Le guerre di Bush: un bilancio

Con i ritiro delle truppe americane, nei giorni scorsi, si è chiusa (almeno per ora) la guerra in Irak. Per il ritiro dall’Afghanistan occorrerà attendere qualche tempo, ma, a quanto pare, non oltre il 2014. Dunque, è tempo di un bilancio a partire dagli obiettivi che gli Usa si ripromettevano di conseguire. Partiamo dall’Afghanistan. Il motivo ufficiale era la cattura di Osama Bin Ladin e del Mullha Omar oltre che la distruzione di Al Quaeda. Come è noto, Bin Ladin è stato ucciso il 2 maggio 2011, ma il Mullha Omar è ancora uccel di bosco, mentre Al Quaeda, pur seriamente e ripetutamente colpita non è del tutto sconfitta.
Ma questi erano solo gli obiettivi dichiarati. Gli Usa si ripromettevano molto di più: inserirsi stabilmente al centro dello spazio strategico sino-russo esercitando una pressione su tutta l’area centro asiatica. Quello che presupponeva la creazione di uno stabile regime filo-Usa che garantisse la presenza di basi americane immediatamente a ridosso della Cina (con la quale l’Afghanistan confina attraverso una stretta striscia di terra dell‘ Hindukush). Considerando anche le basi presenti ad Okinawa, nella Corea del Sud ed in Pakistan , questo avrebbe consentito di tenere la Cina sotto minaccia da più fronti ed autorizzato la presenza americana in tutte le vicende asiatiche.

Da questo punto di vista, i risultati sono tutt’altro che positivi: probabilmente gli americani otterranno la concessione di basi in Afganistan, ma, per quanto la guerra non sia ancora conclusa, nulla fa presagire che, quando gli americani torneranno a casa, a Kabul ci sarà un regime particolarmente solido ed amico degli Usa. E non solo perchè i talebani appaiono tutt’altro che sconfitti, ma anche perchè lo stesso “alleato” Karzai non appare particolarmente affidabile, come dimostra l’accordo concluso a maggio con il Pakistan e l’Iran. Soprattutto, la guerra decennale con i talebani ha logorato i rapporti con il Pakistan, spingendolo definitivamente fra le braccia della Cina. Islamabad ha giocato una partita molto ambigua con i talebani e con Osama Bin Ladin (chi mai potrà credere che l’Isi non era al corrente della presenza di Osama nel compound di Abbotabad dove abitualmentye passano le vacanze i più alti ufficiali pakistani?). Inoltre non sembra del tutto un caso che tutti i maggiori capi di Al Quaeda sin qui caduti, sono stati sorpresi in città pakistane (Khalid Sheikh Mohammed a Rawalpindi, Abu Zubaydah a Faisalabad, Ramzi Binalshibh a Karachi). Tuttavia, non è un gioco di cui gli americani fossero inconsapevoli (diversamente, dovremmo credere che la Cia e tutti i servizi segreti americani sono solo una manica di inetti mangiapane a tradimento) e, per una serie molto complessa di ragioni avevano deciso di stare al gioco. Poi quello strano equilibrio si è frantumato e la morte di Osama, lungi dal rinsaldare i rapporti con Islamabad (come sarebbe stato logico fra due alleati che colgono un risultato decisivo) ha avviato una crisi sempre più profonda dei rapporti pakistano-americani. Con l’ulteriore risultato di aggravare le tensioni fra India e Pakistan e, di riflesso, fra India e Cina che rappresentano oggi la linea di faglia più pericolosa del Mondo.

Dunque, un risultato complessivamente molto negativo che molto difficilmente potrà essere ribaltato o anche solo riassorbito dallo scorcio di guerra che resta ancora.

Ancora più critico appare il bilancio dell’impresa irakena di Bush.
Lasciamo da parte i motivi ufficiali (le mitiche armi di distruzione di massa di Saddam, che nessuno ha trovato e nessuno ha cercato perchè nessuno credeva  che esistessero davvero) e veniamo al sodo. Le mire erano diverse: scontata quella di mettere le mani su una delle più ricche riserve petrolifere del pianeta, anche in questo caso l’obiettivo era quello di consolidare un regime “amico” da usare come base di condizionamento dello scacchiere mediorientale. Ma non solo questo; la seconda guerra del Golfo fu anche il test di prova per quella “coalizione dei volenterosi” raccolta intorno agli Usa che avrebbe dovuto soppiantare tanto l’Onu (dove gli USa non in tendevano più fare i conti con il diritto di veto di Russi, Cinesi e persino Francesi) quanto la Nato resa “inutile” ai fini della politica americana dalla riottosità degli “alleati” francesi e tedeschi.

L’unilateralismo di Bush fu la massima espressione del  progetto “per un nuovo secolo americano”, un compiuto progetto imperiale che intendeva stabilizzare l’ordine monopolare come nuovo ordine mondiale definitivo. Questo avrebbe richiesto una schiacciante vittoria in tempi brevissimi ed, almeno sulla carta, i rapporti di forza erano tali da rendere inimmaginabile un risultato diverso. In effetti, le forze armate di Saddam furono schiacciate in una manciata di settimane. L’imprevisto è stato la guerra asimmetrica delle forze islamiste che trovarono un insperato aiuto nella decisione americana di sciogliere l’esercito irakeno, con la conseguenza di consegnare alla guerriglia molte centinaia di uomini addestrati ed armati.

La guerra è durata otto anni, è costata alla coalizione occupante più di 4.000 morti (in massima parte americani). Per gli Usa il costo economico, sinora, è stato di circa 700 miliardi di dollari che si sommano ai quasi altrettanti della guerra in Afghanistam, ma a questi costi dovremmo aggiungere quello occulti e quelli futuri (per la smobilitazione, per le ultime operazioni di guerra in Afghanistan, per le pensioni di invalidità e di reversibilità per i caduti, ecc) che il premio Nobel Joseph Stigliz e Linda Bilmes, calcolano a circa 3.000 miliardi la sola guerra dell’Irak1. Ma, anche stando alle sole cifre ufficiali abbiamo un totale (ancora parziale) di circa 1.500 miliardi che rappresentano i ¾  dell’aumento al tetto di debito pubblico richiesto da Obama al Congresso ad agosto. E, comunque il 10% del debito pubblico totale dell’Amministrazione Usa, considerando anche gli interessi versati in proporzione durante questi 10 anni.

A fronte di questi costi, i risultati ottenuti dagli americani sono stati praticamente nulli. Il regime di Saddam è stato abbattuto, ma quello che gli americani lasciano è un paese tutt’altro che stabile, a rischio di dissoluzione fra i tre gruppi principali (curdi, sunniti e sciiti).
Ma, soprattutto, è sconfitto il progetto unilateralista ed appare fortemente a rischio anche la prospettiva monopolare: la guerra è durata 10 anni in un caso ed 8 nell’altro, e con avversari di forza relativamente modesta. Già una guerra a terra con l’Iran (e probabile guerriglia in caso di occupazione) appare oggi come un impegno economico maggiore dei precedenti e non alla portata di Stati Uniti alle prese con il pareggio di bilancio. Nel frattempo, il divario fra il potenziale bellico americano e quello degli altri grandi soggetti mondiali (Cina, ma anche Russia, India, Brasile) si è modificato a svantaggio degli Usa. La preminenza militare americana è ancora netta e, ancora oggi, non si profila una coalizione in grado di reggere una guerra convenzionale con gli Usa. Ma, appunto, una guerra convenzionale. Ancora nel 2004 la spesa militare degli Usa eguagliava quella di tutti gli altri paesi del Mondo; oggi la proporzione si è modificata a svantaggio degli Usa ed ancor più è probabile che si modifichi nei prossimi anni, se davvero gli Usa taglieranno il disavanzo di bilancio che, per ora, è di circa il 35%.

Dunque, il progetto imperiale americano, pur non definitivamente sconfitto, ha subito un severo ridimensionamento che la crisi rende ancora più duro.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (10)

  • mi chiedo spassionatamente: ma le 25 centrali nucleari che la cina sta per costruire serviranno solo per la corrente elettrica? o anche queste faranno parte delle simpatiche questioni geopolitiche discusse qui e altrove? (in realtà è una domanda un pò retorica, dato che non penso che il fine principale di una centrale nucleare sia la mera produzione di corrente elettrica)

  • Caro Aldo,
    se da una parte il tuo intervento mi rincuora (U.S.A. che non sono riusciti a egemonizzare il M.O.), dall’altra mi allerta. Chiedo: quali scenari si profilano? Come dicevi in altri post, un mondo più policentrico? E se si, policentrico va meglio, ma basato su che?
    Grazie,
    Paola (che da un occhio ora ci vede:-)

  • sul rapporto tra stati uniti e pakistan segnalo il bel libro di tariq alì “il duello: il Pakistan sulla traiettoria di volo del potere americano” (purtroppo l’editore ha scelto una traduzione letterale del titolo)
    http://goo.gl/dfJ5B il link porta ad una presentazione del libro

  • pierluigi tarantini

    E’ possibile che l’invasione dell’Afganistan sia stata <>.
    Credo, invece, che l’invasione dell’Iraq sia stata la massima espressione di quei poteri che una volta si definivano militar – industriali.
    A farmi operare questo distinguo è, in particolare, la diversa genesi delle due vicende.
    L’Afganistan nasce sull’onda emotiva delle Torri gemelle; l’Iraq sulla bufala delle armi di distruzione di massa.
    Ad ogni modo, a preoccupare, oggi, non dovrebbe essere la preminenza militare americana quanto quella finanziaria (rappresentata dal dollaro).
    E’ infatti quest’ultima che rende possibile agli USA sostenere i costi delle spese militari(scaricandoli sul resto del mondo).

  • pierluigi tarantini

    E’ possibile che l’invasione dell’Afganistan sia stata la massima espressione del progetto per un nuovo secolo americano, un compiuto progetto imperiale…
    Credo, invece, che l’invasione dell’Iraq sia stata la massima espressione di quei poteri che una volta si definivano militar – industriali.
    A farmi operare questo distinguo è, in particolare, la diversa genesi delle due vicende.
    L’Afganistan nasce sull’onda emotiva delle Torri gemelle; l’Iraq sulla bufala delle armi di distruzione di massa.
    Ad ogni modo, a preoccupare, oggi, non dovrebbe essere la preminenza militare americana quanto quella finanziaria (rappresentata dal dollaro).
    E’ infatti quest’ultima che rende possibile agli USA sostenere i costi delle spese militari(scaricandoli sul resto del mondo).

  • Francesco Acanfora

    Si, Aldo, pero’ un bel po’ di basi le hanno messe in Asia e in Medio Oriente, e dal punto di vista militare sono ancora imbattibili in uno scontro convenzionale fra eserciti. La guerra agli USA per un bel po’ non sara’ fatta sul terreno militare. La cosa che dovrebbe preoccupare e’ proprio questa, che diventino loro ancora piu’ aggressivi, sentendosi messi alle strette.
    E poi, mi sembra di dover sottolineare con molte righe di evidenziatore, e’ assolutamente evidente che la regione piu’ sensibile e’ quella fra Cina e India, che ha ai lati l’Indocina e l’Iran. E’ la’ che sta succedendo qualcosa di molto pericoloso per tutta l’umanita’.

  • Dottor Giannuli,non ha mai per caso preso in considerazione il fatto che alla fine il Brasile si accaserà con “l’occidente” e non con il sud?
    Che ruolo giocherà in tutto questo l’India che credò guardi molto di traverso l’avvicinamento fra Cina e Pakistan.
    E’ secondo lei possibile una specie di politica del “conteneiment” da parte di Giappone,Corea,India,Australia e magari Vietnam nel caso la Cina volesse applicare qualche specie di dottrina Monroe in Asia?
    E alla Russia non potrebbe stare stretto il ruolo di ancella di una Cina superpotenza?
    Forse è più fantapolitica che geopolitica,ma quante volte già nella storia la politica ha ampiamente superato la fantasia?

  • Pierluigi Tarantini

    Res melius perpensa:
    analisi geopolitiche centrate su ipotetiche dell’irrealtà quale lo scontro convenzionale tra eserciti sembrano sorpassate.
    Forse non ce ne siamo ancora resi conto ma, nel corso del 2011, gli USA del Presidente Obama e non quelli dell’esecrato George Bush, hanno eliminato il più pericoloso concorrente all’imperium di sua maestà il dollaro.
    Dimissionato Strauss Kahn e le proposte di un paniere di valute che sostituisse il dollaro quale valuta di riferimento, l’Impero ha ricondotto alla ragione a suon di ceffoni quegli europei che pensavano di potersi permettere ad libitum anche l’irresponsabilità fiscale ed economica oltre che quella politica.
    L’Impero sa anche dar prova di carità cristiana nei confronti dei vinti.
    Infierire, infatti, non conviene quando si è raggiunto il risultato perseguito.
    E voglio vedere chi si permetterà ancora di mettere in forse la supremazia di sua maestà.

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