Le cause storiche dell’antitalianismo.
La “sindrome da anti italianità” è così diffusa e pervasiva da porre il problema delle sue cause. Gli italiani non si piacciono e non si stimano, questo è evidente, e coltivano atteggiamenti autolesionistici che non hanno riscontri in nessun altro paese in Europa, dove, dai greci agli inglesi, dai tedeschi agli spagnoli, di polacchi ai portoghesi, dai francesi ai rumeni o agli ungheresi sembrano tutti abbastanza orgogliosi della loro identità nazionale, pronti a rintuzzare eventuali accuse o critiche (spesso luoghi comuni).
Al contrario, in Italia l’autodenigrazione porta all’impudica esibizione delle piaghe nazionali, quasi a riscatto della propria identità individuale: italiani sono sempre gli altri.
Il fenomeno è diffuso a tutte le nostre latitudini religiose, regionali e sociali: i cattolici si sentono parte di una comunità mondiale e, tacitamente, non perdonano all’Italia la fine dello stato pontificio, i protestanti e gli ebrei di essere stati perseguitati dalla Chiesa e dal fascismo, gli industriali parlano dei loro operai come assenteisti che dovrebbero prendere esempio da quelli tedeschi o giapponesi, gli operai deprecano che il padronato italiano sia il più miserabile del pianeta, i lavoratori autonomi si sentono oppressi da uno stato esoso ed inefficiente, lo stato si lamenta dell’evasione fiscale dei lavoratori autonomi, i meridionali parlano dell’impresa dei Mille come di un episodio di colonizzazione, i settentrionali maledicono l’Italia che gli lega al piede la palla di piombo del Sud, persino i romani hanno da ridire su quell’Italia che gli consente di campare da più di un secolo.
E non parliamo dei partiti, nei quali serpeggia da sempre l’antitalianismo. I laici (repubblicani, liberali e soprattutto azionisti) da sempre ritengono che il peccato originale dell’assenza della riforma protestante non sia stato riscattato dall’unità nazionale, che non ha fatto di questo paese una nuova Inghilterra, ed alimentano una insopportabile polemica moralista (“L’italia alle vongole” diceva qualcuno per deplorare il costume nazionale proclive al lassismo). I comunisti ritengono di non essere mai andati al governo, in mezzo secolo di prima repubblica, perché questo è un popolo fatto guasto da clientele e corruzione (lagna puntualmente ripresa da Rifondazione, Sel, Idv, M5s), i socialisti ed i democristiani, al contrario, si lamentano della deriva giustizialista, frutto del populismo qualunquista che giace nella pancia del paese ed ha consegnato alle patrie galere una classe politica di ineguagliate capacità; persino i fascisti hanno atteggiamenti antitaliani, rimproverando agli italiani di aver perso la guerra per non aver saputo soffrire e combattere ed additano il fulgido esempio dei tedeschi (che, come è noto, la guerra l’hanno vinta).
Solo che:
-i liberali dimenticano di aver sgovernato questo paese per oltre 50 anni insieme a quegli inetti di casa Savoia
-gli azionisti di non essere stati capaci da darsi un seguito di massa per il loro elitarismo
-i repubblicani di aver allegramente banchettato per mezzo secolo con i democristiani, mentre rampognavano il paese sui suoi difetti morali
-i comunisti di non aver saputo conquistare il consenso per il loro deleterio rapporto con l’Urss che li portava, troppo spesso, a subordinarvi l’interesse nazionale
-socialisti e democristiani di essersi effettivamente corrotti in misura largamente superiore al sopportabile
-i fascisti di aver dichiarato una guerra demenziale e di essere finiti a fare i servi dei tedeschi.
Come si vede l’antitalianismo è l’ottimo alibi morale per autoassolversi delle proprie colpe e insufficienze e, soprattutto, per lasciare tutto come è, perché, tanto, con il legno storto dell’italianità, più di questo non si può fare: “non sono io ad aver sbagliato, sono stati gli italiani a non essere all’altezza del mio progetto”.
A questo proposito è uso invocare certe tradizioni culturali che ne sarebbero la scaturigine, ad esempio si cita l’ “amoralismo” di Machiavelli ed il “particulare” di Guicciardini, ma chi fa di queste citazioni non ha letto né l’uno né l’altro ed esprime un imparaticcio orecchiato (altra piaga italica questa degli “acculturati a metà”). Machiavelli e Guicciardini non c’entrano niente e semmai la responsabilità è stata della lettura grossolana che se ne è fatta (o, più semplicemente, supposta).
Non è questa l’origine e la spiegazione di questa profonda auto disistima nazionale.
Certo non mancano pratiche profondamente deplorevoli, e c’è una “italianità deteriore” che provoca disgusto: vi dicono niente nomi come Berlusconi, Schettino, Riina, Cocciolone, Incalza o quelli della lista Falciani? Ma, per quanto non manchino pecche, l’auto diffamazione tocca punte che non si giustificano e, dunque, occorre scavare nella storia e nella psicologia di questo paese, per trovare risposte non banali.
Proprio in questo periodo sto scrivendo il mio prossimo libro che è dedicato ad una critica storica del potere in Italia e, pertanto, mi sto misurando con le costanti della vita nazionale, e questo mi aiuta a riflettere su paradosso dell’antitalianismo degli italiani.
Alla base penso ci sia una identità nazionale fragile, sempre insidiata, da un lato, da una proiezione universalistica, come è proprio del cattolicesimo, e, dall’altro, dal particolarismo localistico, eredità degli stati regionali del XVI secolo e, prima ancora, dell’ordinamento feudale. Su questo si sono poi innestate le guerre dal XV ed il XVII secolo, con il loro costante e degradante appello allo straniero contro il “nemico vicino”, e poi la perdita dell’indipendenza. Di qui il ritardo nell’unificazione nazionale e, di conseguenza, nella modernizzazione, alla cui tardiva maturazione l’Italia ha pagato prezzi assurdi.
La mancanza di un progetto chiaro di nazione, fra velleità imperialistiche e ripiegamenti autarchici e provinciali, ha compromesso le speranze dell’Unità nazionale sin dal nascere, per colpa di una classe dirigente liberale di bassissimo profilo: inetta, corrotta, chiusa, impreparata ed interessata solo a mantenere i privilegi della casta da cui proveniva. Se il ceto politico liberale fu cattivo, quello fascista fu pessimo.
Alimentò folli manie di grandezza accompagnandole con una gestione vertiginosamente al di sotto delle aspirazioni.
Il colpo di grazia è venuto dalla guerra, con la sconfitta che ha sepolto ogni aspirazione a giocare un ruolo autonomo ed a cercare un adattamento furbesco e subalterno. Il ceto politico della repubblica, pur inizialmente dignitoso, fu comunque il ceto politico di un paese sconfitto che covava in sé un profondo senso di colpa. Ad una prima positiva stagione di ricostruzione economica e di semina democratica –anche se non priva di ombre- seguì l’insuccesso dell’ondata del sessantotto e questo ridestò l’antica protervia delle classe dominanti. E fu la restaurazione degli anni ottanta, che, come tutte le restaurazioni, segnò il declino del paese. Di qui la permanente insicurezza di chi non si sente all’altezza delle sfide e si dà per vinto in partenza.
L’europeismo degli italiani fu solo il desiderio di oblio di una nazione che non credeva più in sé stessa. Ora, che anche la chimera europea svanisce mostrandosi matrigna, resta solo la cenere dell’autodenigrazione.
Ma non è questo che ci permetterà di uscirne. La coscienza delle proprie insufficienze e colpe è nulla se non si accompagna al desiderio di tornare a volare. E studiare il passato è necessario solo per capire quanto siano profonde le radici che si intende tagliare e distinguere quelle che possono ridar vita alla pianta.
Aldo Giannuli
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Gherardo Maffei
E’ la storia patria contemporanea che ci condanna. In breve sintesi mi cimento con alcune riflessioni. Per decenni gli italioti sono stati avvelenati, intossicatii, ad esempio con la condanna del colonialismo, che fu definito da straccioni. Un delle tante accuse riguarda la Libia e la sua conquista da parte del Maresciallo Graziani all’epoca fascista. Rammento le ironie sullo scatolone di sabbia inutilmente conquistato, salvo poi scoprire che il sottosuolo libico è ricco di petrolio uno dei più pregiati al mondo. Il petrolio libico è stata una delle concause della fine politica prima di Berlusconi poi di Gheddafi. Ora tutto la cricca sinistroide al potere con Renzi capofila, invoca una nuova guerra coloniale alla conquista della Libia.Rammento poi la tragica stagione del 68 con l’egemonia culturale degli oltranzisti di sinistra. Basterà citare gli ottocento firmatari del manifesto, che in pratica fu la condana a morte di un inocente come il commissario Calabresi. Uno fra tutti rappresenta degnamente tale cricca di intellettualoidi vale a dire l’ateo devoto Eugenio Scalfari, che dialoga con un papa mediocre come l’attuale . Che dire poi di Gad Lerner, di Giuliano Ferrara,di Carlo Rossella ( prima comunista ora berlusconiano di ferro) di Adriano Sofri con la spocchia, il sussiego intellerabile che lo caratterizza, per finire con Paolo Liguori, tutta una classe intellettuale che rappresenta il culturame fallimentare di sinistra ,che tuttora pontifica ancora. Siamo il popolo dell’otto settembre, della mafia, della corruzione, dell’evasione, quel popolo che come disse il prussiano Von Moltke, anche Mussolini alla fine avrebbe fatto degli italiani …solo degli italiani.In conclusione il barone Julius Evola era solito ripetere alle schiere di giovanotti, che in pellegrinaggio lo andavano a trovare a domicilio, immobilizzato a causa di una paresi agli arti inferiori, ferita riportata in guerra, che erano stati gli italiani a rovinare il fascismo e non viceversa.Professore si rassegni, se ne faccia una ragione, non si arrampichi sugli specchi, è la storia patria che ci condanna ad essere per sempre il fanalino di coda in Europa.
Mugo
“la cricca sinistroide al potere con Renzi”.
Meglio: “la sinistra cricca al potere con Renzi”.
No? : )
ilBuonPeppe
Ottimo. Questo è l’imprescindibile punto di partenza per qualsiasi rinascita si voglia costruire. Sullo stesso tono segnalo l’altrettanto pregevole articolo di Annamaria Testa:
http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2015/03/30/italia-disfattismo
ilBuonPeppe
E poiché “studiare il passato è necessario” rivolgo al prof una domanda: ci indichi qualche testo di storia patria, e magari non solo, capace di offrire una visione che vada un po’ oltre il semplice racconto dei fatti?
marco neri
Grandissimo Prof. Giannuli specialmente nelle frasi finali del suo articolo
Junius
«il loro costante e degradante appello allo straniero contro il “nemico vicino”, e poi la perdita dell’indipendenza»
Fuoco livoroso antitalianista su cui dagli anni ’60 ha ripreso a soffiare la propaganda colonialista anglosassone (si ricordi “Italians” di Barzini di cui il collaborazionista Severgnini riprende le immonde gesta nel suo blog) ed ora anche quella (pseudo)imperialista eurogermanica.
(Il “familismo amorale” nasce in un contesto colonialista, molto vicino alla scuola neoliberale friedmaniana)
L’odio verso l’talia e gli Italiani delle dinastie della grande impresa fu ed è il più grande problema autodistruttivo del Patria della cultura. Il piede di porco collaborazionista delle oligarchie cosmopolite.
Antitalianità che si esprime nella sua massima mostruosa bruttezza, prima con il fascismo e poi con l’europeismo. Entrambi, paradossalmente solo se non si conosce la storia, espressioni della cultura liberal.
Grazie Professore, veramente un articolo splendido, e condensato di messaggi che solo una grandissima cultura riesce a far rendere così efficacemente in poco spazio.
Provo a ricambiare con questo di Cesaratto, https://ideas.repec.org/p/ais/wpaper/1502.html
Son sicuro che apprezzerà, e non credo sia necessario specificarne il diretto riferimento.
david cardillo
Professor Giannuli, se non ci fosse Lei, non so da chi altro si potrebbero avere analisi tanto profonde, lucide e centrate sul punto. Mi permetta, solo, una chiosa al suo ennesimo, perfetto scritto: al di là delle cause da lei elencate, e dei quindici secoli di dominazione straniera, diretta e indiretta, cui il nostro paese è stato sottoposto, a impedire all’Italia di essere una nazione degna di tal nome è stata anche l’egemonia culturale marxista, che nel nome delle idee folli e criminali di cui si è fatta portatrice, ha distrutto quella che era la parte buona dell’eredità fascista, ovvero l’aver fatto di un agglomerato di individui, quali gli italiani, un vero popolo, consapevole di sé, del proprio posto nel mondo e della propria missione storica. Non è mia intenzione fare apologia del fascismo, ma io credo che se le vicende del 25 luglio e dei giorni successivi fossero state gestite meglio, e se anziché arrestare Mussolini e cassare immediatamente il regime, si fosse dato il potere a uno come Giuseppe Bottai, la storia avrebbe preso una piega ben diversa: ci sarebbe stata una transizione graduale e ponderata dal fascismo alla democrazia, ci saremmo risparmiati le lacerazioni della guerra civile (mi permetta di segnalarle anche questo punto come meritevole di approfondimento ai fini del suo discorso), e oggi saremmo ancora una Nazione autentica, capace di guardare a sé stessa e al proprio passato con occhio critico ma obiettivo, conscia dei propri lati negativi ma sostanzialmente fiera e rispettosa di sé stessa. Non aggiungo altro, perché il resto lo ha già detto Lei, Professore, mi limito solo ad esprimere la speranza che il suo nuovo libro esca al più presto e abbia la più ampia diffusione. Mi piace pensare che più di uno spirito si possa ridestare dalla lettura, e che magari ne possa nascere qualcosa di buono e fruttifero.
Gherardo Maffei
Non si tratta di fare apologia del fascismo si tratta solo di fare la storia con onestà intelletuale che manca. Inutile nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, che piaccia o no Mussolini é stato l’unico e vero autentico statista italiano a livello mondiale del novecento.Dopo di lui c’ è solo un paese perennemente al rimorchio degli USA, prono ai ricatti stranieri, che praticamente a livello internazionale non conta una beneamata mazza! La vicenda dei due fucilieri della marina in India docet! Rammento che Mussolini dopo lo sterminio di una missione militare italiana nell’isola di Corfu mandò la flotta a bambardarla.Che poi Francia e Inghiltera ma non la Germania, siano sempre stati i nemici storici della grandezza italiana, lo dimostra il petrolio libico e la fine di Gheddafi (inclusa quella di Berlusconi) per volere di Sarzkozy.Come lo dimostra l’eliminazione prima di Enrico Mattei, poi di Aldo Moro, a causa della sua politica estera filo araba.Ultimo ma non per importanza, è il fattore antropologico, dato dal fatto che nel sud della penisola, le popolazioni che lo abitano, da secoli sono popolazioni con la tipica mentalità levantina,vale a dire amoralismo familiare, criminalità organizzata, con processioni di madonne pellegrine innanzi casa dei boss mafiosi, ecc.ecc.Fatto riconosciuto dal meridionalista Gaetano Salvemini il quale ametteva amaramente che il carattere malandrino dei meridionali era prevalente.Tutto ciò anni luce lontana dalla realtà mitteleuropea, che invece caratterizza quella nordica.
Gianluca
Ma perché i nostalgici del ventennio del nord sono antimeridionali? Ce n’era anche un altro su questo sito che pure era nostalgicamente antimeridionale. Non so, ma non mi è mai giunta notizia di un presunti razzismo di Mussolini verso la gente del sud (magari solo per mia ignoranza), mi pare fosse nazionalista. Chi invece oggi inneggia alla sua grandezza spacca l’Italia come Bossi & C., esattamente come quei poveracci di Casapound, i “fascisti del terzo millennio”, in piazza con Salvini. Poi ci sono gli adepti di Casapound del Sud, che ovviamente non lo sono, anzi magari hanno antipatie opposte, antisettentrionali e mescolano il glorioso ventennio con simpatie neoborboniche (sic!). Ma in generale trattasi di fascio-leghismo il vostro.
Gherardo Maffei
Gianluca dovresti leggere il celebre diario del genero di Mussolini, Galeazzo Ciano.Ove vengono riportati gli sfoghi del suocero, ove fioccavano le critiche ai meridionali, sfoghi che per evidenti motivi di opportunità evitava di fare pubblicamente.Quando riferirono al duce dei pesanti bombardamenti che Napoli subì da parte dei “liberatori” angloamericani,che costarono la vita a migliaia di napoletani, oggi fatto accuratamente evitato di commemorarlo, mentre si celebra le quattro giornate di Napoli, un pseudo episodio di insurrezione contro i tedeschi, che in realtà fu più un fenomeno delinquenziale camorristico, che politico, Mussolini se ne rallegrò, poiché disse ciò avrebbe reso più coriacei e combattivi i napoletani. Poi aggiunse che nel dopoguerra avrebbe dato il via ad un massiccio piano di rimboscamento del sud della penisola, affinché il clima del sud divenisse più rigido e freddo, tanto da combattere la pigrizia e l’indolenza tipica dei meridionali. Parole come vedi che non suonano lusinghiere per i sudisti. Poi dopo la bonifica dell’agro pontino, fece popolare quelle terre redente dai veneti ( i muli d’Italia) non certo da napoletani. Infine per quello che vale uno degli attuali leader storici della lega nord Mario Borghezio, (con trascorsi giovanili neofascisti e bada bene non é l’unico) è solito definire Mussolini un grande figlio della Padania.
Roberto B.
Mah!
Tutto vero e tutto condivisibile, ma proprio per questo non aiuta ad amarci un po’ di più.
E comunque, forse bisognerebbe anche spiegare perchè tutto questo antitalianismo svanisce come neve al sole nel ricordo e nella nostalgia di chi lascia l’Italia, per scelta o per costrizione. Resipiscenza? Oppure con la lontananza dimentichiamo in fretta tutti i nostri problemi?
Mi viene in mente un giudizio di Moravia sulla ex moglie Elsa Morante: “Elsa è quel tipo di donna che non sa vivere nè con te, nè senza di te”: mi pare che questa definizione descriva meglio di qualsiasi altra il rapporto dell’italiano medio con il suo Paese.
Gianluca
Ho recentemente letto un piccolo libro di Aldo Schiavone sul tema, del 1998: italiani senza Italia. Storia e identità.
Una lettura molto interessante che ricostruisce il carattere degli italiani partendo da lontano, da Roma antica. La consiglio vivamente.
http://www.ibs.it/code/9788806129033/schiavone-aldo/italiani-senza-italia.html
Gianluca
Peraltro in un passaggio arriva a prevedere che l’allora Pds sarebbe diventato col tempo la nuova Dc, e il tempo gli ha dato ragione!
leopoldo
che dire del peso della responsabilità? del gioco dello scarica barile?
marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
uno dei motivi per cui gli Italiani non sono coscienti dell’importanza del proprio Paese è l’ignoranza rispetto alle origini dell’Italia stessa. E’ opinione comune che l’Italia l’abbia fatta Garibaldi; ho udito storici (anche celebri) sostenere che l’identità nazionale italiana si sia formata nel medioevo, verso il XI o il XII secolo. Nessuna di queste tesi è vera. La parola “Italia” fu diffusa nella penisola dagli antichi Romani ai tempi della loro repubblica; con questo nome indicavano il territorio che andava dalla odierna Calabria al Rubicone. Ottaviano Augusto estese la provincia fino alle Alpi, ed ecco lì che nasce l’Italia come oggi la conosciamo.
All’epoca della Roma imperiale era normalissimo parlare di “Italia” e di “Italiani”. Basta rileggere uno qualsiasi dei testi dell’epoca.
Di quei tempi non se ne parla più. All’epoca della guerra fredda parlare di Antica Roma sapeva di fascismo. Oggi questo pregiudizio è un po’ decaduto, ma la storia del nostro Impero viene accuratamente occultata: d’altronde si trattava di un Impero mediterraneo, non europeo. Si stendeva su tre continenti. E fu distrutto da popoli europei. In altre parole l’Impero Romano è un concetto avversario dell’Europa Unita, e da un certo punto di vista anche avversario dell’Occidente (la peculiarità di Roma era che aveva unito Oriente e Occidente). Ecco perché se ne parla poco a scuola, e zero nei mass media.
La conseguenza è che se un popolo non è orgoglioso della propria origine non può essere orgoglioso della propria esistenza. Chi sarebbe mai fiero della propria vita se non è fiero della propria nascita?
Saluti,
Marco
Giovanni Manara
Prof,elenco alcuni testi che ho letto – Silvana Patriarca – Italianità- Massimo Salvadori – Italia Divisa- Antonio Gambino- Itinerario Italiano – aggiungo anche l’insopportabile anglosassone Luigi Barzini – Gli Italiani, vizi e virtù di un popolo- Leggerò volentieri anche il suo prossimo testo ma credo che mi servirà ben poco se non a rincarare la mia totale sfiducia in questo paese. Ormai sono rassegnato.
Paolo Federico
Faccio notare che tutti i commenti che seguono l’articolo vanno nel senso dell’antitalianismo. Ora, una ragione ci sarà se tutti, ma proprio tutti, qui esprimono rabbia amarezza e sfiducia.
Bene, già troppe volte mi sono espresso anch’io in tal senso, oggi voglio provare a dire qualcosa di diverso e di opposto. Piangersi addosso non serve, è necessario cominciare, anche con un solo passo di formica, a cambiare le cose.
Questo privarsi di una parte consistente dello stipendio di questi ragazzi del M5s, è una scelta austera e nobile, che conferisce loro una grande dignità.
Prima ancora che un gesto politico e morale, esso assume ai miei occhi un valore essenzialmente spirituale ed è lo spirito che coagula un popolo e null’altro davvero.
Non ha nessuna importanza che questa cosa possa essere partita con altri intenti, questo fatto si è prodotto da se con la scelta stessa dell’austerità e guardate come conferisce loro sempre più dignità, da diventare addirittura visibile.
Renzo Stefanel
Secondo me gli italiani non si amano come italiani innanzitutto perché gli italiani non esistono: esistono i popoli che abitano nella penisola italica. L’Unità d’Italia è stata voluta dalla borghesia, quindi dal 10% circa della popolazione italiana dell’800 (e forse esagero nella percentuale), non ha avuto alcuna base popolare, se non in alcune isolate esperienze in cui a condurre le danze sono stati i democratici (Venezia, Milano, Brescia, Roma nel 1848-49) e in cui la prospettiva era per lo più quella di uno stato federale repubblicano rispettoso delle diverse identità nazionali sul modello svizzero: valga l’esempio di Manin, che nel 1848 proclama la Repubblica Veneta e prospetta un futuro federalista (anche se poi aderirà alla Società Nazionale con Garibaldi, appoggiando il progetto centralista e monarchico di Cavour come unico in gradi di realizzare l’unità della penisola).
La controprova di questa analisi sta nel fatto che, mentre moltissimi italiani denigrano gli italiani, pochissimi denigrano la propria appartenenza regionale, anche quando sono lontanissimi da, o addirittura avversi a, posizioni federaliste o indipendentiste (il che non vuol dire per forza leghiste e reazionarie). In generale i Veneti sono orgogliosi di essere Veneti, i Napoletani di essere Napoletani, i Siciliani di essere Siciliani, i Sardi di essere Sardi, i Lombardi di essere Lombardi, i Romani di essere Romani, ecc. Se a oltre 150 anni dall’Unità d’Italia si manifesta l’orgoglio di appartenere alla propria regione e la disistima per una supposta e ipotetica identità nazionale, ciò è indice di quanto questa sia stata calata dall’alto e una costruzione ideologica delle classi dirigenti, almeno dal 1500 in poi: non a caso l’idea di Italia si forma nelle corti del Cinquecento nel momento in cui l’Italia viene sottomessa e conquistata dalla Spagna e si concreta in una lingua ideale e morta (notare bene) perché vecchia di 200 anni, quella di Petrarca e Boccaccio. E’ questo dialogo ideale tra colti, corti e classi dirigenti che suscita e tiene viva l’idea di Italia nei secoli: ma essa non è stata certamente sentita dalle popolazioni rurali (nell’800 l’85% della popolazione italiana): non a caso dopo l’Unità d’Italia si sono verificati il brigantaggio nel Sud e, cosa che fece arrabbiare Garibaldi proprio in quanto spia di quanto poco il progetto unionista fosse sentito dal popolo, nel 1866 i contadini veneti e trentini non insorsero contro i detestatissimi austriaci in appoggio alle truppe italiane. E tutti quelli che ho citato sono fatti, direi.
Renzo Stefanel
Per Marco: ai tempi di Roma antica “Italia” era un’espressione geografica ed amministrativa. Allora più di oggi la penisola era abitata da popoli diversi e in conflitto tra loro: Etruschi, Celti, Veneti, Osci, Reti, Sanniti, Apuli, Sicani, Sardi, ecc… La prima conquista romana si realizza offrendo patti differenziati a ogni popolo e perfino a ogni città in base al grado di amicizia o di ostilità dimostrato da questi verso Roma. Il primo momento di unità tra le genti italiche è la guerra sociale contro Roma stessa (potrei forse citare anche la III guerra sannitica). Anche in età imperiale, quando l’Italia godeva della cittadinanza romana, essa era comunque divisa in regiones che non a caso mappavano il territorio dei popoli che vi vivevano. Inoltre, il termine Italia è di origine greca, non romana o latina: tra le varie ipotesi, quella più accreditata è la contrazione del termine Aetholia, cioè la “terra del tramonto”, dato che per i Greci il sole tramonta in direzione dell’Italia. Quindi neppure il nostro nome è autoctono, a riprova di una mancanza di identità culturale che ha radici profondissime e lontane nel tempo.
Junius
@Renzo @Marcot
Direi che le vostre posizioni possono essere considerate assolutamente complementari.
È semplicemente necessario inserire i concetti di Stato e nazione.
L’identità etnica, disprezzata dalle oligarchie in quanto campanilistiche, sono ovviamente le più importanti a livello psicologico-identitario.
Ciò non toglie che la comunità sociale più importante è quella che unisce più ethnos diversi sotto una cultura comune su cui fondare il patto costituente: questi ethnos formano un demos.
L’Italia ha una cultura cumune, importantissima, sicuramente la più importante d’Occidente.
Certo, il problema è sempre stato difenderla e conservare la sovranità: poi, non dimentichiamoci che uno dei maggiori problemi per difendere la sovranità è sempre stata la costituzione di uno Stato nazionale. E, una delle grandi difficoltà che hanno avuto gli Italiani, è stato l’incredibile resistenza della Chiesa romana.
Il collaborazionismo fatto teocrazia.
Gli Italiani sono odiati e i nostri “alleati” vogliono che ci odiamo, perché ci invidiano nel profondo… a partire, ovviamente, dalle élite straniere “colte”.
E non è retorica.