Morto Losurdo, storico di rango.

È recente la notizia della morte di Domenico Losurdo, grande storico delle idee e del marxismo, che ormai da tempo ricopriva il ruolo di Professore Emerito di Storia della Filosofia presso l’Università di Urbino.

La sua morte ci priva di uno storico e di uno studioso di rango, che ci viene invidiato anche all’estero. Quest’occasione richiede un breve commento sulla sua opera, che non vuole essere né il solito “coccodrillo” né un ricordo agiografico, ma un’analisi generale che possa dare degli spunti agli interessati, soprattutto giovani, per scoprire la produzione di Losurdo, sicuramente meritoria.
Un’analisi del genere deve per forza tener conto delle luci e delle ombre nella produzione intellettuale del grande studioso. Losurdo, nato a Sannicandro di Bari nel 1941, iniziò la sua opera occupandosi di filosofia, marxista ma non solo, con particolare attenzione alla produzione tedesca. Importanti le sue opere su Kant, Hegel, Marx, Heidegger, Nietzsche, Lukács e Gramsci. Losurdo può essere correttamente definito un vero e proprio „maestro del sospetto” dell’ideologia liberale dominante. Infatti, una parte non irrilevante e forse la migliore della sua produzione è dedicata alla dissacrazione e alla dissezione dell’ideologia liberale o di altri percorsi di pensiero che spesso vi si accompagnano. Impossibile non citare la sua Controstoria del liberalismo (Roma-Bari: Laterza, 2005), nella quale, attraverso un’analisi meticolosa e condotta con alto rigore storico, demistifica il significato del termine “liberalismo” e ne mette in luce le ombre nascoste: i crimini del colonialismo, la tratta degli schiavi, le teorie razziste ed eugenetiche.
Nel 1999 scrisse uno stimolante pamphlet, Fuga dalla storia? (Napoli: La città del sole, 1999) nel quale criticava duramente, con l’ironia che gli era propria, la concezione del famoso funzionario del dipartimento di stato Usa e storico Fukuyama, secondo il quale la scomparsa dell’Urss e la fine della guerra fredda non significavano niente di meno che una vera e propria “fine della storia”. Losurdo rigirava polemicamente questa affermazione provocatoria e semplicistica, facendo notare come un simile modo di pensare fosse piuttosto una sorta di fuga dalla storia, cioè una fuga dalla realtà storica, fatta in parte per pressapochismo e in parte per paura di dover fare i conti con un secolo tragico e contraddittorio come il Novecento. Losurdo sottolineava l’importanza del lascito delle rivoluzioni russa e cinese pur nel mondo post-guerra fredda, e criticava ironicamente coloro che invece volevano scappare dall’esame di avvenimenti tanto complessi e contraddittori, cercando quasi una fuga dalla politica, un po’ come il Gesù che dice: “il mio regno non è di questo mondo”. Losurdo considerava la fine dell’Urss una sconfitta piuttosto che un fallimento, e ne attribuiva la causa non solo a contraddizioni interne, ma anche ma alla più aggressiva politica Usa condotta negli anni ’80.
In un altro stimolante libro, La non-violenza: una storia fuori dal mito (Roma-Bari: Laterza, 2010), Losurdo tentava appunto di esaminare storicamente l’idea della non-violenza “fuori dal mito”, cioè fuori dall’alone auto-incensante nella quale viene spesso presentata dai suoi sostenitori. Le complessità storica, come egli benissimo mostrò, è fatta di luci ed ombre. Simili chiaroscuri furono per esempio l’evoluzione ideologica degli abolizionisti americani, che opponendosi alla schiavitù su basi pacifiste furono poi costretti a sostenere metodi violenti per ribellarsi appunto all’estrema violenza di questa istituzione. Neanche una figura come Gandhi, pur semplicisticamente identificata con la non-violenza assoluta, fu priva di simili chiaroscuri. Nel periodo sudafricano Gandhi sostenne infatti il massacro degli zulù da parte degli inglesi, e divenne reclutatore di soldati per il Regno Unito durante la prima guerra mondiale. La teoria gandhiana della non-violenza, insomma, fu ben lontana dall’essere totale e assoluta, come vuole invece la vulgata imperante.
Losurdo ci ha lasciato anche una storia della lotta di classe (La lotta di classe. Una storia politica e filosofica. Roma-Bari: Laterza, 2013) e un appassionato pamphlet sull’”assenza” della sinistra (La sinistra assente: Crisi, società dello spettacolo, guerra. Roma: Carocci, 2014).
Le sue due ultime fatiche meritano particolare attenzione, dato che toccano temi di estrema attualità. Infatti, oltre che storico, Losurdo era anche uno studioso e un osservatore del presente e della società contemporanea, ed era probabilmente mosso dalla ferma convinzione che la conoscenza del passato fosse indispensabile per capire il presente. I suoi due ultimi lavori sono scritti infatti in questo spirito. In Un mondo senza guerre: L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente (Roma: Carocci 2016), Losurdo traccia con la sua abituale spregiudicatezza un percorso filosofico e intellettuale dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri, passando per Fichte e Kant, sulla teorizzazione della pace totale e perpetua. Come Losurdo ci aveva abituati, era facile aspettarsi che la sua analisi dissacrante dimostrasse che una tale illusione può facilmente trasformarsi nel suo contrario. Storicamente, utopici piani di pace universale hanno spesso prodotto guerre terribili, con una dialettica che sembra paradossalmente ripetersi (per avere la pace totale basta annientare il nemico di volta in volta considerato l’incarnazione della guerra, ecc.).
Il suo ultimo libro, Il marxismo occidentale: Come nacque, come morì, come può rinascere (Roma-Bari: Laterza 2017), riveste un’importanza particolare, data la sua estrema attualità. In questo libro, Losurdo analizza polemicamente le differenze tra il marxismo orientale e quello occidentale, lanciando un duro atto d’accusa contro il secondo. Secondo Losurdo, la colpa del marxismo occidentale è stata quella di non sostenere coerentemente la rivoluzione anticoloniale. L’interpretazione di Losurdo è senz’altro suggestiva, e lo è ancora di più in un’epoca di involuzione razzista come la nostra, che a ben vedere non fa che riprodurre nell’Occidente opulento brutture tipiche del colonialismo.
Chiaramente, anche l’opera di Losurdo, come quella di tanti grandi storici, non è esente da luci ed ombre. Sicuramente la sua opera più controversa è stata Stalin: Storia e critica di una leggenda nera, (Roma: Carocci, 2008), libro nel quale l’autore affronta il fenomeno staliniano in un’ottica comparatistica, confrontandolo con gravi crimini della storia contemporanea come quelli del liberalismo e del colonialismo. Sebbene l’idea non sia priva di spunti suggestivi, sicuramente un problema grave dell’opera è che è compilata su fonti fondamentalmente secondarie. Così, Losurdo non ha potuto che darci un ritratto, più o meno discutibile, di ciò che altri hanno detto sul tema. Un simile studio basato su fonti primarie avrebbe certamente avuto maggior valore. Ma l’opera non è esente da altri punti discutibili: alcune pagine particolarmente sanguinose del periodo staliniano non vengono affrontate (v. Grandi Purghe), ma questa scelta è forse motivata dal fatto che l’autore non aveva un’interpretazione alternativa da proporre (e in questo caso la loro assenza non è necessariamente un difetto). Inoltre, Losurdo dà credito a interpretazioni oggi poco condivise secondo le quali nell’Urss di Stalin ci sarebbe stata una vera e propria quinta colonna (in parte trozkista) rappresentante un serio pericolo per la sicurezza del paese (pericolo probabilmente esagerato), o secondo le quali i processi di Mosca ebbero una solida base accusatoria (anche questa interpretazione oggi assai poco condivisa). Inoltre, Losurdo incorre in un probabile errore di interpretazione quando dice che il primo ministro francese Edouard Herriot, visitando l’Urss durante la carestia dei primi anni ’30, ne negò in seguito la gravità (ibid., 189). Fermarsi alle dichiarazioni di Herriot significa non tenere conto del modo “Potëmkin” nel quale venivano organizzate le visite degli stranieri nell’Urss, a maggior ragione nel caso di importanti figure ufficiali (1).
Infine, un probabile errore commesso da Losurdo in più di un’opera risiede nella sua interpretazione delle odierne tendenze di politica internazionale e della loro genesi storica. Infatti, sia in Fuga dalla storia?, che in Un mondo senza guerre e in Il marxismo occidentale, Losurdo interpreta il ruolo delle odierne potenze emergenti (Russia e Cina in primis) in modo semplicistico. Se la “fine dalla storia” prefigurata da Fukuyama avrebbe consistito in uno strapotere Usa, non è per niente detto che l’affiancarsi di altre potenze migliori necessariamente la situazione. Anzi, un simile ragionamento potrebbe essere tacciato di multipolarismo spiccio. Sia la Russia che la Cina (assieme ad attori minori) infatti insistono molto sulla necessità di un mondo che loro definiscono “multipolare”, ma ci possono essere legittimi dubbi che anziché a una maggiore democrazia internazionale, Russia e Cina aspirino semplicemente a un’espansione della propria influenza, che non necessariamente si tradurrebbe in un assetto internazionale più pacifico, come invece Losurdo sembra sostenere alla fine di Un mondo senza guerre. Probabilmente, la multipolarizzazione di oggi va interpretata più come un processo che sta avvenendo che come un obiettivo da perseguire. Le ultimi crisi internazionali ci mostrano che lo scontrarsi di potenze diverse non ci dà un assetto più pacifico (vedi Ucraina, Siria): tra la potenza discendente e quelle ascendenti, nessuna vuole arrendersi senza combattere. Senza dire che Russia e Cina non offrono grandi credenziali democratiche.
Inoltre, Losurdo dà una versione troppo manichea dei rapporti internazionali odierni. Secondo lui, non si assiste ad altro che a potenze ad imperialismo classico (l’Occidente, Usa in primis) che cercano di soggiogare paesi un tempo coloniali o semi-coloniali (Russia, Cina). Ma l’imperialismo, che certamente è una categoria utilizzabile e non anacronistica, non sempre è a senso unico. Che le potenze occidentali, Usa in testa, si siano spesso macchiate e si macchino tutt’ora di comportamenti imperialistici è fuori discussione, ma che dire dei crimini commessi in Cecenia dal regime putiniano, della sbrigativa annessione della Crimea, o dell’aura di controllo apposta da Mosca sul Donbass ribelle? O delle isole artificiali con le quali la Cina sta “mangiando” alle Filippine pezzi di acque territoriali? Il caso cinese desta poi preoccupazioni particolari. Secondo le interpretazioni più benevole, l’opera della Cina a livello mondiale è improntata all’aiuto quasi disinteressato ai paesi in via di sviluppo, tramite la fornitura di appalti con rapporto qualità/prezzo estremamente competitivo. Certamente ciò rientra in una politica cinese di lunga data, ma sembra un po’ ingenuo credere che le ambizioni cinesi si limitino a questo (v. land grabbing ecc.).
Ancora sulla Cina, Losurdo certamente commise gravi errori di semplificazione analizzando la realtà cinese di ieri e di oggi. Secondo lui, la storia della Cina dalle Guerre dell’Oppio a oggi può essere assimilata in un unico processo di indipendenza e emancipazione sociale, non vedendo le evidenti contraddizioni. È condivisibile che la Rivoluzione Cinese abbia rappresentato anche una liberazione per una semi-colonia dilaniata dalle grandi potenze, ma le evidenti fratture non possono essere sottovalutate. Lo studioso cinese Mobo Gao ha ben dimostrato che le riforme di Deng Xiaoping non sono state una piacevole apertura al mercato e un miglioramento generalizzato delle condizioni di vita dei cinesi. In realtà, quelle riforme sconsiderate hanno impiantato in Cina un capitalismo e un liberismo così selvaggi che se hanno arricchito enormemente alcuni e hanno formato una consistente classe media, hanno lasciato indietro settori non indifferenti della popolazione, da cercare soprattutto nelle sterminate campagne (dove, è bene ricordarlo, vive ancora la maggior parte dei cinesi) e nelle terribili fabbriche dove gli operai (che spesso provengono dalla Cina rurale) lavorano in condizione spaventose per produrre beni di consumo spesso destinati ai mercati occidentali. Pertanto, il vedere la Cina come una specie di “nuova alternativa” di eguaglianza e giustizia sociale da seguire ha a che fare più con la fantasia che con la realtà (Mobo Gao, The Battle for China’s Past. London: Pluto Press, 2008).
In conclusione, l’opera, il pensiero e la lezione etico-morale di Domenico Losurdo sono di grande importanza e dobbiamo assolutamente farne tesoro. È in particolar modo auspicabile che i giovani conoscano la sua opera e prendano esempio dal suo rigore scientifico. Losurdo è stato uno storico di rango, di altissima erudizione e di altissimo rigore metodologico. Il suo sguardo sempre sospettoso e mai contento delle verità apparenti ci mancherà, ma la sua opera rimane. Tuttavia, spesso la sua verve ideologica lo portava a conclusioni difficilmente condivisibili. È appunto questo che rimane di Domenico Losurdo: luci ed ombre, ed è bene affrontare tutte e due.

Marco Gabbas

NOTE
1. Per una testimonianza dall’interno su come venivano organizzate simili visite, v.: Arvo Tuominen, The Bells of the Kremlin (Hanover and London: University Press of New England, 1983). Per un resoconto diverso sulla visita di Herriot nell’Urss, v.: Timothy Snyder, Bloodlands: Europe Between Hitler and Stalin (New York: Basic Books, 2010), 57-58.

Domenico losurdo, marco gabbas


Aldo Giannuli

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