Democrazia, economia, guerre: l’autunno che viene.
Molti segnali di euforia accompagnarono le decisioni del G20 nei primi d’aprile: la crisi sembrò risolta, le previsioni di pronta ripresa si inseguirono, promettendola, se non proprio per la fine del 2009, per la prima metà del 2010 e le borse conobbero una nuova fase d’euforia. Ma si trattò di una fase assi breve e, già da alcune settimane, la borsa sembra gradualmente riprendere un andamento oscillante sempre più pronunciato. Le previsioni di ripresa si son fatte più caute e pochi azzardano date, mentre i richiami all’ottimismo appaiono sempre più di maniera come i tanti sorrisi stereotipati sul volto di governanti e finanzieri. D’altra parte, questo “ottimismo di Stato” ci ricorda una frase di Irving Fisher, docente di economia alla Yale University: “A quanto pare le quotazioni di borsa si sono assestate su livelli molto alti”.
Era il 17 ottobre 1929. Esattamente sette giorni dopo a Wall Street il valore dei titoli precipitò di 6 miliardi di dollari e furono venute (svendute) 12.884.650 azioni. Beninteso; lo diciamo solo per sottolineare come le previsioni ottimistiche sono spesso un ottimo viatico per le catastrofi. Ma non crediamo all’abusato parallelismo con la crisi del 1929, perché, più in generale abbiamo molti dubbi sulla bontà delle analogie in storia. Questa crisi ha caratteri propri che la rendono diversa da quella del “venerdì nero”, non fosse altro perché quella esperienza è alle spalle e influenza i comportamenti attuali, contribuendo a determinare strategie che diluiscono la crisi in tempi più lunghi. Ma le nuvole restano basse e nere e chi lo ha capito è la gente, quella che deve far quadrare i conti di ogni fine mese, che ha il mutuo da pagare ed un figlio che passa da un call center all’altro, che vede il prezzo della benzina che sale quando il petrolio sale, ma che resta stabile quando l’altro scende.
Il “popolo minuto” –come lo si sarebbe chiamato in altri tempi- non ha mai smesso di trepidare per il proprio posto di lavoro, con l’occhio fisso al calendario. Settembre: quante imprese riapriranno i battenti dopo la chiusura estiva? E, se dovesse verificarsi una brutale caduta occupazionale, cui seguisse una contrazione dei consumi, quanti esercizi commerciali supererebbero gennaio? Per ora, l’effetto più vistoso della crisi sulle abitudini finanziarie, è la contrazione del credito: le banche, che prima davano denaro come se piovesse e senza garanzie di sorta, ora fanno credito col contagocce, soprattutto alle imprese. La breve euforia di primavera, sotto questo aspetto, non ha toccato le banche.
I motivi per dubitare di una pronta ripresa non mancano. Nonostante tutto, per ora la curva dei consumi sembra scendere in modo contenuto, perché a sorreggerla contribuiscono sia qualche misura di sgravio fiscale, sia, soprattutto, mille espedienti: aumentano i piccoli furti nei supermercati, si cerca il mercato con prezzi più bassi, qualcuno si indebita, magari ricorre all’usura, qualche altro vende sangue sottobanco, i più disperati vendono un organo doppio. Ma per quanto potrà durare?
Il punto è che per ora gli interventi sono stati tutti mirati a tappare la falla in sede finanziaria e, peraltro, non hanno implicato alcuna seria riforma del settore, garantendo, nonostante tutto, la sopravvivenza dello strapotere finanziario. Al contrario i problemi dell’economia reale sono ancora tutti là, dalla scarsità di cibo, petrolio, acqua al rischio di valanghe migratorie, dall’emergenza clima ai processi di desertificazione. E la “rivolta delle cose” è lì dietro l’angolo, pronta a far franare la fragile architettura del capitalismo finanziario. Non sarebbe male se la sinistra (tutta, dal Pd a Rifondazione) trovasse un attimo per parlarne, magari sospendendo per un attimo il chiacchiericcio su primarie, congressi, patti di lista ecc, dietro cui non riusciamo a scorgere niente altro che la solita desolante rissa per gli organigrammi. Magari, questa discussione potrebbe iniziare prima di settembre, quando inizierà una stagione che potrebbe essere l’autunno della democrazia.
Aldo Giannuli, 29 giugno ’09
aldo giannuli, autunno, autunno della democrazia, crisi del 1929, crisi economica, g20, g8, irving fisher, pd, popolo minuto, rifondazione, sinistra