La Seta nera dei contractors

Conosco Simone Pieranni da diversi anni ed è sempre stato un giornalista brillante e promettente. Volentieri dunque vi segnalo questo suo pezzo per Il Manifesto (per leggerlo, basta autenticarsi con tramite Facebook o con una mail). Buona lettura!

Da tempo negli Usa si discute del nuovo progetto lanciato dalla Cina, «la nuova via della Seta», nota come «One Belt One Road» (Obor). Un progetto mastodontico che rappresenta la proposizione «globale« della Cina. Oltre 60 paesi coinvolti, metà della popolazione mondiale, per un giro d’affari di miliardi di dollari, una banca di investimenti a guida cinese, la Aiib, e un fondo creato ad hoc da Pechino.  Per la Cina si tratta di una piattaforma a disposizione di tutti, nella logica del «win-win», che potrebbe inaugurare il cosiddetto «imperialismo dei corridoi», il modo con cui Pechino intende la «globalizzazione»: come ha scritto Giorgio Grappi sul numero di Limes dedicato ai rapporti tra Usa e Cina alla luce dell’arrivo di Trump alla Casa bianca, «possiamo riassumere l’emergere di una politica dei corridoi intorno ai seguenti elementi: la definizione di una rete centrale che ne costituisce l’ossatura; la creazioni di corpi misti per la realizzazione e la governance degli spazi coinvolti, la definizione di regolamenti interni, pratiche gestionali e standard comuni (…) la messa in sicurezza dei siti strategici».

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Aldo Giannuli

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Comments (9)

  • Molto interessante. Lascerei da parte ideologismi inutili: la chiave di lettura è quella, peraltro, ribadita in altri punti. Gli affari sono affari. E, storicamente, alle esportazioni di capitale, pardon, agli investimenti, sono seguite le missioni militari atte a proteggerli. Rubattino e Savoia… senza andare tanto lontano. Interessante la proverbiale discrezione cinese: meglio i contractor. Buona domenica.

  • Qual è il mezzo più economico per far viaggiare le merci?
    A parte la sostenibilità economica e politica del progetto cinese nel lungo tempo, sembra un tentativo di sfuggire all’accerchiamento marittimo Usa.

    • Ciao Gaz!
      il più efficace mezzo di trasporto è il via mare e la Cosco si colloca al IV posto immediatamente dopo a Maersk, MSC e CMA CGM (http://moverdb.com/shipping-companies/). Peraltro, col ritmo di crescita che ha, presto supererà anche quest’ultima (poco meno di 300.000 teu le separano). Tornando agli ordini di grandezza di un via mare, sempre il trafiletto di cui sopra riporta che la cosco possiede 5 delle 10 navi al mondo in grado, da sole di portare 19.000 teu. Un calcolo a spanne, giusto per dare l’idea: stiamo bassi e diciamo che, invece di caricarlo “a tappo”, gli lasciamo dentro un po’ d’aria; in ogni 20′ gli mettiamo, quindi, 25 mc; 19000 x 25 = 475 mila metri cubi di merce in un solo viaggio! Hai voglia a fare, per ogni metro cubo o contenitore (a seconda che sia concaricato insieme ad altri – groupage – o container completo) la cosiddetta “economia di scala”! Gli stessi mostri del mare, tornano poi in cina semi-vuoti: la differenza, se ti vuoi divertire, la puoi apprezzare alzando la cornetta e chiedendo il prezzo di un container da 20 da genova a shanghai… te lo tirano dietro, a differenza dello stesso contenitore in import. La logica win-win… fa più danno ogni arrivo a genova (o la spezia, o napoli, o gioia tauro, e via discorrendo) che ogni sbarco di immigrati: ogni loro win è win, da noi, solo per un padrone che ingrassa con margini di ricarico impensabili (ancora per poco…) e loose per tutti gli operai che ha lasciato a casa, lasciandosi solo i magazzinieri (anzi demandando pure questa fase a ditte di “logistica”, che si subappaltano a loro volta la manovalanza a cooperative) e i contabili ( o ai commercialisti). Questo, si badi, non perché a far fare le cose in Italia ci perderebbe, ma perché guadagnerebbe solo di meno. Win-win… buona domenica!
      Paolo

      • Quindi quale sarebbe la soluzione migliore per noi? Smettere di importare? Ottimo, poi potremmo anche dire che non è giusto usare la stampante laser perché toglie lavoro alla professione amanuense. Ma per piacere!!

        • Si potrebbe esportare il prodotto N semigrezzo e sottoporlo ad una normale dialettica sindacale. Una volta reimportato come finito, venderlo con minori margini di guadagno, talchè da avere un risparmio aliunde utilizzabile o al limite riesportarlo.

          • Mi viene spontaneo fare una domanda a Gaz: immagino che stia utilizzando un PC o un tablet per scrivere il commento, ma sarebbe disposto a pagarlo il 30 / 40 % in più per “finanziare” tutti questi import-export di prodotto semigrezzo come dice lei? Oppure è solo l’azienda a dover rinunciare a parte dei profitti?

        • No, c’è una soluzione ancora più semplice. Si chiama soluzione finale: 1 eletto ogni 10, arriviamo a una popolazione di 6 milioni di persone e poi forse, con l’attuale modello di non-sviluppo, riusciamo a sopravvivere tutti (ma anche qui nutro seri dubbi…). Caro Nnnn, l’alternativa non è tra autarchia e luddismo da un lato, e l’attuale modello dall’altro. Questo è quello che vorrebbero far passare i padroni e i sostenitori del cosiddetto “pensiero unico”. Quando ne vorrai parlare, il mio indirizzo lo trovi sulla rete senza nessun problema.
          Ciao Gaz, quello che tu giustamente poni come soluzione esiste già, doganalmente parlando. Si chiama esportazione in temporanea per perfezionamento attivo e consente, a chi la pratica, di ottenere riduzioni daziarie in importazione detraendo il valore della merce precedentemente esportata e pagando solo sulla differenza. Il problema è che il capitale è troppo vorace per decidere volontariamente di fare una cosa del genere. I margini di profitto si ridurrebbero e le tempistiche di produzione aumenterebbero al punto che converrebbe loro fare tutto qui. Ma chi, oggi, si accontenta di un margine di profitto del 20%? Solo i fessi… Comunque il tuo è già un primo passo. Occorre scardinare certe logiche: o i dati sull’industria di inizio anno li ho visti solo io al TG?
          Un abbraccio.
          Paolo

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