Giappone: non ne parliamo più?
Il disastro libico sta facendo passare totalmente in cavalleria il cataclisma giapponese. Ormai i giornali dedicano una pagina e mezza, fra quelle interne, a Fukushida ed i pezzi sono così distratti e svogliati che non si capisce bene se ci siano ancora rischi e quali o se la situazione sia omai sotto controllo.
Per quanto la questione libica sia drammaticamente importante, conviene non perdere di vista l’altra emergenza totale in cui siamo sprofondati. A proposito della Libia, vorrei fare due precisazioni: ad Ennio Abate voglio dire che non sono affatto entusiasta dell’azione militare occidentale (neanche un po’, anzi, l’uso delle armi mi ripugna profondamente) ma faccio un calcolo politico forse sbagliato (anche io ho i miei dubbi) che mi porta a dire che l’azione militare –se contenuta entro precisi limiti- può essere il male minore. Secondo: la guerra non è nata perchè gli aerei francesi e americani hanno bombardato i gheddafiani, ma c’era già prima. Non possiamo accorgerci delle guerre solo quando intervengono le potenze occidentali. O no?!
Torniamo al Giappone. Finita (o quasi) l’emergenza terremoto-maremoto-nucleare se ne aprono molte altre: questione energetica, tsunami finanziario, modifica dei rapporti di forza in Asia ecc. Qui parliamo delle conseguenze finanziarie.
Allo stato attuale e secondo i calcoli della Banca Mondiale (“Sole 24ore” 22 marzo 2010) i danni ammonterebbero a 235 miliardi di dollari. Ma, sia perchè non sappiamo come si concluderà la storia di Fukushida, sia perchè si tratta di una stima iniziale ed assai approssimativa, c’è da attendersi una sensibile rivalutazione. In più c’è un altro problemino da risolvere: il Giappone ha diverse altre centrali nucleari che forniscono una ricca parte del fabbisogno energetico del paese, ma è da vedere quale sarà la reazione dei suoi cittadini, se accetteranno ancora di convivere con un rischio simile o reclameranno (come sarebbe saggio, soprattutto in un paese ad alto rischio sismico) una riconversione almeno parziale di esse ad altre fonti energetiche. Sicuramente non appare probabile che i sei reattori appena spenti possano essere sostituiti da una centrale nucleare nuova di zecca. Dunque si pone il problema di trasformare il sistema energetico del paese.
Dato che i giapponesi hanno uno stile di vita un po’ dispendioso (hanno un consumo pro capite di energia da far sembrare gli Europei dei monaci cistercensi) è probabile ed augurabile che una parte del problema sarà risolto con l’adozione di uno stile di vita un po’ più sobrio. Comunque, rimane il problema di ridurre il rischio nucleare sostituendo almeno in parte le centrali esistenti. Altri soldi da trovare.
Lo stato nipponico è, oggi, quello con il più alto debito pubblico del Mondo, pari al 223% sul Pil, una percentuale, peraltro, destinata a salire, non fosse altro perchè, a seguito del terremoto, si prevede una contrazione del 3% rispetto al Pil dell’anno precedente. Nello stesso tempo, il Giappone (come Stato) è un fortissimo creditore degli Usa di cui detiene Bond per 886 miliardi di dollari (secondo solo alla Cina che ne possiede 1.150) oltre che di numerosi altri titoli di Stato europei.
Il 30 giugno scadrà una bella fetta dei T bond americani. La cosa più razionale è che la banca centrale di Tokyo rinnovi solo in parte quei titoli (o non li rinnovi affatto) e metta all’incasso il suo credito. Ma il segretario di Stato al Tesoro degli Usa Tim Geithner (“Corriere Economia” 21 marzo 2011) si è precipitato a dichiarare che sicuramente Tokyo non lo farà, perchè le banche giapponesi traboccano di risparmi privati. Questo è sicuramente vero: i titoli di stato giapponesi sono prevalentemente in mano a creditori interni (singoli risparmiatori e banche giapponesi), il costo del denaro è ai minimi storici e così il rapporto fra impieghi e depositi bancari (73% medio, “La Repubblica- Affari e finanza” 21 marzo 2011) per cui, paradossalmente, il disastro ha effetti positivi, creando uno sbocco a masse di capitali sottoutilizzate.
E sin qui va bene, ma questo non esaurisce il problema. In primo luogo, se è vero che una parte della ricostruzione sarà fatta con investimenti privati, è però altrettanto certo che una fetta non piccola spetterà pur sempre allo Stato, che difficilmente potrà ricorrere all’emissione massiccia di nuovi titoli di debito pubblico, per la situazione in cui si trova. Peraltro, lo Stato dovrebbe offrire rendimenti superiori a quelli attuali –anche di poco- per allettare gli investitori privati: per quanto i giapponesi siano molto nazionalisti, non è pensabile che sottoscrivano massicce emissioni di debito pubblico, solo per patriottismo.
E qui si pone già un problema: già allo stato attuale, i bond giapponesi offrono interessi un po’ superiori a quelli americani che sono al loro minimo storico (siamo al 3,2% sui decennali) anche per la politica di liquidità della Fed che ritira massicce quantità dei T bond. Per farla semplice, facciamo questo esempio: noi siamo dei privati che hanno bisogno di una somma X per abbattere casa e ricostruirla, abbiamo già debiti per Y euro, che ci costano il 3,65% di interesse medio annuo, ma abbiamo anche titoli di credito J che ci rendono il 3,20%. Se andiamo in banca a chiedere un nuovo mutuo, sappiamo che, anche in considerazione della precedente esposizione per Y euro che aumenta il rischio, ce lo concederà al 4%. Vice versa, se vendiamo una parte di Y per una cifra pari ad X, perdiamo una rendita del 3,20%. Quindi, se vendiamo i titoli di credito l’operazione ci costano 0,80% in meno. Voi in queste condizioni cosa fareste? Avrebbe senso tenersi i titoli di credito e fare il mutuo con la banca se prevedessimo un apprezzamento di quei titoli per una cifra superiore al differenziale negativo fra il suo rendimento (3,20%) ed il tasso richiesto dalla Banca (4%). Questo sarebbe possibile se pensassimo che, sul lungo periodo, il dollaro si apprezzasse fortemente sulle altre monete, ma nessuna persona sana di mente oggi farebbe una scommessa simile di fronte alla politica di liquidità alluvionale degli Usa. Anzi, tutto fa pensare che quei titoli, fra 10 anni, varranno meno di oggi. Quindi, non si capisce perchè i giapponesi, pur con la dovuta cautela per non affondare il loro principale mercato di sbocco, non debbano realizzare almeno una fetta del loro credito.
Ma c’è di più: il disastro ha mandato per aria i rapporti di forza consolidati in Asia, in particolare fra Cina e Giappone: i cinesi (sia attraverso il loro fondo sovrano che attraverso le singole imprese) sono pronti a comprarsi l’ “argenteria di famiglia” dei giapponesi, facendo man bassa delle aziende più interessanti. Ed allora chiediamoci: cosa farebbero i giapponesi se si trovassero di fronte ad una serie di Opa ostili da parte dei cinesi (o magari degli indiani)? Va da sè che avrebbero bisogno di liquidità per respingere l’ “assalto alla diligenza”. E questo significa che anche le banche dovrebbero mantenere dei margini di impiego dei depositi per far fronte ad una emergenza di questo tipo.
Dunque, non si capisce perchè i giapponesi dovrebbero immolarsi sull’altare del debito pubblico americano.
Pertanto, è molto probabile che Tokyo disinvestirà una quota più o meno ampia dei suoi crediti negli Usa ed altrettanto faranno le sue compagnie assicurative che debbono far fronte a risarcimenti enormi. In questo caso, si produrrà un deflusso di capitali dai mercati europei e –soprattutto- americani, la cui prima ondata si manifesterà in luglio.
Nello stesso periodo –a meno di raccolti eccezionalmente favorevoli in Francia, Russia, Canada ecc- è probabile che ci sarà un rincaro più o meno accentuato dei cereali, a causa della domanda aggiuntiva di giapponesi e paesi arabi, oltre che per la naturale tendenza all’aumento della domanda.
Sempre nello stesso tempo, è probabile che si svilupperà pienamente la crisi del nucleare (si pensi tanto al referendum in Italia quanto all’esito degli stress test che stanno partendo un po’ dappertutto, quanto, ancora alle prevedibili pressioni antinucleari in Giappone) e, se ciò si verificasse questo potrebbe rilanciare la corsa all’aumento del petrolio (pur senza calcolare ulteriori effetti della crisi mediorientale).
Insomma: fra agosto e settembre non è affatto improbabile che si profili una nuova ondata di crisi con caratteristiche diverse dalla precedente del 2008, ma con effetti forse ancor più vistosi.
Aldo Giannuli
Ps per Anonino Di Stefano
Caro Antonino, ti conosco per essere una persona intelligente e proprio per questo trovo che nel tuo post (“analisi perfetta… conclusione che non condivido”) trovo che ci sia una espressione che tradisce il tuo pensiero: non è che tu “non condivida” le mie conclusioni perchè le ritienga sbagliate –anche perchè poi dovresti poi dimostrarmi logicamente dove sta l’incoerenza fra l’analisi e le conclusioni- quanto piuttosto, le mie conclusioni non ti piacciono. E non piacciono neanche a me, se è per questo, ma se sono vere, sono vere anche se non piacciono. A volte la realtà è sgradevole. Molto sgradevole.
aldo giannuli, commodities, crisi economica 2011, giappone terremoto, tsunami giappone
Rosario
Trovo molto interessante questo articolo. E le pongo altre questioni, per avere una idea dello scenario globale. Cosa faranno la Cina e gli altri creditori in dollari se il Giappone ritirerà la sua parte del credito in dollari? Avremmo una svalutazione del dollaro e probabilmente la Cina e gli altri proverebbero a convertire in euro o ritirerebbero (il che è lo stesso)gran parte dei loro fondi in dollari.A questo punto l’economia americana e Europea (addio acquisti americani…) passerebbero brutti momenti. Assisteremmo dunque ad una nuova riedizione della guerra fredda, del tipo “ti tengo il broncio per non pagar pegno”? O saremo, evento altrettanto infausto, coinvolti in nuove guerre nel nostro pianeta, magari in Africa per garantire l’accaparramento delle fonti primarie di risorse(minerali rari, terreni, petrolio, oro, diamanti ecc.)? So che le questioni poste sono talmente gigantesche da sembrare deliranti, però vedo davvero una grossa crisi del sistema capitalistico per come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, e questo, stranamente (davvero!!) non mi rende entusiasta. Complimenti per il bellissimo sito (..a proposito sono un suo lettore, ho appena iniziato il libro sui servizi segreti e ho in caldo 2012 la grande crisi). Cordiali saluti.
Paola Pioldi
Salve a tutti.
accidenti che scenario catastrofico! Rimango (per il momento) dell’idea che il Sistema occidentale stia implodendo divorato da se stesso per sua natura. Ma forse una nota di ottimismo è dovuta: se, invece di affannarci a depredare Africa e Medio Oriente per le loro risorse minerarie (dato che il nucleare ci spaventa, e a buon ragione) consumassimo significativamente meno?? Siamo già già dei francescani (o cistercensi) a conftronto dei giapponesi … giusto? che ci vuole a migliorare ancora un po’ e non rompere i santissimi a chi, ha risorse si, ma avrebbe piacere (penso) ad organizzarsi senza le nostre ingerenze politico-militari? Magari investire di più sulle fonti di energia alternative? Trovate che sia davvero un’idea idiota?
Grazie,
Paola
p.s. Caro Aldo, come vedi, inizio a prendere gusto a partecipare al tuo blog! Grazie mille per lo spazio e la disponibilità!
Rosario
Ok concordo in pieno con la proposta di Paola, spero che il continente africano si riappropri delle sue risorse, ma i fatti indicano già una forte influenza cinese nel territorio, per non parlare della guerra in Irak e adesso in Libia.Per le fonti energetiche alternative sono pienamente concorde, anche se la ricerca in quei settori non è certo incentivata da chi guadagna su petrolio e gas naturali.
Paola Pioldi
Caro Rosario,
anch’io concordo con le tue riflessioni sull’influenza della Cina e il “non mollare” di noi occidentali. Hai ragione .. purtroppo. Sapessi come mi sento impotente quando ricevo e-mail di aggiornamento da Amnesty Inernational su tutte le guerre che insanguinano il nostro pianeta! Dal Corno d’Afriva alla Nigeria. Tutto per questioni di sfruttamento energetico. Mi solletica tanto l’idea (grazie anche al tuo intervento) di provare a coinvolgere in questo confronto un mio caro conoscente (non proprio amico) cinese che si dichiara, non tanto filo maoista, ma uno che ha le idee abbastanza chiare sul ruolo che la C.I.A. ha avuto rispetto alle scelte cinesi in campo politico-socilale (Tibet incluso) … non è che sia proprio d’accordo con lui eh! Ma almeno non saremo solo noi a scambiarci idee, ma anche anche qualche diretto interessato. Non frequanto altri blog e non sono iscritta a Twitter (che pare, almeno secondo Radio Popolare, sia stato strumento utile per i ribelli libici, egiziani e tunisini).
Tornando “a bomba”: mi auguro che il Giappone riesca a far tesoro della dolorosissima esperienza che lo sta vedendo protagonista. Magari, con la sua cultura orientale riuscirl (in barba ai T bond americani) a trovare … “inventarsi” una risposta alternativa … avrei molto altro da dire, ma mi auguro che, con la mia scarsa capacità di sintesi, sia riuscita a dare un’idea di quel che penso.
Ciao Rosario e saluti a tutti,
Paola
Rosario
Gentilissima Paola, apprezzo molto la tua risposta. E, visto che per il momento siamo in due, aggiungo un’altra riflessione. Mi sembra che tu abbia indicato una nuova linea di tendenza di sviluppo, quella dell’entropia economica, termine un po’pomposo per dire in sostanza: riappropriamoci delle risorse senza esaurirle e ponendo un limite allo sfruttamento della Terra. Da tempo persone come Carlin Petrini (Slow Food) teorizzano questo concetto, ma si può applicare a qualsiasi forma di risorsa. Cosa c’entra la Cina? La Cina è un potente motore che funziona con vecchi carburanti e per questo necessita di nuovi territori e risorse prime per rimanere la “fabbrica” del mondo e dar da mangiare ai suoi abitanti (da qui il Tibet, l’Africa e tutti i territori che sta cercando di colonizzare).Allo stesso tempo rimane il vecchio spirito sobrio tipico del paese agricolo intriso anche di saggezza confuciana che spingono questa grande nazione all’equilibrio e alla sobrietà. Quale aspetto prevarrà? Forse anche noi consumatori europei potremo influenzare le nuove tendenze economiche del futuro. Grazie ancora per la tua bella risposta.
Rosario
lamberto
Caro Aldo, il Giappone lo vedi bene, ma forse il futuro a medio è un po’ peggio – per un catastrofista emerito come te, un bello smacco. Se Fukushima chiude – possono fare diversamente? – il Giappone si perde il 5% di elettricità (più di un’ora al giorno). Possono risparmiare? Mah! Comunque significa consumare di meno. Possono ricorrere ai vicini? Ci credi, dati i vicini? Insomma non producono. Quindi, solo per questo, crisi economica. E non solo per loro. Per tutti. Perché anche noi produrremo meno. Ci viene a mancare il terzo mercato del mondo. E poi c’é la global supply chain, cioè componenti e ricambi di tutti sono fatti solo da pochi. Per alcuni settori il Giappone è l’unico. Per questo, per esempio, l’industria automobilistica del resto del mondo non sogghigna per le disgrazie di Toyota, Nissan e compagnia. Ci consola solo una minore disponibilità di liquido per la speculazione, particolarmente gradita a chi ha le pezze sul sedere.
Lamberto
Paola Pioldi
Ciao a tutti ed in primis a Rosario.
Si, sostengo che consumare meno sia possibile (senza grandi sacrifici) basta un po’ di attenzione. Conosco lo slow-food e partecipo a qualche loro iniziativa (ottimi i formaggi dalla corta filera!:-)) Non ho l’auto, acquisto equo-solidale (il più possibile), faccio attenzione a cosa compero e cerco di non prediligere i consuni usa-e-getta (tipo fazzoletti di carta e altri beni). Non sono bacchettona e non la meno a chi considero “sprecone”. Sono “vegetariana” pur nutrendomi anche di prodotti animali quali formaggio ecc. di garantita provenienza (spero) nel rispetto delle creature che umane non sono:-). Peccato se, come dice Lamberto, saremo costretti a consumare meno solo grazie a catastrofi e morti. Sarebbe meglio fosse una libera scelta consapevole. Le pezze al sedere le ho, ma, a questo punto, spero di tenermele …:-)) Non ho competenze economico-politiche, ma una cosa la so: nell’attimo in cui discutiamo di Libia, Giappone, NATO, CIA, bevendo in bicchieri di carta, fumando sigarette, a 23 gradi in una casa ampiamente illuminata, col nuovo computer lanciato sul mercato ed il telefonino ultimo grido.. siamo già dei micro collusori con quelle multinazionali di cui la NATO è uno dei settori esecutivi. C’era un vecchio slogan nei miei amati anni settanta, a cui aggiungerei una frase: “Lavorare meno, consumare meno, lavorare tutti”. Comunque, mi rinmane l’idea che il ns sistema capitalistico occidentale si avvicini al collasso e che non si possa prevedere cosa accadrà in un futuro, non imminente (le agonie a volte sono assai lunghe) ma nemmeno tanto lontano.
Voi che ne pensate?
Grazie,
Paola
lamberto
Cara Paola Pioldi, come non condividere il suo stile di vita, segnatamente per i fazzoletti? Io 3 mesi fa ho passato alcune ore di riunione con una mezza dozzina di manager raffreddati, tutti col loro bravo pacco di Tempo in tasca. Alla fine sembrava di essere in un centro di accoglienza immigrati. Evviva il cotone Egitto.
Non sono invece favorevole alle sigarette e alla sua cucina. Altrimenti ci resta solo il ciulare, che a una certa età non viene tanto bene, salvo il nostro amato presidente del consiglio.
In ultima analisi, Lei vive ora gli anni della sobrietà, in cui stiamo entrando tutti a vele spiegate. Peccato che non siano d’accordo cinesi, indiani e molti altri. diciamo il 98% dell’umanità (con un 1%, già schifosamente ricco, che lo diventa di più ogni giorno).
Quanto al suo programma politico, mi sembra che chieda solo una piccola correzione.” Lavorare meno, consumare meno, lavorare in pochissimi” e ci siamo già. Insomma, ritorno agli anni settanta, quando però le pezze al sedere le aveva solo una minoranza.
Paola Pioldi
Caro Lamberto,
carinissima la battuta sul ciulare! Maddai che anche ad una certa età si può sgodazzare! 🙂 E poi … ogni tanto, grazie ad una coppia di amici, fumo, ma mica sigarette!! :-))
Hai ragione nell’ironizzare sul mio vivere i tempi della sobrietà e sottolineare che siamo troppo pochi per essere incisivi a livello planetario. Del resto, faccio parte di quel 2% sufficientemente “ricco” rispetto al 98% messo assai peggio delle mie pezze al sedere. Se il capitalismo, con la sua ingordigia e “filosofia” del consumo, che arrichisce pochi e rincoglionisce molti, ha tanto successo, ci saranno pur dei motivi, per me, non solamente riconducibili ai poteri politico-economici e mediatici, ma questo è un altro discorso …. l’ho accennato in altri “post” di questo sito. Spero che, oltre ad esportare criteri autodistruttivi ed incapaci di una visione globale che vada oltre il mero guadagno immediato in termini economici, i nostri sistemi occidentali (che ritengo al pre-collasso) esportino pure un po’ di ciò che di buono hanno saputo testimoniare: maldestre democrazie, ideali e dichiarazioni d’intenti (seppur largamente disattesi)e anche l’umiltà di riconoscere che una vita pià sobria nulla toglie al piacere d’esistere. Credo sia molto volgare chiedere agli altri di fare, o peggio, essere, quel che non si farebbe mai, in questo caso, di rinunciare allo “spreco”.
D’accordissimo col tuo riferimento agli anni settanta, verissimo che ci siamo involuti da un punto di vista sociale e di diritti fondamentali, ma, a differenza d’allora, siamo chiamati, credo, a uno sguardo più ampio sul mondo e sulle cose.
Ti ho dato del tu .. scusa, mi è venuto spontaneo e spero che il tuo “lei” non sia stato un vezzo ironico che non ho compreso. ;.)
Cari saluti a tutti,
Paola
lamberto
Carissima Paola Pioldi, il tu mi onora. Contraccambio.
E ne approfitto per confermarti che nell’età della sobrietà – chiamiamola della miseria, visto che l’altro termine è volgarotto – non sono tanto contento di entrare. L’avrei lasciata volentieri ai posteri. Gliene abbiamo già fatte tante, una in più….
Comunque so che saresti d’accordo a consigliarli di guardarsi dagli slogan. Se li tenga il nostro amato presidente del consiglio. Fanno vincere le elezioni. Ma il mondo è tanto più complesso.
Un saluto ammirato.
Rosario
Ciao a tutti, vedo con piacere che il “dibbattito” prende quota, e chi sono io per tirarmi indietro? Proprio adesso, ritornando da un breve fine settimana (…abbasso il week end!)ho aperto l’armadio e con sconforto mi è crollata addosso una pigna di maglie, maglioni, camicie che ho comprato a bassissimo prezzo e/o comunque in saldo. Ho pensato che dovrò buttare parecchia roba per far spazio..ai nuovi acquisti? C’è una logica in tutto questo, se pensiamo che nessuno di questi prodotti è stato fatto col lavoro nostrano? Sarei senz’altro contento di pagare i maglioni dieci volte di più (a qualità maggiore s’intende) pur di vedere una ripresa del lavoro nel nostro Paese. Io penso che sia giusto pensare “locale”: cioè in Europa consumare meno, forse cose di amggiore qualità e facendo partire una economia del riutilizzo che preveda la riparazione dei beni ancora usabili (o addirittura dove non ne sia programmata l’usura…)mentre in Cina e gli altri Paesi uno sviluppo maggiore del mercato interno, ai loro standard di vita naturalmente, con una reale apertura dei mercati anche a beni esteri. per ora assistiamo al consumo di pomodori provenienti dalla Cina, magari prodotti in Africa, mentre i nostri agricoltori vendono i loro terreni per far costruire nuove case. C’è una logica in tutto questo?
Paola Pioldi
Ciao,
no, secondo me non c’è logica, per il semplice fatto che, per quanto dotati di “ragione” e capacità cognitive, noi esseri umani non siamo logici… che ci piaccia o no …. è evidente che non lo siamo. Potremmo stare benino tutti quanti a goderci il pianeta chiacchierando amorevolmente e valorizzando le diversità (ma quando mai?:-) e invece siamo qui a dilaniarci e a depredarci.
Sarebbe lunga ….
Spero di ritrovare entrambi (so che Rosario già c’è) sugli altri post di questo sito …. diciamo quelli più “attuali” …. tanto il Giappone è in ventesima pagina! Ma, data l’ultima scossa magari domani ci ritroviamo in prima! Con bene placido dei palinsesti informativi …. vi invio un caro saluto,
Paola