Lettera aperta a Carlo Lucarelli. Caro Carlo, che ne pensi di Alighiero Noschese?

Cappuccino, brioche e intelligence n°11

Caro Carlo,

qualche sera fa chiacchieravo con 7 dei miei studenti e mi capitò di citare Alighiero Noschese: nessuno sapeva chi fosse. La cosa farà un certo effetto anche a te che (anche se per un pelo) appartieni alla generazione della “Tv in bianco e nero”, per la quale Noschese era uno dei volti più conosciuti. Ricorderai le sue straordinarie imitazioni di attori, cantanti, politici: strepitosa era quella di Andreotti, il cui braccio destro (sulla manica della giacca c’era scritto “Evangelisti”) si muoveva da solo smentendo con i gesti tutto quello che il grande Giulio diceva. Non c’era voce che non rifacesse alla perfezione e, soprattutto in radio, non si capiva mai se stesse parlando lui o il personaggio imitato. Impossibile dimenticare uno così.

Poi ci ho ripensato e mi sono accorto che la Tv (che commemora gli anniversari di cani e gatti) aveva ignorato il 30° anniversario della sua morte, avvenuta il 3 dicembre 1979. Anzi, che su Noschese era calata una sorta di damnatio memoriae per la quale, in trenta anni non era mai andata in onda una delle sue imitazioni (o, per lo meno, non ne ho mai vista una. A te è capitato di vederne?).
Eppure, quantomeno le circostanze della sua morte meriterebbero qualche curiosità retrospettiva.
Come ricorderai, si era nell’autunno del 1979 e le pagine dei giornali erano piene del caso Eni-Petromin (la maxi-tangente da 100 miliardi del tempo, che l’Eni avrebbe versato agli intermediari sauditi, ma che molti sospettavano in parte deviata a favore di Giulio Andreotti e Claudio Signorile). Il 3 dicembre Alighiero Noschese si suicidava con un colpo della sua Smith & Wesson 38 nel giardino della clinica Stuart di Roma, dove era ricoverato da una ventina di giorni per una devastante depressione. Secondo una versione (Pier Carpi “Il Venerabile” 1993 pp. 516-20), Noschese, per uno scherzo, avrebbe simulato al telefono la voce del neurologo che lo aveva in cura, chiamando l’internista, per chiedergli i risultati degli esami clinici e così avrebbe appreso dal sanitario ingannato, di essere affetto da un cancro incurabile che lo destinava a vicina e dolorosissima agonia. Sarebbe quindi uscito dalla clinica per andare  casa sua a prendere la pistola, quindi, tornato in clinica si sarebbe ucciso davanti alla grotta-cappella con la statuetta della Madonna di Lourdes.

Secondo un’altra versione (molto diffusa sulla stampa del tempo e che è possibile rinvenire in Internet), Noschese la pistola l’aveva già al momento del ricovero e sarebbe stato autorizzato a tenerla da uno dei sanitari perchè questo “lo faceva sentire più sicuro” (di cosa avesse paura non si capisce).
La cosa, in sè già molto strana, sia in un caso che nell’altro, diventa stranissima ove si consideri che nello stesso momento era ricoverato a villa Stuart anche Giulio Andreotti, per una operazione alla cistifellea, e la clinica era zeppa di carabinieri che vigilavano su di lui (si era in tempi di terrorismo dilagante). Nessuno lo vide mentre si suicidava e il suo corpo venne rapidamente sottratto alla vista di tutti (non esistono neppure immagini del cadavere ricomposto nella bara).
Qualche settimana dopo, Giulio Andreotti venne audito dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul caso Sindona e gli vennero  contestate tre telefonate –fra l’ottobre 1978 ed il marzo 1979- con l’avv. Rodolfo Guzzi –difensore di Sindona- che asseriva di aver ottenuto  dall’allora Presidente del Consiglio assicurazioni di intervento a favore del suo assistito. Andreotti negò con decisione le telefonate e, quando, nel confronto, Guzzi le confermò, precisando che le chiamate erano partite proprio da Andreotti, (vedi “La Stampa”  27 settembre 1984, servizio di Ezio Mauro) il “Divo Giulio” rispose con infastidita ironia: “Forse era Noschese”. Come si legge nei verbali della Commissione.
Cinismo che pare esagerato anche per un personaggio come Andreotti, considerando che si trattava di una persona che si era uccisa a venti metri dalla sua stanza solo qualche settimana prima.

Un anno e mezzo dopo, l’irruzione a villa Wanda rese pubblici gli elenchi (parziali) della P2  e, al n° 343 risultava il nome di Alighiero Noschese, con il grado 32 della gerarchia massonica (“Cavaliere di Kadosh”). In una intervista all’”Espresso” un generale dei Carabinieri sostenne che Gelli –a scopo di depistaggio-  si era valso del suo affiliato per telefonate nelle quali Noschese imitava Andreotti e Leone.
Chissà se quella di Andreotti fu solo una battuta.
Poi nel 1993 venne la biografia romanzata di Gelli scritta da Pier Carpi (citata poco prima) nella quale si descrive in modo suggestivo la cattura del venerabile in svizzera nel 1982. Nel tentativo di sottrarsi, Gelli si sarebbe nascosto fra gli scogli di una grotta sul lago e, mentre era lì, immerso sino al torace e reggendo sulla testa una borsa zeppa di documenti,  la sua mente vagava rievocando momenti della sua vita. E di questi ci si sofferma in particolare su quelli riguardanti il suo grande amico Alighiero che gli faceva visita “tre volte alla settimana” all’Hotel Excelsior di Roma, per sfogarsi delle sue traversie professionali (p. 518) e poi altri ricordi dell’imitatore per diverse pagine. Tre volte alla settimana è davvero una bella frequenza, quasi un fidanzamento…
E poi, come mai, il Venerabile, in un momento così difficile ha pensato proprio a Noschese ed alle sue imitazioni? Questo, però, può anche essere frutto della fantasia dello scrittore Pier Carpi…

Caro Carlo, più volte hai detto che i tuoi romanzi nascono da una immagine, seguendo la quale la trama prende corpo. Cosa ti ispira questa immagine del Venerabile, con l’acqua alle clavicole e le mani a premere una borsa sul capo, che pensa al suo amico imitatore morto in così suggestive circostanze?
Con la simpatia di sempre, tuo

Aldo, 18 marzo ’10

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Aldo Giannuli

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Comments (6)

  • Interessante e suggestivo.
    sono cresciuto dopo Noschese, sono del ’72 ma non me lo ricordo. L’ho visto solo dopo, in brani televisivi riproposti dalla RAI in pieni anni ’80 e lo conosco di fama.
    Ma non avevo mai pensato a simili risvolti. Uno pensa alle imitazioni come a un puro spettacolo comico, di spensierata diversione, invece saper imitare può essere un’arma non da poco in certe trame politiche o affaristiche.
    Aldo, ma fammi capire, ora vivi a Milano?

  • mi sembra una buona trama per un film di spionaggio o un giallo,io ci vedo semplicemente la tragedia di un uomo perso.
    Però,siamo in italia….non si sa mai!

  • Della stessa cosa parla anche Francesco Pazienza nel suo Il Disubbidiente (p. 369). In particolare racconta come Gelli utilizzasse l’arte di Noschese per darsi un tono e dimostrare quanto credito avesse “a palazzo” di fronte a persone da cui voleva favori o che si affiliassero.

  • L’imitazione di Andreotti di cui si parla nell’articolo non è quella di Alighiero Noschese, ma di Enrico Montesano nel varietà “Quantunque io”. Quella di Noschese nel varietà “Formula 2” fu invece così perfetta che la madre del politico democristiano, al vederla, fece una solenne lavata di testa al figlio perchè si era permesso di ballare in televisione, mentre in realtà era Noschese.

  • Io avevo letto che Noschese fosse stato usato per fare telefonate false a nome delle B.R. durante il sequestro Moro. Adesso non ricordo dove. E il motivo del “suicidio” era collegato a quello.

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