Il dibattito su Rifondazione Comunista: che fare?
Diversi interventi chiedono: “che fare di Rifondazione comunista? Quale è la tua proposta in positivo?”
Giovanni, in particolare, dice che il punto debole del mio ragionamento sta nell’assenza di un possibile gruppo dirigente di ricambio. Ha ragione, ma il punto è proprio che non c’è ricambio possibile: quando un esercito perde tre battaglie di seguito e non cambia lo Stato Maggiore, semplicemente, ha perso la guerra. Rifondazione ha perso la guerra e la conferma sta proprio nel tentativo di minimizzare la sconfitta, perchè il gruppo dirigente non riesce ad immaginare alcuna altra linea di condotta oltre quella rovinosa seguita sin qui.
Un gruppo dirigente di ricambio non c’è perchè esso non si improvvisa ma è il prodotto della lotta politica di un partito verso l’esterno e del dibattito democratico all’interno. E a Rifondazione è mancata sia l’una che l’altra cosa. La lotta politica si è ridotta ad una stanca routine propagandistica di cui non si ricorda una sola campagna significativa. Quanto alla vita democratica, non parliamone neppure: pochissime assemblee degli iscritti e riunioni degli organi statutari, nessun momento di formazione politica, le poche tribune del partito saldamente occupate dall’inamovibile gruppo dirigente e liturgie congressuali rigidamente incanalate nel dibattito fra componenti date una volta per tutte.
In queste condizioni che nuovi quadri dirigenti potevano venire fuori? Forse nel partito ci sono persone idonee al ricambio, ma, se ci sono, sono disperse, prive di mezzi per raggiungere la maggioranza degli iscritti. Comunque, dovrebbero ingaggiare una battaglia furibonda con la solita crescita miracolosa delle tessere, i soliti giochetti delle iscrizioni a parlare nei congressi, le solite manipolazioni dei risultati, la solita campagna di funzionari in cerca di conferma dello stipendio… Un film già visto troppe volte.
E poi, il gioco varrebbe la candela? Il ricambio potrebbe avvenire solo per due vie: o per una rivolta della base o per un sussulto di dignità degli attuali dirigenti che, riconosciuta la sconfitta, decidano finalmente di farsi da parte e andare a coltivare cipolle. Ma non speriamo nè in una cosa nè nell’altra: nella prima per il sopravvivere di una delle più nefaste eredità del Pci, per la quale il gruppo dirigente ha sempre ragione e la base “non capisce ma si adegua”. C’è chi difende ancora Ferrero, chiedendosi se qualcuno avrebbe saputo far di meglio, mentre la domanda corretta sarebbe se qualcuno avrebbe saputo far di peggio. Meno ancora speriamo nella seconda cosa perchè non sospettiamo capaci di un simile atto di onestà questi dirigenti.
A questo punto le vie che si aprono sono due.
La prima è quella di ulteriori federazioni, patti elettorali, accordi e fusioni varie. Non è detto che riesca e che tutti si accordino con lo stesso contraente (magari un pezzo va con Vendola, un altro con Di Pietro e un terzo con il Pd ). Se Rifondazione restasse unita e il gioco riuscisse (ma ne dubiatiamo) , il risultato sarebbe quello di piazzare una dozzina di parlamentari con relativi portaborse e soldi per mantenere ancora un po’ di funzionari, che contribuirebbero a mantenere i dirigenti di prima e così via. Una comoda nicchia all’interno del sistema, in grado di riprodursi per un po’. Il Psdi, in questo modo, visse almeno trenta anni (però quelli erano più bravi). Ma a cosa servirebbe politicamente un partito così? Che autonomia avrebbe? Il ceto politico di Rifondazione non ha prodotto nulla quando aveva l’8,7 % ed oltre centomila iscritti. Perchè mai dovrebbe farlo ora in una situazione di estrema debolezza?
Qualcuno invocherà le ragioni dell’identità: la sopravvivenza, per quanto marginale, di una falce e martello è garanzia della sussistenza di un gruppo di irriducibili oppositori del sistema capitalistico. Capisco e condivido lo spirito da cui muove questa obiezione, ma non posso far a meno di replicare che l’identità non è qualcosa che si coltiva come un geranio. L’identità ha ragion d’essere e definirsi tale se produce iniziativa, lotta, capacità di confronto con gli avversari. Se non è questo è solo la macchietta del comunista irriducibile e un po’ rimbambito.
Per fare salva l’identità, la strada giusta non è quella della sopravvivenza di un simulacro di partito, ma quella della presa d’atto della sconfitta e della trasformazione qualcosa d’altro più vitale.
Rifondazione ha concluso la sua parabola come partito perchè non è più in grado di svolgere una sua autonoma azione nelle istituzioni.
Però può avere una seconda esistenza su un piano diverso.
La difficoltà è di trovare un progetto, una linea ed un gruppo dirigente non solo di Rifondazione ma di tutta la sinistra che, al di là del chiacchiericcio mediatico, non ha nessun discorso politico. E non c’è “ricambio generazionale” che basti a risolvere il problema. Quello che serve è un movimento di base per la rifondazione (questa volta sul serio) della sinistra italiana.
-Un movimento unitario e trasversale a tutta la sinistra: Pd, sindacati di base e confederali, organismi di volontariato, centri sociali, Rifondazione, Sel, Verdi, Arci, “grillini”, circoli culturali, ecc. ma, soprattutto, la sinistra diffusa e non organizzata di quanti votano (o si astengono) ma non riescono a riconoscersi in nessuna forma organizzativa.
– Un movimento che non abbia come suo fine un qualche cartello elettorale o la nascita di un nuovo partito. Certamente la politica non si può fare fuori dalle istituzioni e senza essere soggetto organizzato a livello nazionale, ma se questo processo sfocerà nella formazione di uno o più partiti nuovi, o se determinerà la rigenerazione di qualcuno dei vecchi o darà vita a un gruppo di pressione permanente per condizionare l’azione dei partiti esistenti, è cosa che si vedrà alla fine, per ora non mettiamo il carro avanti ai buoi.
E sul piano elettorale che si fa? Sino al 2013 il problema non dovrebbe porsi a livello nazionale, dunque per ora è prematuro dir nulla. Nel frattempo, in caso di elezioni locali, sulla base delle concrete condizioni del momento, si può decidere di ignorare la cosa o invitare all’astensione o appoggiare qualcuno in particolare o (perchè no?) dar vita a liste civiche quando ve ne siano le condizioni. Magari anche solo per dare una lezione ai “signori delle elezioni”, che ritengono un diritto essere votati “perchè-sennò-vince-Berlusconi”. Basta con questo ricatto: se volete i voti venite a prenderveli convincendo la gente, non c’è più rendita di posizione (il Piemonte insegni!).
– Un movimento che sperimenti sino in fondo le capacità di mettersi in rete in forme autogestite, approfittando delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Ricordate la grande manifestazione dopo la strage di Atocha, quella che in 48 ore determinò la sconfitta di Aznar e la vittoria di Zapatero? Venne “autoconvocata” con il passaparola degli sms.
Ed allora, impariamo ad usare sino in fondo il meccanismo del passa parola, creiamo reti di siti corrispondenti, usiamo gli sms, le mail…
Ma non solo: diamo vita a momenti di confronto fra le varie anime della sinistra con convegni, assemblee, dibattiti, spettacoli, che abbattano i muri che separano un ambiente dall’altro. Torniamo a contaminare culture e linguaggi.
– Un movimento che sappia muoversi per grandi campagne nazionali (l’acqua, la lotta alla speculazione finanziaria, il problema dei mutui, la riforma delle assicurazioni, il diritto allo studio, l’opposizione al federalismo, ecc.) attraverso le quali costruire man mano un progetto politico complessivo.
E con quali forme di lotta? Referendum, scioperi, proposte di legge di iniziativa popolare sono delle armi spuntate? Ripensiamoli ridandogli efficacia. Ma usiamo anche forme nuove come la class action, individuiamo forme di ostruzionismo, riscopriamo le forme di sciopero “anomale”, torniamo a forme di disubbidienza civile.
Trovate il progetto troppo avveniristico ed azzardato? Ho fatto un piccolo esperimento: ho “lanciato” il precedente articolo su Rifondazione con una serie di sms e mail ed affidandomi al passaparola: gli accessi sono passati dai 346 del giorno prima a 1.638. Mi sono arrivate una sessantina di mail private ed una quarantina di sms di risposta e gli interventi sono stati per ora (sabato mattina) 16 ed alcuni hanno l’estensione di veri e propri articoli. Poco importa se qualcuno si è detto poco interessato a discutere di qualcosa che riteneva già morto: anche lui ha partecipato inconsapevolmente al piccolo esperimento dimostrando che il meccanismo funziona (chiedo scusa in particolare ad Elia per questa piccola strumentalizzazione).
A questo punto, è facile rendersi conto di quale potrebbe essere l’impatto di una rete già organizzata come quella di Rifondazione, se volesse essere uno dei vettori di questo processo di rigenerazione della sinistra. Certo questo implica una profonda trasformazione: smetterla di essere un ufficio di collocamento per il ceto politico, ma tornare a far politica. Snellire la struttura, eliminando questa strutturazione gerarchica in segreterie di circolo, federazione provinciale, comitato regionale, direzione nazionale ecc ormai ridicola. Usare oggi definizioni altisonanti come “membro della Segreteria nazionale” o “segretario regionale”, su questo cumulo di macerie, richiama un vecchio detto napoletano: “ ’O gallo n’coppa a munnezza”.
Non è più serio e realistico tentare una strada nuova come quella del movimento unitario per la rifondazione della sinistra?
Aldo Giannuli, 12 aprile ’10
aldo giannuli, dibattito su rifondazione, futuro della sinistra, movimento per la sinistra, rifondazione comunista

davide
chissà perchè a me questa idea del Movimento-panacea di ogni male…ma che vuol di’panacea?Mah- mi pare di averla già sentita.Ah,ecco!Lo slogan della rai:di tutto,di più.
Mi scusi,ma non mi pare che la sua sia un’idea giusta
Capisco la nobile intenzione:costruire una base elettorale ampia e combattiva.Ma come sistemiamo i grandi mali della sinistra,quelli che veramente l’hanno distrutta:il democretinismo esasperante,la totale mancanza di organizzazione e formazione?Possibile farlo in un movimento.O forse in questi anni conviente chiudersi in sezione e studiare la politica,le strategie,la tattica?Boh,io non voterò .Per ribadire il mio no alle democrazie americanizzate e per il loro superamento.Aspettando un politico capace di spostarsi su posizioni euroasiatiche,di sostegno all’Alba sudamericana,e di appoggio alle nazioni mediorienatli,simpatizzante della cina.Non avverrà mai?Pazienza ,abbiamo atteso a lungo anche il sole dell’avvenire,ma mi sa che abbia sbagliato treno!
Forzutino
Eh si, non posso non concordare. Bravo Aldo, condivido quasi in toto.
Come ho già scritto in alcuni post, a mio avviso servirebbe anzitutto un’azione culturale forte, ma preceduta da una riflessione seria, profonda, che coinvolgesse delle ‘teste pensanti’ a livello nazionale, gente che però non abbia alcun interesse a mantenere la poltrona incollata al proprio sederino.
C’è da far nascere un progetto forte, visibile, qualcosa in cui molta gente possa riconoscersi ma, soprattutto, possa sentirsi coinvolta ed entusiasmarsi.
Signori, ci vuole coraggio e fermezza, ma soprattutto un’apertura mentale che consenta di analizzare il presente e costruire un’alternativa seria e praticabile ai disvalori realizzati dal “berlosconismo” che come modello di vita – e non come singolo partito – sta piano piano trionfando.
C’è da ripensare un futuro, una società alternativa ma non utopica, da proporre anche a quegli italiani che, come hai detto giustamente “non riescono a riconoscersi in nessuna forma organizzativa attuale”. Qui va ripensata la Sinistra, completamente. Ma proprio ripartendo da zero, spianando i ruderi che restano in piedi nonostante l’evidente sconfitta della guerra e passandoci perfino sopra del sale.
Giovanni Talpone
Capisco le intenzioni di Aldo e le condivido completamente, ma non condivido il metodo. Quello proposto porterebbe all’ennesimo movimento “basista”: ce ne sono già due o tre in corso, senza contare quelli defunti, innumerevoli e felicemente dimenticati. Perchè falliscono tutti? Perchè sono stati, e sono, assemblaggi di anime belle, pieni di buona volontà e intenzioni anche migliori, che però non accettano nel profondo la lezione di Marx, Lenin e Gramsci: pensare in termini di potere, non in termini di “giusto” o “ingiusto”. Non mi interessa la tassidermia delle salme dei Grandi (anzi ho sempre avuto una spiccata simpatia per la rodente critica dei topolini), però penso che il sistematico fallimento dei movimenti radical-buonisti sia una conferma sperimentale delle tesi materialistiche del vecchio Karl.
La mia proposta è quella di partire da qualche esperienza pilota esemplare, in cui sia chiaro il nesso fra modello teorico e scelte tattiche, organizzative e operative. Esperienze visibili e criticabili da tutti, grazie alla Rete: e quindi integrabili e correggibili senza censure e tabù, ma anche “didattiche” verso il volgo disperso della sx, antimachiavellico sino all’autolesionismo. Uno dei punti a cui tengo di più è la massima valorizzazione delle competenze e dei progetti di sviluppo personale dei militanti: non più “massa” o “numero di tessera”, ma individui che stipulano consapevolmente un contratto fra “mio” e “nostro” (es.: mi metto a disposizione per tenere i contatti internazionali ANCHE PERCHE’ voglio migliorare il mio inglese, e così via). Questo significa un rapporto completamente ribaltato rispetto all’attuale (in Rif e in tutti gli altri) fra militanza e competenze. Ribaltamento oggi possibile anche grazie alla Rete.
Ma il punto fondamentale rimane la riflessione teorica intorno ai modi di produzione del valore economico e sociale, e all’organizzazione del lavoro e del potere che li costituiscono. (Possibile che noi salutiamo come un grande successo il fatto che gli operai della INNSE siano riusciti a trovare un “buon padrone”?)
Qui a mio parere bisogna criticare e abbandonare il marxismo classico, che nella concezione comune alle tre (II, III e IV)internazionali assumeva implicitamente un controllo economico così facile e completo da permettere l’abolizione di Stato e moneta. Ciò implicherebbe che l’informazione sia disponibile ed elaborabile in quantità illimitata, istantaneamente e a costo zero: un errore di antimaterialismo che è costato carissimo sia in termini di visione del mondo sia di scelte pratiche. Se l’attività economica NON PUO’ CHE AVVENIRE IN UN CONTESTO POCO CONOSCIBILE E CAOTICO, dobbiamo incominciare a pensare in termini di IMPRENDITORE SOCIALE, cioè di qualcuno capace di scommettere su di un progetto e conseguentemente organizzare i fattori produttivi, non su mandato di un gruppo di capitalisti, ma su mandato e sotto il controllo di comunità sociali specialistiche che si organizzano democraticamente e pubblicamente (sempre grazie anche alla Rete). Primi esempi (imperfetti e da discutere) di questo movimento reale che tende a chiambiare lo stato di cose esistenti potrebbere essere la realizzazione del sistema operativo Linux, il Commercio Equo e Solidale, l’organizzazione Emergency ecc.
Anche la proposta di Luciano di affrontare il rinnovo amministrativo del Comune di Milano può essere un’esperienza in questo senso, purchè sia parte di un progetto strategico e non l’ultima spiaggia dei disperati (personalmente non sono disperato e preferisco spiaggie più tradizionali).
Giovanni
davide
condivido in parte l’intervento di Giovanni.Cioè,quando critica i movimenti di anime belle e ahimè pure scimmie urlatrici,che da sinistra sono usciti in questi tristi anni.
Farei più attenzione alla rete,che vedo come strumento atto a depistare e confondere e quindi massimo sostegno del Sistema,e al commercio equo solidale.
Lavoro,sanità,istruzione,casa,nazionalizzazione degli elementi strategici per il paese,capitalismo sotto controllo dello stato,e sopratutto:formazione dei militanti e organizzazione attiva nei direttivi.
Luciano
Tante sono le proposte, i progetti in campo sociale, mediatico ecc. ma si elude una questione fondamentale: i comunisti di oggi (e diciamo pure in senso lato la sinistra di oggi) sono disuniti proprio sul piano ideologico. Se si parla di principi, di dottrina politica, saltano fuori le più abissali divergenze e forse è per questo che non se ne vuole parlare, magari con la scusa che bisogna privilegiare le lotte per gli obiettivi che ci uniscono (questo era anche il refrain ricorrente nel vecchio PCI…). Però quando meno te lo aspetti irrompono sulla scena i problemi drammatici della politica internazionale e lì saltano i nervi a tutti! L’impasto politico organizzativo (che si chiami Arcobaleno o Federazione o altro ancora) non tiene, si dissolve, perché i sentimenti che affiorano dal subconscio ideologico risultano addirittura contrapposti! Faccio una breve carrellata: Hamas, Ahmadinejad, Chavez, la Cina, Cuba, il Tibet, Obama …Su ciascuno di questi temi i “comunisti” (prego notare le virgolette) sono praticamente spaccati su posizioni contrapposte (a favore o contro). Immaginate se ai tempi della guerra in Vietnam alcuni comunisti si fossero schierati con Ho Ci Min e altri con Nixon! Roba da ridere! Adesso invece succede proprio così ed è roba da piangere! Guai a prescindere dalla politica estera per coltivare l’orticello domestico, è un tornado che ci travolge e ci spazza via! Per resistere, ci vogliono saldi principi, ma soprattutto un’analisi cruda (e condivisa!) dell’imperialismo attuale e dei rapporti internazionali ad esso sottesi. E’ solo da qui che può rinascere la forza dei comunisti, non dal tentativo di riattaccare dei cocci sparsi con un mastice che non tiene.
Gheorgi
ALDO! PURO VANGELO!
Gheorgi
però anche Davide non ha tutti i torti. Una società composta da individui indebitati con mutui, finanziarie, ricattati col precariato. Viviamo in una società americanizzata di ricattati.
I suggerimenti di Aldo ci innaffiano di ottimismo ma io rimango perplesso quando parlo con la gente comune e il pessimismo trionfa.
Stefano (GC Como)
Caro Aldo, carissimi compagni e compagne.
Tutti siamo d’accordo che quella di Rifondazione Comunista sia una sconfitta, una sconfitta anche bruciante. Il problema è su Che fare appunto, come diceva Lenin.
Serve un nuovo gruppo dirigente giovane, che porti un ricambio generazionale? Certo, e in parte – con errori e contraddizioni – si sta facendo. Io non penso di divenire dirigente nazionale, e non mi interessa. Penso che il partito e la Sinistra vera (che solo comunista può essere) abbia bisogno soprattutto di quadri locali, a Milano e Como per capirci.. Questo è ciò che al momento manca. Non abbiamo necessità di dirigenti nazionali differenti (almeno, non c’è fretta di cambiarli), mentre abbiamo bisogno di gruppi dirigenti, di quadri capaci a livello di paesini, di comuni.. Un movimento basista è meraviglioso, ma la storia insegna che non funziona. Può servire la rete e il passaparola per ottenere più visite in un sito, ma non per far funzionare una forza politica in grado di dialogare con la gente. Temo molto la diffusione della comunicazione virtuale che in gran parte ci fa rinchiudere davanti ad uno schermo anziché stare tra la gente nei quartieri popolari. La crisi del capitalismo avanza e ci dà l’opportunità di tornare forti, come forti stanno divenendo i partiti comunisti europei (Die Linke, KKE, BE…)
La Sinistra però deve imparare che parlare come un centro politico in epoca di crisi è sbagliato. Ecco l’errore principale delle forze della Sinistra italiana. La comunicazione che ci fa parere frikkettoni peace&love quando la gente VUOLE odiare, ESIGE un nemico da uccidere simbolicamente. Nemico che noi indichiamo con troppa debolezza, con troppo poca convinzione.
Costruiamo una nuova Rifondazione Comunista, tutti insieme, cambiamo progressivamente il gruppo dirigente, nelle varie zone.. Ma soprattutto restituiamo desiderio di militanza, comunichiamo alla gente un nemico da uccidere (sempre politicamente). Insieme non è un’impresa impossibile.
Saluti
Finanziamenti a Fondo Perduto
Mi ha realmente affascinata la lezione del tuo articolo. Persisti sul grande lavoro svolto. Non capisco come aggiungere il tuo blog trà i preferiti con opera. Puoi consigliarmi per favore?
arance di sicilia
complimenti, un ottimo articolo
Saluti