Gli archivi e la memoria
Il 12 ottobre si è tenuta una significativa giornata di protesta di archivisti e storici sul tema dell’apertura e conservazione degli archivi. Non potendo partecipare in prima persona, ho inviato questo intervento.
Questa giornata di protesta giunge estremamente opportuna (e molte altre iniziative del genere dovremo fare ancora) per far capire agli italiani che lo stato di degrado degli archivi non è una piccola questione settoriale che può riguardare, al massimo, gli archivisti, gli storici e qualche studente tesista, ma una questione politica di primaria importanza che riguarda gli stessi presupposti della identità nazionale.
Un popolo che non coltiva e completa costantemente la memoria del suo passato è destinato a veder evaporare la propria identità ed a perdere le ragioni dello “stare insieme”. Ed un segnale molto inquietante di tutto ciò è venuto proprio dal sostanziale fallimento delle celebrazioni del 150° dell’unità nazionale, consumato (salvo rarissime lodevoli eccezioni) fra celebrazioni retoriche e sguaiataggini leghiste, senza affrontare il nodo del perchè lo stato nazionale unitario abbia ancora ragion d’essere.
A minare lentamente -ma costantemente- questo senso di appartenenza è stato anche il degrado della memoria storica, soprattutto del sessantennio repubblicano.
La guerra fredda ed il lungo corridoio attraverso il quale ne siamo usciti, hanno comportato pratiche non sempre confessabili e non sempre per necessità. Dal dilagare della corruzione politica alle vicende della strategia della tensione, dalla tolleranza assegnata al risorgere della Mafia ed all’insorgere delle altre forme di criminalità organizzata al prorompere di una delle finanze corsare più aggressive d’Europa, dalle ambiguità nella lotta al terrorismo ai finanziamenti dei partiti da parte di potenze straniere, la storia repubblicana è stata punteggiata da pagine la cui conoscenza avrebbe comportato una crisi della legittimazione del sistema e della sua classe politica. E la classe politica ha reagito con un patto omertoso che ha impedito la conoscenza di gran parte di quei retroscena. Ed il “patto del silenzio” è sopravvissuto alla stessa prima repubblica, arrivando sino ad oggi.
La distruzione degli archivi non è altro che la prosecuzione ed il completamento di quel patto. Negli archivi dei servizi segreti, del ministero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio, dei partiti ecc. non ci sono certo confessioni esplicite o la narrativa chiara e completa di quei poco edificanti retroscena, ma ci sono mille frammenti di verità da connettere pazientemente per ricostruirli. Una ricostruzione che, molto probabilmente, non sarà mai completa ma pur sempre potrebbe colmare gran parte di quel vuoto di verità che impedisce ancora oggi di scrivere la vera storia del sessantennio repubblicano. Quel che dissiperebbe quella coltre di indicibilità che ha sinora protetto quelle verità vanificando, almeno in una dimensione storica, quel patto del silenzio. Di qui la necessità di far scomparire anche queste ultime tracce della “faccia nascosta” della nostra storia repubblicana.
Non si tratta, dunque, di una dissipazione casuale delle carte d’archivio dovuta a semplice incuria, ma di una volontà dolosa, per quanto non dichiarata, di far scomparire quelle prove. E si pensi solo al caso degli archivi delle Ppss ormai in gran parte dispersi senza che nessuno si curasse di versarli agli archivi pubblici o, almeno, di segnalare il problema.
E si pensi anche alla legge truffa sulla pubblicità degli archivi dei servizi segreti che, ad oltre quattro anni dalla pubblicazione della legge di riforma della sicurezza nazionale, resta ancora lettera morta e di cui ormai neanche più si parla.
Ma tutto questo non avrà altra conseguenza che perpetuare la “memoria divisa” di un popolo che continuerà a fondare le proprie convinzioni più sulle prevenzioni ideologiche che su una ricerca scientifica sul nostro passato.
La classe politica della prima repubblica cadde per l’ondata di scandali di corruzione politica, che certamente segnò uno dei peggiori aspetti di degrado della vita pubblica, ma c’è un furto ancora più grave di quello del denaro pubblico, un furto che sta per essere perpetrato oggi sotto i nostri occhi : il furto di verità che dobbiamo impedire salvando prima di tutto quei documenti che, soli, possono restituirci quella memoria storica di cui il paese ha bisogno per rielaborare la sua identità nazionale, per ritrovare le ragioni dello stare insieme.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, archivi, legge sull'apertura degli archivi, memoria, storia

Paola Pioldi
Bellissimo intervento.
La mancanza di memoria storica, l’assenza di salvaguardia del patrimonio artistico e naturale, la superficialità di “stare” (vivere?) in un presente senza passato… Che tristezza! Molti hanno convenienza a occultare, ditruggere e manipolare la Memoria, ma tanti altri sono responsabili della mancanza di curiosità, attenzione, desiderio di conoscere e sapere da dove arriviamo. L’oblìo è una stupida panacea, prima o poi, il conto arriva.
Cari saluti a tutti,
Paola
Oreste Veronesi
Pprofessor Giannulli, non posso che condividere che il degrado degli archivi sia anche il degrado della memoria storica e ciò inficia direttamente sulla cultura di un popolo.
Vorrei però chiederle ( giusto oggi che, un’ora fa, ho finito il suo libro) a che tipo di “alternativa” o “strutturazione” intende quando accenna ad un “vero innovamento radicale del paese”.
p.s : Non vorrei che prendesse la mia domanda come provocatoria, quindi risponda come se si trovasse di fronte ad un bambino curioso di conoscenza