India: finanziaria di armi e di sviluppo
Da New Delhi, Daniele Pagani. Sono in molti ad aspettare il fine settimana a Delhi, desiderosi di godersi una breve pausa nella monotona vita dell’impiegatizio. Questo vale in generale, ma specialmente per questo fine settimana. Alle undici di sabato, il Primo Ministro Narendra Modi presenterà al Parlamento lo Union Budget per l’anno 2015–2016, il secondo del suo governo. Come in ogni finanziaria che si rispetti le aspettative dei ministeri sono alte e tutti sperano di ingrandire la porzione nel piatto. A giudicare dalle recenti dichiarazioni, però, sembra che a questo giro sarà il Ministro della Difesa Manohar Parrikar ad aggiudicarsi il “boccone del prete”.
Meno di due settimane fa si è svolto nella metropoli di Bangalore – aka Silicon Valley of India, un gingillo da nove milioni di abitanti con tassi di crescita annui sopra al 10 per cento – lo show biennale Aero India, evento in cui l’aviazione militare indiana mostra i muscoli prodigandosi in acrobazie e dimostrazioni di potenza. L’appuntamento, aldilà dell’aspetto ludico, è soprattutto una fiera commerciale in cui le grandi case produttrici di tecnologia bellica – private, pubbliche, straniere e autoctone – si incontrano e stipulano affari. Durante il discorso inaugurale Modi ha sottolineato la necessità improrogabile di un massiccio investimento pubblico nel settore della difesa, con l’obiettivo di affrancarsi dalla tradizionale dipendenza dall’estero.
Delhi è, ad oggi, il maggior importatore di armamenti: secondo dati forniti dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) il 12 per cento delle armi vendute al mondo approda in territorio indiano. Circa il 60 per cento del potenziale bellico del Paese arriva da oltre confine, uno shopping dal valore di 12 miliardi di Euro negli ultimi tre anni: circa il triplo delle importazioni cinesi. “Se riuscissimo a portare la produzione bellica nazionale dal 40 al 70 per cento annuo nei prossimi cinque anni, riusciremmo a raddoppiare il ricavato e ad assumere 100 mila lavoratori qualificati”, ha dichiarato Modi alla platea di industriali. Il Premier, lamentando il fatto che l’India non riesca nemmeno ad autoprodursi il gas lacrimogeno di cui necessita, ha sottolineato come una forte produzione nazionale di armamenti sia motore di prosperità oltre che di sicurezza. Le armi sono un settore che funziona sempre, un investimento sicuro: più armi significa più denaro che significa più posti di lavoro.
Gli investitori esteri non devono però preoccuparsi, è lo stesso Modi a rassicurarli: “l’India, grazie alla sua modesta, ma tecnologicamente avanzata industria bellica e grazie alle competenze ingegneristiche, può aiutare ad abbattere i costi manifatturieri trasformandosi in una base ideale per costruire armamenti da esportare in terzi paesi”. Un’affermazione in piena linea con la campagna Make in India, cavallo di battaglia di Narendra Modi: invitare le grandi multinazionali a delocalizzare la loro produzione in territorio indiano avvantaggiandosi di bassi salari, pochi diritti dei lavoratori e di un cambio monetario favorevole. Fate in India e vendete dove volete, recita lo slogan.
Il Primo Ministro non ha risparmiato critiche all’impresa pubblica, accusata di aver fatto troppo poco negli ultimi anni per favorire una produzione nazionale. Modi ha sottolineato come sia stata proprio la mancanza di spinta propulsiva a fargli decidere di aumentare la quota di investimenti esteri diretti nel settore della difesa dal 26 al 49 per cento. Una cifra comunque troppo bassa per essere realmente efficace: difficile pensare che aziende estere mettano a disposizione brevetti, competenze e tecnologie belliche all’interno di progetti in cui sono soci minoritari. Gli eventuali investimenti governativi non saranno più diretti alle sole imprese pubbliche, ma coinvolgeranno appieno anche i privati interessati. Il governo starebbe lavorando per creare un consistente fondo per lo sviluppo tecnologico che potrebbe coprire fino all’80 per cento degli investimenti di aziende che si propongono di sviluppare prototipi in territorio nazionale.
L’eventuale iniezione di denaro nelle casse del Ministero della Difesa potrebbe interessare da vicino alcuni stati asiatici con cui Modi ha migliorato e approfondito le relazioni negli ultimi mesi (ne avevo scritto qui). Vietnam e Giappone, per esempio, sono da un pezzo ai ferri corti con Pechino e stanno dichiaratamente tentando di diversificare i loro approvvigionamenti bellici, troppo dipendenti dalle esportazioni cinesi. L’India potrebbe rispondere a questa domanda offrendo una valida opzione sia in materia di acquisti sia in materia di collaborazioni. Movimenti in questa direzione già ne esistono: solo nel settembre scorso, Modi accordava una linea di credito di 100 milioni di dollari al governo vietnamita per l’acquisto di forniture militari. Si tratta ovviamente di progetti a lungo termine, i cui risultati economici saranno visibili soltanto nel lungo periodo.
Le intenzioni di Modi sembrano muoversi, almeno a giudicare dall’assenza di spazi critici sui principali media indiani, in un’atmosfera di consenso generale. C’è da chiedersi se lo stesso favore – e denaro – verrà riservato a progetti sicuramente meno remunerativi, ma fondamentali per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini indiani. Tanto per citarne alcuni: modernizzazione e democratizzazione dell’istruzione pubblica, estensione del welfare sanitario, programmi di sensibilizzazione di genere e lotta allo sfruttamento minorile.
Da New Delhi, Daniele Pagani
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Arturo Gemmabella
Grazie, per l’informazione Aldo, mi convinci sempre di più !Semmai, ve ne era ancora bisogno !E’ bello, incontrare persone che “ragionano”, col proprio cervello.Grazie, per la tua consapevolezza, di come aiuti chi prova piacere nel convincersi sempre , di più, forse un giorno ci ringrazieremo a vicenda in un ALDILA’, difficile da comprendere bene su questa TERRA !. Mi\vi, auguro che ci sia ! Ciao, è buon fine settimana !. Se, ti può interessare, stò ascoltando musica e scrivo, come la tua presenza ! SCRIVERE .
Paolo Federico
Daniele Pagani e se il secolo asiatico fosse in concreto solo la distruzione di ciò che di profondamente orientale c’è in quelle terre?
Trovo il tuo articolo interessante e deprimente.
Al netto di esotismi e falsi miti, esiste ancora la grande cultura tradizionale indiana?
Ha ancora una qualche influenza sulla vita di questa nazione?
C’è , in tutto questo, almeno un pensiero che si oppone, che resiste?
Gherardo Maffei
P,Federico, temo chge Pagani, pur soggiornando in India, sia saturo,ebbro, imbevuto fino al midollo, di un letale e distruttivo veleno dato dall'”occidentalismo”, tanto da impedirgli di cogliere la vera essenza dell’induismo. E’ assolutamente necessario fare una sorta di igene mentale preventivo, prima di approciarsi all’India, Quindi sarà indispensabile studiare un autore rumeno, che negli anni trenta soggiornò in India, lo studioso metafisico Mircea Eliade, che fu in corrispondenza con l’italiano Julius Evola. Ma ci furono anche altri due italiani che soggiornarono a lungo in India conoscendone l’immensa cultura, entrambi meritevoli di essere studiati Giuseppe Tucci e l’israelita psicanalista Emilio Servadio, che nel dopoguerra in piena epoca di criminalizzazione, ebbe parole di stima e difese Evola.
Daniele Pagani
Paolo Federico, rispondo in ritardo ma molto volentieri.
Certo che esiste ancora la grande cultura tradizionale indiana. È viva, vegeta e presente nella quotidianità della assoluta maggioranza dei cittadini di questa nazione. È impossibile capire l’India senza capirne il lato religioso e spirituale, quantomeno non la società indiana. Come tutte le grandi culture di derivazione religiosa ha i suoi lati positivi e negativi ed i rispettivi agenti che se ne fanno carico. Da un lato, per esempio, abbiamo le strutture dei templi che nutrono qualsiasi essere umano (anche noi due) si presenti alla loro porta e dall’altro la Rss (avevo scritto un articolo qui se ti può interessare: http://aldogiannuli.it/india-scuola-hindu-nazionalismo/) che appiattisce la religione al nazionalismo creando così pericolose divisioni interne. La vita di questa grande nazione è scandita dalla sua cultura, a partire dal quotidiano fino ad arrivare ai grandi eventi nazionali.
Per quanto riguarda il pensiero di opposizione la risposta dovrebbe essere certamente più lunga di quella che ti posso dare qui. Se intendi opposizione allo sviluppo degli armamenti mi duole dirti che non esiste un pensiero contrario che abbia peso. I cittadini indiani sono fortemente nazionalisti quando si tratta di sicurezza e difesa e nessuno si sognerebbe mai di contestare la necessità di rimpinguare l’arsenale bellico. Del resto (questa la loro mentalità), il nemico pakistano (o cinese) è sempre alle porte.
Tutto questo, soprattutto il rapporto tra politica/religione/tradizione/società meriterebbe un corso di studi, spero di averti però dato qualche pillola.
Cordiali saluti