di 240 mila euro di retribuzione annua, l’Associazione nazionale magistrati ha invocato una sentenza della Corte costituzionale in cui veniva dichiarata perentoriamente una connessione molto apprezzata dal «partito dei giudici»: «L’indipendenza degli organi giurisdizionali si realizza anche con l’apprezzamento di misure di garanzia circa lo status dei componenti concernenti, oltre alla progressione in carriera, anche il trattamento economico». La mescolanza indebita di princìpi altisonanti con questioni più prosaiche di trattamento sindacale non alimenta certo le simpatie dell’opinione pubblica per una categoria che con la sua coriacea difesa di corpo rischia di iscriversi nel fronte della conservazione che paralizza l’Italia e le riforme di cui ha bisogno. E una riforma della Pubblica amministrazione non può inabissarsi per due anni di pensione anticipata. Che con l’indipendenza della magistratura non c’entra niente.