Il giudizio storico su Obama.
Obama sta entrando nell’ultimo anni della sua presidenza ed è tempo di un primo bilancio storico. Marc Bloch sostenne che i contemporanei hanno diritto ad essere i primi a scrivere la storia del proprio tempo.
Ovviamente, si tratta sempre di una storia diversa da quella che scriveranno le generazioni a venire: nessuno, come i contemporanei, sarà mai in grado di apprezzare le più sottili sfumature di linguaggio, le pieghe della mentalità, i particolari delle istituzioni e dell’economia, in una parola, il “colore di quel tempo”.
In compenso, i posteri godranno il vantaggio del distacco, conosceranno cose prima segrete, individueranno meglio le tendenze e lo stesso giudizio storico dei contemporanei sarà un pezzo della loro analisi. Dunque, due forme di conoscenza diverse ma non per questo una di maggior pregio dell’altra, ed in qualche modo, complementari.
Dunque, che giudizio possiamo iniziare a formarci di questa presidenza? Obama arrivò alla Casa Bianca in un momento certo non facile: la crisi finanziaria si era appena conclamata, la situazione in Iraq ed Afghanistan si era incancrenita, la crisi georgiana rivelava al mondo una Russia tornata potenza decisa a ripristinare la propria influenza di area e le olimpiadi di Pechino rivelavano una Cina in anticipo di circa venti anni sul ruolino di marcia immaginato. Ed il progetto monopolare americano entrava in crisi mentre sorgeva la sfida degli emergenti per un mondo multipolare. Obama promise l’uscita dalla crisi, la riforma della finanza, una cauta ripresa delle politiche di welfarestate (riforma sanitaria), una parziale redistribuzione della ricchezza ed una America sempre unica superpotenza, ma prima fra pari, insomma un progetto egemonico fatto di forza ma anche di consenso, a metà fra il mono-polarismo unilateralista di Bush e il progetto multicentrico degli emergenti.
Vediamo i risultati: la crisi ha superato il primo momento, per riaffacciarsi (prevalentemente sul versante europeo) nel 2010-11 ed, anche in questa occasione, il momento peggiore è stato superato, ma ora ci sono preoccupazioni per gli emergenti (Cina, Brasile, Russia), l’Europa tarda a riprendersi e gli stessi Usa registrano una ripresa ben lontana dal rimbalzo di altre occasioni, sostenuto dagli animal spirits del suo capitalismo.
Per certi versi la sensazione è che la crisi stia per diventare meno acuta ma endemica, per adagiarsi in una lunga stagnazione.
Peraltro, la riforma della finanza è restata in larga parte sulla carta e, sostanzialmente non se ne parla più, nonostante sia ormai vicina la scadenza del 2018 come data limite per la sua entrata in vigore. Ed il capitalismo raider ha ripreso vigorosamente le pratiche di sempre. Non solo il sistema è restato uguale, ma non è stato neppure riformato nei suoi aspetti più discutibili. Su questo piano siamo al punto di partenza.
La riforma sanitaria, che avrebbe dovuto assicurare cure gratuite a 46 milioni di americani si è rivelata il classico topolino partorito dalla montagna. Quanto alla redistribuzione della ricchezza, il divario fra ricchi e poveri ha continuato tranquillamente a crescere come prima, macellando il ceto medio.
Non pare che il registro della politica interna e della politica economico finanziaria esibisca un bilancio positivo, anzi direi che viaggiamo fra il tre e mezzo ed il quattro meno meno. In compenso, in politica estera, i risultati sono decisamente peggiori ed il voto è ancora più basso. Obama (unico caso di premio Nobel per la pace a futura memoria) fece ben sperare per le promesse di soluzione delle crisi mediorientali e, per la verità, andò anche un po’ al di là del segno con il discorso del Cairo in cui si sbracciò a rassicurare l’Islam che l’Occidente non è suo nemico, anzi è amico, anzi è disposto a portargli il caffè a letto. Va bene: un po’ di enfasi diplomatica. Dopo vennero le primavere arabe nelle quali non seppe bene cosa fare, e giocò male la carta libica, con il risultato di mettere in giro questa mina vagante di una Libia tribalizzata che –forse, insisto: forse- trova solo ora una qualche composizione. Poi il colpo di Stato in Egitto nel quale ha sostenuto i militari: possiamo anche capire che i Fratelli Musulmani erano peggio, ma così siamo tornati alla casella di partenza come nel gioco dell’oca. Poi la guerra civile in Siria, dove ha alternato minacce e blandizie senza ottenere nulla con le prime e peggiorando tutto con le seconde. Ad un certo punto (settembre 2014) sembrava che sarebbe intervenuto entro 48 ore, ma poi bastò una mezza mossa di Putin e non se ne parlò più. Nel frattempo, cercò una via di uscita onorevole da Iraq ed Afghanistan, ma non trovandola, si risolse ad un ritiro precipitoso e senza misure prudenziali. Risultato: trovarsi fra i piedi l’Isis contro la quale ha stimolato la nascita di una coalizione di paesi islamici che è l’alleanza più inutile della storia. Gli Usa dicono di fare una guerra aerea spietata all’Isis, ma le truppe fondamentalisti dilagano lo stesso.
Questo anche perché ha scelleratamente deciso di attaccare briga con la Russia per la questione ucraina nella quale protegge il governo fascistoide di una nazione inventata che rivendica il possesso di province da sempre russofone (come il Donbass) o semplicemente russe (come la Crimea).
Il tutto al prezzi di far saltare quel minimo di equilibrio fra potenze che si era creato. Non amo affatto Putin, ma in questa storia Obama si sta comportando come un cavallo ubriaco che non sa dove andare ma scalcia in tutte le direzioni.
Insomma, se dovessi scrivere il paragrafo a lui dedicato in un libro di storia, lo intitolerei “Il Presidente che non sapeva fare la guerra, ma non sapeva fare neppure la pace”.
Aldo Giannuli
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Herr Lampe
L’articolo è, come si suol dire, giustificato sale sulle ferite, soprattutto per chi – a sinistra – si era fatto prendere da un ingiustificato entusiasmo.
Ma, se consente, due punti mi pare manchino:
– la delusione tra aspettative suscitate e realtà. La vittoria di uan candidato presidente non bianco (Mein Gott!!!) rivelava, a prescindere dal losco figuro, una volontà di svolta, in ogni caso, radicale. E infatti oggi abbiamo Sanders che si dice socialista negli Usa, tipo bestemmiare in chiesa;
– sull’economia mi pare che la ripresa dipenda ancora dal polmone artificiale costituito dal QE, decisione presa prima della elezione di Obama e sula quale comunque il presidente non esercita un potere diretto. Ma posso sbagliarmi, per carità.
Per cui mi pare che il quadro abbia tinte ancora più fosche.
GherardoMaffei
Obama è un figlio autentico di questa era di totale decadimento occidentale; era del mitico “Tramonto dell’Occidente”. Chi meglio di un figlio meticcio di due razze diverse,poteva incarnare una era all’insegna del più macabro “cupio dissolvi”come l’attuale? Ora all’appello manca solo una suora sul Soglio Petrino poi il cerchio sarà completamente concluso. Mentre gli sprovveduti ed illusi occidentali,che sono la maggioranza che forma la cosiddetta opinione pubblica, che è di fatto la più irrazionale delle cose che esistono al mondo, continuano a masturbarsi cerebralmente il cervello, con cose ridicole e a corto raggio su Obama e sulla sua politica a corto respiro, sono incapaci di percepire la realtà. Costoro non si rendono conto che sono come l’ equipaggio e i passeggeri del Titanic , intenti a ballare al suono dell’orchestrina di bordo, mentre stanno colando a picco.La nemesi storica ci sta presentando il conto che sarà spaventosamente terrificante,mentre nessun presidente USA anche se di sangue misto, degna personificazione dell’estremo occidente, è in grado di salvarci. L’impero statunitense con i suoi fantocci europei è alla sua fine ampiamente meritata, altri imperi dall’Asia e dall’Africa ormai dilaganti ovunque, domineranno il futuro del globo terracqueo.
francesco cimino
Non rientra direttamente nel tema qui trattato, ma …quando scriverà un articolo su come, secondo lei, andrebbero reclutati i politici, su quali esperienze dovrebbero formarli?
Aldo Giannuli
una cosa per volta…
Roberto B.
Suggerirei concorsi pubblici per titoli ed esami.
E per gli idonei, un buon contratto a progetto, rinnovabile alla scadenza.
Oltre alla garanzia di avere di politici preparati, si otterrebbero anche notevoli risparmi in tempo e denaro: finalmente ci libereremmo di quell’inutile (e costoso) rito delle elezioni.
Viva Zapata!
Aldo Giannuli
chissà cosa ne penserebbe Emiliano Zapata
leopoldo
Aggiungerei anche un tirocinio nel salento a raccogliere pomodori con relativa paga, manovali nei cantieri edili e navali, cammerieri nelle pizzerie il fine settimana, ecc… C’è da chiedersi se l’effetto della reclusione per i politici produce qualche effetto(?) data l’abbondante quantità di esperienze fornite dai medessimi )-:-(
benito
“… come, secondo lei, andrebbero reclutati i politici, su quali esperienze dovrebbero formarli?..”
non so quale sarebbe il miglior criterio di scelta, ma so che se venissero scelti in maniera del tutto casuale, non potrebbero essere peggiori di come sono ora.
Questa volta concordo con Maffei sul fatto che gli attuali politici occidentali sono senza eccezioni mezze calzette, ma non certo per motivi razziali come crede lui, lo dimostra il fatto per per un meticcio Obama ci sono tanti quaquaraqua’ bianchi come Renzi, Merkel, Holland e Cameron etc…
Nell’attuale panorama politico i migliori leader sono quelli dei paesi emergenti con Putin in testa che sta dimostrando di avere la stoffa di grande statista, non solo ha riportato la Russia a contare nel mondo, ma ha avuto anche un ruolo pacificatore in tutte le crisi (Georgia Ucraina e Siria) cavalcate dall’occidente. So bene che Putin non e’ uno stinco di santo, ma questo e’ un altro discorso, nessun grande leader storico lo e’ mai stato.
Zerco
Vite parallele.
Negli stessi anni l’Italia ha avuto (come giustamente ha sempre osservato Giannuli) il peggior presidente della sua storia, gli Stati Uniti hanno avuto il loro.
Obama (Obomba per gli amici) è un Renzi più abbronzato (ci vuol fortuna) più bello (ci vuol poco) più elegante (ci vuole pochissimo), probabilmente meno intelligente e meno furbo, sicuramente meno vigoroso.
Come Renzi, è lì per mettere in mostra sé stesso e raccontare balle, tante e grosse, mentre il potere, dietro, dispiega le sue armi.
È il modo di raccontare balle la sola unica cosa che differenzia tra loro, oggi, i governanti dell'”Occidente” libero e gonfio di valori, ma mentre Obama le balle le racconta in modo da sembrare idee, Renzi le racconta in modo che sembrano proprio balle.
Nico Perron
Analisi giusta. Però non tiene conto dei candidati in campo, nella prima e nella seconda elezione: nessuno meno peggio di lui, direi. Né tiene conto della complessità della situazione internazionale, che si è andata arricchendo sempre più di imprevedibili contraddizioni. Il voto perciò, a me pare troppo severo. Nico Perrone
Giovanni Talpone
Non mi interessa difendere Obama, ma vorrei fare un’osservazione più generale, basata però su ricordi e non su dati di archivio: nelle democrazie occidentali, quando vince la Destra, spesso conquista la maggioranza assoluta del Parlamento, per cui può intraprendere un progetto coerente (che può essere disastroso) e lasciare un chiaro segno del proprio passaggio (in genere nefasto). Quando vincono i progressisti (non dico la Sinistra, perché questo non si è visto molto spesso), vincono quasi sempre con maggioranze risicatissime o addirittura costretti ad alleanze con segmenti della Destra, per cui anche le migliori intenzioni (ammesso che ci siano) vengono bloccate o svuotate o rimandate sine die. Il ricordo che ne rimane è inevitabilmente di confusione, incoerenza, scarsa incisività e accettazione nei fatti di alcune politiche decisamente di Destra. E’ solo un’impressione mia?
Roberto B.
Condivido, ma per motivi diversi dalla scarsa forza politica.
I progressisti, come la stessa parola suggerisce, dovrebbero innovare, far riforme e inevitabilmente andare contro l’establishment: processi lunghi e faticosi, con dubbi e ripensamenti sempre dietro l’angolo.
I conservatori, come dalla parola, vogliono conservare o, al più, innovare ma nel solco della tradizione; molti meno dubbi e ripensamenti, perciò, e sembrano sempre molto sicuri di se e delle proprie idee.
Ogni riferimento al nostro PdC ed all’ex PdR è venuto casualmente, ma calzante, direi.
Riccardo
Dimentica che il minimo affacciarsi di un governo di sinistra del tipo che oggi si chiamerebbe “radicale” (eufemismo per definire un governo che difende gli interessi delle classi lavoratrici o popolari), è stato quasi sempre prontamente annichilito. Lasciando da parte l’esempio dell’URSS (ma anche in quel caso abbiamo esempi di annientamento di chi proponeva un modello alternativo come la Maknovcina) ed eccezioni favorite dal momento storico particolare (la politica laburista inglese del decennio 1945-55), la Storia ci insegna che dalla Comune di Parigi fino ad Allende passando per il Fronte Popolare spagnolo del 1936, un modello alternativo al capitalismo che non derivi in una dittatura, è sempre crollato. Per opera di quali forze si fa presto a capire.
Pietro Speroni
È vero. Questo è un effetto collaterale dei valori della destra e della sinistra. E del modo di votare. Mi spiego meglio, a destra esiste il valore dell’uomo forte. E dunque hanno più facilità a essere tutti d’accordo su un leader. A sinistra amiamo la diversità. Di cultura, di opinioni. Ma questo porta ad avere tanti partitini e tante sottocorrenti per ogni partito più grande. Questo è ottimo da un punto di vista di ricchezza di discussione interna. Per esplorare un problema in tutte le sue sfaccettature. È un po’ meno ottimale quando bisogna poi prendere una decisione.
Ma la cosa terribile è come il fatto di avere un partito a destra contro diversi partiti a sinistra si rifletta sulla composizione del parlamento a seconda del tipo di sistema elettorale. O si rifletta sulla persona eletta, anche qui a seconda del sistema elettorale.
Sistemi in cui i votanti possono esprimere una sola preferenza saranno sempre un vantaggio per la destra. Questo si cerca di bilanciarlo introducendo coalizioni e altre regole complicate. Ma la realtà è che bisognerebbe permettere alle persone di esprimere un voto complesso che esprima non solo un singolo partito che piace, ma più di un partito. Magari una serie di partiti tutti accettabili (come si fa con Approval voting che però viene usato per eleggere una singola persona); o una lista di partiti dal preferito al meno apprezzato. E così via. Questa idea di votare un singolo partito è il baco di cui ci dobbiamo liberare perchè i cittadini abbiano modo di esprimere in maniera sufficientemente integra il loro pensiero.
Esempi di sistemi che usano questi sistemi di voto sono l’Irlanda e l’Australia.
Il mio suggerimento poi è questo:
http://it.pietrosperoni.it/2014/02/07/un-sistema-rappresentativo-maggioritario/
andrea z.
L’episodio più illuminante sulla rilevanza politica di Obama è avvenuto in Italia nel Marzo 2015, un mese dopo l’insediamento di Renzi a Palazzo Chigi.
In precedenza Renzi si era mostrato contrario all’acquisto dei famigerati F-35, mentre dopo l’incontro con Obama a Marzo aveva cambiato idea.
Obama, in pratica, aveva preso la sua valigetta e si era presentato in Italia come un commesso viaggiatore del complesso militar-finanziario americano, mostrando a tutto il mondo a cosa si erano ridotti i politici, anche ai livelli più alti: dei maggiordomi senza dignità.
E’ stato il Presidente nell’epoca d’oro della grande finanza: è stato profumatamente pagato per i suoi servizi, ma la speranza è che il futuro ci riservi governanti capaci di riportare la politica al di sopra dell’economia.
andrea z.
Mi correggo: la visita obamiana è avvenuta nel Marzo 2014.
Forrest
Che delusione! ci si aspettava un negro di sinistra e ci siamo trovati un mulatto di centro.
La Storia non lo assolverà.
Quasiscrive
“Questo anche perché ha scelleratamente deciso di attaccare briga con la Russia per la questione ucraina nella quale protegge il governo fascistoide di una nazione inventata che rivendica il possesso di province da sempre russofone (come il Donbass) o semplicemente russe (come la Crimea)”.
Mi pare un giudizio un tantino affrettato sull’Ucraina e su quella che, di conseguenza, sarebbe stata l’assoluta giustezza della politica militare di Putin.
Le consiglio di leggere qualcosa di Renato Risaliti, vecchio e ahimé deceduto professore di storia della Russia. Naturalmente leggeva e parlava correntemente il russo. A differenza di altri professori della stessa materia, italianissimi, tuttora vivi e pimpanti.
Gaz
Se gli Yankees sono a corto di cow boys, possiamo regalargli il nostro buttero toscano. Tanto l’Air Force One già c’è … per il resto ci pensa Mattew.
leopoldo
bhe! non sotto valuteri l’avvio dei dialoghi con Cuba e Iran che non sono proprio delle dicchiarazioni di intenti, vedremo come maturano il prossimo hanno e come evolverà il medio oriente. Sulla riforma sanitaria, c’è l’ostilità delle corporation delle assicurazioni, di alcune parti del settore medico e la configurazione delle cliniche e degli ospedali come società private che devono fare profitto. Se gli USA cambiano la natura del diritto da profitto a assistenza e prevenzione nel sistema sanitario si vedranno risultati, cmq già quel poco che c’è produce i suoi effetti.
Paola Carrisi
C’è un refuso da correggere. La vigilia del possibile intervento USA in Siria non era il settembre 2014, bensì il settembre 2013