Lotta al terrorismo ed intelligence.

Quello che sta accadendo ha dell’incredibile: da mesi l’intelligence americana sapeva (ma non sappiamo se lo ha comunicato ai paesi interessati) che l’Isis stava preparando una offensiva di estate e si citava espressamente la Tunisia, i servizi tunisini avevano individuato uno degli attentatori sin dal 2006, i servizi segreti occidentali hanno a disposizione un fracasso di mezzi tecnologici, decine e decine di  migliaia di uomini, fiumi di denaro e gli jihadisti si muovono lo stesso come se girassero per il lunapark. E c’è anche qualcuno che dice che i servizi non hanno abbastanza mezzi e uomini per combattere il terrorismo. Cosa vogliono? La sfera di cristallo, la bacchetta magica, l’elenco nominativo degli jihadisti gentilmente fornito dalle organizzazioni di appartenenza?

Il guaio è che ci sono convinzioni errate di fondo difficili da estirpare. In primo luogo, dobbiamo metterci in testa che le strategie difensive con il terrorismo non servono a molto e chi si chiude in difesa è destinato a perdere. Si possono presidiare aeroporti, stazioni, caserme, banche, spiagge ecc. il terrorista colpirà sempre dove l’apparato è più fragile o inesistente e, siccome non si può presidiare tutto, ci sarà sempre il punto debole da colpire. Anche perché gli jihadisti non si curano di preparare vie di fuga ma accettano il sacrificio sul posto. Potrebbe essere utile (ma non risolutivo) adottare un sistema basato sull’invisibilità degli apparati di difesa: niente soldati e poliziotti un uniforme, barriere e sistemi di controllo visibili. Molto meglio disseminare il territorio di telecamere ed altri sistemi di avvistamento, con unità mobili in borghese debitamente armate ed equipaggiate, pronte a convergere con celerità dove occorra, sistemi di controllo non fissi, barriere mobili da dispiegare in breve per isolare zone ecc. Questo potrebbe almeno ottenere di creare un problema ai terroristi nello stabilire dove agire, non potendo mai essere sicuri sul fatto che sia un punto mal difeso.

Ma soprattutto occorre lavorare di intelligence. Identificare le reti di contatto delle cellule terroristiche e tenerle sotto controllo, intervenendo solo quando la retata dia un colpo risolutivo.
Questo significa in primo luogo controllare la rete web e tenere aperti i siti jihadisti, guardandosi bene dal chiuderli: gli americani hanno capito che si stava preparando l’offensiva d’estate, proprio controllando i siti jihadisti. Decreti come quello recentemente approvato, che prevede la chiusura dei siti fondamentalisti sono una autentica idiozia. Semmai, i servizi potrebbero fare cosa utile infiltrando propri agenti e confidenti nei server per identificare chi si colleghi a questi siti e monitorare i sospetti.

In secondo luogo: seguire la pista dei soldi. L’Isis gode con ogni evidenza di ingentissimi flussi di denaro: aiuti da stati sovrani, sottoscrizioni di singoli più o meno facoltosi, contrabbando di petrolio, oggetti d’arte ecc: possibile che tutti questi movimenti passino inosservati dalle agenzie di intelligence occidentali? E se sono osservate, non facciamo niente per stroncarle?

Questo porta ad un tema molto delicato: il ruolo dei paesi di “fascia grigia” (Arabia Saudita, Quatar, Pakistan, Turchia…) che sotterraneamente aiutano in qualche modo i fondamentalisti. Magari un intervento militare in grande stile, con occupazione del paese potrebbe essere eccessivo e non consigliabile, ma si possono fare tante altre cose utili: alimentare e sostenere guerriglie ed insorgenze interne, destabilizzarne le monete, sabotare impianti e rete di comunicazione e, al bisogno, anche gli incidenti aviatori ad aerei su cui viaggiano esponenti dei governi interessati, un improvvisa esplosione in un impianto militare ecc. Sono tutte cose che aiutano a riflettere sull’opportunità di proseguire certi contatti pericolosi. Quelli sono paesi i cui governi hanno molto bisogno di riflettere. Magari poi ci ripensano…

I servizi segreti sono una brutta cosa che fa brutte cose, lo sappiamo, però, se ci sono, tanto vale usarli e queste si chiamano cover action.

Poi c’è il problema principale da affrontare: il terrorismo è un nemico politico e la risposta deve essere politica prima che militare o poliziesca. Questo significa in primo luogo che occorre capire chi si ha davanti: quale è il suo modello organizzativo? Quali sono le sue componenti interne? Ci sono rivalità nel gruppo dirigente su cui giocare? Come si finanzia? Ha alleati? Quali? Quali sono i suoi veri obiettivi? Come recluta i suoi uomini e su quali argomenti fa leva? Eccetera. Dopo di che occorre lavorare per isolare il movimento dai suoi alleati, dividerlo all’interno, inaridire le fonti di finanziamento e di reclutamento, dimostrare l’irraggiungibilità dei suoi obiettivi ecc.

Qui mi pare che dell’Isis se ne sa troppo poco ed allora di che ci meravigliamo?

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (12)

  • l’isis non è la grecia che si può destabilizzare come gli pare e piace almassimo i greci emigrano. Quelli del isis qualche problemino lo possono creare, ricordiamo il wtc :D.
    Poi c’è il principio di troppa efficienza non paga, i giornali non parlano, la gente pensa che la sicurezza sia uno spreco, infine ti levano i fondi. E cmq intervenire troppo non è la filosofia che si sta affermando, secondo alcuni commentatori è meglio che certe regioni trovino un loro equilibrio poi si tratta )-:

  • Approfondire l’argomento “intelligence e terrorismo islamico” è affascinante quanto frustrante.
    Come l’articolo dice in maniera chiarissima, basterebbe seguire i flussi di denaro o controllare gli stati che supportano l’Isis per cominciare a pensare a come indebolirlo.
    Eppure sono argomenti rarissimamente toccati nella discussione “pubblica” a riguardo, che invece generalmente verte su due temi principali (per quanto ho potuto notare): 1) la propaganda jihadista, sia di arruolamento che di terrorismo vero e proprio e 2) la capacità dei servizi segreti di prevedere azioni terroristiche tramite infiltrazioni sul campo o sulla rete.
    Sulla propaganda di reclutamente è già stato detto bene dal prof. Giannuli riguardo la chiusura dei siti ecc.
    Per quanto riguarda la propaganda terroristica, mi pare siano i nostri giornali stessi a condurla al posto de – o in concerto con – l’Isis: non passa giorno che le pagine titolino di attacchi (sventati quando va bene), arresti, minacce… mai che si parli di numeri, statistiche, che si tenti di ridurre il fenomeno mettendolo in prospettiva e ragionandoci su, a partire dal principio che senza il terrore non vi può essere terrorismo (vedi [1] che, per quanto mancante nelle su statistiche degli attacchi sventati, dà un’idea delle grandezze in discussione).
    Per quanto riguarda le azioni di prevenzione dei servizi mi stupisce sempre come si pretenda da loro che abbiano la sfera di cristallo e possano prevedere, non solo gli attacchi programmati alla Charlie Hebdo, ma anche i singoli che decidono di farsi saltare in aria; perchè non si pretende la stessa capacità di prevenzione anche nei confronti dei vari “folli” che ogni tanto decidono di aprire il fuoco in una scuola, o in una chiesa?
    E tutti a dire che i servizi e le forze dell’ordine in generale hanno bisogno di più fondi, che bisogna concentrarsi sulla sicurezza ma… non si parla mai di come i fondi siano poi spesi e la sicurezza organizzata (nei limiti di ciò che si può dire).
    Certo è che a sentire alcune notizie, che come al solito in Italia vengono completamente (e scandalosamente, aggiungerei) taciute – mi riferisco soprattutto ai sistemi di intercettazione, elaborazione e ricerca delle comunicazioni private [2] – sorge il dubbio su quanto i fondi destinati alla sicurezza siano ben riposti. O anche, alla sicurezza di chi siano rivolti.

    [1] https://firstlook.org/theintercept/2015/06/24/greatest-obstacle-anti-muslim-fear-mongering-bigotry-reality/
    [2] https://firstlook.org/theintercept/2015/07/01/nsas-google-worlds-private-communications/

  • Tenerone Dolcissimo

    L’unico sistema per battere il terrorismo -duole dirlo- è quello degli squadroni della morte. I servizi individuano i rei, senza perdere tempo a procacciarsi prove utili in sede processuale, passando poi alla terminazione: tuffo carpiato da aereo in volo o colpo alla nuca e dissolvimento dei resti. Pare che anche in Italia abbiano seguito tale sistema buttando i cadaveri in discarica. Dubito però che per l’ISIS ci sia la “volonta’ politica” di portare avanti iniziative cosi’ meritorie.

    • In perfetta sintonia con il Sartori-pensiero, che sogna di veder trattato l’Isis come Cesare fece a suo tempo con i pirati. Ma i tempi sono un po’ cambiati. E poi, alcuni di quelli che dovrebbero combatterli, in realtà li sostengono con armi e soldi.

    • Tenerone se l’isis non rappresentasse alcune idee del mondo ‘islamico’, come l’abolizione delle frontiere istituite dopo la I° guerra mondiale, un sistema efficiente per i giovani nel senso che sentono di realizzare qualcosa di diverso e formare un senso di appartenenza [durante la guerra del vietnam molti reduci volevano tornare in Vietnam perché i loro compagni erano ancora lì]; pensi che sarebbe ancora in piedi? Il sistema isis imploderà quando non sarà più utile o imploderà perché non offrirà più l’idea di trasformazione in un mondo pan-islamico e non offrirà una idea di resistenza verso un occidente coloniale che va a fare le vacanze sulle loro spiagge. !-:

      • Tenerone Dolcissimo

        @ leopoldo
        Non a caso ho detto
        “Dubito però che per l’ISIS ci sia la “volonta’ politica” di portare avanti iniziative cosi’ meritorie.”

    • Tutto giusto, se non fosse che i nostri squadroni della morte sono già pienamente operativi, e sono proprio loro, i terroristi, che agiscono per conto nostro per rovesciare governi sgraditi.

  • La strapotenza dei mezzi tecnologici non viene utilizzata per reprimere il terrorismo, ma per usarlo, per strumentalizzarlo. All’apprendista stregone capita che ogni tanto accadano incidenti imprevisti, ma poco male, sono danni collaterali che vengono messi in conto. Chi vuole terminare il terrorismo lo fa, si può fare: chiedere know how al Mossad.

  • Breve commento tecnico sulla protezione dei luoghi strategici, per suffragare la tesi di Giannuli: a Milano la protezione alle sedi consolari è fatta da soldati regolarmente attorniati da passanti a pochi centimetri. Non vi rivelo poi qual sia la procedura effettiva di cambio della guardia adottata dai Carabinieri, perché passerei per un agente del Califfato. E’ vero che tale servizio è stato introdotto da Ignazio La Russa, e ne conserva l’impronta, per così dire, culturale, ma ora… ah, già, c’è Alfano agli Interni. Poveri ragazzi in mimetica.

  • Professore, non ho capito se questo scritto qui è un consiglio o una lezione per “addetti ai lavori” o un articolo che ha la pretesa di essere un’analisi.

    Perchè, guardi, detto con estrema simpatia, si tratta di un articolo permeato da una estrema superficilialità, con qualche colpo ad effetto qua e là. Una lezioncina con “soluzioni” in stile “chiavi in mano”, che lasciano il tempo che trovano.

    Una volta era solito approfondire i problemi.

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