Il danno della semi acculturazione.
Nella società più recente, si è affacciata una figura socio culturale poco osservata o al massimo considerata alla stregua di una macchietta di cui ridere: il semi acculturato che, invece, merita di essere studiato, anche perché il fenomeno tende ad estendersi. E vale la pena di prendere il discorso dall’inizio.
La scolarizzazione di massa, storicamente, ha avuto più successo sul piano dell’istruzione professionale che su quello della diffusione della cultura.
Anche La formazione culturale di base è stata tradizionalmente affidata alla scuola media e, segnatamente quella superiore, mentre cessa quasi del tutto nell’Università (salvo che per quei corsi di laurea in cui professione e cultura coincidono come per la formazione degli insegnanti) e questa tendenza è andata via via accentuandosi.
Ad esempio, il corso di laurea di Legge ha via via rinunciato o molto ridimensionato insegnamenti quali Filosofia del diritto, Diritto canonico, Storia del diritto, per non dire del gruppo romanistico che, sino mezzo secolo fa, era ritenuto il fulcro formativo dell’intero corso. Il tutto a vantaggio dei “diritti” immediatamente operativi (commerciale, del lavoro, penale, amministrativo e relative specificazioni ed ibridazioni). Quindi sempre più scuola di istruzione professionale che scuola di formazione generale.
Il risultato è stato quello di produrre operatori più o meno buoni del diritto, dell’economia, dell’ingegneria o della medicina e così via, muniti di una sommaria infarinatura culturale negli altri campi (talvolta anche contigui: quanto capiscono di economia e finanza i laureati in legge? E quanto spazio ricevono gli insegnamenti di psicologia a Medicina?).
Ovviamente ci sono precise ragioni di ordine economico che spingono in questa direzione: gli studi universitari costano tanto allo Stato quanto agli studenti, per cui è giusto contenere la durata dei corsi con materie non strettamente utili all’impiego lavorativo. Questo, però, ha avuto una serie di ricadute non sempre positive, per cui, più che giuristi, si è finito per produrre “idraulici del diritto”, al posto di economisti “ragionieri di lusso” e così via.
Probabilmente, qualche ritocco (neanche troppo insistito) tanto a livello di medie superiori quanto a livello universitario, potrebbe ottenere risultati diversi. Il problema è quello di fornire allo studente una dose sufficiente di curiosità e mezzi culturali adeguati ad una vita di costanti aggiornamenti ed approfondimenti. In fondo, che un medico legga di tanto in tanto un romanzo, che un avvocato visiti una mostra vi pittura o un architetto cerchi di capire il contesto politico, economico ed anche teologico-filosofico del barocco, alla fine, può produrre anche migliori risultati in clinica, in tribunale e nel recupero di una piazza.
E, per la verità, non mancano (anche se sono troppo pochi) avvocati, medici ed architetti che dedicano qualche pezzo del proprio tempo ad attività di questo genere. Il guaio è che questo avviene molto a casaccio, senza alcuna “struttura di insieme” che organizzi le acquisizioni culturali man mano realizzate e su tutto si abbatte il bombardamento mediatico (di giornali, radio, Tv, cinema e, più di recente, il web) che dà vita ad un costante rumore di fondo, magari “rimbalzato” dalle conversazioni che un po’ nutre e di più confonde.
E tutto questo ha una crescita esponenziale per la crescita tumultuosa dell’offerta culturale sempre più diversificata ma spezzettata. Ottanta anni fa, il bagaglio di conoscenze letterarie di una persona di media cultura includeva necessariamente i grandi classici della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, ecc), qualche rudimento di letteratura Latina (almeno Virgilio), e greca (soprattutto per quelli che avevano fatto il classico) e poi, non era obbligatorio, ma non guastava, la conoscenza di qualche testo francese (ad esempio Balzac), russo (ad es Tolstoj) o inglese (Shakespeare).
Già fra gli anni cinquanta ed i sessanta, questo sarebbe stato ritenuto un bagaglio meramente scolastico, al di sotto di uno standard medio e autori come Pirandello, Pavese, Calvino, Gadda, Ibsen, Kafka, Lorca, Proust, Joice, Mann o Sartre o classici di altre letterature come Shakespeare iniziavano ad affacciarsi fra quanti non potevano essere ignorati. Fra i settanta e i novanta si imponevano all’attenzione altri importantissimi come Sciascia, Bufalino, Morselli, Yourcenar, Saramago, Borges, Garcia Marques, Schnitzler, Roth, ecce cc.
E non è difficile immaginare che nei prossimi anni assisteremo alla scoperta di almeno alcuni classici cinesi, indiani, egiziani ecc.
Quindi il bagaglio base si è fatto ben più pesante ma a questo ha sopperito una offerta mediatica sempre più invadente e disordinata. Ma, pazienza che ci siano persone che fra una trasmissione di Rai Storia ed un a conferenza di Alessandro Barbero su you tube (prodotti culturali molto buoni in se ma fuori “cornice”) si convince di essere un esperto di storia: magari si tratta di una formazione un po’ confusa ma pur sempre basata su roba buona. Il guaio è quando la gente si abbevera alle fonti più che inquinate di tanto web o a trasmissionacce di questa o quella rete.
E qui comincia a nascere la figura del mezzo acculturato: l’orecchiante che ha sommato alla sua formazione professionale un po’ di chiacchiericcio televisivo, qualche titolo di quotidiano, mezza trasmissione radio ascoltata in auto eccetera e si convince di essere una persona acculturata. Le stimmate sicure dell’acculturato recente e parziale sono nel linguaggio: capita sempre più spesso di sentire persone che sdottoreggiano di politica, diritto , economia o quel che vi pare usando in modo del tutto improprio espressioni tecniche.
Ad esempio, salta su quello che ti dice che la “costituzione materiale” non esiste perché non è scritta da nessuna parte ed è solo un imbroglio di politico o giornalisti in mala fede (ignorando che ci sono testi fondamentali di Mortati o di Romano in materia. O quello che ti dice che non esiste l’ordine internazionale perché usa il termine in senso letterale e, constatando la presenza di guerre o diseguaglianze, diche che il sistema internazionale è “disordinato”.
Ora, il guaio di questa “divulgazione alle vongole” è la nascita di un robusto strato di semi acculturati che poi votano e votano male, comprano con effetti disastrosi sul mercato culturale, parlano diffondendo idee sempre più confuse.
Ed è in questo spazio che si profila il fenomeno de semi-acculturato diventa un castigo di Dio che produce involuzione culturale.
Ovviamente la soluzione non è mettere il bavaglio ai mass media o costringere la gente a corsi scolastici di richiamo. La soluzione sta nel dare una robusta base culturale che esige una didattica scolastica molto più adatta ai nostri tempi e dall’altro ripensare la divulgazione dandogli più spessore metodologico: fare divulgazione nel 2020 non è la stessa cosa di farla nel 1960 al tempo di “Non è mai troppo tardi”.
Aldo Giannuli
Matteo
Buongiorno,
e da tempo che mi pongo questa domanda: cosa rende il sapere tecnico meno importante di quello umanistico? Il mio ragionamento è semplice: come può, ad esempio un filosofo, pretendere di capire come funziona il mondo se non ha una conoscenza basilare della tecnica che lo circonda. Ad esempio un problema politico che non può essere risolto senza un minimo di conoscenza tecnica è il riscaldamento globale (come può una persona parlare di riscaldamento climatico senza sapere cos’è un rendimento energetico e come si calcola?). E’ possibile capire il mondo che ci circonda avendo delle lacune enormi in materie scientifiche, come la matematica o la fisica? Infine perché un ingegnere informatico che ignora l’esistenza della costituzione materiale dovrebbe votare peggio di un filosofo che non riesce a calcolare il volume di un cubo, figuriamoci capire come funzionano gli algoritmi che influenzano quotidianamente le sue scelte?
Allora ditelo
I differenti saperi possono o meno essere rilevanti al fine di risolvere specifici interrogativi di personale interesse.
Spesso e volentieri capita di non conoscere informazioni rilevanti per questioni di personale interesse.
Il filosofo e l’ingegnere informatico che avessero la possibilità di interagire dialetticamente con altri professionisti in contesti culturalmente pluralistici sarebbero probabilmente meglio in arnese del professionista che si rinchiudesse in una “camera dell’eco” dove il concetto costituzione materiale venisse ignorato a discapito della sua potenziale rilevanza in temi oggetto di interesse.
Non di rado in alcuni ambiti di ricerca sembra sussista la cooperazione tra “philosopiae doctor” di differenti discipline accademiche (incluse sinergie tra umanisti e non, ove possibile).
https://en.wikipedia.org/wiki/Consilience#Significance
PS: Chi afferma che un sapere è meno “importante” di un altro? Anche se alla fine dei conti i prodotti più redditizi sono quelli il cui valore viene sovrastimato dagli acquirenti, non c’è solo l’imprenditore che assume personale per una specifica attività o l’investitore che sceglie quali startup finanziare.
Se determinate questioni richiedono competenze umanistiche a chi preme risolverle non frega mica che se intendesse costruire tot. brebemi sarebbero necessari n. ingegneri: come farebbe il facoltoso parvenu incapace di distinguere autonomamente un’opera autentica offertagli per qualche milione di euro da un falso che non dovrebbe valere più del mero costo di manodopera?
foriato
Non potrei essere più d’accordo, professore. Ma se fosse anche vero che “proprio in questa cosiddetta storia universale, che in fondo è un chiasso intorno alle ultime novità, non c’è alcun tema propriamente più importante di quello dell’antichissima tragedia dei martiri che vollero smuovere la palude” (Aurora, 18), a chi spetterebbe un tale compito?
Restiamo esseri d’inclemenza.
Allora ditelo
Ben valga questa occasione per sottolineare la cruciale rilevanza della diffusione del sapere nelle organizzazioni complesse (democrazie incluse).
In una società insidiata da innumerevoli “asimmetrie informative” ciò che preoccupa primariamente il cittadino comune è decidere il “da farsi”per non incorrere nei “bidoni” variamente disseminati (George Akerloff).
Attualmente mi sfugge quale siano precisamente gli strumenti culturali che spetterebbero “di diritto” al cittadino comune e non aiuta sapere che non esitano corsi scolastici di richiamo.
Si spera che la “visione culturale d’insieme” non sia agevolmente acquisibile solo in specifiche nicchie socioeconomiche o dinastie professionali (che le custodiscono gelosamente) perché ciò implicherebbe ostacoli alle possibilità di mobilità sociale la fruizione dei diritti democratici di un numero imprecisato di cittadini che non sono certo benestanti come il Trump di turno che può permettersi consulenti pagati ad ore.
Sono innumerevoli gli ambiti considerati meritevoli di studio che si celano dietro termini quali ignorance management, empowerment o gli altri che affollano l’interminabile lista di discipline marginalizzate (plausibilmente per questioni culturali) dalle “elite” che hanno stilato i curricoli delle scuole dell’obbligo.
PS: Sono documentati casi eclatanti con l’impiego di ingenti somme di denaro per “campagne di semiacculturazione” (per es. tobacco files) che esemplificano come la reperibilità dalle informazioni sia oggetto di interventi al fine di influire sull’attività decisionale dei singoli e sul pubblico consenso. Non sto a specificare il sottinteso.
Gaz
La polemica crociana contro i giuristi nascondeva il declino del ceto di appartenenza e la contemporanea ascesa degli unici altri laici in grado di comprendere il latino, con una tradizione alle spalle paragonabile. Ma già nel tardo Medio Evo il “Juristen bose Christen” era un luogo comune, a causa dei valori espressi dalle Curie. In questo senso la filosofia d. diritto ha svolto una funzione ancillare o al più introduttivo/pedagogica del jure, a condizione però che non “corrompesse” le giovani menti verso sperimentalismi malvisti nella pubblica amministrazione. In parte la stessa sorte è toccata alle discipline romanistiche, per altro, non unifornemente valutate in tutti i paesi di civil law. Da non molto le si recupera in chiave storico-comparativistica. L’Usus modernum Pandectarum appartiene alla storia. Nell’analisi del lessico della Cassazione i termini latini sono rari. Alla luce di queste premesse si comprende meglio la ragione storica per cui le consorelle facoltà di giurisprudenza sono state scuole di teorie del diritto (romano-canonico) e mai di legislazione particolare dei singoli stati. Da questo discende anche il carattere pressocchè monotematico degli studi, la cui varietà ne ha fatto in tempi relativamente recenti una laurea jolly, attese le diverse strutturazioni possibili dei percosi. E’ ovvio che il numero degli economisti provenienti da giurisprudenza sia una minoranza, così come in altri settori.
Il problema sotteso non è quello degli sbocchi professionali, ma del ruolo sociale degli operatori giuridici, che viene percepito oscillante tra il parassitario e il paladino dei diritti. Il proprium degli operatori giuridici è il quasi totale monopolio dello jus postulandi e dello jus dicere. Il pensiero che periodicamente attacca i capisaldi è tanto debole da non scalfirli minimamente. All’orizzonte non si intravede nessun laico come Quinto Mucio, ecco perchè le mostre di Picasso sono neglette dai giuristi di professione, verso i quali il necessitato va; non aviene il contrario. Ne viene fuori una figura che non ha nulla di rinascimentale, chiusa nella sua autoreferenzialità, a protezione dei propri interessi individuali e corporativi. Ma se non c’è un Lorenzo de Medici, come può aversi un Rinascimento ?
mirko g. s.
La scuola a tutti i livelli può cambiare programmi e anche prolungare i corsi di studio ma non potrà mai aumentare il quoziente d’intelligenza, aumentare il senso critico e la forza del carattere degli studenti perchè sono dati genetici. Puoi studiare tutto quello che ti pare ma se sei scemo non ti serve.
Gaz
O.t.
Il Re di Francia e Imperatore di Libya -secondo me- è come un adolescente problematico. Doti personali a parte, che gli vanno riconosciute, è limitato dai mezzi non infiniti del suo stesso regno. Al solito proverà ad ingannare gli altri, facendogli credere di fare un affarone, che in realtà è tale solo per lui. Dopo aver preso in giro il mondo intero, appena lo si è abbeverato nelle sue ipocrisie, è venuto fuori dalla tana.
Il Re è nudo. Proverà ora a coprire le sue vergogne (politico-militari) libiche con un accommodation generale, per assicurarsi un futuro.
Se gli interlocutori del Re di Francia sono Salvini e Di Maio, c’è da preoccuparsi, visti gli esempi politici infelici di cui sono stati protagonisti. Qualcuno aggiunge su Conte, che non tocca palla.
L’unica mossa vincente è nel non accettare il gioco del Re di Francia. Qualsiasi altra mossa è perdente.
Spero che Salvini e Di Maio non si leghino mani e piedi, ma anche solo dita, a Macron, ovvero che non firmino nessun Trattato con lui.
Con la gente doppia, ipocrita e falsa non si prende neppure il caffè, figuriamoci scendere a patti.
Mario Vitale
Personalmente oggi credo che la cultura umanistica sia preziosissima ed importante, ma non ho sempre pensato così. Purtroppo da ragazzo la letteratura e il latino non mi appassionavano, per usare un eufemismo. Io credo però che imporre delle materie nel piano di studi, oltre certi livelli, sia contro producente. Il sistema che vigeva ai tempi in cui ero uno studente (da metà anni ottanta fino a metà anni novanta, comprendendo ovviamente solo liceo scientifico e università) per me costituiva il giusto equilibrio.
Gaz
Il danno della semi acculturazione politica.
Tripoli sta per essere espugnata, mentre a Roma i politici discutono (per elidersi vicendevolmente) sul da farsi … del nulla, perché – si scopre- manca una regia politica.
Tra fronte pacifista e ala interventista, il Governo si scopre sapere poco degli interessi dell’Italia..
Che tristezza !
Lorenzo
Quale amore verso la cultura ci può essere in un feudo dell’impero statunitense, di un popolo che vive nella più totale indifferenza – e nel semiaperto disprezzo – verso tutto ciò che non sia monetizzabile? In una demoplutocrazia che divinizza Mammona e si pregia di plasmare ogni cosa in base alla mentalità dell’uomo qualunque?
Giannuli si goda il risultato della vittoria delle armi alleate nella II guerra mondiale e delle sue amate libertà borghesi sul collettivismo sovietico durante la guerra fredda. Durante l’anno che ho trascorso a Leningrado vedevo i quindicenni occupare il tempo libero leggendo letteratura, parlando di storia e di politica, adempiendo servizi sociali. Ascoltavano musica classica e quando andavano allo stadio o al concerto si comportavano come il pubblico della Scala.
Nella cloaca multirazziale del basso impero yankee l’incultura monta tanto dall’alto quanto dal basso, dalle università privatizzate e dai think-tanks (per non parlare dei media) ridotte/i a cassa di risonanza per ideologie plebee buone a manipolare il gregge.
L’insegnamento della storia quando non cade in disuso si ideologizza in una pappina politicamente corretta, tanto settaria e stucchevole quanto le sue controparti totalitarie: pur di alimentare l’invasione extracomunitaria si è arrivati a reinventarsi le invasioni barbariche come migrazioni di popoli ricchi di buone maniere e pieni di intenti cooperativi. Ma questo è un totalitarismo dei diritti umani e quindi a Giannuli piace o quantomeno lo preferisce al rischio di scambiarlo per un totalitarismo di altra natura.
Non se ne può più di prodi difensori del regime e di rivoluzionari per finta che si scandalizzano selettivamente delle sue storture senza coglierne la natura sistemica.
Gaz
Ah! Terra salata, terra bruciata, abisso di dolore
spazzata dai venti tu non puoi parlare.
Ah! Come un illuso io vorrei che fosse vero
che ogni mano che apre il tuo ventre fossi tu a partorirla. (Ivan Graziani, Taglia la testa al gallo, 2007)
§§§§
Il ridimensionamento dell’Italia in Egitto e Libia, con carte truccate, sembrano scritti dallo stesso scenografo. Il colpo di grazia si ha quando i ministri sono all’estero, meglio se alla prima esperienza ministeriale e vagamente para-tecnici: si controllano meglio.
Che tristezza !
Anonimo
da mezzo acculturato mi sono accorto di una cosa. C’è un meccanismo per cui gli acculturati non accettano le acquisizioni degli outsider della cultura. Faccio un esempio: Silvio Ceccato. Ha fatto le pulci a tutto l’impianto filosofico insegnato all’università e pur avendo ottenuto una cattedra all’università, è stato allontanato perché troppo pericoloso per coloro che avevano le unghie piantate sulle cattedre universitarie. Quando nasce qualcosa di nuovo, gli acculturati fanno quadrato. E allora cosa succede? Che per esempio continuano ad essere pubblicati libri sui fondamenti della matematica ponendo problemi senza riuscire a risolverli, ma che Ceccato e la sua scuola avevano già risolto, oltretutto con un linguaggio comprensibile anche dall’uomo della strada. Se fossi stato un acculturato, non mi sarei messo a studiare il pensiero e le opere di Ceccato e scuola. E ne sono fiero.
foriato
“outsider della cultura”
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Ossimoro o pleonasmo?