La Repubblica finisce in coda di pesce

Volentieri pubblichiamo questo intervento di Franco Astengo.

La Repubblica finisce in coda di pesce.

La lunghissima “transizione italiana” avviatasi al tempo della caduta del Muro di Berlino e di “Tangentopoli” sta concludendosi in una forma che vorremmo definire “a coda di pesce”: con il sistema politico attorcigliato su se stesso, con un ulteriore degrado nel rapporto tra società e istituzioni, al centro di una crisi economica provocata da fattori interni ed esterni che è stata affrontata rifinanziando quanti l’avevano provocata, chiedendo sacrifici alla povera gente, distruggendo quella che un tempo era definita “classe media”, senza che emerga alcuna idea in positivo per il futuro (l’Europa continua ad accusare un pesantissimo “deficit democratico”, nel “caso italiano” – caso perché il nostro Paese si colloca ormai alla retroguardia sul piano internazionale- si allargano le distanze tra Nord e Sud e interi territori sono in mano alla criminalità organizzata).
Siamo convinti, fermamente, che pronunciarsi in questo senso non è qualunquismo, ma semplice fotografia della realtà, di cui è stata compartecipe e autrice (in parti diverse, con responsabilità diverse ma sostanzialmente con un alto grado di corresponsabilità complessiva) un’intera classe politica.
La giornata di oggi, 20 luglio 2011, resterà nella micro-storia della politica italiana come la giornata in cui, di fronte alla gravissima crisi dei rifiuti di Napoli il Parlamento ha deciso di “ritornare in Commissione”, e nelle Aule di Camera e Senato si è deciso, in modo diverso, dell’arresto e meno di un deputato e un senatore. Intanto notizie di inchieste simil-tangentopoli rimbalzano da una parte all’altra dello Stivale coinvolgendo anche esponenti dell’opposizione di centro-sinistra, fra pochi giorni il Palamento sarà chiamato a votare di nuovo sul possibile arresto di un suo membro, e il termine “casta” appare ormai accettato da tutti al punto che, nel suo intervento alla Camera, è stato usata addirittura da un segretario di Partito.

Lo scenario appare davvero quello di un ritorno all’indietro, alla fase cioè di avvio di quella famosa “transizione”.
Non siamo qualunquisti, anzi: però che si sia di fronte al fallimento di un’intera classe politica che ha puntato sulla liquidazione di ciò che esisteva, favorendo alla fine l’instaurazione di un regime populistico con tratti di “sultanato” come aveva lucidamente individuato il prof. Sartori è innegabile.
Un fallimento complessivo, quello di una classe politica, che si ravvede guardandoci alle spalle e ricostruendo la storia di questi vent’anni: eppure c’è stato un momento tra il 1996 e il 2001 che il sistema sembrava essersi assestato attorno ad un bipolarismo al quale l’elettorato sembrava essersi acconciato, e ad un meccanismo di alternanza (sia pure non attuato alla perfezione: tra il 1996 ed il 2001 il centrosinistra, infatti, cambiò tre presidenti del consiglio, costruendo in Parlamento una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne) ed anche, studiando i risultati elettorali, la partecipazione al voto sembrava essersi assestata a livelli tali da garantire sufficiente consenso e coesione sociale.

Quel piccolo patrimonio è stato dilapidato in fretta da scelte inopportune (la Bicamerale fallita, la fretta cattiva consigliera nella modifica costituzionale del titolo V, attuata per cercare di inseguire la Lega Nord su di un terreno sbagliato, ecc., ecc.) e dalla voglia di imitare il modello personalistico, inseguire chimere come quella della “vocazione maggioritaria”, non essere riusciti a portare in campo idee di fondo dopo l’intuizione dell’Euro e dell’aggancio all’Europa per le quali si erano sì compiuti sacrifici ma si era anche raccolto consenso.

Poi il calo brusco della tensione, l’inadeguatezza nell’inventare nuovi soggetti politici non richiesti dalla base sociale e soprattutto il cedimento al modello populistico e l’assenza di un’idea, autonoma e critica, di alternativa da proporre alla “propria” parte politica: stiamo elencando, lo si sarà capito, gli errori della sinistra, perché la destra ha seguito la “visione proprietaria” tipica del populismo italiano (ricordate le discussioni sulla “destra normale”?) che, inevitabilmente, caduto il carisma dei leader avrebbe portato alla fine  di un sistema divorando alla fine, altrettanto inevitabilmente,  risorse, energie, intelligenze.

E’ l’Italia della destra populistica di Adua, Caporetto, dell’8 settembre, di Tangentopoli: l’Italia dello sfascio organizzato, fuori dal quadro internazionale, che ha saputo distruggere i grandi partiti di massa senza creare nulla di diverso e di credibile.
Il modello di destra imperante in Italia ha, ancora una volta, sfasciato il Paese e non si intravvede davvero chi possa salvarlo.
Davvero non c’è un Gramsci per dire “voi avete distrutto l’Italia, toccherà a noi ricostruirla”.
Serve un progetto, la ricostruzione di una forza politica, un recupero di credibilità: tutti elementi che, a questo punto, non sono davvero in campo.
Quella sinistra esclusa dal Parlamento nel 2008 (sulla conduzione di quella campagna elettorale ci sarebbe davvero da aprire un capitolo, ma mi pare che tutti i responsabili della “débâcle” siano ancora lì al loro posto, pronti a farsi la guerra tra di loro) vuol porsi nella conduzione di cominciare a pensarci sul piano del soggetto politico, del programma, della costruzione (in senso lato) di un nuovo gruppo dirigente?
Oppure dobbiamo aspettare il fondo? Ma in politica come non esiste il vuoto, non esiste nemmeno il fondo, ed è questa la preoccupazione più grande.

Franco Astengo
Savona, li 20 luglio 2011

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Aldo Giannuli

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Comments (5)

  • mi ero illuso che i referendum fossero stati segni di una volontà politica popolare. Non c’è, è sttao un fuoco di paglia. E poiché non ci sono le premesse per la difesa del bene comune, oggi è realistico pensare solo alla difesi di alcuni BENI comuni, es. TAV. Ma su questi punto il fronte cattolico (parlo di quello che mi sembra di conoscere) mi sembra bloccato. A parte la difesa dei finanziamenti per asili e scuole, i cattolici non si muovono perché prendere posizione su singoli beni comuni vuol dire fare anche una scelta di schieramento politico, e questo la gerarchia cattolica non vuol farlo, e la base cattolica per troppo tempo è stata tenuta in stato di immaturità sociale e politica.

  • vie d’uscita nel breve periodo non ne vedo, finirà che saremo costretti a cambiare per non fallire, e allora le riforme faranno più male, da allora potremo iniziare a vedere dei cambiamenti ma comunque lenti

  • Ciao,
    speriamo che la ns “Repubblica delle banane” si riscatti. Penso che, almeno in Occidente, popoli e governi si rispecchino: abbiamo il governo che ci meritiamo. Nel nostro Paese serpeggia una mentalità – per ragioni storico-sociologiche-religiose – per cui infantilismo, facili “specchietti per allodole”, atteggiamenti populisti ed ipocriti hanno avuto una presa che si è rivelata uno zoccolo duro da smantellare: il bisogno di padri (Stato-Papa) e madri (chiesa) mi pare siano fattori determinanti per la ns Storia negli ultini 150 anni. Il senso dello Stato come partecipazione e non solo delega, il sostegno al “Pubblico” in senso collettivo e di aiuto ai più deboli, il rispetto dei beni comuni che sono di tutti, (mi pare che spesso siano “vissuti” come di nessuno) sono valori ancora poco interiorizzati. Detto questo, noi italiani (amo il mio Paese) possediamo potenzialità poco valorizzate ed una creatività che ci invidiano tutti. Mi auguro che le risorse più sane abbiano la meglio: ideali e non ideologie impositive, fede e non religione che anela ad imperare in senso dogmatico, popolo partecipativo in senso critico.
    La Storia la facciamo tutti, col ns bagaglio culturale, emozionale, cognitivo ed umano.
    Buone vacanze a tutti ed un caro saluto a Aldo,
    Paola

  • Approvo in pieno il contenuto dell’articolo. Riguardo al bipolarismo, ritengo che sia stato una rozza semplificazione delle varie anime e ideali che sono presenti nella società italiana, d’altronde lo scopo era quello di fare una specie di liquore come la grappa: “via la testa, via la coda, rimane solo il cuore”. Come si è visto il tentativo mi sembra molto deludente. Occorrerebbe ancora una riforma del sistema elettorale e soprattutto un idea antica del Paese, un ritorno al territorio per valorizzarne i punti di forza economici e le potenzialità. Ma chi ascolta quello che arriva dal Paese? I recenti referendum sono stati molto chiari sulla volontà popolare di riappropriarsi delle risorse pubbliche e dei beni e servizi più importanti, ma scoraggiato, devo notare che si riparla di ulteriori privatizzazioni, non si sa con i soldi di chi, visto che le ultime non hanno certo giovato a colmare il deficit dello Stato.

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