Meritocrazia

Mantengo un impegno preso due settimane fa: scrivere sulla meritocrazia, argomento sul quale c’è molta confusione. Partiamo da un assunto: la divisione sociale del lavoro è una realtà che si afferma con il sorgere della civiltà e non è un dato eliminabile, a meno di non voler regredire all’età della pietra.

Marx sosteneva che la divisione sociale del lavoro cesserà nella società comunista (meta della storia umana, lui pensava), quando lo sviluppo dei mezzi di produzione renderà minima e fungibile l’erogazione di ore di lavoro umano. Forse una simile età dell’oro verrà in un futuro lontanissimo ed imprevedibile (personalmente, ho il forte dubbio che possa essere mai realizzabile) ma lasciamo perdere questa discussione: di fatto non è un traguardo in vista, per cui ragioniamo sui dati di fatto destinati a non modificarsi in un tempo prevedibile.

Dunque, la divisione del lavoro esiste, è ineliminabile e non è egualitaria, ma gerarchica, perché ci sono mansioni relativamente “facili”, magari faticose, nocive o pericolose, ma alla portata (almeno teoricamente) di qualsiasi essere umano anche non addestrato: trasportare a spalla sacchi di cemento lo possono fare tutti, salvo il limite della resistenza fisica.

Vice versa, fare il medico, l’ingegnere, il giurista o il pilota d’aereo richiede una preparazione specifica e, quindi, sono mansioni che incorporano una dose di sapere sociale via via maggiore. Badate che la gerarchia di cui parto non riguarda le persone che fanno questo o quel lavoro, ma le mansioni in quanto tali, il come questo si rifletta poi nella stratificazione sociale è cosa che consideriamo a parte. Ovviamente, questo implica una serie di differenziali di considerazione sociale, di retribuzione, di potere ecc, per cui, altrettanto scontatamente, ci sono mansioni più desiderate di altre e, più si tratta di mansioni apicali, più sono ricercate.

Per scegliere chi farà il chirurgo, il manager, il ministro o il docente universitario, abbia questi metodi di selezione possibili:

-per censo

-per successione familiare

-per appartenenza di casta

-per competenza.

Che la selezione avvenga per nomina dall’alto, per elezione dal basso o per prove concorsuali non cambia nulla: i criteri restano quelli elencati perché chi nomina, vota o valuta lo può fare seguendo il criterio del più ricco, della successione per diritto familiare (il congiunto più vicino alla persona da sostituire), per appartenenza ad una determinata casta (corporazione, lobby, partito politico….) o scegliendo il più competente. Credo che, dal punto di vista dell’utilità generale il criterio più auspicabile sia l’ultimo. Poi ci sono le soluzioni di fantasia: per corteggio, a turno, per anzianità, per avvenenza fisica ecc. ma saremo tutti d’accordo a non prenderle in considerazione.

Il criterio della competenza non è di per sé democratico o antidemocratico, ma semplicemente utilitaristico, per cui esso è stato caratteristico (almeno teoricamente o in parte) tanto di moderne società democratiche come quelle scandinave quanto di società antiche e dispotiche come l’Impero Cinese che, appunto, inventò il metodo degli “esami” in cui dar prova delle proprie conoscenze e abilità.

Una società democratica non può eliminare il carattere gerarchico della divisione del lavoro, ma, avendo alla sua base il valore dell’eguaglianza (almeno, così dovrebbe essere) cerca di bilanciare questo dando a tutti la migliore eguaglianza dei dati di partenza, per garantire che il prescelto sia il migliore possibile. Dunque la selezione per competenza (altrimenti detta “meritocrazia”) è propria dei sistemi democratici.

Poi, però, intorno a questo assunto sono sorti molti equivoci, in particolare ad opera di quel confusionario classista di Michael Young che, a fine anni cinquanta, pubblicò “The rise of the Meritocracy” che è un catalogo di esilaranti scemenze. E si iniziò a strologare di misurazione dell’intelligenza (come se fosse un dato innato e come se di intelligenze ce ne sia di un solo tipo) qualcuno iniziò a dire scemenze del tipo di classi differenziate per i ragazzi superdotati, altri di strutturare la società per “classi intellettuali”. Questi sono deliri che non hanno nulla a che fare con il principio della attribuzione delle responsabilità per competenza. Se poi vi dà fastidio il nome, chiamatelo come vi pare, mettiamoci d’accordo, ma il principio della selezione per competenza resta ed è non solo compatibile con la democrazia, ma valore fondante di essa.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (37)

  • Meritocrazia:
    grimaldello ideologico inventato dai peggiori assertori del darwinismo sociale, col quale si impone su una massa appositamente portata all’inebetimento definitivo il principio che sia giusto trattare in modo diverso, e quindi riconoscere più o meno diritti e imporre una diversa qualità della vita a individui nati con attitudini e doti diverse.

    • Tenerone Dolcissimo

      Lotta alla Meritocrazia:
      grimaldello ideologico inventato dai peggiori assertori del comunismo, si impone su una massa appositamente portata all’inebetimento definitivo il principio che sia giusto trattare in modo diverso, e quindi riconoscere più o meno diritti e imporre una diversa qualità della vita a individui nati in caste diverse, le quali caste diverse sono la piu’ tipica espressione del comunismo

      • Tenerone Dolcissimo

        Io darei la fiducia ad un chirurgo che sa maneggiare il bisturi e conosce dove sta il pancreas Questa la chiamano meritocrazia.
        Poi negli stati feudali -come quelli comunisti- si diventa chirurgo per parentela o al massimo perché hai ciclostilato un tot di volantini

        • La grazia ricevuta è il contrario del merito.
          P.s. Durante il feudalesimo vi erano plurimi ordinamenti, ma nessuno era generale per il sol fatto che lo stato non esisteva, era di là a venire. Quando vi fu bisogno di organizzare poderose marine militari con la necessità di forgiare molti e grossi cannoni, fu necessario costruire una organizzazione burocratica tributaria, superiore all’antico Fiscus feudale necessaria per la raccolta delle ingenti somme divenute necessarie.

          • Tenerone Dolcissimo

            Essendo liberale sono per il merito econtrario alle grazie di qualsiasi tipo.
            Il fisco feudale non scherzava come dimostra Giovanni Senza Terra e anche se vi erano plurimi ordinamenti ognuno magnava alle spalle dei contribuenti depredati dall’impero e dalla chiesa come oggi siamo depredati dallo stato dalle regioni e dalla UE

  • L’argomento decisivo contro la democrazia a favore della meritocrazia,si riduce a due parole: il superiore non può derivare dall’inferiore.Il più non può promanare dal meno.I dirigenti democratici fabbricano la cosiddetta pubblica opinione, non esercitando la razionalità ma solo i bassi istinti della folla. Gustave Le Bon nella sua opera principale “La psicologia delle folle” sosteneva che la folla è femmina.Essa va dominata,sedotta,basti ricordare i vari demagoghi popolari che nel corso dei secoli, hanno indotto la folla ad un vero e proprio stato d’ipnosi. Via il ciarpame che ne deriva, partitismo,parlamentarismo, giornalismo,femminismo.Le Leggi della Natura non sono mai democratiche, esse si basano sulla selezione naturale, sulla gerarchia che deriva dalla lotta al coltello per il predominio. Naturalmente bisogna farla finita una volta per sempre con il falso dogma democratico ideologico-teologico della eguaglianza dei bipedi umani.Il vero potere deriva solo dall’alto. Definita l’autogoverno del popolo la democrazia è una vera impossibilità logica, in quanto nega l’aristocrazia della competenza,del merito, delle naturali differenze, compresa l’ineguaglianza delle razze umane. Ciò è di un rigore matematico assoluto, contro cui non v’è cosa che possa.

        • Gaz naturalmente non ha letto un piccolo opuscolo del barone Evola:”Gli ebrei e la matematica”. Poi una volta per sempre la pigmentazione della pelle non conferisce automaticamente il valore a un bipede umano. Un bianco,dai capelli biondi e gli occhi azzurri, cocainomane,invertito,vigliacco,marxista, merita solo di essere coperto di sputi. Un nero africano che vive secondo la propria natura è di parecchio superiore ad esso.Però i test scientifici di intelligenza hanno stabilito un valore gerarchico tra le razze umane: i primi sono i gialli, poi i bianchi ultimi i neri. Le leggi della Natura ( o Dio per i credenti) sono razziste, hanno creato le razze.Chi pecca contro di esse perisce. Questo non autorizza nessuno a sterminare o ridurre in schiavitù i colorati.Recepito?

          • Timeo homo unius libri. Però, sappia che ho avuto un incontro ravvicinato e prolungato con Evola. Durante un’occupazione studentesca una ragazza maoista organizzò un seminario su Evola. Mi ci intrufolai. Ricordo i suoi grandi occhi verdi color prato a primavera. Sembrava uscita di un quadro di Rubens.
            Quanto al “credere, obbedire, combatterre”, avrà notato che io dubito, dissento, obietto.

  • Si ritiene che Michael Young, laburista, avesse intenti satirici nel coniare l’espressione “meritocrazia”; v. “L’inganno della meritocrazia” di M. Boarelli, in Lo straniero, aprile 2010. Quello che scrisse in senso ironico e beffardo è stato preso sul serio dai liberisti. Il tema si presta ad equivoci. Un altro è quello sui “figli di”. Occorre distinguere tra la meritocrazia dei figli di papà, frequente da noi, e la meritocrazia di stampo anglosassone dei figli di buona donna; v. “Choosy, marchesini e figli di. La differenza tra meritocrazia e merito”.

    https://menici60d15.wordpress.com/2012/12/10/choosy-marchesini-e-figli-di-la-differenza-tra-meritocrazia-e-merito/

  • Ma forse il problema più grosso che si presenta quando si decide di fare meritocrazia e il giudicante, è il terzo che giudica.
    Bene che vada è una commissione (in senso generalissimo) perché con il singolo spesso ci sono seri problemi. E inoltre l’umana esegesi dei fini è sempre in agguato (come per quasi tutte le attività finalistiche dell’uomo).
    Pur dovendo essere uno dei fondamenti di una democrazia qualitativamente valida mi sembra di difficile attuazione, questo non vuol dire che non ci si debba provare comunque ma non ne farei oggetto di grandi speranze.
    Felice che lei abbia evidenziato la tensione che si determina tra merito ed uguaglianza, è una cosa che raramente viene menzionata.
    Saluti

  • Quindi sintetizzando il suo ragionamento la società gerarchica è sinonimo di società civile, cosa della quale difficilmente si può dubitare, persino nelle popolazioni nomadi è sempre esistita una gerarchia. Tralasciando le scemenze marxiste di cui fece bellamente giustizia Guareschi nel “Il compagno don Camillo” quello su cui lei focalizza l’attenzione sono i criteri di selezione degli individui per i compiti cosiddetti specializzati, o da quadri dirigenti, o comunque che abbisognano di una certa preparazione specifica. Premesso che ritengo l’intelligenza di un individuo frutto dell’educazione familiare in primis e scolastica poi, la mia domanda è: ma lei è sicuro che un sistema democratico tuteli maggiormente il principio di competenza rispetto ad uno dispotico??? A me sembra che la storia smentisca l’assunto ateniese democrazia=accesso al potere dei meritevoli…

  • Il libro di Young è intriso di ironia e quelli che lei definisce “sproloqui” sono una critica feroce alla pretesa oggettività dei sistemi di valutazione e ai rischi a cui si espone una società se si affida esclusivamente a quelli per la selezione della classe dirigente.

    Se non li avesse già letti spero di farle cosa gradita nel segnalarle un paio di articoli che trovo molto ben fatti e che arrivano a conclusioni diverse dalle sue e con cui mi sento più in sintonia.

    Il primo è «Le contraddizioni della “meritocrazia”» di Giancarlo Livraghi scritto nel 2011:
    http://www.gandalf.it/arianna/meritocr.htm

    Il secondo è «La meritocrazia dei liberisti» di Andrea Ranieri scritto nel 2012:
    http://www.roars.it/online/la-meritocrazia-dei-liberisti/

  • L' attivista qualunque

    Lei scrive: “il principio della selezione per competenza resta ed è non solo compatibile con la democrazia, ma valore fondante di essa”.
    La frase non farebbe una piega se riferita ad una società dove la domanda di lavoro sia superiore all’offerta. In questo caso sarebbe giusto, dovendo scegliere chi farà il chirurgo, il manager, il ministro o il docente universitario utilizzare il parametro della competenza. Ma in una società come la nostra, caratterizzata da una forte disoccupazione indotta, scegliere un chirurgo per competenza (ammesso che sia possibile in una comunità corrotta) vuol dire scartarli altri con uguale competenza e costringere questi ultimi a rimanere inattivi o a fare lavori non attinenti agli studi svolti. Una democrazia REALE, che inevitabilmente si orienterebbe verso una piena occupazione, credo dovrebbe affiancare al criterio della competenza quello dell’ alternanza. Le squadre di calcio lo adottano già da tempo con ottimi risultati.
    Sarebbe, a mio modesto parere, più opportuno scrivere che: “il principio della selezione per competenza resta ed è non solo compatibile con le OLIGARCHIE, ma valore fondante di esse”.
    Rimango un suo attento lettore ed estimatore ma mi avvalgo, a volte, del diritto di dissentire.

  • Una metà dei parlamentari non la potremmo sorteggiare? ” Il sorteggio è più democratico dell’elezione “( Aristotele, Politica ). In varie repubbliche antiche e medievali si ricorreva al sorteggio, combinato ad altri criteri, per nominare i titolari di certe cariche: così si evitava che fossero legati a fazioni rigidamente contrapposte e che i più privilegiati facessero valere la loro influenza per farsi nominare. Le giurie dei tribunali, decisive negli Stati Uniti e altrove, sono spesso sorteggiate: tale procedimento intende( o intendeva )implicare un’educazione giuridica del popolo, che può così abituarsi a valutare, a contatto con gli esperti giuristi. Non potrebbe accadere lo stesso in politica? In questi anni, uno storico belga sta propugnando idee simili, se non erro applicate in una commissione di riforma legislativa irlandese. Tanto, se con la sola elezione possiamo avere parlamentari come Razzi, perché non sollevarci di parte del peso? Che anche gli dèi si assumano la loro responsabilità…

  • Aldo, vedo molta confusione nel pezzo…. sul principio della attribuzione delle responsabilità per competenza si può assolutamente convenere.

    Il problema è che:
    1) la “competenza” non è un concetto universale ma una costruzione socialmente e culturalmente determinata,
    2) le competenze non sono distribuite all’interno di una società “naturalmente” (come i funghi, per intenderci) ma secondo dinamiche principalmente di classe (capitale culturale della famiglia di origine, capitale economico, reti sociali etc. etc.).
    Pertanto è necessario, in una prospettiva egualitaria, come scrivi, dare “a tutti la migliore eguaglianza dei dati di partenza” non già “per garantire che il prescelto sia il migliore possibile”, ma per garantire che tutti possano accedere alle risorse che permettono lo sviluppo delle competenze; e successivamente di selezionare in base alle competenze; perpetuando quindi le strutture di classe etc. etc. che caratterizzano una data società.
    Che in una società complessa ci sia una divisione tecnica del lavoro, questo è scontato. La divisone sociale del lavoro è un’altra cosa, e non è assolutamente scontata. Stabilisce delle gerarchie sociali basandosi sulla divisione tecnica del lavoro attraverso un processo socialmente e culturalmente determinato. E a sua volta la divisione sociale del lavoro influisce sulla divisione tecnica del lavoro.

    • la competenza è una costruzione socialmente deteminata
      le competenze sono distribuite secondo dinamiche principalmente di classe
      ecc.

      Ma va! Ma chi ci aveva mai pensat….!

  • Avviso ai naviganti.
    Nell’articolo si parla di “metodo”, cosa concettualmente diversa dalle modalità, dalla trasparenza e dall’efficenza.
    La scelta di un metodo (selettivo) piuttosto che di un altro non è indifferente per gli alti profili, inclusi quelli politologici.
    Tra i vari modelli quello per competenza è stato quello che ha dato miglior prova sotto tanti aspetti, inclusi quelli di economia pubblica, ma continuando, rischio di andare fuori tema.

  • Caro prof, concordo pienamente con il suo scritto. Se ha pazienza nel visionare il sito http://www.forumdellameritocrazia.it troverà qualche ulteriore avanzamento nell’idea basilare di Meritocrazia che ha chiaramente spiegato nel suo post. Sarebbe bello introdurla agli altri componenti del Forum se la cosa fosse di suo interesse. Nicolò Boggian ps: mi sono permesso di riprendere il suo post sui social del Forum

  • Post interessante ma terreno minatissimo. Vorrei proporre qualche mia personale considerazione. Farei una distinzione fra la competenza tecnica propria dell’abile servitore (nel senso più nobile del termine: come colui che sta sulla piazza ad offrire un servizio) e la competenza intesa come capacità organizzativa. La prima si può appurare abbastanza facilmente con metodi diversi eventualmente integrabili, ma per la seconda il discorso è più complicato in quanto la capacità organizzativa dipende da fattori quali carattere personalità e attitudini assai difficilmente valutabili se non, per così dire, con la messa in opera. Quando la prima e la seconda competenza si manifestano in massimo grado in un solo individuo si ha l’attitudine al comando, che è quel particolare carisma che si fa obbedire non per autoritarismo ma per riconoscimento dell’autorità.
    Giannuli fa un elenco preciso sulle modalità di scelta possibili: censo famiglia casta e competenza; ma dimentica di dire che fattualmente c’è una trasmissione di competenza e di etica della competenza attraverso il censo la famiglia e la casta, le quali non sono di per se delle organizzazioni sociali a valenza negativa, mentre se la competenza è un valore fondante della democrazia, basta guardare la società italiana e non di sa se ridere o piangere.

  • Mi pare un’utile e doverosa distinzione.
    Non credo però nella possibilità, e aggiungerei anche nell’opportunità, che un singolo individuo possa assommare in se nello stesso momento e nel medesimo grado sia l’eccellenza delle competenze (in una specifica disciplina), sia grandi capacità organizzative: è inevitabile che ad un certo momento l’una o l’altra delle ceratteristiche prenda in sopravvento, a seconda delle necessità del momento.
    Quanto poi a quello che viene comunemente definito carisma, ammesso e non concesso che sia possibile trovare una definizione universalmente valida, beato chi la sa conoscere e riconoscere!
    Grandi capacità organizzative? Influenza sugli altri tale da ottenere approvazione e farsi seguire, quasi senza sforzo apparente? Facilità di eloquio e di convincimento? Tempismo ed acume nel saper cogliere le opportunità? Simpatia naturale? Empatia vera o abilmente simulata per le situazioni di disagio altrui? Furbizia, intelligenza, opportunismo e capacità di liberarsi degli scrupoli morali nei momenti decisivi? Cos’altro?
    Mettiamoci anche il caso ed il contingente, ed ecco che ci troviamo di fronte all’uomo giusto al momento giusto; che più si sale, più è un unicum.
    Che a tutto questo, ed a quant’altro, si debbano aggiungere anche capacità tecniche di alto livello, vorrebbe dire trovarsi di fronte ad una specie di superuomo, qualcuno con cui non sarebbe poi tanto gradevole avere a che fare.
    E poi i grandi tecnici possono sempre essere sostituiti, magari e spesso dai loro vice che al momento opportuno li accoltellano alla schiena. Ma persone come Stalin, Mussolini, Hitler, Mao, Castro, Lincoln, Napoleone, De Gaulle, ecc., tanto per fare alcuni nomi senza entrare nel merito delle loro qualità morali, rappresentano degli unicum, nel bene e nel male.
    E tra le capacità di chi arriva ai posti di comando, massimamente vale quella di saper motivare i collaboratori, scegliendo i migliori disponibili sulla piazza in quel momento; salvo poi liberarsene quando divengono pericolosi concorrenti.
    E’ così che assistiamo ai manager che vengono chiamati a condurre grandi gruppi industriali indipendentemente dalle loro specifiche competenze tecniche, passando indifferentemente dal manufatturiero ai servizi, dall’energia ai trasporti, ecc. Laureati in Giurisprudenza e Filosofia che fabbricano auto e Ingegneri che fanno gli editori.
    Oppure, a politici che passano indifferentemente dal ruolo di Ministro degli Interni, alle Finanze o agli Esteri, per poi finire a fare il Presidente di Regione.
    Con buona pace di chi auspica il primato delle competenze.

    • A Roberto B.
      Non potrei essere più d’accordo, infatti l’ avvento di simili speciali individui quasi sempre trascina nel loro destino interi popoli: l’avvento di Napoleone ne è un esempio, ma se ne potrebbero fare tantissimi altri.
      L’organizzazione della società per caste potrebbe essere stata pensata proprio per prevenire simili catastrofi e preservare individui di indole diversa la cui natura può condurli a cose meravigliose, ma assolutamente inadatti alla guerra?

  • Bè… l’argomento è sconfinato e l’articolo è breve. Come al solito esso rispecchia la narrazione prevalente. Mi permetto qualche breve considerazione:

    1) quando si parla di “democrazia” è bene specificare di quale si parla. La democrazia ateniese aveva poco o nulla a che spartire con quelle moderne, e ogni ideologia del nostro tempo segnato dalla rivolta delle masse, ha fatto riferimento alla democrazia: democrazia liberale (oggi in piena crisi nella msiura in cui il liberismo sfrenato distrugge la sua controparte democratica), democrazia popolare/proletaria, il Fuehrer come espressione immanente e quindi eminentemente democratica del Volk ecc.

    2) La competenza è fondamentale per una società industriale o postindustriale, ma sul fatto che un concorso (esposto a ogni clientelismo e a ogni maneggio) sia metodo di selezione delle competenze più efficiente rispetto alla cooptazione (clientelare o familiare), mi permetto di avanzare forti riserve. La valutazione andrebbe fatta caso per caso.

    3) Lei scrive che la presente società “darebbe a tutti la migliore eguaglianza dei dati di partenza”. E’ facile obbiettare che la premessa per un livellamento delle condizioni di partenza è l’abolizione sic stantibus della famiglia. Cosa vuole egualizzare quando uno nasce figlio di un magnate e uno di un baraccato, uno passa la gioventù nei colleges svizzeri e uno nei vicoli di Napoli, e chiunque possieda un’azienda la lascia in automatico alla progenie? Al massimo si tratterà di offrire qualche chance in più agli svantaggiati. L’unico sistema che realizza una qualche parvenza egualitaria rispetto ai “dati di partenza” è il socialismo reale.

    Se si giustifica l’esistenza della proprietà privata sulla base del lavoro e del merito, l’esistenza della famiglia induce immediatamente a concludere che nessuno è tenuto a rispettare la proprietà altrui.

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