Paranoicidi di lotta e di governo

Dopo l’intervento della scorsa settimana di Adriano Voltolin, prosegue il dibattito “del sabato” su “paranoia e narcisismo”. Molto volentieri dunque vi propongo l’intervento di Franco Romanò, scrittore e membro della Società di Psicoanalisi Critica. Buona lettura!

L’intervento di Aldo Giannuli e quello successivo di Adriano Voltolin mi inducono a ritornare di nuovo sui temi del seminario. Parto dalle considerazioni di Giannuli.

Io non so fino a che punto esiste questa alternanza nelle patologie indicate, nel senso che questo lo può certificare la clinica sul campo. Probabilmente è così in linea di massima, ma se fossero confermate, come mi sembra di capire dall’intervento di Voltolin, si tratterebbe a mio avviso delle due facce di una sola medaglia. La narrazione ideologica durante gli anni ’80 e con un’accentuazione durante i ’90, dopo la caduta del Muro di Berlino, era improntata a una riedizione del positivismo fin de siècle del secolo precedente che andò avanti fino a tutta la Belle Epoque (evocata giustamente da Giannuli nel suo intervento) per poi schiantarsi nella Prima Guerra Mondiale.

Qualcosa di analogo è accaduto a noi. La narrazione positivista che spingeva fortemente al narcisismo è durata fino alla crisi del 2008.

Da quel momento in poi, insieme alle paure (del tutto legittime) per quanto accade ogni giorno, sono aumentate le narrazioni che incentivano le sindromi paranoidi. Tutto questo, lo ripeto, riguarda la clinica, mentre io vorrei soffermarmi e tornare a quello che era l’oggetto del mio intervento al convegno e cioè il potere paranoico, dove la parola potere va intesa in senso ampio: potere politico con tutti i suoi annessi e connessi e quindi i suoi lingauggi e l’immaginario che produce.

Fra le nevrosi della comunità cui accenna Voltolin, quelle istituzionali occupano a mio avviso un posto importante e, come dice sempre Voltolin, la loro natura non consiste tanto in una somma di comportamenti individuali orientati in senso paranoico, ma riguarda il funzionamento strutturale dell’istituzione; pur essendo vero che esiste un’analogia fra le due. Elias Canetti, infatti, occupandosi del caso Schreber di cui si era occupato anche Freud, non si curò delle cause della patologia, ma dalle vistose analogie che egli colse fra il comportamento patologico di Schreber e i comportamenti coscienti di molti sovrani nei quali si era imbattuto nel corso della sua analisi dei rapporti fra la massa e il potere.

La grande differenza con il passato che io vedo e che mette in crisi le nostre convinzioni, è che non esiste una diversità qualitativa di comportamento fra gli stati totalitari e i sistemi formalmente democratici e parlamentari odierni, ma solo una differenza di ordine quantitativo che mi porta ad affermare che una percentuale più o meno alta di comportamenti paranoici è tipica di ogni forma di potere. Gli esempi delle campagne attuali da parte di molti governi europei, sostenuti molto spesso da un apparto mediatico fatto di pseudo intellettuali sono sotto gli occhi di tutti e sono comportamenti coscienti che spingono a incentivare sempre di più le paure e che a loro volta giustificano interventi sempre più liberticidi; per non parlare delle misure prese dal governo danese, da quello francese o ungherese. L’ossessione della sicurezza spinge sempre di più all’autonomia gli apparati di intelligence che se ne occupano, al di fuori di ogni controllo democratico e parlamentare, per cui i famosi gruppi di assunto di base ai quali, secondo Bion, la società è pronta a delegare il compito di gestire determinate paure che sono sempre presenti nel corpo sociale, sono diventati talmente ipertrofici da diventare essi stessi i propalatori e i diffusori di comportamenti che fanno aumentare invece che diminuire le paure latenti in strati sempre più ampi di popolazione. In uno spettacolo teatrale dal titolo L’uomo degli incendi, liberamente ispirato a Farenheit 451, il regista Guy Montag metteva in scena un gruppo di pompieri che, chiamati a intervenire, appiccavano gli incendi invece di spegnerli.
La ragioni per cui questo sta avvenendo sono tante e complesse; alcune sono indicate da Voltolin e a quelle mi riferisco perché condivido la sua analisi. Io vorrei porre però un’altra questione.

Il dilagare di comportamenti paranoici istituzionali mi ha spinto in sede di seminario a porre un interrogativo: che cosa è il potere oggi e a che cosa serve? Dicevo io stesso che si tratta di una domanda al tempo stesso troppo ovvia e troppo enorme e tuttavia vorrei far notare che da sempre, i movimenti, i filosofi, i pensatori, tutti coloro che si sono posti in modo critico nei confronti della realtà esistente, sono sempre partiti da un’interrogazione sul potere: dai filosofi della politica come Hobbes o Machiavelli, ai rivoluzionari francesi, da quelli bolscevichi ai movimenti femministi. Ciò che più manca alla cultura critica odierna è proprio la domanda su potere, su che cosa sia oggi, che cosa rappresenti, quali sono i suoi modi e linguaggi, come ci si possa difendere dai suoi comportamenti.

Si tratta di un’interrogazione che nei momenti migliori la cultura di sinistra ha elaborato e che ha abbandonato da tempo, sostituendola con una vera e propria ossessione per il governo; anzi, una vera e propria forma patologica di cretinismo governativo.

Penso che si debba ricomincare da questa interrogazione, ma l’ambito in  cui oggi una domanda del genere può avere senso, è quello sociale più che la sfera direttametne politica; naturalmente non trascuro affatto dicendo ciò, l’aspetto individuale del problema, ma questo appartiene alla clinica.

Franco Romanò

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Aldo Giannuli

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Comments (7)

  • A Franco Romanò
    Circa l’interrogativo sul potere, lei ha omesso di dire che anche la cultura di destra ha prodotto su tale argomento profonde e accurate disamine. Invito a leggere “Gli Uomini e Le Rovine” di Julius Evola.

    • Grazie per il riferimento.
      Grazie anche al prof. Giannuli per aver indirettamente introdotto l’argomento pubblicando questo articolo sul tema fondamentale del potere.

  • A Franco Romano
    Per capirci, Julius Evola riprende pari pari gli stessi temi da lei trattati nell’articolo, ma li declina in maniera più chiara e soprattutto ne discioglie la problematicità in una prospettiva di rivolta contro il mondo moderno.

  • L’articolo conferma il sospetto che i “comportamenti paranoici” di cui avete discusso al convegno siano anzitutto quelli sgraditi alle vostre sensibilità sinistrorse, e in ciò – fatto salvo il livello di elaborazione dottrinaria – vi proponete come degni eredi della yeshiva francofortese.

    Romanò ha comunque fatto un passo avanti quando si è reso conto che non esiste alcuna differenza qualitativa fra stati totalitari e stati demoplutocratici. In futuro potrebbe fare un passo ulteriore e rendersi conto che la differenza non c’è mai stata; e poi un altro ancora, arrivando a concepire tutti i concetti politici come corpora mystica, scongiuri simbolico-semantici proiettati ad aggregare fasci polimorfi di associazioni mentali, interessi settari e pregiudizi aggregativi in un mélange santificato dall’inerzia del presente e dal vincitore di turno.

    Giunto a quel punto, dove si comincia a capire il mondo (e quindi si dimette l’aspirazione a cambiarlo), perfino il collegamento colla psicanalisi acquisterebbe un senso e un’attendibilità.

    • In altri scritti e seminari mi sono occupato delle fucine totalitarie del ‘900, in questo ho cercato di mettere a fuoco alcune tendenze nei paesi dell’Europa contemporanea e della connessione fra tendenze paranoidi presenti nelle legislazioni e nei provvedimenti e l’altra faccia della medaglia dal terrorismo suicida che era poi il tema di fondo di tutto il ciclo di conferenze. Quanto ai passi indietro e non avanti che i commentatori mi suggeriscono, non ignoro ovviamente che esiste una cultura di destra che ha persino velleità anticapitaliste e che affonda le sue radici in una manipolazione sistematica del mito a fini politici, nonché sul culto della violenza a prescindere. Sono un lettore attento di Furio Jesi e un libro come cultura di destra è più che sufficiente per lasciare dove stanno i vari Julius Evola e amici.

      • A Franco Romanò
        Quindi è lei che ammette di non far qualcosa “a prescindere”: non ha letto Evola perché qualcun altro gli ha detto che è inutile.
        Infatti l’affermazione “culto della violenza a prescindere” è soltanto l’esplicitazione di un pregiudizio, in realtà anche ammesso che ci trovassimo d’accordo sul significato della parola “culto”, è piuttosto di” culto della forza ” che si dovrebbe parlare, di cosa cioè assai assai lontana e diversa dalla violenza.

      • “la connessione fra tendenze paranoidi presenti nelle legislazioni e nei provvedimenti e l’altra faccia della medaglia dal terrorismo suicida”

        Perfetto. Terrorismo islamista proclamato cattivo dal conquistatore anglosassone = (timidissima) difesa contro l’invasione extracomunitaria = paranoia. Contro la quale si erge la sanità mentale (!) della globalizzazione turbocapitalista, alla quale l’ex-sinistra ha venduto l’anima sotto la foglia di fico del pregiudizio antirazzista e della garanzia dei diritti cosmetici.

        Siamo in piena temperie piddino-selista. Almeno i francofortesi avrebbero avuto la decenza di valorizzare il terrorismo islamico come una forma di lotta antiimperialista. Loro almeno erano sinistra, voi siete il fianco sinistro del regime.

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