Geopolitica dell’Italiano.

Fra le molte sciocchezze che capita di sentire a proposito dell’Italiano, c’è quella per la quale esso sarebbe quasi una lingua morta, parlata da quattro gatti e, pertanto, destinata a scomparire ineluttabilmente nel mondo globalizzato. Ovviamente, i primi sostenitori di questa fesseria sono gli anglomani, per i quali l’inglese basta e avanza per tutti gli usi e tutte le altre lingue possono sparire.

Qualche dato può servire a formare una visione più realistica della situazione. Secondo Wikipedia l’italiano è diffuso in Argentina, Australia, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Brasile, Canada, Cile, Croazia, Egitto, Eritrea, Francia, Germania, Israele, Libia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paraguay, Filippine, Porto Rico, Romania, San Marino, Arabia Saudita, Slovenia, Somalia, Sud Africa, Svizzera, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Uruguay, Venezuela, Stato Vaticano. Una irradiazione amplissima, che la colloca ai primi posti nel mondo.

Wikipedia colloca l’Italiano al 21° posto nella graduatoria mondiale dei parlanti, dopo cinese, spagnolo, inglese, hindi, arabo, portoghese, bengalese, russo, giapponese, tedesco, giavanese, punjab, coreano, wu, francese, telugu, turco, marhati, tamil, vietnamita.

Ma lo fa su criteri “ufficiali”, cioè sommando i parlanti di madre lingua a quelli di seconda lingua dei residenti di ciascun paese, per cui l’inglese è al terzo posto ed il francese al 15°, il che non appare molto realistico. La graduatoria di Wiki non tiene conto:

a- dei discendenti di immigrati che hanno conservato l’uso della lingua e che spesso non sono censiti

b- dei flussi di migranti che apprendono la lingua nel paese di immigrazione e che spessissimo non sono censiti

c- dei parlanti di “professione” spesso non considerati: ad esempio, nella finanza quasi tutti gli operatori, in qualsiasi parte del mondo,  comunicano in inglese. Molti operatori culturali parlano inglese o francese anche se appartenenti ad altri paesi. La Chiesa Cattolica ha come sua lingua ufficiale l’italiano, conosciuto da molti religiosi e da tutti i vescovi che lo usano nelle loro comunicazioni ecc.

d-  quanti apprendono una lingua per motivi di studio e che la classifica di Wiki non prende in considerazione (ovviamente è molto più facile che ci siano studenti arabi, indiani, cinesi ecc. in una università europea o americana, di quanti ce ne siano di europei in università indiane, cinesi o arabe; così come è più facile che ci siano studiosi della letteratura inglese, francese, italiana in Cina o in Bangladesh di quanti studino quelle letterature in Inghilterra, Francia o Italia),

e- di quanti apprendono la lingua come turisti, ed è ovvio che ci siano più turisti asiatici in Europa che europei in Asia

Peraltro, la graduatoria su dati ufficiali può risultare insidiosa anche per altre ragioni: l’indonesiano è la lingua ufficiale dell’Indonesia, con i suoi 300 milioni di abitanti, ma in effetti è la prima lingua solo di un quinto della popolazione, ed è la seconda di una ulteriore parte che non copre più della metà degli abitanti; l’arabo scritto è lo stesso in ogni paese arabo, ma quello parlato cambia da pese a paese e non è affatto sicuro che un parlante marocchino riesca ad intendersi con uno yemenita.

Tenendo conto di queste variabili, la graduatoria cambia sensibilmente. In occasione degli “stati generali della Lingua Italiana” (svoltisi a Firenze nello scorso ottobre), abbiamo saputo che: ci sono 4,5 milioni di italiani all’estero (senza contare i trasferimenti temporanei come gli Erasmus), nella sola città di Barcellona c’è una comunità di italiani di quasi 50.000 persone. Inoltre abbiamo saputo nella stessa occasione che l’italiano è l’ottava lingua usata nel web, che gli italodiscendenti sono circa 80 milioni (per dimensioni è la seconda diaspora al mondo dopo quella cinese) e che il bacino degli italofoni è di 250 milioni di persone, al nono posto nella graduatoria mondiale (dopo inglese, francese, spagnolo, portoghese, hindi, cinese, arabo, russo). Può sorprendere non trovare il tedesco, che, in effetti è di pochissimo meno parlato dell’Italiano –praticamente alla pari-, ma occorre tener presente che, anche se tedeschi, austriaci e svizzeri tedeschi, insieme alla minoranze tedesche disseminate in Europa, ammontano complessivamente al doppio degli abitanti dell’Italia, però i germano discendenti (nipoti di emigrati) sono molto meno degli italo discendenti. Anche il Giapponese parte da una base nazionale più consistente di quella italiana, ma ha una diaspora linguistica molto meno ampia dell’italiano.

Dunque, almeno su una cosa possiamo stare tranquilli: l’italiano non è una lingua morta ed è fra principali dieci lingue parlate nel mondo.

Certo, se continua come sta andando, fra un po’ ci saranno più italo parlanti all’estero che in Italia, dove la lingua più diffusa sarà una sorta di basic english con forti innesti padani, ma, almeno per ora, sembra che questo disastro sia prossimi.

Vice versa, studiando bene questi dati, si capisce che l’italiano è una lingua con un forte potenziale geopolitico sia per l’ampiezza dei paesi in cui è diffuso, sia per il numero di parlanti o di persone che lo usano nel web. Se l’Italia vorrà pesare qualcosa nel mondo globalizzato, non è grazie alla finanza o al suo peso militare che ci riuscirà. Il suo strumento di influenza principale non potrà essere che la sua cultura, che significa arte, musica, letteratura, gastronomia ecce cc. E questo sarà una risorsa fondamentale anche per il rilancio delle esportazioni italiane. Vorrei ricordare che, quando l’ italian style significava qualcosa, l’Olivetti lettera 32 era esposta al museo di arte moderna nella fifth avenue di New York e l’Olivetti rappresentava circa l’8% del mercato mondiale di settore. Un  caso?

Ma il bagaglio storico della cultura italiana non è separabile dalla sua lingua (sarebbe l’unico caso al mondo di un patrimonio culturale servito in una lingua diversa dalla propria) e, dunque, un rilancio di questo paese non è separabile dalla difesa della sua lingua.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (16)

  • io osserverei che il motivo per cui una lingua è viva è perché c’è qualcuno che la parla per vivere. Non è che adesso l’egizio antico tradotto da Champollion dovremmo reinserirlo tra l’italiano e il francese perché gli egittologi vi campano, ma l’italiano non corre questo pericolo. Pensiamo al ebraico che è stato conservato come lingua religiosa e reintrodotto a forza in israele creando l’ebraico moderno.
    Credo che dovremmo capire le motivazioni per cui una lingua vive e come vive, se io sono algerino di terza generazione e vivo nel bergamasco parlando correttamente il dialetto di berghem e non leggo l’arabo algerino né nessuna altra forma di arabo, ma conosco solo qualche modo di dire dei nonni, quanto è vivo l’idioma algerino in me?

  • Se proprio non vogliamo (ma chissenefrega di quello che vogliamo…) almeno mettiamoci d’accordo su quale debba essere la seconda lingua di tutti e cominciamo a insegnarla dall’asilo e per tutta la scuola dell’obbligo, così si abbattono le barriere della conoscenza. Da “anglomane” che legge in inglese e si guarda i film in lingua originale (99% inglese) sinceramente non vedo l’ora che l’inglese diventi lingua ufficiale (o almeno de facto) del pianeta Terra 🙂 Ne riparliamo tra 20-30 anni.

      • Non mi sembra vi siano i sintomi di un declino dell’inglese, semmai il contrario… manualistica, uso nell’ambito business e scientifico (due ambiti non proprio “piccoli”), audiovisivi (il piacere di guardare un film senza il doppiaggio o di leggere un libro senza traduzioni che ne storpino il contenuto), turismo (il piacere di visitare un paese straniero senza dover impararne la lingua), internet, e chissà quanti altri ambiti ho dimenticato?
        Non saprei fare previsioni così precise, ma credo e spero che in 2-3 generazioni le lingue minori vengano abbandonate, anche solo ai fini pratici. Chi vuole se le studia, come oggi c’è chi va a impararsi il latino per sua cultura personale.
        Sperare che rimangano tutte è come essere in una famiglia di 4 persone e volere a tutti i costi che tutti e 4 parlino una lingua diversa, che senso ha a livello pratico? Almeno come seconda lingua, che tutti e 4 parlino la stessa, così tutti capiscono. Ecco, il mondo non è altro che una famiglia di 6-7 miliardi di persone.

  • Buongiorno Prof. Giannuli,

    aggiungo che questa anglomania di molti nostri connazionali dà fastidio prima di tutto agli anglofoni stessi, i quali innanzitutto ridono della nostra pronuncia (compiuteRR per computer), inorridiscono di fronte all’uso che facciamo di alcuni loro vocaboli (gadget per indicare una comune oggettistica, quando in inglese significa “tecnologia sperimentale e fuori mercato”) e alla fine delle fini si aspettano che un Italiano, perbacco, parli italiano.
    Non so come andrà a finire con la nostra lingua, ma l’anglomania all’estero è vista generalmente male.
    Saluti,
    Marco

  • Sono d’accordo con lei; il futuro dell’Italia è legato alla cultura, al cibo, al turismo e ad una lingua che è molto amata all’estero per la sua dolcezza e per il legame inscindibile col nostro patrimonio musicale, storico e culturale.
    Quanti stranieri conosco che hanno imparato l’italiano per amore dell’opera lirica.
    La nostra industria pubblica è stata smantellata e svenduta; la piccola e media impresa, se può, fugge all’estero; la nostra scuola piuttosto inefficiente non è in grado di fornire quella preparazione tecnologica che, in Israele ad esempio, ha portato alla creazione di migliaia di start up innovative.
    E’ probabile che il nostro futuro sia ancora legato a quello che sapremo salvare e valorizzare del nostro passato.

  • Tenerone Dolcissimo

    Bene professore, quindi auguriamoci che politici e burocrati usino bene l’italiano e finisca la stupida guerra al vocabolario della lingua italiana portata avanti dalla sinistra. Che ne dice di un bell’articolo per condannare il compagno Befera che in un video pubblicitario ha definito l’evasore fiscale come un parassita dimenticando che parassita è chi mangia alle spalle degli altri e non chi difende il proprio patrimonio dai parassiti?

  • “ha definito l’evasore fiscale come un parassita dimenticando che parassita è chi mangia alle spalle degli altri ”
    e lo è, visto che usufruisce come e più degli altri (perchè ufficialmente risulta nullatenente) dei servizi pubblici pagati da tutti.

  • Tenerone Dolcissimo

    Quali servizi pubblici??? La polizia che ha fatto ammazzare quella ragazza ligure nonostante il maniaco che la minacciava le avesse scritto una lettera preannunciandole che la avrebbe fatta a fette se non scopava con lui???
    Caro giovanni, per pagare i servizi che abbiamo bastano le accise sulla benzina. Il resto è furto. Se vuole, venga a ROMA. La portero a fare un giretto, a prendere il caffé a Sant Eustacio e Le farò vedere come vengono spesi i soldi delle nostre tassse. Non se la prenda con gli ebrei che scappano dai campi di concentramento, ma con i nazisti. Cordiali saluti

  • Aggiungo che le tasse che paga servono solo a coprire gli interessi sul debito, non piú certo a costruire strade e ospedali. Ne consegue che sí, i parassiti sono quelli che ci stanno espropriando di tutto.

  • parlo solo n inglese,perche di italiano,non ho piu niente,ne l orgoglio ne diritti,ne nazione,divorata,da un pugno di sciacalli!

  • Caro prof. Giannuli, apprezzo molto il suo interesse per una corretta inquadratura della lingua italiana nel mondo di oggi, che non è dominato dalla lingua inglese, ma da varie sue scimmiottature le quali si possono riassumere nel termine “globish”, c’è una bella differenza tra le lingue inglesi in UK e Usa e ciò che chiamo “inglese degli aeroporti.”
    Io rabbrividisco nel leggere commenti come quello del tipo che vorrebbe che parlassimo tutti una sola lingua, ovviamente l’inglese. Il tragico dominio neoliberista che infetta ancora il mondo è dovuto anche a modi di pensare come quello.

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