Tahir, Maidan, Caracas, Taksim, Atene, forconi, indignados, Ows… ma che movimenti sono?
Prima di entrare nel merito delle vicende di Venezuela e Ucraina, mi sembra opportuno fare una premessa più generale sulle caratteristiche dell’ondata di movimenti che si sta manifestando simultaneamente in molti paesi. Dal 2008 stiamo assistendo ad una generalizzazione della protesta paragonabile a quella del sessantotto che fu, forse, il primo episodio di contestazione globale e che, sin qui, non ha avuto equivalenti. Dopo il sessantotto sono venute altre ondate di movimenti di protesta, ma in nessun caso si è trattato di ondate generalizzate a livello internazionale.
Ci sono state le rivolte nei paesi dell’Est (Polonia 1971, 1976, 1980, Ungheria, Romania, Germania Est 1989) o in Cina (1989), oppure ripetute “rivolte del cous cous” nei paesi arabi (1978, 1985, 1993), vari movimenti studenteschi o ambientalisti in vari paesi del mondo, ci sono state le rivolte fondamentaliste (Iran 1979, Arabia Saudita 1979, Algeria 1995 ad es.), poi sono venute le rivoluzioni “arancioni” o “Rosa” (Ucraina, Libano ecc.) ma si è trattato sempre di episodi a carattere nazionale o al massimo di aree contigue.
Unica relativa eccezione i movimenti contro le due guerre del Golfo, che si sono espresse in manifestazioni di protesta tanto nei paesi arabi quanto in Europa o negli stessi Usa (nel 1991). Eccezione parziale, tuttavia, sia perché non hanno mai raggiunto il tasso di generalizzazione che fu del sessantotto, sia per la durata assai breve, sia, infine, per il carattere circoscritto al solo tema della pace.
La maggior parte dei movimenti post-sessantotto hanno avuto un carattere socialmente più “compatto” (gli studenti cinesi, gli operai polacchi, le plebi urbane arabe, ecc.) ed anche dal punto di vista culturale-politico hanno avuto maggiore omogeneità (il fondamentalismo dei paesi islamici, il pacifismo in quelli di Europa ed Usa, la rivendicazione delle libertà civili in Europa dell’est e in Cina).
Oggi siamo in presenza di una ondata internazionale, anche se manca di qualsiasi omogeneità politica e sociale o anche di un elemento catalizzatore come, ad esempio, fu la guerra del Viet Nam, le rivolte sono spiccatamente legate ai contesti nazionali e l’ondata è più diluita temporalmente. Movimenti e situazioni profondamente diversi fra loro.
Questo pone un primo problema: si tratta di un fenomeno unitario (pur nella profonda differenza dei contesti nazionali) o della confluenza -più o meno occasionale- di dinamiche del tutto indipendenti l’una dall’altra? Per quanto si tratti di fenomeni politici molto caratterizzati nazionalmente e la cui manifestazione si estende per oltre un lustro, sembra difficile che possa trattarsi di una concomitanza casuale. Peraltro, al di là della simultaneità, essi presentano aspetti ricorrenti che meritano di essere compresi.
Ad esempio il carattere non meramente rivendicativo, ma direttamente politico, che investe spesso la stessa legittimazione del sistema, pur se con diversi gradi di intensità (le rivolte arabe, l’Ucraina e il Venezuela sono casi certamente più radicali e violenti delle proteste di Ows, dei forconi, dell’Onda o degli indignados, così come c’è una scala graduale fra Atene, piazza Taksim, la rivolta di Teheran del 2010, gli scontri del 10 dicembre 2010 e 15 ottobre 2011 a Roma o la protesta No Tav).
E’ interessante notare come spesso questi movimenti abbiano in comune il ricorso a nuove tecnologie comunicative (internet o gli sms) che fungono da aggregatori al posto delle organizzazioni ormai ridotte a un ruolo ben più marginale del passato. E questo si intreccia con il minore radicamento delle varie culture politiche, determinando movimenti assai compositi socialmente e politicamente: questi non sono movimenti “puri”.
Mi spiego meglio: i movimenti sociali (più o meno) spontanei, di cui ci occupiamo, si presentano come rivolte urbane caratterizzate da una accentuata eterogeneità sia politica che sociale. In una certa misura, i movimenti di protesta urbana hanno sempre avuto la caratteristica di mettere insieme componenti molto differenziate fra loro, ma, in particolare dalla prima guerra mondiale in poi, hanno assunto via via caratteri di maggiore omogeneità, assicurati tanto dalla presenza di culture politiche diffuse abbastanza coerenti e radicate, quanto dalla connessa presenza di partiti politici di massa.
In qualche modo, i partiti hanno assolto ad una funzione di “disciplinamento” della piazza, selezionando gli attori della protesta e fungendo da aggregatore della domanda politica. Una prima incrinatura venne, appunto, con il sessantotto, che prese di sorpresa i partiti, diventati apparati burocratici incapaci di svolgere quella funzione di disciplinamento. Ma si trattò di una rottura parziale: in parte perché questa funzione, per quanto in modo precario ed imperfetto, venne svolta dai “gruppi” (che riproducevano in piccolo le dinamiche di tipo partitico), in parte perché pur sempre resisteva un tenace tessuto di culture politiche in buona parte convergenti. E’ sintomatico che il “sessantotto” sia stato un ciclo di movimenti più duraturo in quei paesi dove più forte era il reticolo dei gruppi e più persistente e meno diversificato il sottostante di culture politiche (Italia, Francia, Argentina ad es.).
Nel nostro caso abbiamo invece movimenti che hanno alle spalle un quarto di secolo di “pensiero unico” che ha azzerato –o quasi- la presenza di tutte le culture politiche che non fossero quella neo liberista. Le culture politiche “altre” (da quel che residuava di marxismo ed anarchia, al fondamentalismo islamico, alle nuove forme di nazionalismo, alle ideologie ambientaliste, alle aree semi peroniste, sino ai residui gruppi neo fascisti o neo nazisti) sono cresciute ai margini e fuori dei canali ufficiali di comunicazione politica. Il tutto in un’epoca nella quale la rete mondiale delle telecomunicazioni registrava una crescita esponenziale senza precedenti, grazie alla Tv, alla telefonia, ad internet ecc.
Ne sono derivate “nicchie” di crescita o sopravvivenza di questo o quel filone di cultura politica, spesso caratterizzati più da una funzione identitaria che da strumento di azione politica. Parallelamente, andava decrescendo la partecipazione politica organizzata, se non nell’esperienza di piccoli gruppi: i partiti politici (sempre più ridotti alla dimensione di comitati elettorali) e le organizzazioni sindacali hanno perso milioni di iscritti in questi anni tanto nell’Europa occidentale che in quella orientale, mentre in molti altri contesti (come gli Usa) non hanno mai avuto dimensioni organizzative di massa oppure sono esistiti solo come partiti unici di regime poi frantumatisi si fronte a guerre o rivolte (Irak, Siria, Egitto, Tunisia, ecc.). La loro funzione aggregativa è stata in gran parte surrogata proprio dal sistema delle telecomunicazioni che ha creato forme diverse a carattere più o meno virtuale, come internet. Sino a che è durata l’“età d’oro” del neo liberismo le culture politiche “altre” sono rimaste ai margini ed impossibilitate ad andare al di là della perpetuazione identitaria interrotta dalla partecipazione a occasionali movimenti di protesta locale. Ma quando è giunto l’urto della crisi, abbastanza naturalmente si sono sviluppate varie forme di rivolta in cui i diversi spezzoni di “culture politiche altre” sono stati rapidamente risucchiate.
E qui conviene fare una precisazione: la crisi ha avuto un evidente carattere economico, che ha prodotto situazioni di impoverimento più o meno relativo che sono alla base di diversi movimenti (da Ows all’Onda, dalla Grecia sino ai casi estremi delle rivolte del cous cous), ma non si è trattato solo di questo: con la crisi (e con le guerre di Irak ed Afghanistan) è andato in pezzi anche il progetto di nuovo ordine mondiale monopolare, che sembrava definitivamente affermatosi dopo la fine dell’Urss e tutte le “linee di faglia” che erano state “congelate” (salvo le ambigue esperienze delle rivoluzioni arancioni o rosa) stanno rivenendo a galla.
E’ in particolare il caso dell’Ucraina, di cui ci occuperemo, ma in parte è anche la spiegazione dei movimenti nel Mena e, per certi versi, anche della crisi della Ue.
E questo spiega il carattere inevitabilmente composito, eterogeneo, spesso contraddittorio dei movimenti in corso. Molti arricciano il naso di fronte a questi movimenti “impuri”, concentrando l’attenzione su questo o quell’aspetto inquietante: in Libia il ritorno della bandiera “monarchica”, fra i forconi la contiguità alla Lega e la presenza di fascisti in questa o quella città, anche in Ucraina è la conclamata presenza di nazisti ad allarmare, in Grecia ci si interroga sugli anarco insurrezionalisti eccetera eccetera.
E, su tutti, l’ombra onnipotente di un qualche servizio segreto come la Cia, il Mossad, l’MI5, lo Sdece ecc (curiosamente, mai servizi segreti diversi da quelli occidentali). Praticamente vanno bene (o quasi) solo quei movimenti a coloritura genericamente di sinistra e ortodossamente non violenti come Ows e gli indignados. In realtà, guardare al Mondo con queste lenti serve solo a precludersi la comprensione di quel che sta accadendo.
La “purezza rivoluzionaria” che molti esigono è un sogno impossibile nelle condizioni storicamente date. E, le lenti del passato (campo imperialista contro campo antimperialista) -già erano abbondantemente fuorvianti a loro tempo- sono solo dei formidabili diversivi buoni a confondere le idee.
A proposito: sarebbe ora di piantarla con questa lagna per cui rivoluzioni sono solo quelle che ci piacciono e che possono iscriversi a pieno titolo nel solco delle rivoluzioni socialiste e democratiche del novecento, mentre tutte le altre sono solo congiure di servizi segreti. Le rivoluzioni possono anche avere un segno che non ci piace o anche, semplicemente, avere aspetti molto criticabili, ma non per questo cessano di avere una loro spontaneità per essere ridotte a puro complotto. Ci sono due atteggiamenti opposti ed ugualmente sbagliati: quello di chi pensa che le rivoluzioni siano sempre e solo movimenti sociali spontanei, nei quali i servizi segreti non c’entrano o, comunque, sono impotenti e quello di chi pensa che i servizi segreti siano pressochè onnipotenti, in grado di suscitare eruzioni sociali che poi guidano a bacchetta. Mitologie: entrambe mitologie.
I servizi segreti non sono in grado di suscitare molto di più che occasionali sommosse, possono finanziare gruppi, supportare eventuali leader ecc, ma un movimento sociale vero e proprio nasce solo se ci sono condizioni precise che lo consentano, a cominciare dall’ esasperazione popolare che non è cosa che si inventi. Può accadere che un tumulto di piazza sia più o meno stimolato da qualche servizio segreto o polizia politica e funga da innesco, ma se sotto non ci sono le polveri da sparo o le polveri non sono abbastanza asciutte, non scoppia niente.
Vice versa, è altrettanto mitologica la visione di un irresistibile moto di popolo che vive solo della spontaneità delle masse, rispetto alla quale ogni tentativo di infiltrazione sarebbe votato all’inevitabile fallimento. Il che significa dire che anche le organizzazioni rivoluzionarie non hanno alcuna capacità di influenza, perché il dato soggettivo sarebbe costituzionalmente impotente. Sciocchezze: nelle rivoluzioni coesistono rabbia popolare spontanea, ruolo soggettivo delle organizzazioni rivoluzionarie, infiltrazioni poliziesche, condizioni ambientali ecc. Ora si tratta semmai di capire di volta in volta quale sia il peso e il ruolo di ciascuno di questi fattori.
Aldo Giannuli
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massimo
Ok prof, personalmente le vedo un po’ tutte come lotte fra parti sociali “locali” e sistema economico globale, che poi si ribellino elite locali svantaggiate nella lotta per partecipare alla super classe mondiale, classi medie in via di dissolvimento, classi popolari alla fame varia a seconda dei paesi e delle strutture socioeconomiche interne… la dimensione nazionale vs internazionale dello scontro mi sembra essere la discriminante che rende più facile la partecipazione delle di destra e spesso vede sospettosa una gran parte della sinistra…
Vincenzo Cucinotta
Aldo, bell’articolo, ma mi pare che il compito che poni e ci poni sia troppo difficile, ricostruire su un piano storico coerente ed omogeneo ciò che va accadendo sotto i nostri occhi, in cui siamo invece del tutto coinvolti.
Io ti do’ la mia chiave di lettura che non ho le competenze per applicare a un’interpretazione puntuale dei fatti.
La grande contraddizione, epocale e defintiva direi dei nostri tempi è il crescente esaurimento delle risorse naturali. Sapendo anche soltanto il titolo del libro che ho scritto, mi pare ovvio che io pensi che il problema dei problemi è quello ecologico.
La crescita ininterrotta che è l’unica situazione in cui il capitalismo può funzionare (non può esistere il capitalismo a PIL stazionario), è incompatibile con la realtà della limitatezza delle risorse.
Malgrado quindi l’indubbia attrattiva che la società consumistica esercita su tutti i popoli, per una questione cinetica, non tutti i popoli del mondo diventeranno capitalistici, non faranno cioè a tempo.
A mio parere, la crisi economica attuale è la crisi definitiva del capitalismo dovuta proprio alla contraddizione di cui dicevo prima, e quindi si aprono scenari imprevedibili, ma comunque in grande trasformazione.
Ci vorrebbe un grande movimento ecologista internazionale che colga la complessità delle tematiche ambientali, non interpretandole secondo modalità esclusivamente tecniche, ed io credo che in assenza di un livello di consapevolezza adeguato al livello delle problematiche correlate, l’umanità rischia davvero di arrivare al capolinea, o alternativamente di regredire a livello di microcomunità in continua lotta tra loro per l’accesso alle scarse risorse rimaste.
Peucezio
In effetti è giusto mettere in guardia dalle opposte mitologie dello spontaneismo e del complottismo.
Però io non trascurerei la marca “ocidentalista” che hanno molte rivolte e movimenti di piazza degli ultimi anni. Che non significa necessariamente che gli Stati Uniti o i paesi più geopoliticamente ad essi assoggettati o appiattiti (in sostanza l’Europa occidentale) suscitino dal nulla le rivolte. In parte accade anche questo, ma è chiaro che gli americani (e l’Occidente in genere) hanno un’enorme capacità di esportazione di modelli, capacità che in questo momento di crisi dell’unipolarismo americano, acquisisce caratteristiche più aggressive.
E’ vero che si tratta di trasmissione di modelli in larga parte spontanea, ma è anche vero che gli Stati Uniti nel cosiddetto soft-power impiegano soldi e mezzi.
Quindi secondo me non si va molto lontano dalla realtà se si interpretano questi fenomeni, oltre che come contraccolpi della crisi (ma sono un po’ scettico su questo: la gente meno ha la pancia piena e meno protesta: le proteste sociali si sviluppano nelle società benestanti, non in quelle basate su economie di sussistenza), come episodi di una sorta di guerra geopolitica a dimensione planetaria che si sta giocando fra gli Stati Uniti e le potenze regionali alternative (più o meno emergenti o declinanti) e le altre sacche di resistenza alla penetrazione geopolitica americana.
Giovanni Talpone
OK. Vorrei aggiungere una chiosa: negli ultimi decenni si è sviluppata a livello mondiale una grande rivoluzione nell’organizazione delle aziende e del lavoro, caratterizzata dalla “pacchettizzazione” delle informazioni (Internet Protocol che ha permesso la nascita delle VPN – Virtual Private Network, le reti aziendali che si basano su internet ma che sono invisibili agli esterni, e quindi del telelavoro), dei trasporti (containerizzazione) e della produzione (evoluzione, informatizzazione e generalizzazione del toyotismo). Tutto ciò ha permesso di ridurre di ordini di grandezza la soglia minima dimensionale dell’industrializzazione (si possono costruire uffici e “fabbriche del sudore” quasi ovunque, anche con una base infrastrutturale minima). Tutto ciò ha creato un’aspettativa di accesso al ceto medio (nel senso USA del termine: lavoratori con un’abitazione, una veicolo, un’istruzione di base, una televisione e un telefono) a livello mondiale, e una grande rabbia quando i governi locali, per inefficienza e per corruzione, sono visti come ostacolo su questo cammino. Questo a mio avviso è l’elemento comune a molte di queste rivolte, che si differenziano per ulteriori motivi politici, etnici, religiosi ecc. specifici. Nell’immediato, tutto ciò può apparire come un “liberismo di massa”, ma ciò avviene perchè la sinistra, quasi ovunque nel mondo, si è rifiutata di fare seriamente i conti con il modello produttivo del capitalismo globale, consolandosi con le sue caricature, senza voler vedere l’aspetto “progressivo” che pure contiene. E ancor meno vedendo le nuove e grandi opportunità (da gestire politicamente) di volgere in senso democratico, egualitario e ambientalista la nuova organizzazione della produzione. A incominciare dal fatto che, per la prima volta nella Storia, abbiamo un proletariato realmente globale, che non è più la somma dei proletariati delle singole Nazioni “unificati” da un’analisi ideologica (proletariato globale di cui si può avere un’idea entrando in un qualsiasi centro telefonico per chiamate a lunga distanza, spedizione di denaro, collegamento internet ecc.) .
giandavide
non capisco molto il discorso: se entra in gioco il campo etnico, e casomai anche il concetto di “razza”, già che ci siamo, si può parlare di rivoluzione? sembra che secondo i paletti tracciati in questo articolo la risposta non possa che essere affermativa, per cui non importa se si chiedono maggiori diritti o più segregazione razziale e meno libertà civili per le minoranze: tanto sono tutte “rivoluzioni” con pari diritti di agibilità politica. e le minoranze? colpa loro, che hanno scelto di essere minoranza. io credo che i concetti di orizzontalità e di verticalità abbiano un senso, e trovo controproducente appoggiare rivoluzioni con dei paradigmi di sviluppo esclusivamente verticali, dato che produrranno solo autoritarismo e diseuguaglianze.
e sospetto invece che il prof giannuli preferisca casaleggio a deleuze e negri, cosa che spiega benissimo l’assenza degli strumenti concettuali dei suddetti filosofi in questo blog.
Cinico Senese
Un inno al movimentismo pop(olare). Futurismo. bruuum bruuum!!!! 🙂
carla montanari
sono totalmente d’accordo con vincenzo cucinotta la crisi capitalistica è una crisi ” di risorse ” e i grandi capitalisti , quelli che veramente contano lo sanno benissimo. loro non comprano più carta ( titoli e obbligazioni ) ma risorse vere , terre e miniere. E’ per questo che trovo impressionante l’attuale politica nazionale ed europea , trovo inconcepibile che con i loro istituti di ricerca non capiscano , o non vogliano , quello che sta accadendo. presto tutte le rivoluzioni diventeranno ” monocolore ” , blu per l’esattezza , il colore dell’acqua !!!!
SantiNumi
Perchè le analisi non dovrebbero essere adornine: perché chi non sa far una sintesi è un ignavo.
http://www.sapereeundovere.it/gli-stati-uniti-stanno-programmando-una-false-flag-in-crimea-email-intercettate/
Si salvi chi può?
Massimo Copetti
Vabbè, d’accordo su tutto, però dai, non citare Otpor, Canvas, Albert Einstein institution, Freedom House, Open Society, Human Rights Watch, Hoover Institution, Carnegie Endowment For International Peace, IISS – International Institut for Strategic Studiese… mi sembra un tantino esagerato!
Mancano, nell’articolo, anche NED – National Endowment for Democracy, NDIIA – National Democratic Institute for International Affairs, IRI – International Republican Institute, USIP – United States Institute for Peace, e potrei continuare.
Basta fare un giro su internet per conoscere il significato di tali sigle, la loro natura e i loro scopi. Neanche i nomi di George Soros, Peter Akerman e di sua maestà Gene Sharp dovrebbero mancare, quando si parla di questi argomenti. “Tecniche della rivoluzione non violenta” di Sharp, scritto negli anni Settanta grazie ai finanziamenti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, fa ancora scuola, eccome.
Aldo, quando affermi che è idiota cercare di vedere “su tutti, l’ombra onnipotente di un qualche servizio segreto come la Cia, il Mossad, l’MI5, lo Sdece ecc (curiosamente, mai servizi segreti diversi da quelli occidentali)”, ometti di riferire che solo gli Stati uniti hanno partorito un tale numero di think thank, organismi pubblici e studi militari finalizzati all’abbattimento dei governi degli altri Paesi. Non saranno loro dietro a tutto, certo, ma ti pare che il Pentagono butti via tanti soldi per nulla?
Infine: sarebbe ora di cominciare a fare una distinzione terminologica tra “colpo di stato” e “rivoluzione”. A Kiev hanno agito miliziani addestrati e dotati di giubbotti antiproiettile e armi da fuoco, che hanno ucciso un numero molto alto di poliziotti e soldati dei reparti speciali (cosa impossibile con i sanpietrini), e che hanno sparato sugli stessi manifestanti, con l’obiettivo di far degenerare la situazione. Una cosa assolutamente analoga a quanto avvenuto in Siria nelle prime fasi della guerra civile. Ti sembra un particolare di poco conto?
E’ da più di 50 anni che negli stati maggiori si studiano le tecniche della guerra non ortodossa, finalizzate ed infiltrare e fomentare le piazze.
In Serbia, Libia, Siria, Ucraina, Egitto, solo per citare i casi certi, le opposizioni sono state sostenute, talvolta create ad arte, sempre strumentalizzate per abbattere governi in carica, a tutto vantaggio di chi manovrava e incanalava questo malcontento per mettere al potere i propri scagnozzi. Se sono rivoluzioni queste, lo erano anche quella di Pinochet e quella dei colonnelli in Grecia.
Vincenzo Cucinotta
Cara Montanari, in effetti l’acquisto di beni reali è tuttora un fenomeno quantitativamente abbastanza marginale, e questo per me è sorprendente.
Solo per un patto d’acciaio, i capitalisti possono continuare a tenersi in cassaforte cartaccia. La logica del patto è che se si comincia a vendere massicciamente, presto non ci sarà chi compra, col risultato che avranno bruciato la loro ricchezza di carta.
E’ evidente che prima o poi dovrà accadere, ma per disperazione si finisce per credere anche ai miracoli. A mio parere, lo dico ormai da anni, l’atteggiamento del sistema bancario globale è del tutto irrazionale, operano come se davvero potessero sperare di farne qualcosa della cartaccia che hanno accumulato, tranne naturlamente che scambiarla con altra cartaccia.
leopoldo
come dire bisogna guardare con più realismo la storia che ci circonda, e prestare meno attenzione ai romanzi che la descrivono. é sicuramente vero. ma è molto difficile governare una qualsiasi forma di paese senza una ideologia che crei consenso e quindi manipoli la gente.
é ovvio che se il gas russo arriva dal ucraina, una qualche forma di compromesso va trovata con entrambi finché qualcuno dei tre non scompare. la miglior giustificazione di un accordo sono le sue motivazioni, se queste sono manifeste altrimenti comincia il regno della fantasia.
che le rivoluzioni di ogni sorta non sono lineari è sperienza quotidiano della vita di ognuno, altrimenti come farebbe a campare la psicanalisi. Ci sono quelle che ci coinvolgono edoviamo prendere partito(partecipare o fuggire) e quelle a cui non partecipiamo perché concluse lontane o non vi sono cause che ci coinvolgo. la questione che rimane è sapere cosa determina la nostra posizione. Se gli ucraini credono che l’€uro li salvi o gli dìa gli strumenti per confrontarsi coi russi, credo che sbaglino a valutare gli interessi russi e la russificazione delle loro province e sbagliano pure a valutare gli interessi commerciali europei.
menici60d15
Servizi, masse e istituzioni nei movimenti di protesta
Il prof. Giannuli mette in guardia dal credere che i sommovimenti che a orologeria si presentano nel mondo siano il solo frutto dei servizi: che si limiterebbero a innescare le polveri. Questo è un truismo: non si può fare il pane senza la farina, e la qualità del pane dipende dalla farina di cui di dispone. E per certe ricette, peggiore è la qualità degli ingredienti meglio riescono. Ricordo, bambino, a Siena, allo Stellino, su un muro una scritta i cui caratteri erano più alti di me: “CALABRESI ASSASSINO”. Restò lì per mesi. I senesi sono gente tranquilla; ma tanti di loro, come in tutta Italia, fecero come fa un carico libero nella stiva, che più la nave si inclina più la fa sbandare. Mi chiedo a volte come si creò una mobilitazione di gente semplice e di intellettuali sinceri e di valore contro Calabresi, creando il clima che portò all’omicidio. La risposta che mi do è che siamo in una condizione di minorità, prima di tutto conoscitiva, su questi meccanismi.
Mi pare, in termini aristotelici, che il prof. Giannuli evidenzi un po’ troppo le cause materiali e formali a scapito delle cause efficienti e finali. Non seguo molto la politica internazionale, ma ho occasione di osservare, e toccare con mano, fatti nostrani che mi danno un’idea di come certe sommosse possano essere sollevate. Vedo nel mio campo, la medicina, come sia possibile tramite i media, e istituzioni compiacenti, creare delle contese, dove si individua un male, a volte vero a volte immaginario, e si spinge l’opinione pubblica a combatterlo, ma in nome di una soluzione che è ciò che il potere voleva ottenere, e che è un altro male, a volte peggiore (Ilva, elettrosmog, Stamina, Avastin-Lucentis, etc; v. il mio sito). Vedo come in Italia ciò sia al servizio di un lento movimento eversivo che porterà la medicina ad essere un’attività industriale fondamentale, con i corpi dei cittadini che faranno sempre più da materia, prima, cioè da supporto per consumare in maniera pretestuosa prodotti e servizi medici inutili e nocivi.
Vedo anche su scala minima, a Brescia dove vivo, come la pratica di creare dal nulla tensioni e bersagli, e di orientare i primi verso gli altri, sia nella città che si dice ferita dalla strage un’attività strutturata e vigorosa, che si avvale di tecniche di guerra psicologica sofisticate, e dell’opera illegale, oltre che dei servizi, delle istituzioni “in chiaro”, che sono affiancate ai servizi nella subordinazione a quei poteri dei quali i servizi sono il braccio. E di come sia facile servirsi del “carico libero”, le persone comuni; cioè di come con le masse popolari, analogamente alle masse fisiche nella stiva di una nave, si possa allestire un sistema a feedback positivo, dove togliendo alcuni fermi, ungendo qualche rotella, assestando qualche spinta, si può fare lentamente inclinare una situazione e tenerla “ingavonata”, o arrivare a provocare un naufragio.
Parlare del ruolo di zavorra libera delle persone comuni, e di quello poco appariscente ma determinante di istituzioni “pulite” nei disegni eversivi geopolitici o economici, a cominciare dal rimaneggiamento in corso nel nostro Paese, richiede più coraggio e impegno intellettuale che l’attribuire tutto a potentissime e arcane strutture segrete che dominerebbero il mondo, o ai soliti “spezzoni deviati”. O a vaghe combinazioni di servizi e volontà popolare. La gente, inclusa quella che riveste cariche pubbliche, è quella che è: manipolabile, facendo leva sui tasti giusti. Ma sull’arte e sui mezzi della manipolazione, e sulle responsabilità colpose e dolose di coloro che istituzionalmente l’eversione dovrebbero prevenirla e non aiutarla, sappiamo molto poco. Gli specialisti dovrebbero studiare questi aspetti, come una causa primaria, anziché minimizzarli come un fattore tra gli altri.
Germano Germani
La storia lo insegna da sempre: non esiste la purezza ideologica. A casa nostra ricordiamo che Mussolini fu finanziato dalla massoneria francese, per fondare il quotidiano Popolo d’Italia e favorire l’intervento dell’Italia contro gli imperi centrali nella prima guerra mondiale.Mentre nella seconda gli invasori americani hanno fatto ricorso alla mafia siculo-statunitense per “liberare” l’Italia dal regime mussoliniano;regime da sempre osteggiato e boicottato dalla plutocrazia italiota filo occidentale, con la complicità dei comunisti al servizio di Stalin.Che fare coi rivoluzionari di tutto il mondo? Forse aveva ragione il grande filosofo tedesco Nietzsche, il quale sosteneva che è la buona guerra che rende buona la causa.Se i rivoluzionari una volta preso il potere (dopo aver liquidato con le purghe rituali i rivoluzionari irriducibili) si trasformano in classe dirigente, allora scrivono pagine di storia, se sconfitti sono marchiati a fuoco e coperti dalla damnatio memorie perenne.
SantiNumi
Curletti sul Risorgimento: “quella che io espongo è la storia di tutte le rivoluzioni. Esse sono quasi sempre l’opera di qualche uomo a cui due o tre funzionari comprati aprono le porte e di cui il popolo, per lo più indifferente alle questioni che si agitano, diventa il complice senza saperlo, prestando loro, per curiosità o per desiderio di rumore, il soccorso imponente delle sue masse”.
aldogiannuli
mirko: non sarà una visionr un po’ semplicistica delle rivoluzioni e della storia?
MAURIZO BAROZZI
Da quel poco che posso sapere io, da modestissimo ricercatore storico, ho riscontrato che vigono alcune leggi storiche che sono ricorrenti. Una di queste dice che ogni volta che alle cronache si presenta un uomo, una forza, una situazione di una certa portata, di un certo interesse, c’è sempre un “potere” che cerca di utilizzarla per i propri interessi. Un’altra legge storica dice che un movimento rivoluzionario che ambisce al potere non può fare a meno dei finanziamenti, perche gli ideali sono belli , ma tutto costa e costa caro: giornali, sedi , agibilità, mezzi e per ultimo armi, ecc. Ecco che allora le due esigenze si incontrano. Sempre. In questo modo si sviluppano situazioni, a cause si sommano concause, anche perché un’altra legge storica dice che, ad ognii azione umana, risponde sempre un’altra azione contraria.
Non deve quindi meravigliare che ci sono stati rivoluzionari che hanno avuto finanziamenti, importante è quello che poi ne hanno fatto. E’ un pò come un rivoluzionario che entra in clandestinità e in quella situazione non può fare a meno di entrare in contatto con la malavita, per armi, documenti, ecc.
Ovviamente poi ci sono anche certe situazioni o certi gruppi “creati a tavolino”. Le intelligence ci sono per questo. Sostanzialmente però Aldo Giannuli ha ragione e torto allo stesso tempo, non si può leggere la storia solo come un intrigo, un complotto. Ma proprio perché è tutto molto più complesso e tutto cambia in continuazione, ma nei fatti essenziali, oggigiorno, è scontato che c’è sempre, se non la mano, la presenza delle Intelligence occidentali, da non vedere necessariamente come agenti: si agisce anche con un Centro Studi, una ONG, un circolo culturale, e tante altre specificità.
Qui sopra, in ogni caso, Massimo Copetti ha totalmente ragione: le Intelligence occidentali, sia in Siria che in Ukraina, hanno messo mano alle loro “azioni sotto copertura”, per innescare la rivolta e soprattutto per farla degenerare. Avevano fatto la stessa cosa in Libia con Gheddafi.
Germano Germani
Barozzi é troppo semplicistico e riduttivo dire che è tutto opera dei servizi,però è anche vero che il potere politico da sempre delega il lavoro sporco ai servizi, che non sono mai deviati, ma in perfetta sintonia con chi comanda.Purtroppo il limite dei numerosi commentatori/fruitori di questo interessante blog, è che sono a loro insaputa dei benpensanti,dei piccolo borghesi di sinistra. Eccoli allora con le loro tipiche seghe mentali a invocare la rinascita dei CLN, dei sacri valori della resistenza, dei partigiani, con il tutto condito dal dogma teologico dei neofascisti tutti bombaroli e stragisti (noi sappiamo invece che la prima strage di stato è stata quella di via Rasella) con la rievocazione liturgica delle vittime dei lager, ma solo quelli tedeschi ben inteso.Se non si fa tabula rasa di questa merce avariata,non si va da nessuna parte. Così come non si va da nessuna parte con il continuo evocare la destra/sinistra, che sono due patologie, due semiparesi mentali,di cui soffrono la maggioranza di costoro.Ben venga la sua meritoria opera di disintossicazione storiografica-ideologica, perché chi controlla il passato controlla il futuro.
Maurizio Barozzi
@Germano, non credo di aver detto che è “tutta” opera dei Servizi, anzi ho elencato le dinamiche che stanno dietro i fatti storici, dove c’è sempre chi cerca di piegare ai suoi fini gli avvenimenti. In Ukraina, è evidente che c’erano molte componenti anti russe, di lunga tradizione storica, e su queste si è giocato di brutto, facendo arrivare finanziamenti e, al momento opportuno, cecchini specializzati che sparando facevano precipitare la situazione. Un film già visto.
Per il resto, stragismo compreso, hai ragione, vi è un immaginario collettivo che sapientemente manovrato è stato utile per instaurare in Italia per modifiche sociali, istituzionali e culturali che poi hanno portato alla Seconda Repubblica. Ma su quali gambe ha camminato lo stragismo? Su quelle di farabutti che avevano il modo di manipolare gruppi e persone attuando le direttive che gli venivano date. E queste direttive non potevano che partire dai nostri padroni atlantici e passare attraverso Servizi e massonerie varie, non infedeli, ma interne al Sistema atlantico. E oggi, guardati attorno, questo immaginario collettivo ha partorito ridicoli gruppi, partiti, circoli che campano e si mobilitano oramai solo di “antifascismo”. Non hanno più nulla: l’economia è modellata nel peggior turbo capitalismo, non ci sono più sindacati, tribunali del lavoro, i lavoratori perduta ogni garanzia, non hanno più nulla neppure la sicurezza del posto di lavoro e la pensione sono oramai un ricordo.
Nel mondo divampano guerre e vi partecipano anche gli italiani, sotto la ridicola denominazione di “interventi umanitari”, ma le grandi lotte contro la guerra, le manifestazioni pacifiste, dove sono finite? Svanite, come il comunismo e la sua lotta di classe.
Ma, Allegria! c’è l‘antifascismo! Casa Pound o Forza Nuova fanno un convegno, una conferenza? Tutti a mobilitarsi contro il fascismo! Che grandi lotte. Dove poi sia questo fascismo non si sa, anzi quei gruppi ora, come altri di sinisra, hanno applaudito alla “rivolta” Ukraina che ha riportato il pase sotto le grinfie del FMI, della Ue e della Nato. Ma si sa, un immaginario collettivo vive su qualche incubo mica sulla realtà. Altrimenti che gli dicciamo alla gente?
Mirko G. S.
Professore rispondeva a Santi Numi? Non c’è alcun Mirko nei commenti…; )
aldogiannuli
giusto