Il declino di Putin.

La vittoria di Putin nel referendum istituzionale era più che scontata: anche se si trattava di un referendum consultivo, una sconfitta sarebbe equivalsa alla sua caduta in pochi giorni e Putin non ha temperamento olimpionico, per il quale l’importante non è vincere ma partecipare. Per cui, va da sé che, seppure i russi avessero votato diversamente, ci avrebbe pensato l’apparato a “correggere” il risultato rendendolo più “potabile”.

Dunque, non sapremo mai quale sia il risultato reale. Ciò non di meno, è presumibile che una parte molto consistente di elettori avrà votato per lui, chi perché vede in lui chi ha riportato la Russia fra i grandi del mondo, chi perché non vede successori credibili ed ha paura del vuoto, chi perché convinto della perfetta inutilità di un voto contrario.

Poi, anche se Putin non se l’è cavata bene con il Codid 19, delegando tutto ai governatori ed evitando di “metterci la faccia”, è realistico che anche nel suo caso sarà scattato il “serrate le fila intorno al Capo” dei momenti difficili.

Dunque, è un successo, ma relativo che di fatto non interrompe la parabola discendente del Presidente russo. E questo non solo e non tanto perché i sondaggi (ancora meno attendibili del referendum, peraltro) segnalano un calo relativo della sua popolarità, quanto perché è dal cuore dello “stato profondo” che giungono i segnali della sua decadenza. In primo luogo dal complesso militar-industriale, la cui rivista lo attacca per la prima volta per nome e cognome.

Poi anche i boiardi di Stato (o quasi) si mostrano non entusiasti della prova ingaggiata sul prezzo del petrolio, risoltasi in un disastro per tutti, Russia compresa. Ma soprattutto perché ormai è palese il fallimento del suo progetto. E qui conviene spendere due parole sul bilancio del ventennio putiniano.

Quando sostituì quell’inveterato ubriacone di Eltsin, trovò uno Stato in aperto stato di decomposizione, con una Armata Rossa quasi in disarmo, cricche di burocrati corrotti, una società attraversata da forti tendenze centrifughe. Il progetto putiniano era in primo luogo quello di ricompattare ed ordinare lo Stato (quanto alla corruzione cambiarono i commensali), rilanciare l’orgoglio nazionale, rifare dell’Armata Rossa uno dei maggiori eserciti del Mondo così da riportare la Russia nel ristretto club delle maggiori potenze mondiali.
Questa parte del programma è stata in gran parte coronata da successo, anche se con qualche colpo a vuoto (ad esempio la modernizzazione della Marina militare che resta molto indietro). Il progetto prevedeva anche una impetuosa modernizzazione del paese con la costruzione di una rete infrastrutturale –soprattutto delle vie di comunicazione- finalmente decente, un salto tecnologico in avanti dell’industria, un recupero del ritardo accumulato nella ricerca in diversi settori. E questo richiedeva forti interventi esteri e si pensava alla Germania, quel che, per un certo tempo, fra il 2009 ed il 2010, sembrò prendere decisamente corpo. A sua volta, questo legame con la Germania presupponeva una decisa normalizzazione dei rapporti internazionali, in particolare con gli Usa. Agli occidentali, Putin offriva un ponte verso la Cina, Anche qui, le cose andarono bene sino al 2008, sin quando alla Presidenza Usa restò il repubblicano Bush. Il vento cominciò a cambiare con il sopraggiungere della crisi finanziaria e con l’arrivo del democratico Obama.
Infatti, dopo una brevissima luna di miele fra Washington e Pechino (per la quale si giunse a parlare di un G2), la nuova amministrazione americana iniziò a vedere nella Cina il nuovo nemico strategico. Di conseguenza, l’offerta di mediazione russa perse ogni interesse. Ma, soprattutto, gli americani (per ragioni che vedremo in un’altra occasione) iniziarono a considerare con orrore il crescente flirt russo-tedesco. E la guerra dei gasdotti fece da preludio alla rottura dei rapporti anche fra Usa e Russia. La vicenda ucraina e l’occupazione della Crimea, cui seguirono le sanzioni occidentali, fecero il resto. A quel punto, però, veniva meno anche la sponda tedesca, perché gli Usa imposero alla Germania di aderire alle sanzioni e, quindi, interrompere la partnership con Mosca. Alla Russia non restava che avvicinarsi alla Cina.

Si può discutere se l’occupazione della Crimea sia stato un errore che ha offerto agli Usa il destro per la sua offensiva, d’altra parte è comprensibile che l’idea di una Ucraina nella Nato, con le navi americane nei porti del Mar Nero fosse molto preoccupante per Mosca. Comunque, il supporto tedesco e la normalizzazione commerciale con l’Europa sfumavano inesorabilmente e, con esse, anche il progetto di modernizzazione della Russia. In questo, peraltro, ha avuto un peso anche la viscerale ostilità americana verso la Russia che Putin ha fatto l’errore di sottovalutare.

Con l’elezione di Trump si affacciò l’illusione di superare in breve le sanzioni e riprendere l’asse con la Germania: non fu così. Trump forse avrebbe voluto farlo, ma “lo Stato Profondo” americano glielo impedì e le cose sono restate al punto di prima. Anzi, di recente, gli Usa hanno intimato alla Germania di interrompere i lavori per un raddoppio del Northstream.

Dunque il progetto di modernizzazione, che era il vero cuore del progetto putiniano, è rinviato sine die e la Russa, non ha altra strada che l’asse con il “quasi alleato” cinese. Un alleato che non ama e dal quale non è amata. Peraltro la Cina non ha il tipo di tecnologia che servirebbe a Mosca, e manca anche delle capacità organizzative dei tedeschi.

Il progetto vero è liquidato. Questo forse non è ancora percepito dal popolo russo, ma le èlites lo hanno capito, Forse Putin resterà al potere ancora per molti anni (anche se si fa fatica a pensare che davvero sino al 2036) ma sarà la sopravvivenza di un potere personale, non più di un progetto politico.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (2)

  • Un volo solo andata nel jet privato per l’amico Silvio e, voilà, tutto si risolve.
    + donne per tutti (a costo di importarle dalla Cina);
    fioriere lustre;
    alleanze con americani, cinesi, indiani, pakistani, francesi, italiani e sopratutto sammarinesi (anche se ci ha già pensato Lavrov) e ciprioti;
    libertà di intrapresa per H18/24;
    tasse al minimo storico;
    sovvenzioni per tutti:
    spruzzata gratis sulla popolazione dell’ormone della felicità e dell’amore.
    In alternativa un volo Roma – Mosca, solo andata, in economica Aeroflot per Mariotto e Valerio. Marco R.I.P. .
    Nella peggiore delle ipotesi … con tutti i pezzi che ha perduto per strada Macron si può un governo e ne avanzano.
    Fosse per i miei gusti, voterei come Presidente Emma e come Primo Ministro Laura.

  • Sembra quasi che la politica della Russia la facciano gli Stati Uniti, che la circondano da ogni dove, escluso a sud il confine con la Cina.
    Tolto il gruppo di potere di cui Putin è espressione, residuano le Forze Armate, che ora sono la fronda dello Zar.
    Le Forze Armate sono un elemento di perpetuazione della incapacità della Russia di uscire dal ripiegamento interno e difensivo in cui è.
    Gli Stati Uniti non si fidano degli apparati militari della Russia, sebbene questa sarebbe felicissima di fare buoni affari.
    Il rapporto col Giappone è incentrato sugli scambi economici. I russi hanno escluso la restituzione delle isole Sakhalin, occupate a guerra terminata. Le pressioni militari a favore delle Armate presenti a Vladivostock, sono tali da impedire qualsiasi apertura al riguardo. La costituzione di un grande parco naturale marino e terrestre farebbe felici tutti, ma è ipotesi non presa neppure in considerazione, perchè l’interesse militare russo è prioritario. Col ché il Giappone, con l’Italia, – restano in base allo Statuto delle N. U. – le potenze sconfitte con la WW2.
    La questione nord Corea è trattata a Mosca è condizionata da una visione da guerra fredda, tanto che il realismo americano fa ritenere irrilevante il possibile apporto russo.
    L’espansione militare indiretta russa in Libia è più un fattore di debolezza, che di forza: obbliga a passare sotto le forche della Turchia; inoltre, in caso di intensificazione del conflitto, con dinamiche e sforzi diversi da quelli siriani, sarebbe un problema per la Russia, il cui Pil ha un valore compreso tra quello della Corea del Sud e della Spagna.
    I rapporti euro-russi sono pensati da Putin come quelli tra uno stato sovrano (la Russia appunto) e un gruppo di stati vassalli degli Stati Uniti. La cosa è vera fino a un certo punto, perché di ottimi affari con gli Stati europei, in primis con la Germania, la Russia ne ha fatti.
    Tanto più Putin attua una politica di potenza, più lunga del passo che la Russia può permettersi, tanto più la Russia si trova spiazzata.
    Putin ha come Ministro degli Esteri Lavrov, un autentico fuori classe, cresciuto a pane e diplomazia, ma per quanto bravo, se astretto tra rigidità interne ed esterne, gli spazi di manovra sono inesistenti, non può mettere a segno colpi importanti. Significativamente, quando qualche invasore della Libia chiese alla Russia di mettere colà ordine tra le fazioni in guerra, Lavrov quasi si arrabbiò, dicendo che il caos libico non era stato creato dalla Russia: la quasi ira nascondeva la prudente quasi impotenza.
    Il problema è politico.
    Nel momento in cui la democratura russa non raccoglie e rappresenta le istanze partecipative, il corso della politica segue percorsi autoreferenziali e non democratici.
    Discorso che vale sopratutto per l’Italia, dove la maggioranza di governo è una minoranza abbarbicata alla poltrona.

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