Anche l’opinione pubblica sottovaluta questa crisi. Perché?

Dell’incapacità di governanti e finanzieri di comprendere la natura reale di questa crisi abbiamo già detto e non vi torneremo, ma questa incomprensione non riguarda solo loro. Anche le classi subalterne (o, se preferite, i cittadini, l’opinione pubblica, il popolo o come vi pare)  hanno le loro responsabilità. E non leggere. Mi riferisco, ovviamente ai paesi occidentali (degli altri ne so troppo poco per dire) nei quali c’è la diffusa sensazione che la crisi è destinata a passare come le tante altre di questi decenni trascorsi. Forse questa è più grave e lunga delle altre, anche di quella del 1973-74 che fu particolarmente rognosa ed ebbe effetti durevoli. Ma alla fine torneremo, più o meno, al livello di vita di prima ed i danni saranno contenuti. Da dove viene questa certezza infondata  che impedisce la percezione reale di quel che accade ed impedisce un giudizio lucido sull’operato delle classi dominanti?

Certo: c’è il bombardamento dei mass media che censurano molte notizie sgradite, ingigantiscono le speranze, sostengono le azioni di governi e banche legittimandoli e, soprattutto, che diffondono analisi tendenzialmente sempre troppo ottimistiche.

Tutto questo è vero, come è vero che mancano forze di opposizione con un livello accettabile di analisi da proporre. Ma anche questo non basta, c’è dell’altro che ha a che fare con reazioni psicologiche che fanno barriera. Il punto è che la gente non vuol credere che questa crisi rappresenti un punto di svolta dopo di che molte cose cambieranno. E per capirlo dobbiamo fare una riflessione più ampia.

La storia non procede sempre son lo stesso passo, può avere lunghe inerzie, oppure periodi di cambiamento graduali e lenti oppure momenti di svolta rapidi e radicali, dopo i quali nulla resta come prima. La rivoluzione francese rappresentò, appunto, una di queste svolte a gomito, quello che, con il linguaggio della complessità, possiamo definire una “biforcazione catastrofica” (in greco antico il concetto di catastrofe sta per “capovolgimento” o “soluzione di continuità”). Di solito queste svolte si accompagnano a gravi perturbazioni nel corso delle cose (guerre, rivoluzioni, gravi eventi tellurici o epidemie ed, in tempi più recenti, gravissime crisi economiche) e per questo il termine catastrofe ha assunto un contenuto negativo e temuto ; d’altra parte, la storia genera attraverso le doglie del parto esattamente come gli uomini  e se per gli umani abbiamo trovato tecniche di parto (relativamente) indolore, per i grandi fenomeni collettivi non disponiamo di queste tecniche. Il riformismo aspira a questo ruolo di innovatore gentile e graduale, ma non sempre se ne danno le condizioni necessarie: talvolta la “grande forza tranquilla” del riformismo è impotente di fronte al grumo di interessi che ostruisce la strada al fluire della storia e di venta necessaria l’esplosione che spazza via e dissolve quel grumo. D’altro canto, il riformismo è più adatto a modifiche interne al sistema, piuttosto che al passaggio da un sistema ad un altro.

Questa consapevolezza del procedere “procedere della storia per catastrofi” c’è stata sino ai primi anni sessanta, poi si è dissolta nella lunga pace seguita al grande conflitto. L’occidente ha vissuto circa 70 anni di grande prosperità, di crescita continua, di pace, di stabilità interna dei sistemi politici e di assenza di pandemie. La fame? La guerra? Le grandi crisi finanziarie? La penuria di beni? Le pandemie? Tutte cose appartenenti al passato che la modernità ha sconfitto una volta per sempre.

La fame? Ormai la produzione agricola dell’Occidente è definitivamente sovrabbondante rispetto alla domanda complessiva ed il calo della natalità (dovuta ai contraccettivi) non lascia presagire alcuna crisi malthusiana.

La guerra? Paradossalmente è proprio lo sviluppo dei sistemi d’arma, giunti alla soglia di quelle nucleari, ad averla resa impossibile, se non per scaricare le tensioni del nord del mondo in scenari remoti ed esotici.

Le pandemie? Ma con antibiotici, cure igieniche, misure preventive ecc sono ormai cose possibili solo nei paesi “arretrati”

Le rivoluzioni? E che bisogno ce ne è quando il welfare e la democrazia hanno reso possibili miglioramenti del livello di vita generale e lasciato la porta  (teoricamente) aperta ad ogni mutamento politico voluto dalla maggioranza?

Una nuova crisi come quella del 1929? Abbiamo imparato la lezione, il keynesismo ci ha insegnato a redistribuire la ricchezza in modo che non se ne determinino più di quella gravità. E le ricette del grande economista inglese, nel complesso, sono riuscite a mantenere la loro promessa per circa 40 anni. Poi sono venute le velenose certezze matematiche del neo liberismo che promettevano di scongiurarle in eterno conciliando la grande accumulazione privata con la sicurezza collettiva.

Ci sono state ben due generazioni che sono nate e cresciute in questa temperie, sempre più convinte di non dover più vivere guerre, rivoluzioni, depressioni, carestie… Niente più tempeste ma un solo perennemente splendente.

Tutto questo ha creato un insieme di certezze infondate ed ha minato grandemente il senso storico delle nostre generazioni, sempre più immerse in un immoto presente cui il passato non interessa perché il futuro non può essere altro che una costante riedizione, sempre migliorata del presente.

Oggi siamo di fronte ad una serie di mutamenti che stanno per stravolgere l’opulenta, inerte sicurezza dei nostri giorni e ce lo diciamo, ma usando parole di cui non comprendiamo (non vogliamo comprendere) il significato: suoni privi di contenuto.

Il disastro climatico? C’è, ne parliamo tutti, ma nessuno che rinunci al benché minimo consumo di energia. Forse questo mutamento avrà conseguenze da minacciare la stessa sopravvivenza dell’Uomo sulla Terra. Bè, non esageriamo con gli allarmismi, e poi chissà quando accadrà… Problemi delle generazioni future.

L’esaurimento delle materie prime non rinnovabili? Ci sarà, ma chissà quando, che se la vedano i nostri pronipoti.

Il rischio di una esplosione demografica? E’ una cosa da paesi del sud del Mondo (che, si sa, sono un po’ selvaggi) non è cosa che ci riguardi, qui di crisi malthusiane non ce ne daranno né domani né dopodomani.

Guerre? Ma no, anche questo è roba da ipo progrediti, noi siamo civili e queste cose non le facciamo (al massimo le facciamo agli ipo progrediti di cui sopra, ma non certo fra noi). E se anche dovesse scatenarsi una guerra fra i grandi paesi emergenti (come Cina ed India), meglio ancora: si massacrano fra di loro e lasciano in pace l’egemonia dell’Occidente.

Rivoluzioni? Non scherziamo: non evochiamo neppure il termine. L’unico rivolgimento dei nostri tempi è stato il crollo dei regimi sorti dalla rivoluzione d’ottobre, suprema sconfessione del sogno rivoluzionario e definitiva consacrazione del modello liberale. E poi le forze dell’ordine hanno messo a punto strumenti tecnologicamente sofisticatissimo per tenere a bada masse in rivolta, il controllo di fb e twitter ci avvisa in tempo di quel che monta, l’apparato legislativo prevede pene sempre più severe che giudici sempre più ossequiosi del potere applicheranno con la massima durezza. C’è da stare sicuri.

E su questi scenari di catastrofi, che si immaginano lontane nel tempo e nello spazio, si stendono le ombre dei due grandi processi del nostro tempo: la crisi economico-finanziaria, appunto, con la sua devastante gravità ed il passaggio di egemonia dall’Occidente all’Asia. Nubi spesse e nere, il cui cozzo promette quella tempesta che in settanta anni non abbiamo mai visto e che oscureranno per chissà quanto tempo quel sole che splende da sette decenni.

Ma di fronte a questo scenario che viola le certezze di “sereno stabile” la mente dell’uomo di questo primo scorcio di secolo si ritrae rifiutando di ricevere il messaggio che viene dai segni del tempo.

Forse siamo di fronte alla prima biforcazione catastrofica dopo il 1945, ma la ristrettezza dell’orizzonte storico dell’Occidente odierno impedisce di capirlo e la crisi diventa solo una perturbazione momentanea.

Le classi dirigenti hanno le loro colpe, ma non tutto può essere loro attribuito. Anche le classi popolari ci mettono del proprio.

Aldo Giannuli

aldo giannuli, opinione pubblica, uscire dalla crisi


Aldo Giannuli

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Comments (40)

  • concordo in gran parte. Una piccola correzione, una pandemia la stiamo vivendo si chiama cancro ed è strettamente legata al nostro tipo di economia/societa’.

  • Che l’uomo per sua costituzione genetica, tenti di allontanare da sè le prospettive più nere, credo che sia una risultanza sperimentale nella vita di tuti i giorni.
    Non mi meraviglio così che la gente continui a far finta di non capire il guaio in cui siamo stati cacciati.
    Il punto però che mi pare più importante è che non possiamo chiedere al cittadino comune di costruirsi da sè prospettive rivoluzionarie, e quindi direi che il primo problema dei nostri tempi è la tendenza a prostituirsi al potere dominante dell’intellettuale ai nostri giorni, tennedo altresì conto che tale atteggiamento ha un’ulteriore conseguenza, quella di finire con l’annebbiarne la mente, l’intelluttuale che magri prima si prostituisce consapevolmente, finisce per acquisire un abito mentale conformistico al pensiero dominante, e non è più capace di venirne fuori.

  • è proprio il termine ‘crisi’ ad essere errato.
    Il mercato non è che è in ‘crisi’, da oggi il mercato è questo.

    Un reset della nostra economia, reset che non è neanche finito, che ci sta proiettando in un altro mondo, in un altro film in cui vivremo per sempre.
    Chiamare tutto questo ‘crisi’ anzichè ‘reset’ o ‘cambiamento’ (o qualche termine analogo) è quindi la radice della sottovalutazione del problema.

    Questo porta anche a comportamenti errati, ad arroccarsi su posizioni fuori luogo, dalle ricette economiche alla anacronistica difesa sindacale.
    Su questo ultimo punto, mi spiace ma non posso non vedere che si continua a ragionare come se la scelta fosse fra posto fisso e posto precario mentre la scelta sarà, anzi già oggi è fra posto precario e disoccupazione.

    • Ecco un perfetto esempio di incomprensione di quel che sta accadendo. C’è un modo insuperabile per prendersi in giro e preparare la propria rovina: ciamare “nuova normalità” quello che è patologia. Può darsi che una patologiua possa avere un andamento acuto (come un infarto) o più graduale (come una malattia degenerativa molto lenta), nel primo caso il termine esatto è crisi, nel secondo lisi, ma entrambe non sono andamenti fisiologici. Noi simo nel pieno di un infarto dell’economia mondiale e questo si sovrappone ad una fase do forte incertezza dell’ordine mondiale. Dire che tutto questoo è “cambiamento” non vuol dire nulla perchè tutto è cambiamento più o meno lento o veloce, più o meno graduale o ad andamento catastrofico.
      Di anacronistico nell’atteggiamento c’è una sola cosa: l’accettazione delle compatibilità del sistema e l’inutile moderatismo. Oggi semmai i sindacati dovrebbero promuovere l’occupazione generalizzata delle fabbriche, altro che concertare o chiedere di essere graziosamente ammessi alla presenza dei capi di governo.
      Lei pensa che questo sistema vada conservato, io penso che vada abbattuto, ma a decidere non saranno le sue o le mie preferenze ma l’andamento dei fatti che segnalano un crollo molto più vicino di quanto non si sospetti.

  • E’ proprio da qualche giorno che facevo queste considerazioni… partendo dalla constatazione della totale impermeabilità di moltissime persone a qualsiasi tipo di notizia per quanto fondata e razionale che porti come conseguenza che le cose non “torneranno come prima”.
    E’ quasi impossibile convincere molte persone di questa tesi per quanti dati ed evidenze di possano portare, al contrario notizie prive di fondamento ma di segno opposto vengono gradite alquanto…

  • Si sono d’accordo, la nostra generazione pensa che in qualche modo tutto s’aggiusterà.

    Retrocederei la data del cambiamento e la riporterei al famosissimo libro La crisi della democrazia, di Huntigton, Crozier ed altri, non dico chi l’ha pubblicato perché altrimenti mi danno del complottismo.

    Poi si c’è il complottismo, l’idea cioè che tutto quando stia succedendo sia guidato dall’alto e che, quindi, dall’alto verrà risolto, perché in fondo, pensano molti, noi cittadini serviamo quantomeno per comprare.

    Dagli anni novanta sono state poste le base per questo nuovo mondo: meno democrazia, meno organizzazioni (partiti, sindacati) e, apparentemente, meno ideologia.

    Siamo cioè convinti tutti di potere avere una opinione e che queste opinioni messe insieme possano formare un movimento. No non più un partito un movimento orizzontale, dove siamo noi che contiamo, non le leadership del partito.

    È chiaro che come la realtà sociale è una costruzione umana, anche la nostra opinione lo è, quindi, noi, di opinioni autonome non ne abbiamo, ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano.

    Certo è che, come ricorda il direttore o presidente dell’Inps, se la nostra generazione si rendesse conto di ciò che ci spetterà di pensione faremmo la rivolta. E invece no, siamo convinti che saremo sempre giovani e belli.

    Il problema della guerra l’abbiamo risolto con un pacifismo da 4 soldi, dimentichi che possiamo anche essere pacifisti ma ahimè al mondo non sono tutti pacifisti e avere un esercito forte aiuta.

    Il problema dell’energia lo si affronta depauperando i paesi del 3º mondo, ma rifiutandoci di mettere pale eoliche nei nostri campi perché deturpano il paesaggio.

    Il problema delle droghe non è affrontato, se non con un permissivismo preoccupante e intanto sostanze psicotrope dilagano a destra come a sinistra. Ricordo di come a Scienze Politiche ci si mobilitasse per impedire di chiudere una sala dove era consentito fumare hascisc o marjuana, ma non ci si mobilitava per ottenere borse di studio e servizi migliori.

    Il mondo occidentale è un altro e noi non lo vogliamo conoscere, ci giriamo dall’altra parte e facciamo finta di essere negli settanta.
    Lo stato continua ad esistere ma scompare, cioè si allontanano i punti di contatto tra cittadini e leader. Si chiudono i tribunali, chiudono posti di polizia, chiudono le provincie e gli ospedali.

    Questo è l’opposto dello stato fascista, quello arrivava ovunque, questo se ne va e ci lascia soli a fare le nostre rivolte. Chissà che in fondo anche la No Tav, attirando le attenzioni mediatiche, in fondo non faccia piacere a chi ci governa.

    E chi ci governa? I giornali ci parlano di Bersani, Berlusconi o della Merkel e di Hollande, ma la questione è molto più complessa. Il potere è sparito. Lo dice Shauble a Vitor Gaspar in un dialogo privato: noi vorremmo fare di più ma l’opinione pubblica non ce lo consente.

    E chi la forma questa opinione pubblica che tiene costantemente i governi sotto scacco? Di chi sono giornali e telegiornali?

    Ma la colpa è nostra, nostra che crediamo che con le identità locali, con i diritti civili, con il rispetto delle diversità (politiche intendo), con la convinzione della superiorità della nostra etica qualche cosa si possa ottenere.

    Anzi, proprio a partire dalla superiorità della nostra etica riteniamo che nulla debba essere fatto perché è lei a parlare, la sua evidenza. Loro sono 8 noi 5 miliardi ricordate?

    Eppure il problema del potere e della forza non può non essere posto, sarà cinico o machiavellico, ma la questione è questa: chi detiene il 35% delle ricchezze, l’un per cento della popolazione, ha anche tanto tanto potere come facciamo a toglierglielo?

  • Finalmente un po’ di sano pessimismo.
    Anche io vedo grosse nubi nere all’orizzonte e ho la percezione che siamo ad punto di svolta, non ad una crisi passeggera.
    L’unica cosa che non condivido appieno, è la sottovalutazione di Malthus. La rivoluzione industriale aveva fatto saltare il rapporto popolazione/risorse perchè era esplosa la capacità produttiva e le sue leggi sui freni repressivi non erano più valide.
    Bisogna però far notare che 25 anni fa eravamo 5 miliardi di persone sul pianeta, oggi siamo 7. Mai l’umanità ha assistito a nulla di simile.
    Possiamo fare quello che volgiamo, ma siamo in troppi e cresciamo più dei beni che riusciamo a produrre e delle risorse non rinnovabili a nostra disposizione. Da qui la sensazione che, per riequilibrare il rapporto, i freni repressivi possano tornare ad intervenire.
    Aggiungo una provocazione: non è che tutti noi a sinistra, imbevuti di materialismo storico, certi che giungerà la provvidenza socialista e l’età dell’oro, abbiamo contribuito ad infondere uno scellerato ottimismo a-critico?
    Aldo dice giustamente che la nostra società percepisce la storia come se fosse un processo giunto a conclusione: siamo certi che la colpa sia solo di Fukuyama?

  • Maurizio Melandri

    Articolo interessante.
    Credo che questi atteggiamenti psicologici continueranno fino a quando l’Occidente avrà la “pancia piena”. Poi la catastrofe.

    Mi sento tanto in un periodo da fine “Impero” (niente a che spartire con Negri, ovviamente) e mi ritoranano in mente sia alcuni libri che ho letto sulla fine dell’impero romano che la trilogia di Asimov (che su uno di quei libri ha basato quei romanzi).

    Il problema è che mentro quell’impero finì in parecchio tempo con continui sussulti questo rischia di finire molto prima…e nella storia non una società finisce mai o quasi mai in maniera soft.

  • Penso che quando la benzina toccherà l’equivalente di 10 euro/litro (in termini di frazione di potere d’acquisto medio degli italiani relativo a quello odierno) la vita di molte persone sarà stravolta. Il guaio è che oltre a tante frivolezze di cui sarebbe stato auspicable fare a meno da molto tempo – si pensi, ad esempio, a quante persone nei piccoli paesi comprano un’automobile e non se ne separano nemmeno per andare a comprare il pane a trenta metri da casa loro – tante cose fondamentali per l’equilibro del nostro modello economico-sociale verranno a mancare, o ad acquistare prezzi proibitivi, bruscamente: il riscaldamento, l’energia elettrica per utilizzo domestico e, ancora peggio, per la produzione industriale. Il tutto sarebbe aggravato dalla velocità che rende più problematico l’adattamento alle nuove condizioni.

    Per questo io dico che una degenerazione autoritaria, per mantenere livelli decenti di ordine pubblico (se non addirittura per evitare il collasso delle attuali istituzioni) è possibile in tempi tutt’altro che remoti. Peraltro, si sa, l’emergenza rende tutto più semplice. Persino le sospensioni dei diritti fondamentali.

  • è possibile che i sindacati indicano uno sciopero contro il governo Monti? No, per due motivi: i sindacati appoggiano Monti, e poi non siamo più in democrazia. Allora, quando non sono più percorribili i canali tipici della democrazia, può succedere di tutto. Io non stò dicendo cosa dovrebbe succedere, ma che non si può dire: “questo (…) non succederà mai!”. Con questa crisi sono successe tante cose che si ritenevano impossibili, però sono successe! E quello che succederà non è quello previsto dagli economisti o intellettuali.
    Inviterei il prof. Giannuli a rileggere con noi le rivoluzioni (da quella francese in poi) per capire se si può imparare qualcosa dalla storia. Oppure se bisogna rassegnarsi agli eventi.

  • a parte che fukuyama sta nell’angolo delle risate dells mia libreria insieme a gianni vattimo, giobbe covatta e cioran, e che ha peraltro cambiato idea (ma và), io credo che le classi popolari siano per antonomasia deficitarie degli strumenti per capirci qualcosa, e la colpa continuo a darla tutta alla terza via da una parte, e al resto della sinistra dall’altra: la camusso che dovrebbe occupare gli stabilimenti: potrei essere d’accordo, ma con che prospettiva potrebbe farlo? che narrazione propone a quelli che dovrebbe portare a occupare le fabbriche? il problema è che la mancanza di alternative a questo sistema è interamente imputabile alle forze di sinistra, dato che non mi aspetto certo da casini o fini un benchèminimo cambiamento, e di fronte al vuoto teorico è chiaro che la gente preferisce credere all’unica realtà che ha davanti.
    quindi aldo, per uscire da questo circolo bisogna indicare una strada realistica e praticabile, sennò si perde tempo a lodare la forza del proprio avversario e non si fa niente a parte concimare il proprio ego.

    p.s: prendiamo ad esempio la linke: il ricorso costituzionale da lei presentato fa risultare il fatto che la sinistra tedesca ritene le attvità di speculazione finanziaria del suo stato compatibili con una politica di sinistra, e che del resto delle sinistre europee non gliene frega una cippa. piuttosto che prendersela sempre con il popolo bue, forse sarebe anche sensato riflettere su molti altri pecoroni in finto completino rosso

  • pierluigi tarantini

    Caro Aldo,
    il Tuo stupore relativo all’incapacità l’opinione pubblica di comprendere la natura reale della crisi mi meraviglia.
    Mi sembra di tutta evidenza, infatti, come la complessità del mondo contemporaneo renda lo stesso difficilmente intellegibile e non solo a chi legge la Gazzetta dello sport ed è reso meno lucido, per utilizzare un eufemismo, dalla televisione.
    E, per fare un esempio, il giudizio comune sui nostri governanti, quelli al governo e quelli all’opposizione, oscilla tra il ritenerli ladri incapaci o servi sciocchi.
    In ogni caso non pienamente consapevoli.
    Forse questo giudizio consegue anche al nostro essere inclini all’essere popolo di allenatori però è relativo a chi certo non appartiene alle classi subalterne.

    Detto questo, ad ulteriore parziale esimente dell’opinione pubblica contemporanea, non mi sembra che la coscienza del procedere della storia per catastrofi, che ritieni esserci stata sino ai primi anni sessanta abbia evitato, per restare al novecento, le catastrofi delle guerre mondiali, del fascismo e del nazismo (e chi più ne ha più ne metta).

    La globalizzazione, peraltro, ha reso più difficile la comprensione degli eventi del nostro tempo.
    A tal proposito, tornando alle opinioni pubbliche, ho trovato interessante il contrasto tra due articoli, reperibili sul web, a proposito del sistema tedesco, e della relativa opinione pubblica.
    La realtà tedesca viene ritenuta da alcuni come una festa per gli occhi per chi crede nel bilanciamento dei poteri e in un dibattito democratico ricco e articolato (Alessandro Fugnoli: Là dove non si parla che di Europa).
    Fugnoli, inoltre, ripercorre la storia delle patrimoniali tedesche che dà la misura dell’organicismo di quel popolo (da noi solo l’idea di una patrimoniale porta Cicchitto sulle barricate).
    Altri (Joseph Halevi: Sul capitalismo tedesco), invece, ritengono che la strategia lanciata da Schroeder nel 1997, nota come alleanza per l’occupazione e basata sull’idea che gli aumenti salariali siano ostacolo al riassorbimento della disoccupazione, non sia che un pretesto. Dal patto produttivistico orientato verso le esportazioni dei decenni settanta-ottanta, comunque fondato su uno spostamento della distribuzione del reddito in favore del capitale e dei profitti, Schroeder è passato alla subordinazione dei sindacati ad una politica che pone le rendite azionarie – e quindi la valutazione proveniente dai mercati finanziari – in primo piano.

    Certo la diversa formazione degli autori, l’uno strategist finanziario, l’altro accademico, spiega un approccio così diverso alla medesima realtà e, tuttavia, la sensazione di disorientamento rimane anche in chi non legge la Gazzetta dello sport.

    Detto delle incertezze dell’analisi latu sensu politica pare che anche la scienza economica qualche conflitto interno lo viva.
    E’ il caso del tema relativo agli effetti di una svalutazione sui salari reali e sulla quota salari.
    Questione quanto mai attuale sulla quale, però, neanche il confronto tra luminari illumina.

    Ed infatti Alberto Bagnai (in Svalutazione e salari) con ostentata sicumera nega la correlazione tra inflazione e svalutazione giungendo a definire ironicamente l’inflazione come la più iniqua delle imposte perché danneggia la vedova, l’orfano, e il proletario.
    Emiliano Brancaccio (nel recentissimo Un timido guerrafondaio), invece, a mio modesto avviso con maggiore equilibrio, evidenzia gli effetti della svalutazione sull’inflazione e sulla quota salari avutisi nel passato recente e, più concretamente, indica l’esigenza di richiedere, nell’even-tualità di una svalutazione, 1) l’indiciz-zazione dei salari, 2) il ripristino dei controlli amministrativi su alcuni prezzi “base” ed 3) una politica di limitazione degli scambi che aiuti a meglio governare le fluttuazioni delle valute.

    Tutto ciò, anche se qualche volta disorienta, è appassionante: il web rende possibile informarsi e confrontarsi come mai era accaduto prima nella storia.
    E questo, contrariamente al sentiment che traspare da Tuo post, mi induce ad un moderato ottimismo (beniteso: della volontà) sulla possibilità di conoscere il sistema e, se necessario, combatterlo.

  • bella e corragiosa reflessione professeur! communque il fetichismo delle merce ci ha fatto pedere il senso della storia per andare
    a finire in una realta sempre piu astratta il cosidetto sogno americano, bella gabbia d’oro,c’est tonton KARL MARX que aveva ragione
    (senza parlare della caduta tendenziale del saggio del profitto) e una crisi di civilta quella que viviamo.

  • Ok, provo a ributtarlo giù.

    Io credo che questa non sia solo una fase ma sia la nuova realtà (e/o il nuovo mercato) perché oggi il mondo è dominato dalla domanda e non più dall’offerta.
    Questo non tanto perché la capacità produttiva è così tanto aumentata che non è più un problema produrre tutto, a qualsiasi prezzo, ma quanto piuttosto perché il consumatore è cambiato.

    Il consumatore è quello che ha potere di vita o di morte su tutto e, soprattutto, è cambiato nel suo essere.
    Il consumatore siamo noi tutti naturalmente, e (quasi) tutti abbiamo subìto fino in fondo la mutazione antropologica che Pasolini aveva perfettamente focalizzato e descritto.

    Luttwak, nel suo ‘La dittatura del capitalismo’, porta un esempio che secondo me è illuminante.
    Pressapoco è questo: una volta si andava a fare spesa solo presso il negozio sotto casa ed era impensabile andare presso altri negozi perché poi saremmo dovuti passare davanti al negoziante nostro conoscente da tanti anni, con le buste della spesa di un altro negozio, e la cosa sarebbe dispiaciuta molto sia a lui che a noi. Oggi non è più così, noi non siamo più così conclude laconicamente Luttwak.

    Direi che questo è un esempio perfetto per descrivere come eravamo con la vecchia economia e come siamo con la nuova economia.
    L’economia una volta era anche una relazione fra persone, ora non lo è più e questo dipende anche, anzi, essenzialmente da noi consumatori.

    Tutto il resto – multinazionali, banche prepotenti, finanza sregolata – tutto ciò deriva dalle nostre scelte al supermercato, perché per noi non conta più la relazione personale ma solo ed eslusivamente il nostro desiderio di consumatori.

    Per questo ritengo che non sia una patologia ma un nuovo mondo sia questo.
    Peggiore del vecchio e con grossissimi problemi di ridistribuzione della ricchezza.

  • A proposito della percezione della crisi: credo che quello che sentiamo sia impossibilita’ di interagire con la realta’, di incidere su di essa. La realta’ in cui viviamo e’ talmente complessa che ne siamo immobilizzati. Nessuno piu’ ha una visione della societa’, dei progetti in cui credere, la consapevolezza di poter incidere in positivo o in negativo sul mondo che ci circonda e neppure sul proprio destino.

    Questo senso di impotenza, deresponsabilizzazione, porta all’apatia totale. Sconforto da un lato (quanti di noi sotto i 30 non cercano nemmeno piu’ lavoro) e dall’altro lato rimozione, perfino ottimismo infondato.

    Sono due facce della stessa medaglia: “non posso migliorare la mia condizione perche’ non credo che mai nulla cambiera’, ma questo stesso motivo non credo neppure che possa peggiorare”.

  • Non credo che le cose stiano come dice Andrea nell’ultimo commento. non è che le persone non credano che le cose possano cambiare, è che non sono disposte a rinunciare a nulla di ciò che costituisce oggi la loro vita, fosse anche un minimo meschino privilegio, e pertanto le uniche variazioni che sono disposti ad accettare sono quelle su cui non si deve rischiare nulla, quelle del tipo di avere un telefonino in più, cioè il nulla.
    Si tratta insomma di un problema ideologico, e per questo qualunque progetto politico di cambiamento deve necessariamente partire da una battaglia ideologica, meno di questo non permette di cambiare nulla.
    Per questo insisto nel dire che il problema non riguarda oggi i semplici cittadini, ma coloro che per motivi differenti e molteplici hanno una maggiore capacità di leggere i fatti, e dalla cui acquiscenza al pensiero dominante non possono essere assolti.

  • Io non penso che la gente sia inconsapevole di ciò che sta accadendo. Quando mi confronto con altre persone vedo che quasi tutti siamo in grado di dare analisi e risposte coerenti con quelle che leggo su questo sito di discussione. Qual’è il problema allora? Secondo me il senso di emergenza e ineluttabilità dei provvedimenti presi e da prendere, la manifestata grandezza dello scenario entro cui ci muoviamo (…globalizzazione, finanza mondiale, governo internazionale) che scoraggiano ogni individuo dal prendere provvedimenti o dall’organizzarsi: Organizzarsi con chi, poi? Col sindacato? Ci provo, ma ogni forma di lotta (lo sciopero) appare manifestamente inutile e autolesionista. Con i partiti? Quelli che ci provano hanno un riscontro di voti obiettivamente inutile a cambiare la situazione (e poi in Grecia, quando qualcuno ha provato a modificare le cose, Papadopoulos con il referendum, Syriza con le elezioni, è stato pesantemente minacciato dagli organismi internazionali, alla faccia della democrazia). Rimane la chiesa, per chi ci crede, con ricette misericordiose (la carità) o con soluzioni di conforto eterno in un’altra vita. …Poi ci sono i tecnici, ma quella è un’altra storia….

  • Vincenzo sul fatto che moltissimi giornalisti, intellettuali, politici ´progressisti´ abbiano una responsabilita´ enorme non c´e´dubbio.
    Pensiamo ad esempio a chi contribuisce con i propri silenzi alle barbarie delle “guerre di pace”. Pensiamo a cio´ che e´stato in italiani il berlusconismo-antiberlusconismo, due facce della stessa medaglia che hanno avuto come risultato quello di ofuscare qualunque altro dibattito serio che provasse ad inquadrare la politica all´interno della storia, dell´Europa e del mondo.

    Credo pero´che sia un po´difficile pensare di fare delle rinunce, se si ha la consapevolezza che queste non serviranno a nulla. Insomma quali azioni intraprendere? Quali rinunce? Cosa mi lascia pensare che le mie rinunce contribuiranno in qualche modo a cambiare le cose?

  • @Andrea (senza la T :-))

    Io la penso in maniera parzialmente diversa da te.

    Per certi versi hai ragione quando parli dell’apatia (soprattutto dei giovani) e della percezione che niente si muova, ne in positivo e negativo. E, di conseguenza, dell’incapacità di fare rinunce.

    Ma

    1) penso che questa apatia sia, nonostante tutto, comprensibile. Perchè frutto di anni e anni (soprattutto nelle nuove generazioni) di lavaggio del cervello ed esposizione a strategie manipolative i cui metodi sono stati mutuati dalla vera e propria propaganda. La realizzazione di sé tramite il consumo di beni, spesso e volentieri, futili (la cui importanza è ingigantita dalle predette strategie) è quello che, detto con molta tristezza, riempie le vite di molti milioni di persone. E psicologicamente è anche coprensibile che chi è vissuto con questa forma mentis sia restio a ridimensionare la realtà per riconoscere che tolte certe sciocchezze spesso c’è il vuoto nella propria personalità e nella propria vita.

    2) questa apatia non è giustificabile in chi ha preso consapevolezza. Che anzi dovrebbe contribuire a scuotere gli altri.

    Io penso che le rinunce si dovranno fare in ogni caso, perchè le risorse sono limitate e non si è fatto abbastanza per migliorare la tecnologia che consentirebbe una migliore efficienza di quelle disponibili per mantenere sostenibile livelli di consumo che erano sostenibili fino a qualche decennio fa (solo in occidente).

    Il punto è che il consumismo è comunque finito, anche se molti ancora non lo sanno. Ma il passaggio e l’austerità (reale) può essere fatta equamente e perseguendo un obiettivo politico egalitario di organizzazione sostenibile delle risorse diponibili (mantenendo la democrazia), o può essere fatta facendo in modo di riconvertire il modello economico affinchè tanti lavorino tanto e guadagnino poco per permettere a pochi di lavorare poco ( o non lavorare proprio) e guadagnare tanto. E in questo seconod caso temo che la democrazia non sarebbe più compatibile.

  • @Andrea (senza la T :-))

    Piccolo lapsus, scusa.

    In realtà volevo scrivere (ed è più appropriato nel contesto)… affinchè tanti lavorino tanto e CONSUMINO poco per permettere a pochi di lavorare poco ( o non lavorare proprio) e CONTINUARE A CONSUMARE tanto. E in questo secondo caso temo che la democrazia non sarebbe più compatibile…Perchè quei soggetti di cui parli tu avrebbero un brusco, e non piacevole, risveglio dalla loro apatia.

  • Sono contento che questo articolo abbia suscitato così tanti commenti, perché lo ritengo – cosa rara e apprezzabile – sulla buona strada.

    Quello che l’articolo non coglie, secondo me, e che non colgono molti lettori, è che questa trista involuzione riguarda in questi toni foschi la sola Europa occidentale. L’impatto sarà di certo mondiale, ma è alla nostra Europa – gestita a tutti i livelli da insipidi e insignificanti omini di limitate vedute – che spetta il peggio dell’involuzione.

    L’altro punto dove non posso concordare con lei, stimatissimo professore, né con i lettori, è qualche venatura che ritengo eredità del marxismo, venature che hanno intriso le mie vedute per gran parte della mia vita ma che oggi vedo parzialmente superate e – tutto sommato – inadeguate a spiegare il presente. Parlate di sindacati, ma li conoscete un po’ di sindacalisti, di quegli RSU che popolano le nostre morenti aziende? Vi aspettate qualcosa da questi parassiti che cercano solo di stare a galla, nonostante la loro mediocrità? Qualcuno parla di rivoluzione, ma fatta da chi? da questi ventitreenni col cervello fatto in pappa dalla PSP e dalla De Filippi?

    Io penso che la nuova via sia ancora tutta da scoprire, e che dobbiamo liberarci anche di buona parte dei nostri pregiudizi sinistrorsi. Almeno noi pochi che abbiamo una vaga idea di quanto stia accadendo.

  • Trovo un’osservazione molto condivisibile il fatto che le persone pensino che questa crisi debba passare come è sempre passato tutto. perchè in fondo nulla può davvero turbare il mondo come lo conosciamo noi dal dopoguerra ad oggi. Ma spero che le frasi di colpevolizzazione nei loro confronti, espresse alla fine, servano solo da provocazione, perchè non credo assolutamente giannuli tu possa credere che la “gente” dovrebbe davvero avere un maggiore grado di consapevolezza. Ma quando mai l’ha avuta negli ultimi 70 anni(e forse manco prima)? tutto è stato vissuto dalla maggioranza della popolazione come eventi sullo sfondo, una specie di rumore di fondo, lontano dalle loro esistenze perchè in essi mancano gli strumenti culturali per collegare i vari episodi alle proprie vite. Non basterebbe loro oggi leggere e informarsi, nemmeno su canali diversi dai media ufficiali, perchè la finanza è una materia tecnica accessibile solo ad una élite di tecnocrati o ad una minoranza “illuminata” più istruita e interessata. al grido “wojtyla santo subito” non si può andare lontani, è evidente.

    Poi per quanto riguarda l’invito alla rivolta, sempre molto in auge tra noi sinistroidi, anche in quel caso credo nn avverrà. A tal proposito riporto alcuni pezzi tratti da La democrazia in America (anno 1840):

    “quasi tutte le rivoluzioni sono state fatte per consacrare o distruggere la diseguaglianza….se dunque riuscirete a fondare una società tale che in essa ognuno abbia qualcosa da conservare e poco da perdere, avrete fatto molto per la pace nel mondo”.

    “I ricchi non formano una classe a parte facile a riconoscersi (come nell’aristocrazia) e da spogliare e, poichè son o collegati in collegati attraverso mille fili segreti alla massa dei concittadini il popolo non può toccarli senza toccare anche se stesso. Fra questi stremi delle società democratiche si trova una moltitudineinnumerevoli di uomini quasi simili, i quali senza essere nè ricchi nè poveri sono abbastanza agiati da desiderare l’ordine ma non tanto da suscitare invidia”.

    “Perciò, nelle società democratiche la maggioranza dei cittadini non vede chiaramente cosa potrebbe cosa potrebbe guadagnare da una rivoluzione e sente in momento in mille modi ciò che potrebbe perdervi…..L’eguagianza dellecondizioni spinge naturalmente gli uomini verso le carriere industriali e commerciali….il commercio rende gli uomini indipendeti, da un’alta idea del valore personale. li spinge alla libertà ma li allontana dalle rivoluzioni”.

    “Se eaminate qualcuno di essi in un’epoca qualunque della vita lo vedrete preoccupato soltanto al suo benessere; non parlategli quindi degli interessi e dei didritti del genere umano”.

    “Le violente passioni politiche hanno poca presa su uomini così occupati nella ricerca deò benessere”.

    “nonm pretendo affatto di affermanre che gli uomin che vivono nelle società democratiche siano naturalmente immobili….essi variano solo le cose secondarie, avendo cura di non toccare le principali…..la vita passa in mezzo al movimento e al rumore, gli uomini sono così occupati ad agire che resta loro poco tempo per pensare”.

    “Via via che esamino i bisogni e istinti dei popoli democratici, mi persuado che, se l’uguaglianza arriverà a stabilirsi in modo permante e genrale nel mondo, le grandi rivoluzioni intellettuali e piolitiche diverranno molto più difficili e rare di quanto si suppone generalmente….se i cittadini continueranno a rinchiudersi nei piccoli interessi domestici si può temere che essi finiscano per diventare inaccessibili alle grandi passioni politiche che turbano i popoli, ma che li sviluppano e li rinnovano”.

    “Io temo, lo confesso che essi si lascino, infine, dominare da un fiacco amore per i beni presenti…..si crede generalemente che le società nuove tendano a mutare di faccia ogni giorno; per parte mia ho paura che finiscano per essere troppo fissate nelle stesse istituzioni, negli stessi pregiudizi, negli stessi costumi; in modo che il genere umano si fermi e si limiti; che lo spirito si piegli e si ripieghi etrnamnete su se stesso senza produrre idee nuove; che l’uomo si esaurisca in movimenti solitari e sterili e che, pur muovendosi continuamente, l’umanità non avanzi più”.

    Poi certo su questi processi le élite ci hanno marciato, hanno polarizzato la società concentrando la ricchezza, manipolando l’informazione ecc. ecc., ma in fondo le risposte alle nostre domande di questo tuo articolo sono state trovate nel XIX secolo, senza bisogno di troppi giri di parole e di neuroni.

  • mi hanno colpito molto due commenti: uno è quello di ga, che a un certo punto mi pare la bindi, accusando i “compagni” di avere difeso quelli che si fanno le canne anzichè “pensare all’economia”, come la bindi se l’è presa con chi vuole diritti per gli omosessuali, dato che non si può pensare ai diritti, meglio pensare all’economia.
    ecco questo mi pare il perfetto discorso da slogatura cerebrale: purtroppo il modo migliore per fare si che l’economia vada bene è quello di non farsi mettere i piedi in faccia dalla classe politica e non farsi dividere. un politico che sa di avere un’opposizione di sinistra a cui dei diritti civili non gliene frega nulla, sa di avere l’elettorato in tasca, e basterà un demagogico inno alla responsabilità, e ti diventano tutti omofobi, razzisti, o proibizionisti, e soprattutto più proni. senza contare che razzismo omofobia e proibizionismo sono cose che allo stato italiano costano una montagna di soldi, immagino più di 3-4 miliardi di euro l’anno.
    e io credo che la vera colpa delle classi popolari si possa intravedere nei commenti di ga e chris, che dimostrano un atteggiamento da persone più che altro spaventate di perdere quello che hanno e che per sicurezza trovano che delle politiche repressive siano più utili all’economia di politiche di sinistra, e i diritti degli altri? chissenefrega, meglio pensare ai fatti propri.
    e la classe politica che abbiamo è tarata proprio per esigenze di questo tipo: la bindi di fronte a un popolo che sa cosa significa essere di sinistra, avrebbe evitato di dire quelle cose, mentre è vero che a furia di dire che il marxismo e la sinistra sono superati, ci ritroviamo il nipote di gianni letta presidetne dell’ex pci.

  • p. s. comunque la mia prospettiva rimane la stessa: venendo a mancare una definizione di sinistra spiegabile al popolo (ma figurati, come potrebbe in quel caso letta fare il vicesegretario) è logico che ci sia gente deficitaria di strumenti culturali che afferma che o si difendono i diritti o si fa crescere l’economia, non capendo che le due cose sono fortemente legate

  • Caro Aldo,
    sono d’accordo con quello che scrivi.
    Aggiungo: si sta concludendo un’epoca iniziata nel 1492 (“scoperta dell’america”), si sta concludendo un’epoca iniziata nel 1789 (“rivoluzione francese”, lìbertà, uguaglianza, legalità sono – non solo sostanzialmente ma anche formalmente – parole scritte sulla sabbia, in riva al mare, con lo tsunami in arrivo).
    E l’epoca iniziata nel 1917 (“rivoluzione sovietica”) si è già conclusa, nel 1989 (“caduta del muro di berlino”).
    E nella sostanza – non sola nella forma – si sta concludendo anche un’epoca iniziata il 22 luglio 1944 (Bretton Woods). L’interrogativo è se sarà indolore il passaggio a un’altra valuta di riferimento mondiale diversa dal dollaro e a un altro assetto e forse anche sistema economico. Le tigri ferite sono particolarmente pericolose.
    In gioco – per quanto riguarda l’economia – è il ridisegnamento dell’assetto mondiale.
    Bisogna prendere atto che gli strumenti intellettuali di analisi che abbiamo a disposizione sono tutti obsoleti, vecchi, datati, inadeguati, perché costruiti sulla base di conoscenze, esperienze, analisi e progetti sviluppati in epoche che ormai fanno parte del passato anche se sono apparentemente ancora presenti.

  • @giandavide
    Gran cosa lo schematismo razionalizzante: dà tanta sicurezza, perché ti permette di etichettare tutto e tutti e di disinnescare l’ignoto. Peccato che nel mondo bianco e nero che ne deriva si perdano le infinite sfumature di colore e anche i più semplici toni di grigio. In particolare, costretto a mettere Il mio commento tra il bianco e il nero, non hai capito il senso di quanto dicevo e mi hai attribuito cose che non solo sono lontane anni luce dalle mie idee, ma che mai ho scritto.
    La mia idea è semplicemente che il cammino delle ideologie è maturo per un cambiamento di paradigma (nel senso di Kuhn). In altre parole, arrivo per una via e con esiti diversi ad un concetto ottimamente spiegato da Aldo Giannuli e da altri interventi su questo blog: che l’incapacità nell’affrontare questa crisi abbia delle origini cognitive, se vuoi epistemologiche. In cuor mio spererei che questo cambiamento di paradigma arrivasse da sinistra, ma in quella direzione scorgo solo una inquietante fissità, tanto che temo che arriverà per vie ben più pericolose. Col risultato di perdere sì qualcosa a cui tutti dovremmo tenere: innanzitutto la libertà che, seppur parzialmente e con tanti limiti, negli ultimi secoli abbiamo guadagnato.

    PS: neanche le impressionanti capacità di sintesi e di previsione dimostrate dal grande Karl in buona parte della sua opera avrebbero potuto portarlo a pensare che alcuni dei suoi seguaci finissero per parlare del popolo come di una inerte massa “deficitaria” nel comprendere la realtà, eppure proprio questo è il peggiore sbocco della sinistra più frustrata (fortunatamente minoritaria). Penso che se le cose si mettessero male e ci ritrovassimo con un erede di Berlusconi in chiave mussoliniana sarebbero loro, insieme ai tipi di Casa Pound, i più feroci squadristi. Ma questa è solo la mia immaginazione e io, si sa, non sono Karl Marx.

  • @Alessandro
    Io questa certezza del declino del dollaro e del declino americano non la capisco.

    Hanno:

    – il controllo su una fetta di informazione enorme
    – il primato mondiale nel campo dell’informatica e dei servizi web (Google, Fb, ecc.)
    – il primato militare
    – l’industria dell’immaginario collettivo: Hollywood
    – una rete di intelligence pazzesca e presuminilmente informatori ed infiltrati ai vertici di tutti i governi ed i gorssi istituti occidentali.
    – La borsa piu’ influente del mondo, le agenzie di rating ed il controllo sul prezzo del petrolio.
    – stanno finanziando ed organizzando rivoluzioni colorate, insurrezioni di velluto, primavere arabe e quant’altro.

  • Condivido parecchio: c’è inconsapevolezza di cause ed esiti di questa crisi. Mi sembra che venga però trascurata un’altra faccia della medaglia. Non ci sono solo le masse inconsapevoli del disastro prossimo venturo, e i responsabili diretti. Ci sono anche fette di popolazione che hanno intuito l’arrivo della catastrofe (perchè l’aspettavano da tempo, per caso, per pessimismo, per fede in certi profeti) ed auspicano che si realizzi, non comprendendo assolutamente cosa significherà. Il problema di questi – che non hanno mai vissuto fame, guerra, reali disagi – non è l’aver accettato messaggi troppo ottimistici; al contrario: hanno recepito la parte più pessimista dell’orchestra e ritengono di aver già toccato il fondo. Non credono che il sistema occidentale possa durare, come migliore dei mondi possibili; ma pensano che l’attuale benessere sia il minimo comun denominatore a tutti gli stili di vita. Questi generano la profezia autoavverante; l’inconsapevolezza degli altri sta nel non avere l’adeguata percezione di questo meccanismo. Le due guerre mondiali, che non avvennero fra selvaggi nè furono una calamità naturale, ebbero la loro quota di consenso. Dopo la seconda abbiamo effettivamente costruito un insieme di regole, diritti fondamentali, princìpi assoluti, volti ad impedire nuove degenerazioni. Abbiamo classificato gli errori del passato, analizzato le illusioni collettive, compreso i meccanismi sociologici del consenso. Tutto questo è stato costruito allo scopo di reggere poi, nel momento della crisi. Il paradosso è che, nel momento del malessere, i princìpi assoluti vengono declassati ad inutili lacci e la razionalità è spacciata per ozio aristocratico. Si pensi alla rinnovata ricerca dell’autarchia: si sa benissimo che è un prodromo ai cattivi rapporti di vicinato e ad un peggioramento delle condizioni economiche (dopo il ’29 ci fu appunto il protezionismo); eppure la corsa al “riarmo” (nazionalista) è iniziata. In realtà è qualcosa di ciclico: appunto, come detto, siamo reduci da una lunga epoca di pace – nemmeno troppo lunga, sulla scala delle vicende umane – e tendenzialmente l’uomo si annoia quando non ammazza i suoi vicini; o per lo meno si dimentica la parte meno eroica dei drammi. Stiamo in pratica rivivendo quelle epoche in cui i sistemi liberali entrano in crisi mentre i socialismi (internazionalisti in tempi di vacche grasse) mutano in socialismi nazionalisti.

  • @chris
    cause cognitive? mi smbra un’affermazione molto infelice. sia perchè tende a non dire nulla, limitandosi a fotografare la situazione attuale, sia perchè tende a porla nel domino dell’ineluttabilità. in pratica ti rispondi da solo: l’uomo è troppo stupido per agire diversamente, e quindi, a meno che non trovi un suo buon pastore che lo guidi come un pecorone e gli dica come comportarsi, è destinato ad arrancare nella crisi. quindi bisogna rassegnarsi a un nuovo autoritarismo. francamente questa prospettiva è inutile non solo in quanto deprimente e in quanto allontana dall’azione politica (è tutto immutabile secondo modalità che ammetti di non capire: ogni azione umana è vana secondo te), ma non è nemmeno corroborata da riscontri con la realtà. per gli oligopoli le dittature non sono vantaggiose, e riescono molto meglio quando manipolano le politiche nazionali (specie americane): una popolazione che guadagna 10 se la spremi ti darà sempre di più di una che guadagna uno, non conta quanto spremi la seconda, essa non sarà mai redditizia come la prima, e sarà pure meno controllabile. quindi io a queste cose non credo molto. penso che sia difficile che crolli il capitalismo in tutto il mondo senza che prima facciano un paio di cose per salvarlo che potrebbero essere determinanti. ad esempio la reintroduzione dell glass-steagall act sulla divisione bancaria tra depositi e invesitmento, che è stato creato per uscire dalla crisi del 29, ed è stato tolto da clinton nel 99, e dopo qualche anno guarda caso, il mondo sta tornando in fase recessiva-depressiva.
    come dice giustamente aldo, il neoliberismo di oggi ha raggiunto posizioni molto più estreme del liberismo classico, e sopratutto molto più egemoni. e sono più propenso a parlare di crisi di questo capitalismo piuttosto che di crisi del capitalismo in generale, dato che se a sinistra non si propone molto ma ci si limita a difendere il conquistato in un clima di confusione concettuale fortissima, a destra non mi sembra che propongano cose nè nuove nè funzionanti.

    p.s.
    ma si, a che servono le schematizzazioni razionali? molto meglio seguire nuovi paradigmi non razionali, come quello vincente di montezuma: lui, senza bisogno dell’inutile razionalità occidentale è riuscito persino a fare fesso cortez. e se ce l’ha fatta lui ce la possiamo fare anche noi, sbarazziamoci di marx e anche del principio di identità, già che ci siamo, in modo da adattarsi meglio ai mutamenti portati dalla storia.

  • Giovanni: scrivi molto bene. Peccato che il sistema occidentale sia possibile soltanto grazie ad una violenza sistemica sul restante 70(?)% del mondo.

    Per il resto sono d’accordo con te, soltanto piu’ democrazia ci salvera’.

  • La domanda è giustamente diretta e brutale, la risposta però deve essere un po’ articolata. La volontà politica delle persone si esprime o attraverso le organizzazioni politiche esistenti, o creandone di nuove. In Italia si è creato il “miracolo” di creare una casta politica (sopratutto di centro (pd) e di sx (partitini rossi o verdi)) completamente autoreferenziale e priva ormai anche del senso comune delle cose. La creazione di nuove strutture però è molto difficile, perchè richiede pazienza, umiltà e spirito di collaborazione e confronto, mentre purtroppo ha vinto il modello televiso dello sbraitatore solitario, che ha come simmetrico l’assemblea degli antagonisti, sempre ferma a deliberare il minimo denominatore comune.
    L’aspettativa popolare di un’alternativa è immensa, ma richiederebbe una forza costituita da individui dotati di una capacità di riflessione e di organizzazione a livello “gramsciano”. Insomma, a mio parere non manca la consapevolezza della gravità della situazione, mancano i canali adatti ad esprimerla (il movimento 5 stelle è lì a dimostrare che anche un livello qualitativo bassissimo dell’azione politica è percepito come un progresso rispetto al nulla della casta e delle castine di sx).

  • Concordo. Ma ci vedo grossi cambiamenti, però. La spiego così la crisi: il capitalismo ha battuto il comunismo; ma siccome il capitalismo non è mai sazio, ha voluto strafare, e ha inventato la globalizzazione per abbattere gli Stati e, conseguentemente, la socialdemocrazia (perchè senza stato, non fai la socialdemocrazia keynesiana). Ma il comunismo che hai buttato fuori dalla porta ti ritorna dentro dalla finestra. La globalizzazione è il comunismo mondiale, perchè come nei vasi comunicanti, il ricco popolo occidentale sta cedendo ricchezza e potere ai poveri del mondo. Questa è la concorrenza globale. I capitali vanno dove il costo del lavoro è + basso, fuggono da noi, vanno in oriente fra poco in africa. Sicchè noi ci impoveriamo, loro diventano + ricchi, e alla fine saremo uguali. Il popolo occidentale ha voluto la bicicletta? ora pedali! Fa a sè il popolo italiota, che proprio non è abituato ad alcun sacrificio, cresciuto in mezzo all’arrangiarsi corrompere e servire i vari padroni. E proprio noi siamo più incapaci di capire che la musica è finita. Per 20 anni abbiamo votato il berluska come fossimo negli anni 80. Ora la crisi.
    Questo comunismo mondiale in fieri (Trosky aveva ragione!) ha un solo problema: la catastrofe ecologica. Siccome nessuno potrà impedire alle masse dei poveri di consumare come abbiamo fatto noi, un giorno finiranno le risorse e l’inquinamento sarà irrimediabile. Ma questo al popolo non frega, perchè vive il godimento presente, e non gli interessa il futuro. Se propono un modello di società diverso (il comunismo) nessuno ti si fila perchè l’egoismo è insito nell’uomo. Questo per me sarà la causa dell’apocalisse.
    Il mio nick lo presi proprio per questo: vedo le cose del mondo per quello che sono.

  • Andrea: sul 70% hai perfettamente ragione, solo che in questo discorso è un problema separato. Non è all’ordine del giorno per chi spera nell’implosione del sistema, tantomeno per chi vive spensieratamente questa crisi. Anzi i rinascenti egoismi portati dalle recessioni nei vari Stati stanno pure cancellando quel germoglio di solidarietà internazionalista che avevamo un decennio fa: per questo non penso che un crollo dell’Occidente potrebbe migliorare le condizioni altrove. O perlomeno non migliorerebbe quel rapporto 70/30, qualunque sia il rimescolamento di potere. Condivido anche il discorso generale sull’apatia, ma c’è un problema molto concreto: siamo in 60.000.000 e per forza di cose non possiamo avere tutti l’influenza del politico che vediamo quotidianamente in tv (e quello è indiscutibilmente il modello, che sia un urlatore o un tessitore di trame); così come non possiamo essere tutti calciatori o veline. Si tratta di una disillusione, come ce ne sono state tante in questi anni. Il discorso si sposta sui grandi temi nazionali o mondiali, e quelli locali spesso non sono abbastanza gratificanti per chi vi prende parte, a meno che non finiscano anch’essi nei Tg. La propaganda si adegua per dare nuove illusioni di potere, ma non c’è soluzione fintanto che il cittadino continua a vedere la politica come gratificazione individuale (dal frustrato tifo da stadio, a queste stesse discussioni), piuttosto che come dovere etico verso un bene comune. Magari senza fare quotidianamente i martiri e gli eroi, ma con un piccolo contributo positivo, costante e da tutti. Per il “venirne fuori”, più democrazia senza dubbio: la moderna democrazia è un sistema di organizzazione del volere popolare molto diverso dal plebiscitarismo o da forme più rozze di incanalamento delle energie delle masse. Credo che dovremmo semplicemente tenere dritta la barra su certe impostazioni (diritti civili, umani, codici di lealtà, alcune procedure) definite in epoche più portate alla razionale riflessione: oggi ci manca la prospettiva adeguata, la lucidità per trovare la soluzione ad hoc. A tutti. L’andamento dei mercati è una buona metafora dell’andamento delle opinioni pubbliche. Più che da obiettivi condivisi, siamo guidati dalle aspettative sulle aspettative altrui. Negli ultimi anni continuiamo ad oscillare fra panico ed euforia: reagendo di volta in volta alle diverse sollecitazioni rischiamo semplicemente di entrare in risonanza ed amplificare quell’oscillazione che prima o poi ci farà cappottare. Andrea T: sulla degenerazione autoritaria penso esattamente la stessa cosa (e riguardo ai tempi, ricostruzioni cinematografiche come L’Onda dovrebbero far riflettere l’opinione pubblica). L’opinione pubblica si divide fra chi non vede il possibile stravolgimento; e chi lo considera solo un haircut di benessere superfluo. In realtà certi effetti a cascata influerebbero su ogni ambito della nostra vita, dalla possibilità per le donne di conciliare lavoro e figli, alla sparizione di numerose categorie professionali e commerciali, agli elevatissimi standard igienico-sanitari (di individui e aziende) cui siamo abituati. Non abbiamo più la struttura demografica, sociale, morale, nè il fatalismo per reggere (come democrazia liberale sia pur imperfetta) ad uno stravolgimento radicale. Chi oggi, possedendo un paio di campi, pensa di guadagnarci dal ritorno a un’economia di sussistenza sarà il primo a implorare qualche autorità che gli salvi le stalle dal saccheggio. Qualunque autorità (religione, regime, mafia, l’importante è che possa agire con certi margini di discrezionalità) poi dovrà incanalare la rabbia presente, e qui si può anche fare qualche sforzo di immaginazione.

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