Il paradosso americano
Spesso si sente: “Ma visto che sono così in crisi, gli americani non potrebbero tagliare le spese militari?”. In effetti, il bilancio degli Usa devolve un po’ più del 19% alle spese militari, ma si tratta di una stima inferiore alla realtà, perchè una parte considerevole delle spese militari è “spalmata” su altre voci del bilancio (esattamente come fanno i cinesi): ad esempio è noto che buona parte delle spese per Ricerca & Sviluppo
(58 miliardi di dollari) è destinata in gran parte (40 miliardi di dollari) a progetti di interesse militare, così come lo è una parte dei fondi per “missioni umanitarie” (5% circa del bilancio). Inoltre, frazioni limitate ma non trascurabili delle voci di spesa per i trasporti, telecomunicazioni, ecc. hanno impiego militare.
Parte dei costi delle missioni (come ad esempio la tutela e manutenzione degli impianti, l’impiego di Compagnie Private Militari o di imprese private per la logistica, l’equipaggiamento ecc) è in parte assorbita da altre voci del bilancio.
Infine una parte della spesa pensionistica dello Stato è assorbita dalle pensioni per veterani, mutilati, invalidi, orfani e vedove delle missioni di guerra o di polizia internazionale, il che costituisce una forma di spesa militare differita.
Tutto ciò considerato, non è esagerato stimare la spesa militare complessiva fra il 33 ed il 35% reale del bilancio.
D’altro canto, pur considerando le sole voci dirette, è noto che, dopo il collasso dell’Urss, la spesa militare americana si è aggirata intorno al 50% di quella mondiale (oggi è al di sotto di questa soglia, ma non di moltissimo) e questo significa che gli Usa spendono per le loro Forze Armate più o meno quello che spendono tutti gli altri messi insieme.
Beninteso, se anche gli Usa dimezzassero questa voce della loro spesa, il buco di bilancio che è del 38% annuo non risulterebbe colmato e la situazione debitoria sarebbe ugualmente senza speranze. D’altro canto, una parte non piccola di quella spesa torna sotto forma di ricavi per il commercio di armi (una delle pochissime voci attive della bilancia commerciale americana). Comunque, una bella sforbiciata alla spesa per l’Esercito rappresenterebbe una bella boccata d’ossigeno per il bilancio degli Usa.
Ma il problema è tutto politico: dopo la fine dell’Urss, gli Usa sono rimasti l’unica super potenza mondiale (intendiamo per super potenza uno stato in grado di intervenire militarmente da solo e in qualsiasi parte del mondo). Tuttavia, molto prima del previsto sono emerse nuove grandi potenze (intendiamo con questa espressione stati che esercitino egemonia nell’ambito di una ampia regione mondiale e che siano dotati di armamento strategico nucleare) come Cina, India, Russia e per certi versi Brasile e Sud Africa (privi di armamento nucleare). Inoltre alcune medie potenze regionali (Pakistan, Iran, Argentina, Francia, Inghilterra) sono in possesso di armi nucleari ed altri paesi (Iran, Corea del Nord) si accingono a dotarsene.
Tutto questo crea una ulteriore spinta nella corsa agli armamenti sia per effetto della concorrenza reciproca fra i vari emergenti (si pensi ad India e Pakistan), sia per la sfida tacita fra gli Usa e le altre grandi potenze). Il punto è questo: se gli Usa vogliono restare in grado di proteggere i loro interessi (legittimi e no) in tutto il mondo, non possono rinunciare alla forza proiettiva che gli viene da un enorme apparato che conta complessivamente quasi 3 milioni di uomini di cui 1 milione nelle 745 basi all’estero (e dunque pagati con indennità di missione), 6 flotte con 13 portaerei e 9.000 aerei.
Tutto questo, se da un lato rappresenta un costo sempre meno sostenibile, dall’altro è la migliore garanzia per il debito aggregato americano: se i bond americani sono ritenuti ancora credibili da larghe fette di investitori, se il dollaro può ancora respingere (sempre più debolmente però) gli assalti alla sua posizione di moneta internazionale e, quindi, spalmare gli effetti del suo deprezzamento sugli altri, tutto questo è possibile in gran parte grazie all’esistenza di questa forza armata.
Detto ciò, cosa pensereste se qualcuno vi dicesse che l’esercito americano è fra i più inefficienti del Mondo? Forse la cosa vi sembrerebbe una enormità neppure degna di una risposta, o forse che si tratta solo di una provocazione, una frase ad effetto. Molto probabilmente pensereste ad una affermazione avventata o, almeno, un po’ tirata per i capelli.
Eppure, le cose stanno semplicemente in questo modo: si dice che qualcosa è efficiente se ottiene dei risultati con il minimo di spesa, risorse e tempo necessari. Dunque, l’efficienza è misurabile confrontando il risultato ottenuto (spesso espresso in percentuale rispetto al risultato ideale, che rappresenta il 100%) e la spesa complessiva, comparando il risultato con quello degli altri elementi di paragone.
Dopo la II Gm, gli Usa hanno combattuto 6 guerre (Corea, Viet nam, Guerra del Golfo I, Kossovo, Afghanistan, Guerra del Golfo II), più una serie di interventi militari minori (Panama, Grenada, Guatemala, Santo Domingo, Somalia ecc.). Delle sei guerre, tre (Corea, Kossovo, Golfo I) si sono concluse perseguendo il risultato prefisso (ma, almeno la guerra di Corea, potrebbe anche essere considerata una sorta di “pareggio” con il ritorno alla linea di demarcazione iniziale), una (Viet Nam-) è terminata con una sconfitta pesantissima, due (Afghanistan e Golfo II) sono in corso, ma nulla lascia presagire un esito positivo. Peraltro si tratta delle due guerre più recenti e costose: per il Viet Nam gli Usa spesero 600 miliardi di dollari, cifra ampiamente superata da ciascuna delle due guerre in corso. D’altra parte, se anche gli Usa riuscissero a concludere questi conflitti in modo positivo per loro (e non si vede come) lo scontro sarebbe già perso sul piano strategico. Infatti, il progetto “per un nuovo secolo americano” (e la Rivoluzione degli Affari Militari da cui traeva origine), presupponeva la capacità di intervenire in qualsiasi parte del mondo, ma a condizione di concludere l’intervento in tempi assai brevi (mesi, non anni) in modo da essere pronti ad intervenire in qualsiasi altra località. In Iraq ed Afghanistan gli Usa sono rimasti impantanati rispettivamente per 8 e 10 anni, esaurendo la propria capacità finanziaria. E la fiacca partecipazione al conflitto libico conferma questa ritrosia di fronte al rischio di trovarsi impegnati in un’altro conflitto di lunga durata.
Come si vede, nella più favorevole delle ipotesi, il tasso di successo dell’esercito statunitense non supera il 50%. Che è un po’ pochino per l’esercito più costoso del Mondo. Un po’ più di fortuna hanno avuto gli interventi minori, ma solo con avversari militarmente insignificanti come Panama o Grenada e talvolta con conseguenze molto diverse dalle aspettative (come nel caso somalo).
Tuttavia, il tasso di efficienza di un esercito -in particolare nell’epoca della guerra fredda- non va valutata solo sul piano delle guerre aperte, ma anche su quello della deterrenza e del conflitto virtuale. Da questo punto di vista, l’apparato militare Usa ha ottenuto il suo migliore successo nello scontro con l’Urss, fermandone la spinta espansiva, prima, e provocandone indirettamente il crollo, in un secondo momento, proprio con una competizione sugli armamenti che ha segnato la rovina dell’Urss. Ma dal 1991, paradossalmente, la capacità deterrente degli Usa è andata calando, man mano, per arrivare all’attuale situazione di sfida non solo da parte di nuove potenze come la Cina, ma anche di paesi di assai minor peso militare come Corea ed Iran. Un segnale di questa diminuita capacità di influenza internazionale ci sembra anche la grande freddezza con la quale Israele ha accolto la proposta di Obama (di fatto caduta nel vuoto) di una pace sui confini del 1967.
Peraltro la cosa è del tutto spiegabile: la deterrenza è funzione anche dei risultati ottenuti sul campo ed, almeno dal 2003, i risultati sono stati sempre meno favorevoli. L’esercito americano si è rivelato assolutamente inadatto a fronteggiare la guerra asimmetrica, inoltre, il sopraggiungere della crisi ha reso evidente a tutti la difficoltà concreta, per gli Usa, di sostenere un’altra guerra dal punto di vista finanziario.
La guerra di Libia, peraltro sta minando un’altro caposaldo dell’egemonia militare americana, quello per cui l’assoluto controllo del cielo sia sufficiente a vincere una guerra senza dover scendere a terra (come era accaduto in Kossovo): a distanza di quasi cinque mesi, le aviazioni congiunte di Francia, Inghilterra, Usa, Italia, Danimarca ed altri, non sono riuscite a battere Gheddafi, e anche se questo accadesse nelle prossime settimane, il risultato avrebbe comportato uno sforzo eccessivo (sinora oltre 12.000 missioni aeree).
Ricapitolando: l’attuale apparato militare americano è ancora l’esercito più forte del mondo, in grado di battere in scontro aperto qualsiasi altro esercito di un singolo paese o anche di una coalizione, ha ancora una assoluta supremazia tecnologica che gli assicura la massima capacità di colpire a qualsiasi distanza ed ha il controllo quasi assoluto della sfera in cui si muove il sistema satellitare, ma: è pensato in funzione di uno scontro con eserciti regolari ma risulta poco efficace in guerre di tipo asimmetrico, è troppo costoso e la sua efficienza è calante
Dunque, non c’è dubbio che per gli Usa ridimensionare il proprio esercito sia economicamente vantaggioso, mentre mantenere l’attuale situazione sia un onere sempre meno sostenibile. Ma non si tratta solo di una scelta economica: ridimensionare significativamente il proprio apparato militare significa rinunciare alla propria “missione” imperiale. L’Inghilterra dovette rinunciare al suo impero quando si rese conto di non avere più i mezzi per potersi consentire una marina a raggio mondiale. Gli Usa si incamminerebbero per la stessa strada e questo non sono ancora disposti a digerirlo. Anche perchè, ovviamente, questo comporterebbe il definitivo tramonto del dollaro come moneta di riferimento internazionale, con tutte le conseguenze che è facile immaginare. Una medicina molto amara che gli americani non vogliono ingoiare ma che sembra sempre meno evitabile.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, bilancio americano, crisi del debito, esercito degli stati uniti, guerra, spese militari, urss

reb
come sempre una lucida analisi.anche se credo che xla libbia non potevano fare di piu dal tronde un loro intervento piu diretto avrebbe infiammato il mondo dal magreb alla cina
ugo agnoletto
La Cina, volutamente, ha spostato la guerra con gli USA dal campo militare a quello economico risparmiando sugli armamenti e lasciando che gli USA si indebolissero spendendo in armi
pasquale
per assurdo sarebbe stato preferibile il mantenimento di un clima di guerra fredda, un sistema bipolare è sicuramente più controllabile di un sistema che veda l’attività di più attori dotati di arsenale nucleare e spesso di fragili o addirittura evanescenti democrazie. un pakistan o una corea del nord dotati di arsenale nucleare fanno molta ma molta paura.
l’errore degli stati uniti è stato l’aver affrontato la sfida con l’URSS come una competizione sportiva e non come una partita a scacchi da poter impattare forse sarebbe stato meglio aiutare sottobanco l’economia sovietica chiedendo in cambio una maggior attenzione ai diritti civili ed evitare che il crollo sovietico favorisse la genesi di decine di repubbliche ognuna con la sua brava arma nucleare.
verio massari
Tanto è vero che spingono sempre di più su droni e robot militari, il cui costo di sviluppo è alto, ma pur sempre molto minore del vero battlefield management. Non so chi ha detto in questi giorni che droni + lazzari sbandati sarebbero un “bel” modello libico da imitare e perseguire per il futuro…forse Mino. Ma quando si tratta di distruggere campi di oppio o fare antipirateria marittima, stranamente i droni rimangono (prevalentemente ) negli hangar!
steffa88
io ancora non capisco perché gli Stati Uniti si ostinino a mantenere delle basi in Europa (addirittura ampliare quella di Vicenza). La Guerra Fredda è finita e hanno alleati solidi in Europa e nel Mediterraneo. L’India è legata piuttosto saldamente a Washington, lo sarebbe di più in caso di uno strappo tra questa e Islamabad che si è sempre dimostrata inaffidabile. Può inoltre contare sull’appoggio di Giappone e Corea del Sud, mentre la Cina non mi sembra abbia mai avuto intenzioni egemoni, oltre a non avere un’esperienza militare di rilievo; sembra più interessata a che nessuno interferisca nei suoi affari, quasi una dottrina Monroe alla pechinese. In America Latina invece gli Stati Uniti stanno a mio avviso perdendo di influenza, ma potrei sbagliarmi. Sarò anacronistico, ma credo che attualmente gli unici a poter quantomeno infastidire gli US sul piano militare siano i russi, sia perché hanno armamenti propri (per quanto obsoleti rispetto agli US) sia soprattutto per esperienza militare e “mentalità” dominante
steffa88
a proposito, ricordo che tempo fa lessi un interessante articolo sull’argomento, posto il link http://epistemes.org/2011/06/10/aumentare-la-spesa-in-difesa-aiuta-leconomia/
Rosario
Concordo in pieno con l’analisi sulla necessità strategica degli USA di operare in tutti i settori geostrategici, fosse solo per mantenere buoni gli alleati un po’riottosi e i “nemici” commerciali. Per quanto riguarda l’efficienza nelle guerre asimmetriche, ritengo ( e le esperienze della guerra di Corea e del Vietnam sono un buon indizio) che in questo genere di guerra la componente “psicologica” e ideologica sulla giustezza del conflitto sia risolutiva. In sostanza oggi le motivazioni dei soldati americani non sono più sostenute da una forte componente emotiva: le motivazioni della carriera militare sono la ricerca di un lavoro pagato, la possibilità di ottenere la cittadinanza, il curriculum per l’ingresso in una università, la possibilità di essere accettati a livello razziale e direi anche di genere. Motivazioni troppo deboli per vincere guerre ideologiche come sono state le due guerre mondiali del secolo scorso. Tutto ciò porterà inevitabilmente a seguire un destino analogo a quello dell’impero romano (col quale gli USA si identificano) con soldati lasciati a guardia nel mondo come i romani lungo il vallo d’Adriano. Speriamo che i futuri barbari portino un’evoluzione nella società e un modello di sviluppo più efficiente di quello che stiamo vivendo. Un caro saluto a tutti.
steffa88
sono d’accordo Rosario, le motivazioni sono importanti, interessante l’analogia con i romani, anche se io sono più propenso a identificare nell’ostilità della popolazione occupata i motivi del fallimento: nella seconda guerra mondiale quando gli americani sbarcarono in Sicilia e in Normandia erano dei liberatori per italiani e francesi, in Vietnam, Iraq, Afghanistan la situazione è opposta. I nazi non avrebbero mai potuto combattere una guerriglia in Francia e in Italia perché invisi alla popolazione, al contrario degli americani, quindi privi di rifornimenti, appoggio logistico e psicologico; i viet cong e i talebani hanno goduto e godono dell’appoggio della popolazione, o comunque di una parte importante di essa, e possono quindi ingaggiare una guerriglia estesa, scontro in cui caccia da superiorità aerea, bombardieri stealth, carri Abrams, A10 e tutta la superiorità tecnologica americana non serve a niente, o comunque serve a poco
Angelo
Il ridimensionamento del suo esercito sullo scacchiere mondiale si porterà dietro il tramonto della ideologia liberista. Speriamo avvenga il più velocemente possibile.
Adriano
Nella Storia ogni Impero e civiltà ha avuto un inizio ed una fine.
Lo stesso sta accadendo adesso a noi “americanizzati”.