Come cambia il lavoro dello storico?
Domani riprenderemo la riflessione sulle elezioni americane, ma una pausa per una riflessione di più largo respiro su come stia cambiando il mestiere di storico non ci sta male. A.G.
A partire dal XIX secolo, l’insegnamento della Storia è stato pensato in funzione della formazione del cittadino: cemento dell’identità nazionale, suprema istanza del giudizio morale su uomini ed istituzioni e parte essenziale del bagaglio culturale delle professioni liberali. Di conseguenza, il principale sbocco professionale degli storici di mestiere (significativamente preparati da un corso di laurea unico di storia e filosofia) era l’insegnamento.
Negli ultimi trenta anni si è registrata una minore attenzione all’insegnamento della storia (come peraltro per le altre discipline umanistiche) spesso liquidato come studio da eruditi, non necessario nella formazione dei concreti profili professionali più diffusi e promettenti. A questo si sono aggiunti gli effetti di altri processi come la caduta demografica, che riduce la domanda di insegnanti, l’indebolimento del senso di appartenenza nazionale che non si sa bene con cosa sostituire, l’emergere di nuove sfide del presente, come gli esiti della globalizzazione o dell’infittirsi dei flussi immigrativi, che inducono a pensare che ci sia meno bisogno di una disciplina come la storia. Al contrario, una visione meno superficiale dei processi storici in atto dimostra che l’epoca della globalizzazione non abbia meno, ma più bisogno di storia.
Essa mette immediatamente a contatto modelli di civiltà diversi e su un piede di parità e non certo di gerarchie para coloniali. Questo esige un attento lavoro di traduzione concettuale: siamo sicuri di dire tutti la stessa cosa usando le stesse parole come nazione, modernità, tradizione, classe, impero, democrazia, secolarizzazione, fondamentalismo, proprietà, Stato, diritto ecc? Sono parole che hanno attraversato lunghi percorsi durati secoli e che, nel cammino, si sono caricate di molte polisemie non identiche da luogo a luogo. La ricostruzione di questi percorsi ed il confronto fra le diverse identità ed i diversi linguaggi non può prescindere da un lavoro di approfondimento storico.
Si dice spesso che la globalizzazione pone problemi da affrontare con un approccio quale quello della complessità, considerazione verissima, ma proprio questa esigue una prospettiva temporale di non breve periodo quel che ci riporta all’esigenza del contributo degli storici. Pensiamo all’imprevista elezione di Trump che ci obbliga a scavare molto al di là dell’anni di campagna elettorale o degli otto anni di Obama. Occorre risalire quantomeno a quaranta anni fa per capire il declino della coalizione newdealista e alla crisi dello stato sociale: uno scrocio di storia (in questo caso recente) sin qui troppo poco ingagato. Potremmo proseguire, ma può bastare.
Ovviamente questo impone una riconsiderazione dell’utilizzo delle conoscenze storiche in ambiti diversi da quello tradizionale dell’insegnamento o nelle istituzioni parauniversitarie (fondazioni di partito o sindacato, società di storia patria eccetera). Il mestiere di storico è radicalmente mutato e chiede la definizione di nuovi profili professionali, in particolare in direzione dell’analisi storica interdisciplinare e della comunicazione storica.
Per analisi intendiamo uno studio di particolari situazioni (ad es, il caso Isis, il riemergere del nazionalismo minoritario come in Scozia, Catalogna ecc. la primavera araba, analisi , previsione ed esame di flussi migrativi ecc.) nella prospettiva di lungo periodo e con approccio complesso e transdisciplinare. E questo disegna profili professionali nuovi come di esperto free lance (come già accade per gli economisti) che prestano la loro opera per imprese, soggetti pubblici, banche e compagnie assicurative, mass media, istituzioni culturali, ecc. con consulenze private. Ma anche a personale specializzato presso enti pubblici, grandi imprese, associazioni sindacali o imprenditoriali, mass media, formazioni politiche.
Per quanto riguarda la comunicazione storica, ricordiamo come già da almeno un ventennio si è andata sviluppando una intensa attività di questo genere o attraverso la trasformazione e l’ammodernamento di generi tradizionali di consumo culturale (romanzo storico, film e format televisivi e radiofonici a soggetto storico, attività museali, mostre ecc) sia di nuovi generi (war games, eventi spettacolari, siti web ecc. di interesse storico). C’è stata una crescita esponenziale di questi prodotti che rappresentano una quota importante del mercato culturale e della comunicazione. Ed anche qui sono nati altri profili professionali.
Anche questo è un segno di come la globalizzazione abbia cambiato il mondo e sarebbe assai grave che non siano gli storici imprimi a notarlo ed adeguarvisi.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, didattica della storia, storia contemporanea
Brugial
Forse per capire l’imprevista elezione di Trump, più che scavare al di là.. ecc ecc. sarebbe necessario scavare al di qua di giugno 2016 e ciò della Brexit. La gente ha capito che anche se vota “contro” non finisce certo in rovina, vuoi perchè tutto quello che si è paventato è ben lungi dall’accadere, vuoi perchè buona parte dei programmi decantati non avranno mai luogo.
E così un sommovimento finisce con l’incoraggiare e promuovere l’altro (un po’ come le rivoluzioni di metà 1800): dalla Brexit, Trump, da Trump avremo la elezione di Hofer in Austria, dall’Austria la elezione della Le Pen in Francia e via cantando.
A questo punto, a meno di consistenti rivolgimenti di scena, anche il nostro referendum costituzionale è prevedibilmente destinato a fare flop, ma più in forza di Trump che di Grillo e D’Alema (sic!)
Gaz
Accipicchia, ma quanto è forte Super Tramp Trump Strumtruppen ! E’ più forte di Tarzan e Superman messi inseme !!
Se il magna – magna Magnate (et bevete) è irresistibile sulle vicende dello Stivale, non resta che contrapporgli Donald (Duck).
Paolo Selmi
“[…] отдельное не существует иначе как в той связи, которая ведет к общему. Общее существует лишь в отдельном, через отдельное. Всякое отдельное есть (так или иначе) общее. Всякое общее есть (частичка или сторона или сущность) отдельного. Всякое общее лишь приблизительно охватывает все отдельные предметы. Всякое отдельное неполно входит в общее и т.д. и т.д. Всякое отдельное тысячами переходов связано с другого рода отдельными (вещами, явлениями, процессами) и т. д. Уже здесь есть элементы, зачатки, понятия необходимости, объективной связи природы etc. Случайное и необходимое, явление и сущность имеются уже здесь […]” (В.И.Ленин. Философские тетради, Ленин В. И. Полн. собр. соч., т. 29, с. 318.)
“[…] il particolare non esiste se non nel legame che conduce all’universale. L’universale non esiste che nel particolare, attraverso il particolare. Ogni oggetto particolare è (in un modo o nell’altro) universale. Allo stesso modo, ogni universale è particella, o lato, o sostanza del singolo. Ogni universale soltanto approssimativamente abbraccerà tutti i particolari oggetti. Allo stesso modo, ogni particolare non rientrerà mai del tutto nell’universale, e così via. Ogni particolare è legato, tramite migliaia di passaggi, a particolari (siano essi oggetti, fenomeni, processi) di altro genere. E così via. Già qui vi sono degli elementi, particelle, embrioni del concetto di necessità, del legame oggettivo di natura, ecc. Casualità e necessità, potenza e atto son già qui […]”. (V.I. Lenin, Quaderni filosofici, Opere Complete di V. I. Lenin, vol. 29, p. 318)
Professore, buongiorno! La Storia può essere vita, letta, interpretata attraverso molti prismi. Quello del materialismo dialettico, al netto di tutte le incrostazioni meccanicistico-deterministiche, piututtosto che messianico-fideistiche, che pure ci sono state (e che ogni tanto riaffiorano in certi discorsi) a mio avviso è, forse, ancora il più valido per comprendere (sia nel senso di capire, che di includere) una complessità (sia nel senso sia di difficoltà che di totalità) sempre maggiore e ricca di elementi nuovi e mutevoli (come la bellissima foto in apertura suggerisce).
Particolari e universali sono continuamente collegati da ciò che Lenin chiama “passaggi”, (переходы, resi nella traduzione “storica” degli ER come “transizioni”): “passaggi” che sono nessi, ponti fra queste due dimensioni, da un lato, e momento di trasformazione qualitativa (da cui il termine “transizioni”) dall’altro.
Cogliere non solo i “nessi” in maniera quantitativa, ma anche qualitativa, individuandone anche – dialetticamente – le trasformazioni e i mutamenti generati da un rapporto dato, significa – meglio, può anche significare – rompere schemi interpretativi consolidati, individuarne di più avanzati, sempre però coerentemente a un percorso di ricerca e alle impostazioni di fondo che si è dato sin dall’inizio: la centralità dei rapporti sociali, per esempio, rispetto a quella di altre categorie, come “razze”, “dinastie”, “nazioni”, o “disegni divini”, e quant’altro la mente umana abbia mai creato per legittimare discorsi di potere alla luce dei “fatti”.
Per questo motivo, sono pienamente d’accordo sul fatto che il lavoro dello storico debba essere interdisciplinare, che non esista un’unica modalità del suo esercizio, ma che anzi la “pubblicazione” del suo lavoro (ché, altrimenti, sarebbe soltanto esercizio fine a se stesso) possa e debba seguire tutti i canali possibili e resi disponibili dalle odierne tecnologie. Mi rendo altresì conto delle difficoltà e dei rischi posta da questa sfida: non esiste un “albo degli storici” (mi si perdoni la provocazione), e tutti lo diventano rimbalzando una notizia da una parte all’altra, un po’ come sono tutti CT della nazionale. Il rischio maggiore è quello di fare disinformazione facendolo passare per controinformazione, in una specie di Hyde Park globale dove tutti possono salire sul predellino e dire la loro (cosa di per sé affatto negativa), laddove però la bontà di quanto affermato si misura unicamente in virtù dei “mi piace” che ottiene. E torniamo all’orazione funebre di Marco Antonio (“Ma Bruto è un uomo d’onore”)…
Un caro saluto e
buon fine settimana a tutti!
Paolo
Gaz
La storia sta alla filosofia come il cane sta al gatto.
Lorenzo
Osservazioni stimolanti.
Bisogna intendersi sulle parole. Se per ‘storico’ s’intende il laureato in una facoltà di storia e filosofia e le sue (residue) opportunità lavorative, si può solo esser d’accordo sulle Sue ricognizioni a 360 gradi.
Se invece per ‘storico’ s’intende lo studioso più o meno sistematico e rigoroso degli accadimenti storici, non è facile vedere cos’abbiano l’esperto free lance di una compagnia assicurativa o l’organizzatore di wargames in un villaggio turistico colla professione storica.
Per quanto invece riguarda l’invito a concentrarsi – in sede accademica – su problemi di estrema attualità, lo vedo più come la croce che non la delizia della storiografia contemporanea, perché nella pratica coincide spesso colla tendenza ad anglosassonizzare la disciplina, e ciò fa tutt’uno colla dimissione del principio assolutamente centrale che dovrebbe presiedere alla ricerca storiografica, quello dell’avalutatività cognitiva.
Nelle facoltà americane e tedesche invece di studiare la storia si organizzano corsi di indottrinamento politico della gioventù, del genere più grossolano e sfacciato. Guardavo l’altro giorno a Tübingen e Heidelberg: storia del razzismo, storia dell’olocausto, “Crollo di una dittatura: gli ultimi mesi della DDR”, l’influenza esercitata da non so quale scrittrice negra e lesbica sul pensiero femminista contemporaneo e così via. Quando ero a Minneapolis c’erano lo sterminio degl’indiani d’America e quell’altro negro, Martin Luther King. Se questa dev’essere la nuova storia contemporanea meglio rimanere a Crispi e Giolitti.
Gaz
L’approccio e la prospettiva storica alle varie discipline consente di risolvere problemi che al presente non sempre sono evidenziati.
Ergo, il parere di uno storico acquisito da un investitore su una determinata area o impresa, oltre che essere illuminante, consente di essere oculati.
Confesso di saperne poco sulla Cina e sull’oriente in generale.