India: Modi vuole essere il “gendarme del mare”

Da New Delhi, Daniele Pagani. Altro giro insulare per il premier Indiano Narendra Modi che la settimana scorsa è partito alla volta di Mauritius, Seychelles e Sri Lanka. Senza dubbio la tappa più attesa era la vicina isola del sud che non riceveva la visita di un primo ministro indiano da 28 anni, da quando Rajiv Gandhi fu aggredito in aeroporto durante l’ispezione alla Guardia d’Onore (il filmato dell’epoca merita).

Ultima tappa del tour è stata a penisola di Jaffna, nel nord dell’isola, per anni epicentro della guerra civile e quartier generale del territorio controllato dalle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE).

Negli anni del conflitto molti degli abitanti di etnia Tamil hanno preferito abbandonare questi luoghi dilaniati dalle ostilità in favore delle più sicure coste meridionali. Con la pacificazione del 2009 il flusso ha cominciato ad invertirsi e sono in molti ad aver deciso di ritornare nelle loro zone d’origine trovandole spesso danneggiate o distrutte. L’allora Primo ministro indiano Manmohan Singh – forse su pressione/minaccia dei grandi partiti dravidici del Tamil Nadu, regione d’origine della migrazione indiana verso l’isola – decise di investire 270 milioni di dollari nella costruzione di 50 mila abitazioni destinate ai profughi Tamil. Modi è il primo Premier indiano a visitare Jaffna e ha scelto di farlo proprio visitando alcune di queste abitazioni ed incontrandone gli abitanti. Un gesto dal forte valore simbolico che ha ottenuto sulla stampa nazionale l’attenzione – probabilmente – desiderata.

Obiettivo principale della vista, questa volta, non sembrano essere stati gli affari – di cui si è parlato poco o niente – quanto piuttosto la dimostrazione della volontà di riprendere in mano relazioni da troppo tempo trascurate. Una noncuranza di cui Pechino è stata capace di approfittare negli ultimi anni, impiantando nell’isola il porto oceanico di Hambantota, fondamentale punto di scalo delle grandi navi cargo provenienti da Hong Kong (tempo fa ne scrissi qui).

Più concreta e meno simbolica la visita alle Isole Seychelles a cui verrà donato un velivolo Dornier, utile nel controllo marittimo e nell’eventuale trasporto di personale. L’India, inoltre, prenderà in “affitto” – questo il termine utilizzato nell’accordo – l’Isola di Assumption con l’obiettivo di svilupparla e costruire non meglio specificate infrastrutture.

Il premier indiano non si è presentato a mani vuote nemmeno alle Mauritius, dove ha presieduto la cerimonia di consegna della litoranea d’attacco veloce Barracuda, un’imbarcazione specializzata nel pattugliamento costiero. Modi ha reso pubblica l’intenzione di contribuire al miglioramento dei collegamenti con la piccola isola esterna di Agalega, così da “migliorare le condizioni degli abitanti” e la “capacità delle Forze di Sicurezza delle Mauritius di salvaguardare i loro interessi”. È da diverso tempo che il governo indiano lavora sulla possibilità di “mettere un piede” su questa piccola isoletta che, situata a 1100 Km da Mauritius è la più vicina alle coste indiane.

Questo giro di visite dimostra chiaramente la volontà del nuovo governo di recuperare centralità nell’Oceano Indiano, sempre più attraversato da navi cargo battenti bandiera cinese che transitano e sostano nella rete portuale strategicamente sviluppata da Pechino. L’obiettivo principale di Narendra Modi non sembra essere però il dominio delle rotte commerciali – anche perché, oggettivamente, a questo punto la Cina è un avversario imprendibile – quanto piuttosto il monopolio della sicurezza e la conquista del ruolo di “gendarme oceanico” contro ogni minaccia, in primis il terrorismo.

In questo campo la gara è ancora aperta ed è l’India ad occupare il primo posto in classifica. Mauritius e Seychelles, nonostante le ridotte dimensioni, ricoprono un ruolo importante in questo progetto: sono l’anello di congiunzione di una catena di avamposti marittimi che parte dalla stazione di monitoraggio indiana nel nord del Madagascar, passa per le Maldive e termina alle Isole Andamane. Una barriera che permetterebbe alla Marina di Delhi di riuscire a controllare e a tracciare la maggior parte dei navigli in transito in questa zona.

Da New Delhi, Daniele Pagani
@paganida

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Aldo Giannuli

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Comments (2)

  • Gentile Professore, si potrebbe aggiungere alle argute osservazioni del Pagani, che smorzano leggermente la Sua convinzione di una contesa tra India e Cina, sembrano confermare un tacito accordo fra India e Cina per la sorveglianza del tratto di mare tra la costa africana orientale e quella indiana occidentale. Su quest’ultima si dovrebbe vedere infatti la nascita di un paio di nuove infrastrutture portuali per container, una per i traffici con Somalia, Kenya e Tanzania (Ankola, in progetto nello Stato del Karnataka) ed una per quelli con Madagascar, Sudafrica e Capo di Buona Speranza (Vizhinjam, in progetto nell’estremo lembo meridionale dello Stato del Kerala). Ecco perché rispettivamente le isole Assumption, Mauritius e Agalega (questa fino a oggi è stata fuori da tutte le rotte) hanno assunto un’inaspettata importanza. Comunque nell’accordo il porto di Mumbay (Maharashtra) resterebbe interessato dai traffici con il Golfo Persico e Suez, mentre quello di Kochi (Kerala) con il Mozambico. Questa ripartizione del traffico è concepita al fine di ridurre al minimo il costo di navigazione delle merci potendo già disporre di una rete ferroviaria litoranea a doppio binario.
    La struttura commerciale in Africa pullula già di indiani, che la gestiscono molto gelosamente. Le merci, che i citati porti potrebbero scambiare con il vicino continente nero, potranno provenire o essere destinate alla Cina attraverso la nuova ferrovia panasiatica ultra veloce in programma nella Birmania settentrionale, più volte qui ricordata, senza dover più circumnavigare la Malacca od eventualmente tentare il passaggio attraverso lo Stretto della Sonda.
    La visita di Modi a Jaffna sembrerebbe finalizzata anche ad ottenere il consenso finale per il dragaggio dello Stretto di Palk che separa il subcontinente dall’isola di Ceylon e che permetterebbe una più sicura protezione per la marina militare indiana ed un notevole risparmio di circumnavigazione (600km) in caso questa debba spostarsi velocemente dal Golfo del Bengala al Mare Arabico e viceversa: il pattugliamento infatti dovrà essere efficace su entrambi i mari per “garantire il buon funzionamento” di tutta la nuova linea ferroviaria panasiatica.
    Ovviamente gli USA non staranno a guardare, anche riguardo al mercato africano, la fine del loro privilegio valutario, cioè l’emissione di moneta con un comando elettronico, a fronte di merci prodotte con sudore e sacrifici da color che, come gli asiatici, per spenderla, finora se la sono dovuta prima acquistare. Se i “pirati” dovessero fallire su questo tratto di mare, 22 portaerei “serviranno pure a qualcosa”.
    Aspetto altrettanto “importante”, il potere di acquisto della moneta americana “deve essere mantenuto ad ogni costo” altrimenti i tesoretti di vassalli, valvassori e valvassini si deprezzerebbero quel tanto da comprometterne l’ubbidienza ovunque.
    Poveri marò, se sapessero che sono stati consegnati alle autorità indiane per fungere un domani da uno dei tanti casus belli in preparazione …

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