L’Argentina nel cuore! Quando la violenza del potere produce organizzazione e lotta.
Con sincero e grande piacere, torno a proporvi un articolo di Angelo Zaccaria, di rientro da un lungo viaggio in Argentina, di cui ci propone una cronaca appassionata, approfondita e come sempre mai banale. Grazie Angelo e buona lettura! A.G.
Mi azzardo per la prima volta a scrivere sull’ Argentina, dove mi recai per la prima volta 15 anni fa, e dove sia quest’anno che l’anno scorso ho soggiornato per due periodi abbastanza lunghetti. Per questo azzardo devo ringraziare amici ed amiche, argentine e non, che vivono da quelle parti, per le loro preziose parole, racconti, consigli. Un ringraziamento particolare va a Marcela, Fabiana, Norma, Blanca, Nico, Carlos, Guillermo e Dario Clemente.
Partirei con alcuni dati sul paese, utili a inquadrarlo meglio. Estensione di quasi 2.800.000 chilometri quadrati, oltre nove volte l’Italia. Abitanti circa 43 milioni. Età media di circa 31 anni, mentre in Italia è di 44 anni e mezzo. La capitale Buenos Aires si trova al centro di una area metropolitana di 14 milioni e mezzo di abitanti, dei quali circa 3 vivono in Capital Federal ed oltre 11 milioni nella Grande Buenos Aires, chiamata anche Conurbano, quello che a Milano si chiamerebbe Hinterland.
Procederò per punti, focalizzandomi su alcuni aspetti della realtà sociale e politica argentina, che mi sono sembrati più importanti. Preciso che la maggior parte delle mie permanenze, sia quelle più lontane che le più recenti sono state a Buenos Aires, Capital Federal, e quindi il mio sguardo sul paese è molto filtrato e in qualche modo limitato da questo. Aggiungo anche però che per la storia argentina e per le stesse dimensioni della Grande Buenos Aires, questa ha sempre svolto un ruolo rilevante nella vicenda politica argentina.
L’attuale fase politica.
Nel 2004, anno della mia prima permanenza significativamente lunga in Argentina ed a Buenos Aires, ricordo un clima di grande mobilitazione politica e sociale. I blocchi dei Piqueteros, paragonabili al nostro movimento dei disoccupati organizzati, erano praticamente quotidiani ed in vari casi ad oltranza. Eravamo agli inizi della lunga epoca del Kirchnerismo al governo, l’ala progressista del peronismo, ma eravamo ancora piuttosto vicini alla grande crisi del 2001-2002. Nel Giugno 2013 invece, quasi al culmine dei 12 anni di governi Kirchneristi, ricordo un clima assai differente e di minore conflittualità sociale; a Buenos Aires pochi picchetti di disoccupati e lavoratori, e con poca gente. Unica mobilitazione significativa incrociata in circa un mese, quella del mondo universitario, egemonizzata da gruppi trotskisti, piuttosto organizzati in Argentina, e collocati all’opposizione sia della destra liberale che del peronismo nelle sue varie correnti.
Clima nuovamente del tutto diverso nelle mie due lunghe permanenze fra Maggio 2017 ed Agosto 2018.
Le mobilitazioni di piazza sono praticamente quotidiane, e vedono in campo i temi e soggetti più disparati; almeno ogni una o due settimane si tratta di mobilitazioni di grandi o grandissime dimensioni. In questo ultimo caso il blocco del traffico nella zona centrale di Capital Federal è conseguenza soggettiva delle scelte fatte dalle componenti organizzate più radicali, o conseguenza oggettiva della presenza nelle strade di un grande numero di persone mobilitate. A questo contribuisce anche una modalità di svolgimento delle mobilitazioni, che mentre da noi si adotta solo in alcune manifestazioni nazionali a molto ampia partecipazione, a Buenos Aires fa più parte della pratica corrente. Non si fa un unico corteo: ogni settore o area politico-sindacale si concentra in vari luoghi, generalmente stazioni o grandi incroci di viali del centro, e da lì confluisce verso Plaza de Mayo o Plaza del Congreso. In altri casi invece l’effetto di blocco viene amplificato dal fatto che, prima o accanto ai concentramenti in centro, vengono promossi blocchi in periferia, nei ponti o negli svincoli delle autostrade urbane di accesso in Capital Federal. Ovvio che per fare tutto questo non occorre solo intelligenza tattica e politica, ma anche una notevole capacità organizzativa e soprattutto di mobilitazione.
In pratica, la mattina presto i grandi canali di informazione televisiva nazionale e locale, insieme alle previsioni Meteo ed ai consigli per la colazione, offrono normalmente al loro pubblico anche la lista di luoghi ed orari di blocchi stradali e manifestazioni previste per la giornata corrente a Buenos Aires.
Oppure può capitare che il governo, per meglio regolarsi sull’uso del manganello, commissioni sondaggi di opinione dove il pubblico viene interpellato su come la pensa sulla repressione dei picchetti, proponendo al povero intervistato i diversi scenari: picchetto con blocco del traffico parziale o totale, con o senza travisamenti e bastoni, con o senza copertoni bruciati, con o senza donne e bambini.
A cosa si deve questa grande effervescenza di piazza, tale da spingere taluni ad evocare paragoni su una atmosfera da “eterni anni settanta” ? Giocano vari fattori. Innanzitutto la storia argentina, la sua grande tradizione di partecipazione politica e sindacale, che nemmeno la criminale dittatura militare e civico-clericale a cavallo degli anni ’70 ed ’80 è riuscita a spezzare, pur avendocela messa tutta. Un peggioramento della situazione economica e sociale già iniziato negli ultimi anni di governo di Cristina Kirchner, sull’onda della grande crisi economica globale sviluppatasi nell’ultimo decennio, e pesantemente aggravatasi a causa delle feroci politiche antipopolari del governo liberista e di destra di Mauricio Macri, il quale vinse anche se per soli 680.000 voti le ultime elezioni presidenziali svoltesi alla fine del 2015.
Ultimo ma non meno importante fra i fattori: la contrapposizione fra i principali blocchi politici ed elettorali che si contendono il potere nel paese.
Durante i lunghi 12 anni di governo Peronista-Kirchnerista, una parte rilevante dei movimenti sociali e sindacali avevano ridotto il loro attivismo conflittuale, sia perché il governo aveva accolto parti importanti delle loro istanze, sia perché lo stesso governo li aveva in vari modi cooptati. Da ricordare anche la tradizionale egemonia peronista, pur non senza contraddizioni anche forti, sul movimento sindacale argentino.
Con l’avvento di Macri al potere la piazza si riattiva, in parte molto importante per reagire alle politiche regressive di quest’ultimo, che non riguardano solo materie socio-economiche ma anche temi cruciali come quello dei diritti umani. Altra ragione non irrilevante risiede nel fatto che una parte della galassia di gruppi e movimenti politici interni, affini o contigui al peronismo, e più in particolare al Kirchnerismo ed alle sue componenti più combattive e conflittuali, scelgono la mobilitazione di piazza come uno dei canali principali per indebolire l’attuale governo e propiziare la rivincita alle prossime elezioni presidenziali previste alla fine del 2019. Va ricordato che anche nel settore dei movimenti sociali e territoriali di tipo rivendicativo sui temi del lavoro, anche informale, e del diritto al reddito, alla casa, all’alimentazione, il peronismo è la forza organizzata con maggiore capacità di mobilitazione di piazza. Qui mi riferisco sempre e soprattutto alla componente più radicale del peronismo, rappresentata dal Kirchnerismo, che va distinto dalla sua ala più moderata ed interlocutoria verso il governo, che ha la sua roccaforte nel sindacato maggioritario CGT ed in molti dei governatori peronisti delle province, i quali a loro volta controllano parti dei gruppi parlamentari nazionali.
E’ grazie all’appoggio di questa ala “dialoguista” del peronismo che Mauricio Macri, sostenuto da una alleanza elettorale chiamata “Cambiemos” ma minoritaria nelle due camere, è riuscito a far passare le sue leggi antipopolari come quella che ha tagliato le pensioni. Così é stato almeno sino alla fine del 2017. Ciò non significa che sul tema della linea da tenere verso il governo, non esistano discussioni e critiche anche all’interno ed intorno allo stesso mondo Kirchnerista. Componenti più combattive interne ad esso, e gruppi di sinistra che praticano in piazza l’unità d’azione col peronismo militante, criticano l’attitudine troppo elettoralista ed attendista di altre componenti kirchneriste più istituzionali, a loro giudizio troppo passivamente incentrate sulla prospettiva della rivincita elettorale alle elezioni presidenziali di fine 2019.
I movimenti ed i soggetti che animano la piazza.
Il ventaglio è molto vasto e la rassegna che segue sicuramente parziale. Abbiamo alcuni sindacati combattivi, ed in particolare le due CTA (Central de Trabajadores de la Argentina) e l’ATE, in polemica costante con la componente maggioritaria della CGT accusata di eccessiva acquiescenza verso l’attuale governo. Abbiamo le componenti più combattive della stessa CGT: camioneros, corriente federal, bancari. Abbiamo movimenti sociali territoriali attivi nella rappresentanza del lavoro informale, precario, e di chi il lavoro non ce l’ha: Movimiento Evita, Barrio de Pie, CTEP, CCC, Frente Dario Santillan, FOL etc etc.
Abbiamo movimenti studenteschi medi ed universitari, a loro volta connessi ai sindacati di settore, i quali sono protagonisti di alcune delle vertenze più lunghe e dure di questo periodo. Abbiamo un movimento femminista, che ha una lunga storia, e che si é rilanciato e rafforzato tre anni fa sull’onda della campagna NI UNA MENOS e poi della lotta per il diritto all’aborto, e che merita una trattazione a parte. Abbiamo il movimento per i diritti umani, dove accanto alle organizzazioni storiche di Madres e Abuelas di Plaza de Mayo nate in piena dittatura, troviamo una rete di altre realtà impegnate nella denuncia delle violenze di stato e degli abusi del potere attuale. Anche questi movimenti meritano una trattazione a parte.
Abbiamo campagne di mobilitazione di massa specifiche nate sull’onda delle urgenze politiche contingenti: contro i pesantissimi aumenti tariffari, o contro il recente accordo stipulato dal governo con il FMI per un prestito di 50 miliardi di dollari, per la difesa dell’educazione pubblica.
Infine abbiamo il trotskismo, che in Argentina ha una grande tradizione, articolato in due tronconi principali: il Frente de Izquierda y de los Trabajadores (FIT), che vede al suo interno fra gli altri il Partido Obrero; Izquierda al Frente, che vede fra gli altri al suo interno il Movimiento Socialista de los Trabajadores (MST). Ognuno di questi due settori è organizzato a più livelli, da quello della competizione elettorale, a quello del radicamento territoriale e nei luoghi di lavoro o di studio.
L’ultima osservazione si lega al fatto che nella dinamica dei movimenti sociali argentini, la dimensione dell’organizzazione è un aspetto molto forte, e quindi non esiste in genere una vera distinzione fra movimenti sociali ed organizzazioni politiche, le quali in genere sono interne e spesso di fatto dirigono i movimenti medesimi. Con importanti eccezioni, prima fra tutte il movimento femminista.
La trasversalità e l’unità: i diritti umani, le donne, il Fondo Monetario internazionale.
Quel che colpisce l’occhio del povero pellegrino europeo, guardando quel che sta accadendo nelle strade argentine e della sua capitale, è anzitutto la grande, massiccia e costante capacità di mobilitazione, certamente fondata su una enorme quantità di lavoro di massa, su un grosso livello di militanza di base. Su un tipo di militanza e di dedizione molto intensa, dove l’attivista che milita in un movimento territoriale oltre alla consueta organizzazione di mobilitazioni di strada, spesso organizza anche cooperative di produzione, aiuta a costruire case o ad aprire mense, biblioteche e scuole popolari. Quindi una militanza che deve parte non piccola della sua efficacia ad una grossa componente di tipo mutualistico, per alcuni versi non del tutto dissimile da quella svolta dai “curas villeros” (preti delle periferie o delle borgate).
Si tratta di una militanza caratterizzata da una significativa presenza di giovani e di giovanissimi, anche nelle fila delle organizzazioni politiche o nei piccoli partiti della estrema sinistra, che sono i settori che in Italia fan più fatica ad attrarre militanza giovanile, la quale spesso da noi si orienta verso forme organizzative meno strutturate e più informali come i centri sociali.
Si tratta dei tanti e le tante giovani e giovanissime che cantano canzoni a tema contro il governo dalle amplificazioni dei camion durante i cortei, che battono sugli immancabili tamburi o suonano trombe e tromboni per contribuire alla colonna sonora della marcia. Uno dei motivi più gettonati è a noi ben noto. Si tratta di Bella Ciao, spesso riadattato con testi ad hoc.
Colpisce inoltre la forte presenza femminile nelle mobilitazioni dei movimenti sociali legati ai temi delle rivendicazioni su reddito e lavoro, le tante giovani donne che sfilano con bambini piccoli in braccio protetti da una piccola coperta, i tanti striscioni coi nomi dei municipi più poveri e popolosi del conurbano Bonaerense; i tanti visi dal tratto andino, meticcio o indigeno, perché anche in Argentina come altrove le gerarchie di classe si incrociano con quelle etniche.
Colpisce la grande energia, forza e dignità trasmessa da queste piazze. Senza mai dimenticare che esse son la risposta ad un dominio di classe violento e crudele, seppure leggermente attenuato in Argentina rispetto ad altri standard sudamericani.
Colpisce la capacità di realizzare grandi momenti trasversali di unità nelle strade, che si realizza soprattutto su alcuni temi e su impulso di alcuni soggetti, creando mobilitazioni enormi alle quali partecipa praticamente tutto l’arco delle organizzazioni di sinistra e dei movimenti sindacali, sociali e di base presenti nel paese, inclusa una parte importante del peronismo. In altre parole, oggi si realizza in Argentina quel meccanismo di ricomposizione dei diversi movimenti, che in Italia si è verificato fra il 2000 ed il 2003 nei movimenti contro la globalizzazione neoliberista e contro la guerra.
Alcuni ambiti come quello dei diritti umani, del movimento femminista, della difesa della sovranità contro la dittatura finanziaria globale, vedono con più evidenza svilupparsi questo meccanismo di connessione e accumulazione di forze fra e di movimenti e settori diversi, che ne amplificano la forza e l’impatto.
Nel caso dei diritti umani le ragioni sono da un lato la persistente drammatica attualità di questo terreno di azione, in un paese polarizzato socialmente ed economicamente, dove si consuma un caso circa di morte da grilletto facile per mano poliziesca al giorno, spesso a danno di minori, e dove il morto ammazzato durante operazioni repressive del conflitto politico e sociale non rappresenta una eccezione sporadica. Dall’altro lato gioca la assoluta ed enorme autorevolezza conquistata in oltre 40 anni da organismi storici come quelli delle Madres e Abuelas di plaza de Mayo. L’esempio offerto dalla lotta di queste donne e la memoria dei 30.000 desaparecid@s, hanno per il mondo della sinistra e del progressismo argentino e per le giovani generazioni di militanti, un valore fondativo cruciale e difficilmente comparabile ad altro. Nel caso italiano l’unico parallelo utilizzabile mi pare quello col valore fondativo della Resistenza contro fascismo e nazismo.
Questo fa si che gli organismi per i diritti umani possano convocare in 48 ore, con la sola forza della loro parola, mobilitazioni amplissime come quella convocata a fine Luglio scorso di fronte al Ministero della Difesa, per protestare contro il progetto governativo di tornare ad impiegare le forze armate in funzioni di “sicurezza interna”. O come quelle del 2017 contro il tentativo di offrire sconti di pena ai repressori condannati per terrorismo di stato.
Nel caso della nuova ondata del movimento femminista invece, autorevolezza e capacità ricompositiva son state conquistate negli ultimi anni sul campo. Cresciuto dal Giugno 2015 con la campagna NI UNA MENOS, sul tema gravissimo dei femminicidi in Argentina, si è poi allargato ad altre battaglie, fra le quali quella per il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito. Si tratta di un movimento con una amplissima partecipazione, il quale ha posto in connessione le avanguardie e le reti femministe militanti delle generazioni precedenti, con una marea impressionante di giovani e giovanissime variamente organizzate, il che fa si che il movimento femminista argentino in questo momento sia certamente uno dei più forti nel mondo. Inoltre, aspetto sul quale faremmo bene a riflettere tutti meglio, si tratta di un movimento che riesce ad amministrare la sua grande forza con modalità abbastanza orizzontali e circolari, privo di una leadership burocratizzata e verticale, ma nel contempo dotato di efficacia e capacità rapida di risposta alle varie necessità e contingenze del momento. Inoltre si tratta di un movimento che in piazza riesce ad esprimere al meglio quella vitalità, energia e capacità comunicativa, che in genere caratterizzano i movimenti popolari e di base in Argentina. Non stupisce quindi che nelle sue mobilitazioni più importanti, il movimento femminista sia capace di ricomporre intorno a sé tutto il ventaglio degli altri movimenti e campagne di mobilitazione presenti nel paese.
Infine, per quanto riguarda il tema della sovranità e della lotta contro la dittatura finanziaria globale, la grande capacità ricompositiva di questi temi è tutta iscritta nella storia dell’Argentina, patria di origine del Che, nel contesto della regione latinoamericana. America Latina segnata da oltre tre secoli di saccheggio e colonizzazione da parte delle potenze europee, e poi da due altri secoli di innumerevoli interventi militari, sostegno a colpi di stato ed intromissioni di vario altro tipo da parte degli USA e di altre potenze coloniali. America Latina che, nonostante le sue enormi battaglie antimperialiste e per la difesa della sovranità, e nonostante le enormi risorse di ogni tipo che custodisce, appare ancora segnata da logiche di dipendenza e dominio da parte dei grandi centri del potere economico e finanziario mondiale.
Nel caso argentino l’ultimo banco di prova della grande valenza mobilitativa e ricompositiva di queste battaglie, sono state le grandi manifestazioni tenutesi dal Maggio scorso in poi, contro la decisione del governo di Macri di riportare il Fondo Monetario Internazionale in Argentina, chiedendo ad esso un prestito di 50 miliardi di dollari.
Quando parlo di ricomposizione non parlo solo di incontro in piazza fra differenti aree politiche, ma anche fra settori sociali: nelle manifestazioni contro l’accordo con il FMI, accanto alla tradizionale base popolare dei movimenti sociali e dei sindacati, si nota anche la presenza di settori di classe media e professionisti.
Pertanto, questa tendenza alla ricomposizione, trasversalità, contaminazione ed accumulazione fra diversi movimenti, campagne e battaglie, é uno dei fattori principali che ne amplifica la forza e la capacità di influire sull’intera società argentina, e non solo. Pensiamo agli echi avuti nel mondo dalla battaglia di NI UNA MENOS.
Arte e politica.
Forse come capita sempre quando in una società si muove qualcosa di forte, vero e profondo, in Argentina arte e politica si incrociano fortemente.
Si incrociano nei tanti cortei o iniziative abbellite e potenziate dai collettivi di teatro di strada o di ballo in strada, dai gruppi di gente di ogni età che battono per ore sui tamburi e soffiano negli strumenti a fiato, nei tanti graffiti fatti con gli stencil sui muri ai lati. Si incrociano nella manifestazione del 24 Marzo, anniversario dell’inizio della dittatura nel 1976, nello spezzone degli Attori Argentini dove venivano issate le grandi immagini dei loro compagni e compagne fatte sparire ed assassinate, in un altro grande spezzone di un collettivo che porta lo stesso nome del titolo di questo paragrafo, nei collettivi di giovani che ai lati della marcia mettevano in scena “giochi didattici” che avevano come tema la repressione e la lotta contro di essa. Nell’enorme interminabile striscione con le foto dei 30.000 desaparecid@s, tenuto da centinaia di mani e che scorreva insieme al corteo.
Ma si incrociano anche fuori dai cortei o dalle piazze, nei cori popolari di quartiere sparsi anche nei piccoli centri delle province, nei gruppi o nelle singole persone che attraverso i più diversi linguaggi artistici portano avanti e sostengono le più nobili battaglie contro le tante schifezze ed ingiustizie.
Il bicchiere mezzo vuoto.
La sinistra nel mondo, intendo dire quella non liberista o riformista, pare tenda ad avere difetti simili, e quindi l’Argentina non fa eccezione.
Anche in Argentina si tratta di un’area piuttosto frammentata, non esente dalle consuete logiche competitive, da settarismi, dal conflitto logorante fra gruppi e posizioni affini e talvolta quasi indistinguibili, da dinamiche leaderistiche e da orticello in omaggio al vecchio principio del “meglio essere primo nel mio piccolo villaggio, che secondo a Roma”. Anche a Buenos Aires quindi può capitare di vedere in una giornata di mobilitazione, tre cortei promossi da gruppi diversi ma accomunati da parole d’ordine simili, muoversi in tre direzioni differenti ma non per confluire tutti nello stesso luogo. Oppure può capitare di vedere ad un presidio piuttosto partecipato, la tale organizzazione che si stacca ed abbandona il presidio in corteo, perché non le è stata data la parola per intervenire dall’amplificazione del camion dei promotori.
Va detto però che questo accade, come forse accadeva anche in Italia nei vituperati anni ’70, in un panorama di costante mobilitazione, di forza dei movimenti sociali e delle organizzazioni politiche ad esse interni. Faccio un esempio. Oltre un anno fa mi capitò per la prima volta di vedere dentro una manifestazione, un grandissimo spezzone della CCC (Corriente Clasista y Combativa), svariate migliaia di persone bene inquadrate coi loro striscioni e il loro servizio d’ordine. Mi informai sulla loro area o realtà politica di riferimento. Quando mi dissero che era un partito di ispirazione maoista, il PCR, fu inevitabile il paragone mentale con la attuale capacità di mobilitazione di piazza di realtà con uguale matrice ideologica in Italia.
Un altro aspetto che non saprei neanche se leggere come limite, è stato già toccato sopra. L’attuale grande effervescenza delle piazze e delle strade argentine, è incrementata anche dal fatto che tutto il vasto mondo sindacale e dei movimenti sociali affini all’ala più radicale del peronismo, cerca di far la sua parte per indebolire e delegittimare l’attuale governo di destra, e propiziare una alternanza alle prossime elezioni presidenziali del 2019.
Non so se legger questo come limite perché essendo l’Argentina un paese complessivamente più polarizzato dell’Italia, sia socialmente che politicamente ed elettoralmente, la tesi del “tanto sono tutti uguali”, che pure taluni sostengono, risulta più controversa che altrove.
E’ vero che si tratta del paese che durante la crisi del 2001 inventò la celebre parola d’ordine del “QUE SE VAYAN TODOS”, ma perlomeno una parte significativa di quelli che la gridavano, dal 2003 al 2015 appoggeranno i governi “nazionali e popolari” presieduti prima da Nestor Kirchner e poi dalla moglie Cristina. Né va dimenticato che il governo di Mauricio Macri non ha sinora lesinato i motivi per farsi indebolire o delegittimare.
Quindi come ovvio non tutte le divisioni all’interno della sinistra di classe argentina, son dovute a dinamiche settarie o all’ego smisurato del leader di turno. Una obiettiva divaricazione di tipo tattico e strategico, deriva esattamente dalle diverse posizioni esistenti in merito al peronismo, ed in particolare alla sua corrente più radicale Kirchnerista. Una serie nutrita di correnti e gruppi della sinistra ritengono quest’ultima un alleato, col quale costruire un ampio fronte politico e sociale anti-liberista e per la difesa della sovranità nazionale dalle intromissioni del neo-colonialismo occidentale. Altre correnti, ed in particolare il grosso del trotskismo, vedono il Kirchnerismo come parte del problema e non della soluzione, adottando nei suoi riguardi una attitudine non tanto diversa da quella che in Europa le sinistre di classe adottano verso quelle socialdemocratiche o neo-liberali.
Tutto questo però convive serenamente con la dinamica descritta in un paragrafo precedente: quando sono in ballo temi particolarmente importanti e unificanti, in piazza ci si ritrova tutti e tutte.
Conclusioni.
Troppo facile dire che ci sta poco da apprendere da un contesto come quello descritto, perché troppo radicato in una situazione storica, sociale, economica, politica e geopolitica troppo distante dalla nostra. E questo é in parte assolutamente vero.
Basti pensare ad alcuni dati riportati all’inizio: la stessa dimensione di Buenos Aires, che deve la sua vitalità sociale, culturale e politica al fatto che in essa convergono, nel bene e nel male, tensioni ed energie di una metropoli di quasi 15 milioni di abitanti, una dimensione urbana gigantesca ed a noi estranea. Si aggiunga anche il carattere marcatamente cosmopolita di una città e di una società costruita e composta dall’accumulo di successive ondate e generazioni di migranti. Si aggiunga infine anche il carattere abbastanza giovane della composizione della società argentina, a confronto con l’Italia che è notoriamente uno dei paese più “vecchi” del mondo.
Altro dato forse ovvio: la maggiore polarizzazione politica è lo specchio della polarizzazione economica e di condizioni di vita, tipica di un paese a cosiddetta “economia emergente”: in Argentina non meno di un terzo della popolazione vive in condizione di povertà, condizione che arriva ad investire circa metà della popolazione infantile, data la maggiore concentrazione di disagio nelle famiglie numerose. Ma queste evidenti differenze oggettive di contesto, non significano che l’Argentina di oggi non ci possa offrire spunti.
Ricordo a fine Giugno dell’anno scorso, nel municipio di Avellaneda, la serata per commemorare Dario e Maxi, i due piqueteros assassinati nel Giugno 2002. Non ricordo solo il clima di commozione, i tanti giovani presenti, i canti, la musica. Ricordo alcune cose semplici e chiare che venivano dette nei discorsi, tanto semplici e chiare che a volte le si perde di vista: ” No hay futuro para los pueblos sin lucha , y no hay lucha sin organizacion”.
Un altro spunto viene dalla conferma che la lotta paga sempre. L’opposizione sociale in Argentina, per quanto vigorosa, non è stata sinora in grado di rovesciare il tavolo o far cadere il governo, ma preso atto delle fosche intenzioni di Macri e soci, se non sono sinora riusciti a fare dell’ Argentina un paese più simile alla Colombia o al Messico, lo si deve soprattutto alla esistenza di queste lotte e di questi movimenti. Lo si deve al fatto che se si dice che il Conurbano di Buenos Aires è la polveriera sociale dell’Argentina, non è tanto perché in esso vivono molti poveri, ma perché si tratta di poveri una cui parte significativa è organizzata e disposta a lottare, anche invadendo e bloccando le strade del centro di Capital Federal.
Non va mai dimenticato che, dopo le grandi migrazioni storiche dall’Europa, l’Argentina attrae tuttora migranti dal resto della regione o di recente anche dall’Africa, proprio perché si tratta di un paese con standard salariali e diritti economici e sociali, lavoro, reddito, casa, educazione e sanità in primis, maggiori della media latinoamericana; ed è proprio questo modello che Macri e soci stanno attaccando.
Il che pone un ultimo nodo, che ci riguarda tutt@: la difficoltà che trovano i movimenti di massa, per quanto forti ed organizzati come ora in Argentina, ad incidere in profondità sulla dimensione della “istituzionalità democratica”. Una istituzionalità che per quanto manipolatoria e sempre meno democratica, grazie anche al supporto zelante del grosso del sistema mediatico, non esita a giocare le presunte maggioranze silenziose del proprio popolo elettore, contro le piazze mobilitate, per contrapporre ad esse il muro di gomma e quando occorre la repressione poliziesca.
L’Argentina nel cuore.
Infine qualche nota più personale. In genere quando scrivo forse posso apparire una persona piuttosto razionale e distaccata, che tende a lasciare poco trasparire cose attinenti alla dimensione emozionale. Scrivendo sull’Argentina questo è impossibile. Perché l’Argentina “ti tocca il cuore”. E con questo naturalmente non intendo dire che sia l’unico e solo posto dove questo possa accadere o mi sia accaduto.
L’Argentina tocca il cuore per tutte le cose descritte sinora. Per l’ammirazione che suscita vedere tanta dignità e forza in un popolo che pure ha dovuto subire e soffrire tutto quello che ha sofferto, ma che è ancora in piedi a dare battaglia. Argentina emblematica di un sub-continente irrigato, come diceva El Tano da me conosciuto ed intervistato in Venezuela nel 2005, “dal sangue di montagne di martiri”, che si sollevarono e continuano a sollevarsi contro le più immani ingiustizie e porcherie del potere.
L’Argentina tocca il cuore perché é impossibile restare freddi e indifferenti di fronte alle parole di Alberto Santillan, padre di Dario, che parlando dal palco con la voce rotta di fronte alla piccola stazione ferroviaria dove suo figlio e Maxi furono assassinati dalla polizia, dice che pur nella tragedia immensa che lo ha colpito di una sola cosa é contento, di avere negli anni successivi quasi perso il proprio nome di battesimo, e di essere diventato per tutti e tutte “il padre di Dario”.
Perché é impossibile restare indifferenti dopo avere visto un posto come la ex ESMA, la scuola di meccanica della marina militare, il più grande centro di detenzione e tortura a Buenos Aires durante la ultima dittatura, dopo avere visto le cuccette dove tenevano le prigioniere incinte incappucciate ed incatenate, e perché in tanti posti simili anche se più piccoli a Buenos Aires ti puoi imbattere per caso mentre fai una passeggiata, mentre passi sotto un cavalcavia, semplicemente perché noti una targa o una lapide o uno striscione. Così come casualmente passeggiando per Tilcara nel nordovest, ci si può imbattere nella piccola bottega artigiana dove una donna appartenente ad una comunità di popoli originari, ti parla delle enormi ingiustizie che si continuano ancora a consumare contro la sua gente.
Ma forse l’Argentina tocca il cuore anche per cose che c’entrano meno direttamente con l’attualità politica, per la commovente bellezza dei suoi paesaggi andini o delle sue cascate, per questo suo farti sentire, a te che arrivi dalla piccola Italietta, così lontano geograficamente, ma così paradossalmente vicino per altre ragioni, per certi incontri casuali con chi appena sa da dove arrivi ti parla del bisnonno anarchico o socialista arrivato dalla Spagna o dall’Italia …..Per le note di Bella Ciao che risuonano spesso nei cortei, ma anche sulle gradinate degli stadi di calcio.
Angelo Zaccaria, Milano, 21 Settembre 2018
angzac@yahoo.it
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Venceslao di Spilimbergo
Articolo decisamente interessante. Esportatrice di materie prime (e importatrice netta di manufatti e investimenti), non potendo contare su un mercato interno di dimensioni sufficienti da poter aspirare all’autarchia (vedasi il caso del Brasile), l’Argentina è destinata ad essere soggetta a periodiche, pesantissime crisi socio- economiche… solitamente di origine esogena (crollo della domanda mondiale, ovvero flessione delle importazioni USA). Questa debolezza congenita, unita ad una cronica instabilità politica (conseguente non solo da problematiche economiche), non può che portare a tensioni/ conflitti interni quali quelli sopra descritti. La mancata presenza attiva di un “correttore” esterno (tradotto, sempre gli USA) comporta un ulteriore aggravamento per una situazione già difficile di suo. Un grande, fiero, ma purtroppo drammaticamente debole, vulnerabile Paese.
La saluto augurandole ogni bene e una buona serata
laura corradi
scritto con chiarezza e passione, l’articolo ci apre una finestra importante su una situazione politica poco conosciuta nel nostro paese – e ci incoraggia a riflettere, a prendere spunto dalle lotte argentine – forse l’autore potrebbe offrirci ulteriori approfondimenti relativi a vari movimenti sociali – intanto grazie per questo contributo!