La politica della paura: il modello greco e la strategia della tensione in Italia (1969-1974)

La politica della paura: il modello greco e la strategia della tensione in Italia (1969-1974)


La notte del 20 agosto 1965, una serie di incendi dolosi si svilupparono in tutta Atene. La responsabilità venne addossata ad imprecisati “estremisti di sinistra”. Più tardi sarà chiaro che ben altra era la mano che aveva acceso il cerino.
Il 22 maggio 1963 il deputato della Sinistra Grigori Lambrakis era stato assassinato; ne era seguita un’inchiesta giudiziaria (seguita d un giovanissimo magistrato Christos Sartzetakis) che, partendo da alcuni squadristi locali, si era spinta sempre più in alto, sino a  lambire i vertici della Polizia, lo Stato Maggiore dell’esercito e, dietro essi, l’ombra degli ambienti di Corte (chi ne ha voglia, si riveda lo straordinario film di Costa Gavras “Z: l’orgia del potere”).

Lo scandalo aveva fatto vincere le elezioni all’Unione di Centro di Giorgio Papandreu, contro la destra di Kostas Karamanlis, ma già dopo un anno, una serie di scissioni nel gruppo parlamentare papandreista,  aveva fatto cadere il governo. Nell’estate del 1965 la crisi era nel pieno, e l’inchiesta appariva ormai devastante. Un diversivo appariva più che opportuno per guidare gli esiti della crisi e ridimensionare il ciclone Sartzetakis. Ci pensò Kostas Plevris, giovane leader del gruppo neo nazista greco “Movimento 4 agosto” che provvide ad organizzare la “notte dei fuochi”. Plevris non  era solo il leder di un gruppetto di estrema destra, era anche un insegnante della scuola militare di Atene e ascoltato consulente di molti alti ufficiali, come il capo della Polizia Ioannidis, che realizzeranno il colpo di stato del 21 aprile 1967.

Fu l’inizio della controffensiva della destra sul piano della riconquista dell’opinione pubblica: nei due anni successivi, una sapiente mescolanza di attentati e di allarmismo per le condizioni economiche del paese formeranno nuovamente un’area di consenso intorno alla destra, insufficiente a vincere le elezioni che avrebbero dovuto svolgersi una settimana dopo il 21 aprile, ma sufficiente ad assicurare ai colonnelli golpisti una base di assenso per il loro nuovo regime.
La Grecia diverrà un modello anche per la destra ed i militari di altri paesi: ad esempio nel marzo 1971 i militari presero il potere in Turchia (anche qui non  erano mancati episodi simili alla “notte dei fuochi”).
Ma è in Italia che il modello greco trovò i suoi più convinti imitatori nel  gruppo di Ordine Nuovo, guidato da Pino Rauti, che aveva stretto fitti rapporti di collaborazione proprio con Kostas Plevris ed il suo movimento. D’altro canto, gli ordinovisti ebbero altri autorevoli consulenti nell’Aginter Presse di Yves Guerin Serac che, da Lisbona, teneva le redini dell’ “internazionale nera” di cui, peraltro, facevano parte anche i greci del “4 agosto”.
Allievi diligenti, gli ordinovisti si applicarono a compiere attentati che preparassero il terreno ad un colpo di stato militare: il 25 aprile 1969 alla fiera di Milano, il 21 luglio al palazzo di giustizia sempre a Milano, l’8 agosto a bordo di sei treni e con cariche via via crescenti. Poi il cumine il 12 dicembre 1969 a piazza Fontana.

La strategia non  era particolarmente sofisticata o fantasiosa: creare uno stato di allarme sociale diffuso che creasse un”riflesso d’ordine” nei ceti medi ( la scelta di luoghi come le banche non era casuale) e, sulla base della richiesta di sicurezza, giungere alla proclamazione dello “stato di emergenza” ed alla conseguente sospensione delle garanzie costituzionali. Avviata così la svolta, i militari avrebbero assunto un ruolo crescente nel sistema, sino ad emarginare, sostanzialmente, il ceto politico, mentre le organizzazzioni dell’estrema destra –debitamente finanziate e supportate- si sarebbero incaricate di organizzare il consenso nella società civile.

Ma, le cose, in questo caso, andarono diversamente. Lo scenario italiano era ben più complesso: il blocco dominante non era affatto omogeneo, ma, soprattutto, il potere politico aveva piani ben più articolati.
Beninteso: l’amministrazione della paura restava l’ingrediente base del piatto, ma le spezie erano molto diverse.
Infatti, il ceto politico di governo (in questo appoggiato dalla polizia) non aveva alcuna intenzione di dividere il proprio potere con i militari o addirittura a trasferirgliene la parte più grande e, meno che mai, prendeva in considerazione l’ipotesi di concedere alle organizzazioni dell’estrema destra il ruolo di collettore del consenso popolare. L’Italia non era la Grecia, sia perchè non doveva subire l’ingombro di una corte militarista e corrotta, sia perchè i rapporti di forza fra politici e militari erano nettamente sbilanciati a favore dei primi. Pertanto, l’emergenza poteva anche essere auspicata da settori della Dc o del Psdi, sia per frenare le agitazioni sociali che per giungere ad una riforma istituzionale di tipo presidenzial-maggioritario, ma non per creare una situazione di non ritorno. Per questo tornava utile non rompere del tutto i rapporti con l’opposizione di sinistra, ma anzi, sventolare il pericolo del precipitare di una svolta autoritaria ed antidemocratica era funzionale anche al disegno di ammansire la sinistra ammorbidendone l’opposizione per timore del golpe o di una guerra civile. E questo ritornava utile anche nei confronti della sinistra alleata al governo (il Psi).

Dunque una tripla “strategia della paura”: da un lato verso i ceti moderati del paese per averne il consenso elettorale e l’appoggio politico, dall’altro verso la sinistra di governo così da moderarne le richieste e, dall’altra ancora, verso la sinistra di opposizione (Pci, Psiup e sindacati) per riassorbirne la spinta innovatrice.

Ancor meno la Dc, il Psdi ed il Pri potevano accettare l’idea di andare al seguito dell’estrema destra: la si lasciò fare sinchè essa risultò funzionale alle manovre del centro, ma venne rapidamente scaricata quando  divenne troppo ingombrante. La svolta avvenne nel 1973: in rapida successione vennero il fallimento della svolta di centro-destra di Andreotti, la strage alla questura di Milano, il congresso Dc che sanciva il ritorno al centro sinistra, la raffica di inchieste giudiziarie contro la destra (inchiesta sulla Rosa dei Venti, sul Msi per ricostituzione del Partiito fascista), l’ondata violentissima di lotte sociali (rinnovi contrattuali, colera nel Mezzogiorno, esplosione del movimento dei disoccupati ecc.), il colpo di Stato in Cile ed i conseguenti articoli di Berlinguer sul “Compromesso Storico”. In breve fu chiaro che tanto il tentativo di tornare a politiche di centro-destra, quanto il ritorno all’alleanza di centro sinistra erano formule ormai esaurite e non in grado di fronteggiare la crisi sociale e politica. Occorreva aprire al Pci, avviarne una lenta consociazione al potere (anche se non necessariamente al governo) per moderare i sindacati, sopprimere la conflittualità operaia, riconquistare il controllo sulla variabile salario. Ma questo avrebbe potuto provocare uno “smottamento” elettorale verso destra della Dc di cui il primo beneficiario sarebbe stato il Msi. La stessa “amministrazione della paura” che era servita a fronteggiare e contenere la spinta verso sinistra per riforme radicali, tornò utile, all’opposto, per neutralizzare ed emarginare la destra durante la spregiudicata (e pericolosa) manovra di aggancio al Pci in nome, guarda caso, dell’ “emergenza”. Quella stessa emergenza che ispirerà le leggi di Reale e Cossiga contro il terrorismo, questa volta, votate anche dalla sinistra.

Di qui la gragnuola di colpi contro la destra: scioglimento per decreto di Ordine Nuovo, poi anche di Avanguadia Nazionale, proibizione delle manifestazioni fasciste (come il 12 aprile 1973 a Milano), arresto degli uomini del Mar. La destra tentò di reagire sfoderando nuovamente la stessa arma, quella del terrore stragista (Brescia, l’Italicus, Savona di nuovo Brescia), ma tutto ciò  gli si rivolterà contro: gli attentati ( dichiaratamente di destra, questa volta) non puntavano più a depistare ed a creare un finto pericolo di sinistra, ma ad intimidire. L’intimidazione era rivolta contro sia contro le sinistre che contro lo stesso potere governativo, facendo balenare la minaccia di una guerra civile combattuta con le armi dell’Oas. Ma il disegno era velleitario: la sinistra non si lasciò impaurire e regì con durezza ma, soprattutto il potere seppe usare com impareggiabile destrezza gli avvenimenti, dirigendo l’ondata di paura contro la destra e per giustificare la sua politica di apertura al Pci.

Paura e potere sono spesso stati complici: secondo Svetonio, il detto preferito di Caligola era “Oderint dum metuant” (“Odino pure, purchè temano”), il ceto politico democristiano seppe far di meglio: usare la paura per attirare l’odio sui suoi avversari e, bilanciando odio e timore, far durare il proprio potere.

Aldo Giannuli, 27 luglio ’09

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Aldo Giannuli

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Commento

  • Grazie per avere citato il film di Costa Gavras. Me lo procurerò il prima possibile così potrò vedere la rievocazione
    filmatografica dei fatti storici dell’epoca.

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