In ricordo di Franca Rame

Oggi avrei voluto scrivere del risultato delle amministrative e delle dinamiche che esso apre, ma lo farò domani. Oggi non posso parlare che di Franca Rame. La prima volta che la vidi in teatro fu a Bari, per uno spettacolo organizzato dalla “Comune” (l’associazione di cultura dell’estrema sinistra che, nella mia regione, era gestita dal Circolo Lenin di Puglia), si intitolava “Tutti uniti, tutti insieme, scusi ma quello non è il padrone?” ed era dedicato all’occupazione delle fabbriche del 1920. Si trattava di una trasparente analogia con i primi anni settanta: dietro le spoglie del Psi e di Turati non era difficile intravedere il Pci e Berlinguer, accusati di moderatismo ai limiti del tradimento, mentre la minoranza comunista  era chiaramente riferita ai gruppi maoisti del tempo, che avrebbero evitato l’esito catastrofico del 1922 e portato il popolo italiano alla rivoluzione.

Il testo non era affatto un granché, aveva un tono comiziale  ed apparteneva al periodo meno felice della produzione di Dario Fo, ma gli interpreti riuscirono lo stesso a farne uno spettacolo di notevole qualità. Se la memoria non mi inganna, c’era anche uno scatenato Paolo Ciarchi, ma la colonna dello spettacolo fu lei, Franca Rame, nella parte di Antonia, la protagonista femminile.  All’epoca lei aveva 40 anni ed era al massimo del suo fascino, ma quello che impressionava era la sua presenza di scena: avrebbe potuto recitare in chiave drammatica o comica qualsiasi cosa, anche il menù del ristorante, e l’avresti applaudita comunque.

Qualche anno dopo la rividi in televisione con Dario Fo in “Mistero Buffo”. Poi seguii le varie iniziative politiche (oltre che teatrali) della coppia, ma, dal punto di vista strettamente politico era più lei ad esporsi che il marito, così come accadde per il “Soccorso Rosso” che attirò su di loro l’attenzione dei servizi di sicurezza che giunsero a prendere sul serio una “soffiata” che indicava Dario nientemeno che come il vero capo delle Br.

Nei primi anni ottanta tentai di organizzare nella mia facoltà un convegno sulla repressione e la contattai telefonicamente. Lei fu disponibilissima come sempre, ma non se ne fece nulla perché il Preside, prof Dell’Andro (parlamentare Dc, già sottosegretario alla Giustizia per parecchi anni) non ne volle sapere. Dell’Andro era un persona molto aperta e disponibile e lo ricordo con molta simpatia, ma quella volta era semplicemente terrorizzato dall’idea di trovarsi nell’occhio del ciclone, con un personaggio come Franca Rame nella sua facoltà. Avremmo potuto fare la cosa da un’altra parte, ma non avrebbe avuto lo stesso valore politico che farla nella facoltà di Giurisprudenza, con l’adesione della Camera Penale ecc. per cui non se ne fece nulla.

Parecchi anni più tardi, lavorando nell’archivio della Polizia di Prevenzione trovammo il fascicolo relativo al suo rapimento ed alla violenza subita dai fascisti nel 1973; dento c’erano anche le sue lenti –di cui ricordo la montatura bianca- che erano state ritrovate per strada. Gianmaria Bellu, di Repubblica, chiese allora (ed ottenne) una chiacchierata a casa Fo con i due coniugi, me presente (c’era anche Jacopo) di cui poi uscì un’intera paginata sul giornale. Fu in quella occasione che conobbi i due per così dire “da vicino” e da allora restò un rapporto molto cordiale soprattutto con Lei, che era il mio tramite per arrivare a Dario; come nel giugno 2004 quando lanciammo un appello contro una delle uscite più squalificanti di Berlusconi che dette del “kapò nazista” al capogruppo della Spd al Parlamento europeo. E mi aiutò anche quando cercammo di fare una campagna in difesa dei 40 giovani dei centri sociali milanesi, arrestati per i fatti dell’11 marzo 2006.

Una delle volte che mi capitò di andare a casa Fo, ricordo che ero in compagnia di uno dei ragazzi che lavoravano con me in quel periodo, una persona decisamente timida, che restò muto ed impietrito in presenza del “premio Nobel”  che dovette sembrargli un mostro sacro. Franca se ne accorse e con un tatto straordinario gli rivolse la parola e riuscì a metterlo a suo agio, coinvolgendolo nella conversazione. Ammirai una volta di più la sua sensibilità femminile.

Poi ricordo un 25 aprile in cui la incontrai in piazza alla manifestazione, insieme a Dario: era stata colpita dal primo ictus qualche mese prima e mi accorsi che fece fatica a riconoscermi. Mi si strinse il cuore perché capii che avevamo iniziato a perderla. Ebbe una ripresa e partecipò ancora ad iniziative pubbliche, come un 12 dicembre al teatro dal Verme dove la sua comparsa venne salutata da un applauso fortissimo. Ancora tornai a sentirla ed ancora non mi negò la sua solidarietà militante per altre occasioni. Nel 2009 collaborai con la Guanda nel mettere a posto le memorie di Dario (che per certe cose è davvero un po’ smemorato e fa pasticci con date e nomi). Dopo, man mano non ebbi più occasione di sentirla. Oggi la notizia che, nonostante tutto, mi è riuscita inattesa e dolorosa: una persona come Franca Rame non si riesce a pensarla che viva.

Ciao Franca.
Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (5)

  • Bello. Grazie Aldo. Mai conosciuti personalmente, ma gli artisti e chi si prodiga per gli altri non han bisogno di questo per farsi amare. A me colpisce, una volta di più, la grande umanità di Dario Fo; anche in questa circostanza non ha smesso di sorridere alle persone accorte alla camera ardente, e persino il suo commento, addolorato (“tante come lei? me ne basterebbe solo un’altra così”) è bello perché è straordinariamente sincero e non retorico.
    Andrea

  • Bellissima testimonianza. Ricordo di aver visto “Il Fanfani rapito” alla palazzina Liberty, avevo 20 anni e mi colpì molto una coppia di persone adulte molto borghesi che assistevano un po’fuori posto alla spettacolo. Mi è sempre rimasto nella testa la Milano di allora, ricca di fermenti culturali, che riusciva a coinvolgere persone di tutte le categorie sociali, una città che avrebbe potuto diventare davvero la capitale della cultura, invece di essere il negozio della moda internazionale che è diventata adesso.

  • “Picasso desnudo” racconterà anche di questa genialità prolifica di Picasso che in 90 anni di vita si è inventato come artista e come uomo numerose volte. “Picasso aveva un amore straordinario per la pittura italiana e anche per il nostro teatro. – sottolinea Fo – Era un appassionato delle maschere del Teatro all’Italiana, tanto che ha riprodotto più volte nei suoi dipinti i personaggi della Commedia dell’Arte a cominciare da Arlecchino che ha riprodotto in tutte le forme, e nelle situazioni più disparate. Poi c’è la passione di Picasso per Raffaello, gli amori del Maestro di Urbino con la sua Fornarina, che lui porta verso un erotismo esasperato. Picasso ha realizzato centinaia fra quadri e incisioni sul tema del sesso, dell’amore con gusto ironico e grottesco quasi da pochade (genere di commedia, nata a Parigi nel XIX secolo, strutturata su canovacci di vicende amorose, intrighi e colpi ad effetto, NdB)”. In fondo il lavoro che Fo e Rame fanno in queste loro lezioni d’arte consiste proprio nell’aprire nuove porte nel racconto e nel disvelamento degli artisti, come si era già visto in quelle sui grandi del Rinascimento da Leonardo, a Mantegna, a Caravaggio che sono stati tolti dalla leggenda e ritrasportandoli nel loro tempo e nella loro storia. “Picasso, per esempio, è interessante anche dal punto di vista politico – conclude Fo – e non solo per un quadro come Guernica. È stato uno dei pochi personaggi illustri coerenti durante il franchismo: aveva dichiarato che non sarebbe mai tornato in Spagna finché il regime non fosse stato definitivamente deposto. E così ha fatto”.

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