In morte di Ernst Nolte: una analisi delle sue opere

Cari amici, in morte di Nolte, su cui si sono letti diversi articoli sui vari quotidiani (interessante quello di Antonio Carioti sul Coorriere della Sera) permettetemi di proporvi queste pagine che gli dedicavo nel mio “Abuso pubblico della storia” Guanda 2009. A.G.

Insieme a Furet ed a Renzo De Felice (di cui parleremo nel contesto italiano) Ernst Nolte è (stato) il maggior referente del revisionismo storiografico europeo. Allievo di Martin Heiddegger, raggiunse la fama internazionale nel 1963 con “Der  Faschismus in seiner Epoche”, uno dei primi studi comparati sul fascismo dedicato, oltre che al fascismo italiano, al nazismo ed all’Action Francaise di Charles Maurras. Il libro era costruito intorno ad una intuizione: pur nella profonda diversità dei casi nazionali, il fascismo è stato un fenomeno epocale tendenzialmente unitario, caratterizzato da una contaminazione di elementi ideologici nazionalisti con elementi socialisti e destinato ad avere successo solo nei contesti in cui operi un forte movimento marxista.

Nolte proseguì lungo questa linea di ricerca per circa un ventennio, pervenendo gradualmente a conclusioni assai divergenti dalla storiografia corrente in materia di nazismo. Abbiamo già ricordato l’ Historikerstreit che, a metà degli anni ottanta, lo vide impegnato sul tema della “colpa” del popolo tedesco per l’olocausto ed i crimini nazisti. La sua ricerca culminò nel saggio sulla guerra civile europea  nel quale spiegò il fascismo come reazione alla rivoluzione russa, individuando nell’antibolscevismo il vero nucleo centrale del pensiero nazionalsocialista. Lungo questo indirizzo, Nolte perveniva alla conclusione che i crimini nazisti erano da relativizzare in quanto da porre in relazione a quelli del comunismo: il gulag sarebbe una sorta di prius del lager.

Nolte si spinge molto più in là di Furet nel teorizzare la continuità fra giacobinismo e bolscevismo, risalendo man mano agli anabattisti di Tommaso Muntzer, alle jacqueries, alle rivolte degli schiavi come Spartaco, persino ad alcune pagine della Bibbia. E’ quello che definisce “l’eterna sinistra” che identifica con un atteggiamento sostanzialmente pauperista incapace di comprendere che la diseguaglianza sociale è la base del progresso civile (e qui è evidente la parentela ideologica con  l’individualismo proprietario di Burke). E, dunque, i bolscevichi sono proposti come antagonisti della civiltà europea ed assimilati all’islamismo (come peraltro Burke aveva assimilato i giacobini all’islamismo). E’ curioso notare che, invece, Pipes fa l’operazione contraria facendo discendere l’ Islam radicale da Lenin.

Di rilievo, nel modello esplicativo noltiano è la caratterizzazione dell’ottobre russo come rivoluzione non partecipata, essendosi trattato sostanzialmente di un colpo di stato con una base assai esigua di consenso, che, in qualche modo, poneva le premesse per la successiva repressione. Stranamente, questo stesso carattere di rivoluzione non partecipata non è individuato nella rivoluzione inglese del 1689 che, invece, è indicata una volta di più come modello positivo.

Nolte riprende da Schmitt la nozione di  “nemico assoluto” riferendola  all’appello di Lenin sulla trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria che avrebbe dato il via alla guerra civile europea.   

Giustamente, Losurdo fa notare che anche le potenze occidentali  rivolsero frequenti appelli al popolo tedesco ad insorgere contro il proprio governo –accusato di essere assolutista e sanguinario- ed il  presidente Woodrow Wilson  presentò l’entrata in guerra degli Usa come una crociata per la democrazia e la liberazione di tutti i popoli “compreso quelli germanici”. Ed, infatti, la propaganda degli imperi centrali insistette molto sul tema della “congiura internazionale massonica” ai propri danni.  Peraltro, il debito intellettuale di Nolte verso Schimitt si evidenzia anche nel concetto di “guerra civile fredda” che si sarebbe conclusa con il 1989.

Come nel caso di Furet, anche Nolte manifesta una notevole disinvoltura metodologica sulla quale non è inutile soffermarsi. A proposito del tema della rivoluzione mondiale, osserviamo che si trattò del progetto di Lenin e Trotzkj che pensavano la situazione matura per la vittoria rivoluzionaria nell’Europa occidentale –soprattutto in Germania- nel giro di pochi anni. Non è questa la sede per entrare nel merito della fondatezza di quella ipotesi e delle ragioni del suo insuccesso, di fatto essa andò rapidamente incontro alla sconfitta e, già nell’ottobre 1923, con il fallimento dell’ “ottobre tedesco”, usciva definitivamente di scena. Dopo un brevissimo interludio durato meno di due anni, la prospettiva della rivoluzione mondiale venne abbandonata dai comunisti russi –salvo che per il maldestro tentativo cinese del 1927- e gli interessi del nuovo stato sovietico si affermarono come prevalenti e, per riflesso, l’Internazionale Comunista ed i suoi partiti divennero una appendice della politica estera sovietica. Come comprese subito Trotzkj, il “socialismo in un solo paese” non era la momentanea accettazione di uno stato di fatto sfavorevole, ma il definitivo abbandono della prospettiva internazionalista. Man mano, il gruppo dirigente stalinista concepì l’eventuale espansione del socialismo come la progressiva estensione della sfera di influenza sovietica. Quello che accadde dopo il 1946, con l’emergere di due blocchi reciprocamente demarcati, era la prosecuzione logica di quell’impostazione.

Dunque, la vittoria dei vari movimenti fascisti e l’affermarsi di regimi autoritari di destra (Italia 1922, Germania 1933, Portogallo 1926-32, Spagna 1936-39) sostanzialmente segue la fine del tentativo rivoluzionario leninista e va ben oltre il limite della reazione ad essi. Anche in Italia, il fascismo vinceva dopo la sconfitta dell’occupazione delle fabbriche e spiccava il volo, non dopo un nuovo assalto rivoluzionario, ma dopo il fallimento dello “sciopero legalitario” dell’agosto 1922. Ma, se nel caso italiano si può anche ipotizzare una sorta di movimento inerziale, per cui il fascismo giungeva al potere sullo slancio di quanto accaduto due anni prima, questo non può essere decentemente sostenuto nel caso tedesco, dove i nazisti dettero l’assalto ad un regime democratico, in assenza di qualsiasi tentativo insurrezionale comunista. Semmai, in occasione del “plebiscito rosso” godettero dell’appoggio dei comunisti tedeschi (una macchia indelebile della Kpd sulla quale si sorvola troppo facilmente).

Tanto meno la teoria di Nolte risulta idonea a spiegare il caso portoghese, dove non c’è mai stata una congiuntura rivoluzionaria (ma Nolte il Portogallo non lo prende neppure in considerazione). E, notiamo incidentalmente, il caso portoghese contraddice anche l’idea che il fascismo sorga da una contaminazione fra cultura politica nazionalista con elementi si socialismo, chè, di socialismo, nel fascismo salazarista non c’è neppure l’ombra.

Soprattutto l’ipotesi di Nolte non funziona nel caso spagnolo, dove il Fronte popolare (di cui facevano parte due partiti “borghesi”, è bene ricordarlo) andò al potere grazie ad una regolarissima vittoria elettorale e su un programma che non prevedeva alcuna “guerra di sterminio” della borghesia. La guerra civile fu scatenata da Francisco Franco su istigazione del fascismo italiano, che temeva un peggioramento della propria posizione nel Mediterraneo. Come documenta per la prima volta e molto convincentemente Morten Heiberg, le origini del colpo di stato falangista erano molto precedenti all’assassinio di Calvo Sotelo (invocato come motivo scatenante) e addirittura alla stessa vittoria elettorale del Fronte Popolare. D’altra parte, i comunisti erano del tutto minoritari nello schieramento di sinistra e videro crescere il loro perso proprio grazie allo scatenamento della guerra civile da parte franchista. Peraltro, essi non spinsero mai verso un esito rivoluzionario ed, anzi, si impegnarono sino all’ultimo a preservare l’”alleanza antifascista” con settori della borghesia.

Dunque, non sembra che la tesi di Nolte resista ad una verifica storica fattuale. Ma non resiste molto neppure dal punto di vista della filologia ideologica; come documentò lo storico israeliano Zeev Sternhell, il fascismo trova le sue radici nella crisi ideologica a cavallo fra l’Ottocento ed il Novecento, molto prima della rivoluzione russa. D’altro canto, anche Furet mosse critiche analoghe a Nolte (nonostante i cordialissimi rapporti intrattenuti per oltre venti anni) segnalando come i fascisti non avevano alcun bisogno della rivoluzione bolscevica per il loro dichiarato antiparlamentarismo.

Infatti, il fascismo non fu solo reazione antirivoluzionaria ed ebbe caratteri primari originali che vanno ben oltre la semplice reazione anticomunista. Peraltro, come Furet,  neanche Nolte è stato del tutto originale nelle sue tesi. La riduzione del fascismo a mero movimento di opposizione al comunismo è già presente nell’elaborazione di Maurice Bardeche (ideologo del fascismo francese, cognato di Robert Brassillach) che, già nel 1962, aveva iniziato a sottolineare l’assenza di un minimo comun denominatore teorico dei vari fascismi. Successivamente, in una sua opera dedicata ai fascismi sconosciuti (dalla Guardia di Ferro di Codreanu ai Lupi d’Acciaio lituani, dal movimento del norvegese Quisling alle Croci Frecciate ungheresi), valutatene le rimarchevoli differenze, l’autore concludeva:

<< In realtà, i regimi che si chiamano fascisti sono regimi di salute pubblica che hanno preso forme differenti seguendo la forma e l’imminenza del pericolo, cioé seguendo le circostanze, e solo alcuni tra loro hanno un contenuto politico che tutti i popoli possono adattare al proprio carattere.  Dovremmo dunque studiare, da una parte, le reazioni di salute publica attraverso le quali i popoli hanno cercato  di difendere la loro libertà dal bolscevismo  e, dall’altra, l’umanesimo politico sul quale si sono appoggiati in quell’occasione, ciò che costituisce propriamente il messaggio culturale che questi regimi hanno trasmesso a tutti gli uomini >> (b  p. 9-10).

Il fascismo perdeva ogni suo tratto distintivo per diventare una forma particolarmente militante di antibolscevismo: una operazione tesa a rimettere in gioco, a un quarto di secolo dalla sconfitta, la destra fascista in un più ampio fronte anticomunista. Dunque una operazione dichiaratamente politica non particolarmente preoccupata delle esigenze dell’analisi storica che, al contrario, segnala il carattere originario dei movimenti fascisti. E se proprio di reazione ad una rivoluzione si può parlare, a proposito del fascismo, non è della rivoluzione russa che si deve parlare, ma di quella francese di 128 anni prima. In fondo, la definizione del fascismo come “anti 89” è venuta dallo stesso fascismo.

La stessa varietà ideologica dei diversi fascismi (debitamente documentata sia da Nolte che da Bardèche o da altri autori) non depone affatto su un “minimo comun denominatore” quali “Comitati di salute pubblica”, ma conferma le remote radici nazionali di ciascuno a prescindere dalla rivoluzione di Ottobre.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (13)

  • Avevo letto alcuni anni fa una teoria secondo la quale i movimenti fascisti si sviluppavano nel momento in cui l’elite industriale di un Paese si trovava a dover condividere il potere con il padronato agrario.
    I regimi fascisti fungevano da mediatori tra questi due spezzoni della classe dirigente e garantivano i loro interessi nei confronti delle classi inferiori.
    Con lo sviluppo economico, gli industriali erano destinati a prendere il sopravvento sugli agrari e il partito fascista nazionale perdeva in questo modo la sua ragion d’essere lasciando spazio ad uno sviluppo democratico della nazione.
    Volevo sapere cosa ne pensava.

  • Mi è capitato di leggere un libro edito nei prim anni ’60, di un autore tedesco (dell’Ovest) di idee pacifiste e social-comuniste. Si chiamava, credo “il falso miracolo tedesco” o qualcosa del genere.
    Era un documento di grandissimo interesse, scritto poco prima della costruzione del muro, con una spiccata simpatia per il governo dell’est, rispetto a quello dell’ovest m d parte di un autore pacifista e certamente indipendente dai pc della terza internazionale.
    Mi ricordo che uno degli aspetti più interessan della sua feroce critica al regime dell’ovest, fos incentrata proprio sul rapporto con la memoria del nazismo.
    A tal proposito alcuni esempi sono propedeutici , chiarire l sua tesi:
    1) Adenauer era stato funzionario del regime nazista, mentre Ulbricht nel ’33 lo aveva combattuto armi in pugno (nonostante tutti gl errori di possono ave commesso un dirigenti KPD e che hanno peraltro pagato con la vita).
    2) all’est il giorno della resa dei nazisti era festa nazionale, all’ovest no.
    3) Molto presto i politici dell’Ovest si fece fautori della campagna per il riarmo, in violazione degli accordi presi in questo senso (che stavano a cuore soprattutto ai sovietici).
    Insomma su questo la tesi del libro era che: mentre ad Est, per diverse ragioni, il regime si fondava proprio sulla distanza dall’epoca nazista, all’Ovesto convivesse, a fianco di un retorica ufficiale, il tentativo di giustificare la storia dell Germania (e non del nazismo), come storia di resistenza , bolscevismo (anche dunque c conseguenza catalogare i nazismo tra gli eccessi di quest ” causa). In questo modo l Germania aveva una ragione in più (ideologica) che s aggiungeva a quelle economiche e quelle geopolitiche, per assegnare alla Germania un ruolo preminente nel contrastare l’espansione comunista

  • Professor Giannuli, se è vero che descrivere il nazismo come semplice reazione al bolscevismo è tesi un po’ grossolana (mi permetta, a questo proposito, di fare pubblicità ad un libro definitivo sulla nascita del nazismo: “Le origini culturali del Terzo Reich”, dell’ebreo tedesco George Mosse), non ritiene che la rivoluzione di Ottobre abbia per lo meno trasformato quello che fino a quel momento era stato un elemento marginale della scena sociale e politica tedesca in un fenomeno di massa? Hitler era già di suo un isterico delirante, ma si può negare che sia stato il panico collettivo creato dall’instaurazione della Repubblica Bavarese dei Consigli, nel novembre del 1918, a farne un leader riconosciuto? Passare in rassegna ogni paese che ha conosciuto un proprio fascismo non sarebbe possibile nello spazio di un commento (e io sto faticando a resistere alla tentazione di scrivere qualcosa sull’Italia del biennio 1919-20), per cui, sintetizzo dicendo che se Nolte ha sbagliato nel proporre il nazismo ed il fascismo come mere conseguenze dell’avvento di Lenin in Russia, e lo sterminio degli ebrei come il risultato dello sterminio dei borghesi nei gulag (tesi che, a mio giudizio, Nolte ha volutamente portato alle estreme conseguenze più che altro per civetteria narcisistica), va preso come assodato il fatto che la rivoluzione bolscevica abbia agito da formidabile propellente, in quei paesi maggiormente stravolti a livello politico ed economico dalla prima guerra mondiale e nei quali più forte è stata l’agitazione comunista, come l’Italia e la Germania, per la diffusione a livello sociale e per l’aumento di adesioni e consensi, oltrechè di sostegni finanziari, a quei movimenti fascisti che, altrimenti, torno a ripetere che sarebbero stati marginali sulla scena pubblica dei rispettivi paesi. Gradirei, Professore, avere un suo punto di vista in merito, considerando che ho dovuto mutilare il commento che avrei voluto scrivere per non essere logorroico.

  • «Dictatorship does not evolve out of strong, coherent, decisive government; It Is the result of a reaction against a government which Is so weak that It cannot act effectively at home or abroad. Anarchy, disorder, impotence, paralysis,a and humiliation are the seed bed of dictatorship. Weak government has never been favorable to liberty. For a government which cannot govern must in nature of things give way to a government which can govern.» — Walter Lippmann

    La piccata risposta di Walter Lippmann all’ex presidente Hoover, che laconicamente invitava ad osservare che le sorti delle dittature erano precedute da un indebolimento del potere legislativo.

    La tesi (sostenuta anche da Montanelli) che un governo debole possa condurre alla dittatura sembra sopravvivere ai giorni nostri e si perpetua implicitamente nella propaganda volta alla dominanza dell’esecutivo che seppellisce la stabilità delle legislature enfatizzando la beve durata dei governi della Repubblica.

    Quasi settant’anni senza dittatura significherebbero che abbiamo avuto governi “forti ed intensi” ancorché di breve durata? 😛

    Ho una certa ritrosia ad accettare una tale nesso deterministico sulla base di affermazioni apodittiche e dunque mi chiedevo _quante_ siano le tesi correntemente espresse su tali questioni e se quella espressa già durante la seconda guerra mondiale sia la più accreditata tra gli studiosi. 😕

  • Buongiorno,

    “Nolte si spinge molto più in là di Furet nel teorizzare la continuità fra giacobinismo e bolscevismo, risalendo man mano agli anabattisti di Tommaso Muntzer, alle jacqueries, alle rivolte degli schiavi come Spartaco, persino ad alcune pagine della Bibbia”

    D’accordissimo.Aggiungerei, che il Nolte salta a piè pari la Comune, e la rivoluzione Pietroburghese del 1905: una discrezione, (o distrazione?) per me assai sospetta. Sul rapporto nazismo/comunismo viene in mente un piccolo aforisma di Nietzsche che mi è sempre parso definitivo :

    “Und diejenigen, die tanzend gesehen wurden, wurden von denen für verrückt gehalten, die Musik nicht hören konnten” (Quelli che ballavano erano visti come pazzi da chi non sentiva la musica).

    Buon proseguimento

  • Buongiorno professore,
    Aggiungo anche il caso del Giappone, a sostegno dell’ipotesi che ritiene, in ultima analisi, tutt’altro che marginale, certamente, ma NON DECISIVO il ruolo dell’antibolscevismo nella legittimazione del potere nazifascista. Anche in questo caso, come in quello italico o tedesco, aiuta molto la nozione di “mito fondativo”: l’antica Roma e una vulgata risorgimentale nel primo caso, la superiorità germanica e della razza ariana nel secondo, un micidiale miscuglio di Shintoismo di Stato (kokka shinto) e panasiatismo (panajiashugi) antioccidentale nel caso nipponico. In tutti e tre i casi, il mito fondativo individuava una propria base di legittimazione BEN OLTRE l’Ottobre: altro non poteva essere. Ciò non toglie che poi, nel caso europeo “slavi, negri, ebrei, comunisti, zingari e froci” (come piace ancora accomunare ai groppuscoli ultras nostrani) fossero considerati la feccia dell’umanità da ripulire, così come cinesi e coreani dall’altra parte ricoprissero analoga funzione di untermenschen, senza però teorizzare in quest’ultimo caso la “necessità” di una soluzione finale, limitandosi a considerarla carne da macello, peraltro in buona compagnia degli imperialisti occidentali che avevano, fino a poco tempo prima, organizzato la tratta dei coolies (dall’iberico culíes, riferito agli indiani prima ancora della Guerra dell’Oppio, che “liberalizzò” la tratta dalla Cina, con prezzi antesignanamente “competitivi” rispetto allo schiavismo di provenienza africana: nel caso cubano, per esempio, dai 40 ai 295 pesos in meno per schiavo, Cfr. Fred Ho, Bill V. Mullen, Afro Asia: Revolutionary Political and Cultural Connections between African Americans and Asian Americans, Durham, Duke University Press, 2008, p. 42). Che poi a quelli che poi si sarebbero chiamati “Alleati”, così come al grande capitale, nazionale e non, facessero comodo i fascisti in chiave anticomunistica, finché il giocattolo non gli scappò di mano o, meglio, finché si resero conto che non solo non passavano a Stalingrado, ma che andando avanti così l’Armata Rossa sarebbe arrivata probabilmente a Lisbona, non a Berlino, è un dato di fatto. Ma sostenere un nesso causale fra i due argomenti, equivale a sostenere che Trump sia un burattino in mano di Putin: c’è anche chi lo fa, comunque, e con successo.
    Un caro saluto.
    Paolo Selmi

  • In realtà la “vexata questio” riguarda non tanto lo storico Ernt Nolte e le sue tesi storiografiche, ma la cifra ufficiale sancita dal tribunale di Norimberga, relativa ai gassati nelle camere a gas. E’ una cifra tabù, una cifra dogma, che nessuno osi metterla in discussione, altrimenti leggi solerte approvate dai parlamenti occidentali, compresa finalmente anche l’Italia, mandano in galera i non credenti.Si può mettere in discussione tutto e tutti,ma guai a toccare tale nervo scoperto.E’ tale moderno dogma teologico-ideologico, assurto a culto di stato pseudo religioso obbligatorio fin dalle elementari, che è in discussione, non il preteso paragone bolscevismo- nazismo di Nolte. Poi voglio ricordare a “que sa vayan” che la DDR non sborsò mai un solo marco di riparazione allo stato di Israele.La classe dirigente della DDR di stretta osservanza moscovita in politica estera, in realtà adottò in politica interna una sorta di rinascita della migliore tradizione prussiana in chiave anti occidentale, che ricordava molto il “socialismo d’acciaio” di Spengler. Una vera e propria eresia dal punto di vista ideologico in chiave marxista. Primo esempio di uno stato revisionista?

  • OFF TOPICS. In un piccolo Oceano, al largo di una piccola isola, con le sue catene montuose e i suoi vulcani, a bordo di una piccola portaelicotteri mezza portaerei si incontrano i tre piccoli compagnucci dove ognuno vuole rubare la merenda agli altri.
    Los amigettos messi insieme non ne hanno mai fatto una buona.
    Cosa c’è da aspettarsi da una venditrice monoplista di aringhe, da un tronfio colonialista ambiguo e da un fantasma ? Niente, se non al più la solita inconcludente perdita di tempo. Ma di più qui si sente il consueto olezzo di parfum di fregatiur.
    Los anglos fanno la Brexit, – sapete che qui ho pregato in latino-, ma la vogliono fare pagare a noi, perchè i freconi arbitrariamente hanno fatto l’uguaglianza Renziexit=Brexit. A queste brillanti conclusioni non sono arrivati neppure in Italia. Il di più lo ha fatto la stampa internazionale che di sicuro non ama l’Italia. I pennivendoli sapientoni vanno smascherati per quanto sono rapaci.
    La Brexit ha avuto rilevanza internazionale con profondi riflessi finanziari, mentre la Renziexit ha rilievo nella politica interna e istituzionale, al punto che Renzie si permette di fare la banderuola. Se la stampa internazionale angla confonde le idee e non comprende un fico secco delle dinamiche politiche italiane, vuol dire che sono in mala fede. Nella migliore delle ipotesi sono cialtroni. La Brexit al prezzo più altro non la dobbiamo pagare noi e di sicuro non rinuncio a votare contro le politiche di illo fiorentino, tanto poco astuto da mettersi nelle mani di quei due.

  • Gentile professore conckodo con lei sul utilizzo politico daparte di nolte della storia “parto da un mio convincimento e metto in filagli eventi per dimostrarlo”. Mavorrei portare allasua attenzione il Corriere dellaSera di venedi scoso nel quale oltreal coccodrillo di Romano per lo storico tedesco vi eratuttauna serie di articili e commenti ,dalla politica estera ( crisi di governo in spagnan elezioni in usa,referendum in italia, per finire conla partecipazione del iranalle olimpiadi) ove ilmessaggio erasempre il medesimo”guaiai vinti” ossia attenticwti subalterni dalpermettervi di alzarelavvoce,anche conlibere elezioni, perche’ dopo di noi -classi dominanti- il diluvio. In tale contesto siinseriva l’articilosuNilte ovviamenteacritico per non dire accondiscendente. Con stima e cordialita’ majno

  • In fin dei conti anche il socialismo – di cui il bolscevismo è semplicemente usato come sineddoche dalla propaganda reazionaria – sconta nel leninismo una delle sue tante mutevoli forme nella Storia.

    Ma il fatto che Nolte constati l’ovvio nel tracciare nella Storia l’ *Etica* socialista – quella che Nietzsche chiamava «l’etica degli schiavi» – ciò non toglie che nel concreto tempo della Storia l’unico movimento politico che abbia con cognizione lottato per la socializzazione del potere è stato quello che si eleva dal potentissimo paradigma analitico fondato sul pensiero marxiano.

    A questo il fascismo – diverso da tutte le precedenti esperienze autoritarie per il suo carattere *totalitarista* – si oppone, non solo nella retorica nazionale, ma anche nella *prassi* internazionale e delle sue relazioni geostrategiche.

    Convincente l’analisi del solito:

    https://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/antifascismo-su-marte-e-liberismo.html

    che può essere introdotta da un famoso aforisma di Herbert Spencer: « Il liberalismo ha dovuto in passato difendersi dagli assolutismi. Nel futuro dovrà difendersi dai parlamenti »

    Il fascismo pone a conservare il *liberismo*, rivoluziona la *sovrastruttura* giuridca e politica borghese-liberale e quella coscienziale in modo totalitario, grazie anche alle nuove tecniche di propaganda.

    Il totalitarismo – che è l’essenza vera che distingue i “nazifascismi” da qualsiasi forma di dispotismo – è *naturale* conseguenza del liberalismo. Può essere considerata una necessità storica a cui dialetticamente – morto il marxismo ortodosso della tradizione bolscevica e luxemburghiana – non si oppone praticamente nulla.

    Invito gli storici a seguire con interesse Orizzonte48, perché propone strumenti di analisi centrati sull’analisi economica istituzionalista, radicalizzando ciò che un tempo era chiamato “materialismo storico”. (Analizzando con la macroeconomia post-keynesiana i rapporti di produzione considerati – insieme alla demografia – il primum agens del divenire storico).

    I risultati “spiazzano”, e – forse con un po’ di nostalgia – si viene catapultati ad almeno un secolo fa. Ma fa riflettere.

    Grazie e buona giornata.

  • Professore, condivido moltissime delle sue critiche a Nolte ma se lo depuriamo dal suo antibolvescevismo viscerale potremmo forse riscrivere la sua tesi con gli occhi della sinistra e in una prospettiva per così dire “statistica” e non meccanicistica.

    La mia opinione è che il fascismo sia nato per molte ragioni ma si sia sviluppato come reazione alla PAURA del comunismo da parte delle classi dominanti e in tale misura sia stato supportato economicamente e creato come una sorta di Golem poi sfuggito di mano. Entro nel merito con qualche esempio non esaustivo ma ampiamento documentabile.

    1. Molti petrolieri finanziarono Hitler (nonché movimenti di russi Bianchi) allo scopo di riavere i pozzi nazionalizzati dalla Rivoluzione. Penso alla Royal Dutch Shell di Henry Deterding, per esempio. In america invece alcuni si spezzarono in una fazione che cercava accordi con Lenin e mirava al riconoscimento della Nuova Russia (come la Sinclair Oil e associati) e altri che vi si opponevano per concorrenza sulle materie prime.

    2. Molti industriali finanziarono Hitler e non mi riferisco solo all’industria pesante tedesca dei Krupp o dei Thyssen (o la Fiat con Mussolini) ma a gente come Ford, ad esempio: è interessante a tale proposito notare come l’antisemitismo fosse un denominatore comune e come emigrati russi ex ufficiali zaristi come Boris Brasol, alle dipendenze di Ford, sarebbero stati gli intermediari nel flusso di fondi al cugino in esilio dello Zar e al nascente partito nazionalsocialista. Altri russi bianchi, lituani e ucraini fondarono nell’immediatezza della Rivoluzione un gruppo chiamato Aufbau che costituì il nocciolo duro sia dei putchisti nel 1923 a Monaco, sia dell’ideologia stessa del futuro partito: tra loro gente come Alfred Rosemberg e altri.

    3. Senza credere che le società segrete riescano a manipolare il mondo è pur vero che almeno agli albori quel coacervo di Aristocratici e alto borghesi con hobby occultistici della Società Thule creò il partito nazionale dei lavoratori: Hitler venne mandato nel 1919 dall’esercito bavarese a infiltrare e spiare tale partito e poi finì per aderirvi e fondarne uno nuovo, mantenendo pur sempre l’appoggio di diversi generali, per quanto divisi tra indipendismo bavarese e putsch tentati a Berlino nel 1920. La germania è un caso esemplare da studiare: per attaccare le varie piccole rivoluzioni di Berlino e Monaco vennero usati i Frei Korps.

    4. Alcuni banchieri finanziarono e supportarono i movimenti fascisti, ad esempio nel controverso Corporation Coup organizzato contro Roosevelt da Morgan (e il colosso della chimica Dupont) stando alla denuncia del generale Butler che si rifiutò di guidarlo.
    Sempre nel caso della guerra civile russa finanziare gli zaristi permetteva di riavere il denaro prestato allo Zar e non riconosciuto come debito da Lenin.

    5. Le grandi corporation americane crearono un proto-fascismo di tipo privato pagando squadracce e compagnie private (alcune celebri anche nelle investigazioni come i Pinkerton) allo scopo di picchiare, infiltrare e intimidire gli scioperanti: questo precedette la nascita del fascismo europeo e se ne discosta, anche perché in fondo non portò agli stessi sviluppi, ma non è un caso che poi negli anni gruppi come la Legione Americana esaltasse e si identificasse nei fascisti italiani e tedeschi.

    Insomma, la chiudo qua ma una ampia e ulteriore documentazione è reperibile in testi come “Who financed Hitler” di Pool o “The russian roots of nazism” di Kellogg.
    Il punto non è credere che un manipolo di ricconi possa manipolare il mondo o ancor meno giustificare i nazisti solo perché Prescott Bush aiutò da avvocato un paio di compagnie a fare affari con la Germania nel momento sbagliato. Il punto è sottolinear che alcune forze cercano SEMPRE di tirare acqua al loro mulino: a volte falliscono come nel caso della guerra civile russa del 1918-1920 o con Roosevelt, altre volte contribuiscono attivamente a far crescere un mostro che poi certo si nutre di tante altre cose: paura, fanatismo e quanto altro. Oggi come ieri.

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