Friaul – L’etnogenesi voluta dai nibelunghi

Con grande piacere ospito questo contributo di Gaetano Dato, giovane e brillante studioso di Storia che mi invia un interessante  articolo su un pezzo di storia poco conosciuto ma molto interessante. Buona lettura! A.G.

Non senza difficoltà, avevano superato le lunghe colonne di cosacchi in fuga dalla Carnia. La neve era caduta copiosa sui monti tra il Friuli e la Carinzia all’inizio del maggio 1945. Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata.

Non c’era tempo per guardarsi indietro e nemmeno per fissare, forse un’ultima volta, la lunga schiera dei 40.000. Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche, che in quel momento, con la loro atroce, ennesima sconfitta, contendevano alle Alpi la maestosità del panorama.

Dovevano arrivare al lago di Wörth, il prima possibile. Avevano ancora la speranza di ricevere un ordine che avrebbe potuto dare loro un nuovo incarico a guerra finita. Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia. Il 7 maggio al castello di Hornstein, luogo dell’appuntamento, arrivarono in sette, dei quaranta che lavoravano all’ufficio centrale di Trieste. Ad attenderli il loro leiter, Franz Hradetzky. E fu l’ultima volta  che parlarono del Pfufferstaats Friaul: lo stato cuscinetto del Friuli  che, se l’Asse avesse vinto la guerra, avrebbe dovuto proteggere i confini sud occidentali della Grande Austria, nel contesto del Nuovo Ordine in Europa.

(Foto 1) 1___Friaul_cartinaLa disposizione, a suo tempo, era arrivata da Himmler. Dopo l’8 settembre del 1943 e la costituzione del protettorato dell’OperationsZone Adriatisches (OZAK, Zona d’operazioni Litorale Adriatico) nella Venezia Giulia e nel Friuli, il capo delle SS aveva affidato a Hradetzky e ai suoi uomini un’operazione speciale. Loro erano il Kommando Adria, la sezione nel Litorale della “Kurt Eggers”, l’organizzazione delle Waffen SS che gestiva le corrispondenze di guerra e la propaganda nelle varie zone di operazione. Avrebbero dovuto intervenire con un intenso lavoro culturale per il ridestamento dei sentimenti nazionali nel popolo friulano. Questo avrebbe preparato il terreno alla costituzione del Friaul.

Ma il 7 maggio 1945, morto il Führer, morto Himmler e con la Germania invasa da tutte le direzioni, che senso aveva parlarne ancora?

Oltre a Hradetzky, fra gli alti papaveri del Kűnstenland aveva trovato spazio, in qualità di consigliere di Rainer, commissario generale della zona di operazioni, il barone Wolsenegger. Il Reich, che mirava a ereditare le tradizioni imperiali austroungariche, aveva un grande interesse nell’avvalersi dell’esperienza di una figura come quella del barone che, durante la guerra precedente, aveva diretto l’amministrazione civile a Trieste.

Tutti e tre erano austriaci, ma Rainer era un ateo dichiarato, mentre Wolsenegger, che appunto aveva avuto una certa esperienza nell’amministrazione asburgica, era molto vicino  ai vertici ecclesiastici. Anche Hradetzky aveva simili frequentazioni, cosa che consentì ad entrambi di tenere i contatti  fra le curie del Litorale  e il comando nazista. Le inclinazioni religiose dei due funzionari tornarono molto utili nel controllo del territorio, specialmente in relazione ad alcuni sacerdoti sloveni e nell’arruolamento forzoso della popolazione per la costruzione delle opere pubbliche per la difesa terrestre e antiaerea.

Inoltre, alcuni settori della Chiesa vedevano di buon occhio il progetto della Grande Austria. L’interesse cresceva, dopo che l’armata rossa aveva ripreso controllo del mondo ortodosso ed i soldati di Stalin e di Tito dilagavano negli stati cattolici dell’Europa orientale e balcanica.

Il principe arcivescovo di Salisburgo, Rohracher, insieme ad altri esponenti del Vaticano come Alois Hudal, tentarono allora una disperata mediazione nell’aprile del 1945, fra nazisti austriaci e i servizi segreti inglese e americano. La Grande Austria doveva comprendere anche la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania.

Si trattava di un progetto con qualche saldatura col più vasto tentativo vaticano dell’Intermarium,  una lega di stati cattolici fra i mari Adriatico e Baltico capace di contenere il mondo sovietico, a cui guardavano con particolare attenzione il generale polacco Anders e i suoi 100.000 soldati sparsi per l’Italia, in attesa di rientrare in patria e vendicare il massacro sovietico di Katyn.

Nè la Grande Austria, né l’Intermarium poterono mai realizzarsi. Il 1945 non era un tempo di restaurazioni. Il dominio dell’Europa era finito e il mondo non sarebbe stato più lo stesso. USA e URSS avevano già spartito il pianeta in sfere di influenza, e al massimo potevano lasciare agli inglesi la patata bollente della guerriglia greca di Markos. Gli americani in più si erano presi la briga, con i britannici, di sostenere ustaša e cetnici, per tenere sulle spine Tito in Jugoslavia, ma forse solo perché erano a loro volta rimasti impantanati a Trieste per via del Territorio Libero. Ma questo era tutto. Non c’era spazio per il terzaforzismo cattolico, che riuscì soltanto a mettere in salvo alcuni capi e gerarchi nazifascisti.

L’offerta che Hradetzky aveva pensato di fare ai sopravvissuti del Kommando Adria, al momento dell’incontro in quel 7 maggio, non si era dunque ancora concretizzata nei modi opportuni. La speranza era che in tempi brevissimi la mobilitazione per la nuova Grande Austria potesse salvare ciascuno dalla prigionia. Nulla di più sbagliato. Poco tempo dopo, lo stesso leiter dei corrispondenti di guerra fu arrestato dagli jugoslavi, e processato a Lubiana insieme a Rainer e a molti altri responsabili dell’OZAK. Tuttavia, diversamente da quest’ultimo, scampò la pena capitale e subì una condanna a 16 anni di lavori forzati, da cui riuscì a sopravvivere per tornare in seguito in Austria.

Così, le sue testimonianze a Pier Arrigo Carrier negli anni Settanta, hanno riportato alla luce la breve storia dei tentati preparativi per la costituzione del Friaul. Il 7 maggio, allora, forse per prendere tempo e darsi coraggio, fu soprattutto il momento dei ricordi, di quei mesi frenetici in cui l’attesa per l’arma segreta faceva pensare alla realizzazione dei piani più ardimentosi.

La prima idea di Grande Austria era nata nel quadro della presunta vittoria, e della costituzione di un grande Reich in cui spartire prebende e investiture, e nel quale “il partito degli austriaci” avrebbe dovuto prendere il sopravvento sui tedeschi del nord. Nel loro delirio di onnipotenza, previdero che la Grande Austria, patrocinata dallo stesso Hitler, avrebbe dovuto assorbire i territori del vecchio impero asburgico, compresi l’OZAK, la Boemia, e persino la Baviera. Sarebbero state concesse ampie autonomie a croati e sloveni, attraverso la costituzione di stati autonomi, ma federati al Reich. Agli sloveni in particolare sarebbe stata tolta la regione della Stiria slovena, da germanizzarsi completamente, e sarebbe stato ricostituito il ducato di Carniola, che era tramontato con la fine degli Asburgo. Il Pfufferstaats Friaul sarebbe stato un altro degli stati autonomi federati, uno stato cuscinetto con lo scopo di isolare ogni possibile “infezione” dal lato italiano, specialmente in direzione delle terre giuliane, dalmate e del Quarnero, in cui il sentimento irredentista aveva una certa presa. A tale scopo il Pfufferstaats Friaul avrebbe tagliato ogni continuità territoriale tra queste aree e la penisola italiana.

Il tradimento degli italiani dopo l’8 settembre 1943, e la mai digerita espansione del Regno dei Savoia ai danni del vecchio impero absburgico nel 1918, aveva spinto Himmler a includere il Friuli nei piani di ingegneria etnica che avrebbero dovuto rettificare l’Europa del Nuovo Ordine.

Rainer lo aveva detto pubblicamente, durante i sanguinari mesi dell’OZAK: gli italiani in Friuli erano «una minoranza». A suo dire, rispetto a una popolazione di 700.000 persone, 100.000 soltanto erano gli italiani, 200.000 erano gli sloveni, e il resto, la maggioranza, erano friulani, «appartenenti al gruppo retoromanzo», lo stesso che abita «i Grigioni in Svizzera» e che in Tirolo «costituisce il gruppo dei Ladini».

Era dunque opportuno agire per tempo e far sorgere la voglia di indipendenza ai friulani ben prima della fine della guerra. Il capo delle SS contattò quindi Hradetzky nell’autunno del 1943. Il leiter della “Kurt Eggers” nel Litorale iniziò pertanto a coinvolgere alcuni «teorici ed esperti delle minoranze», fra cui il barone Wolsenegger e un certo numero di docenti e ricercatori, specialmente austriaci. Fu redatto un piano che prevedeva la forzata nazionalizzazione delle masse friulane, previa la distillazione delle loro tradizioni popolari, per essere loro riproposte attraverso mass media ed eventi pubblici. Il modello di nazionalizzazione seguito fu quello più congeniale ai nazisti, ovvero lo stesso modello tedesco, assai ben studiato da George Mosse negli anni Settanta, così come sarebbe stato messo in campo il meccanismo di invenzione della tradizione secondo lo  schema classico analizzato da Hobsbawm col suo omonimo studio del 1983.

Dunque, in primo luogo, Hradetzky mise in piedi un gruppo di studio sulle tradizioni popolari, che avrebbero dovuto estrarre gli elementi costitutivi della narrazione nazionale friulana, da ricomporre poi secondo gli scopi voluti. Il leiter cercò allora il sostegno della Filologica Friulana, ente che dal 1919 si occupava di valorizzare la lingua e la cultura friulane, ma che non aveva mai avuto alcuna finalità indipendentistica, e che pure era stata perseguitata dal regime come tutte le altre organizzazioni a sfondo localistico o regionale.

Ercole Carletti, allora segretario della Filologica, oppose un netto rifiuto. Tra l’altro va osservato che la Filologica si ispirava esplicitamente a Graziadio Isaia Ascoli, il linguista ebreo, e patriota del Risorgimento, che nella seconda metà dell’Ottocento studiò estensivamente il friulano, e che a livello nazionale si impegnò moltissimo nel dibattito sulla questione della lingua.

I nazisti ripiegarono dunque su Ermes Cavassori, giornalista dal 1941 de “Il Popolo del Friuli”, il quotidiano fascista di Udine, e su altri soggetti coinvolti dallo stesso Cavassori, a cominciare dallo zio, il maestro Luigi Garzoni. Sul fronte degli studiosi austriaci è invece da segnalare il coinvolgimento di Karl Felix Wolff, già membro della commissione culturale dell’Alpenvorland, l’altra zona di operazioni trasformata in protettorato e che occupava il Trentino – Alto  Adige. Wolff insieme ai suoi collaboratori aveva lavorato soprattutto ad una raccolta di fiabe friulane, che però non giunse mai alla stampa, a causa del precipitare degli eventi. Dopo il conflitto pubblicò comunque parecchio, specie sulle tradizioni delle Dolomiti, e gli fu riconosciuto anche un titolo dall’università di Innsbruck. Comunque, alcuni dei racconti friulani uscirono nel periodico che, su invito di Hradetzky, e con la collaborazione degli altri uomini del Kurt Eggers, fu fondato da Cavassori e Garzoni, La Voce di Furlania.

Il bisettimanale avrebbe dovuto costituire il capofila di una serie di esperienze di nazionalizzazione, anche se non giunse mai alla prevista fase del ripudio aperto dell’affiliazione della «razza friulana» a quella «italiana», se non per criticare il tradimento dell’8 settembre. Temi prevalenti del giornale erano dunque le tradizioni popolari, la lotta all’internazionalità e gli inviti alla popolazione a collaborare con i tedeschi. Rare, e ovviamente di parte, le notizie sulla guerra in corso.

Il titolo della testata dava anche il nome a una rivista teatrale messa in scena settimanalmente in un teatro di Udine. Inoltre furono fondati nel territorio friulano oltre 40 gruppi corali, mentre altre associazioni provvedevano alla riscoperta delle tradizioni folcloristiche, a cominciare dagli abiti tradizionali. Il tutto convergeva poi in eventi sullo stile delle feste “volk”, sulla falsa riga della nazionalizzazione tedesca: incontri pubblici dove venivano cantati motivi tradizionali, esibizione di costumi tipici e recitazione di storie della cultura orale friulana.

Pare che, secondo Hradetzky, la popolazione avesse entusiasticamente aderito a queste iniziative, mostrando così un certo consenso nei confronti dell’amministrazione nazista. Naturalmente queste notizie venivano accolte con apprensione dal Governo della Repubblica di Salò, ma ormai Mussolini e i fascisti non potevano fare molto per opporsi ai progetti di Berlino per il Nuovo Ordine.

Gli studiosi coinvolti dal Kommando Adria trovarono tuttavia un ostacolo di non poco conto per la piena realizzazione dei loro piani. Fu impossibile riuscire a individuare, nella storia friulana, dei precedenti storici la cui strumentalizzazione potesse veicolare la trasformazione di un movimento per il risveglio culturale, in un movimento indipendentista. Dopo la fine del patriarcato di Aquileia, nel 1492, e la conseguente fine dell’indipendenza dell’area della ladinità, non esisteva alcun episodio in cui la popolazione locale avesse cercato di riacquistare una qualche precedente e mitizzata autonomia.

Sottomessi a Venezia prima, agli austriaci poi, e, dopo il 1866, accolti nella giovane nazione italiana, mai i friulani si erano interessati a una propria questione nazionale. I nazisti erano soprattutto rimasti perplessi di fronte all’assenza di un eroe nazionale di qualche tipo; all’epoca erano convinti che, invece, scavando da qualche parte, avrebbero potuto trovare l’equivalente per il Friuli di quello che era stato Skanderbeg per l’Albania. Il massimo che riuscirono a recuperare fu la vicenda di Padre d’Aviano, diplomatico presso gli Absburgo e molto conosciuto per la sua lotta contro l’invasione turca e le sue fortunate mediazioni con la Sublime Porta, fatto che lo rese conteso fra le maggiori corti europee del Seicento.

Ma il tutto non andò oltre alla cerimonia di deposizione di una lapide ad Aviano, e il progetto di Himmler e Hradetzky, come molti altri, fu interrotto dalla guerra.

(Foto 2) 3___La voce di FurlaniaRimane il dubbio su cosa pensassero al riguardo i cosacchi, che insieme ai caucasici, in 40.000 avevano occupato la Carnia nell’estate del 1944. «La Voce di Furlania» aveva parlato dei Cosacchi solo una volta, per pubblicizzarne, manco a dirlo, uno spettacolo folcloristico, che pare stesse riscuotendo un grande successo in tutto il Kűnstenland.

Il progetto della Grande Austria nei piani del Nuovo Ordine, andava integrato con quello di un cordone di sicurezza che avrebbe dovuto, anche in questo caso, circondare e isolare la Russia. Rosemberg e Himmler, seguendo l’indirizzo di Hitler, col fine di depotenziare al massimo il paese euroasiatico, avevano stabilito di promuovere la costituzione di una schiera di stati sottomessi alla sovranità tedesca. Comprendeva il progetto un’attenta alchimia fra le varie minoranze, inclusa naturalmente quella germanica, che un calcolato piano di deportazioni avrebbe messo in atto. I paesi coinvolti sarebbero stati Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, la Nazione Tartara del bacino del Volga, una federazione di nazioni caucasiche, il Turkestan e infine uno stato cosacco. Gli atamani cosacchi, infatti, coinvolti da subito nell’invasione dell’URSS e pieni di speranze nel riuscire a vendicare le sconfitte della controrivoluzione del 1917-21, firmarono nel novembre del 1943 un accordo col Reich che prevedeva una serie di garanzie. In primo luogo, queste assicuravano l’affidamento di un vasto territorio da amministrare, oltre a un ruolo di primo piano nel governo della Russia. Tuttavia nell’accordo era a prevista l’eventualità che, se l’andamento della guerra avesse impedito, anche temporaneamente, la consegna dei territori al governo cosacco (provvisoriamente insediato a Berlino), al popolo della steppa sarebbe stata riservata una regione in Europa occidentale.

2a___F.II-10a cosacchi 44(Foto 3) Nella primavera del 1944, poiché i partigiani friulani stavano rischiando di tagliare le comunicazioni fra i Balcani e il Reich, fu stabilito che quel territorio sarebbe stato proprio il Friuli. Pertanto, nell’estate del 1944 un vasto contingente di soldati cosacchi, con le loro famiglie e i pope dalla lunga barba, si insediò a Tolmezzo e nel resto della Carnia. I tedeschi presero a chiamare la zona Kozakenland, i nuovi arrivati, Cossackia, e cominciarono persino a cambiare i nomi dei paesi e delle strade. Ad esempio Alesso, pressoché evacuato della sua popolazione autoctona, divenne Novočerkassk, come la città al cuore della controrivoluzione del Don, cosparsa di sangue dai massacri del 1920.

Ai friulani intanto, non fu mai detto nulla di quell’accordo, che rimase a lungo segreto, anche se i cosacchi dicevano apertamente nei villaggi che quella terra era ormai diventata loro, almeno finché avessero potuto andarsene per tornare a invadere la Russia dei senzadio.

Chi può dirlo cosa sarebbe stato del Friuli, se avesse vinto l’Asse? Forse sarebbe sorto un nuovo processo di etnogenesi, che avrebbe trasformato friulani e cosacchi in un nuovo popolo, in modo simile a quanto avvenuto in Europa con l’arrivo dei guerrieri della steppa nella tarda antichità. E del resto così li vedevano i friulani: come Unni giunti da lontano sul dorso dei cavalli, con i colbacchi pelosi e il pugnale sempre in vista. E a loro non mancavano certo schiere di eroi leggendari da alimentare non uno, ma mille nazionalizzazioni.

Probabilmente anche di questo stavano parlando, gli uomini del Kommando Adria il 7 di maggio, l’ultima volta in cui qualcuno aveva ancora preso sul serio il progetto del Pfufferstaats Friaul.

Gaetano Dato

BIBLIOGRAFIA
P. A. Carnier,    Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943-1945, Mursia, Milano 1988.

P. A. Carnier, L’armata cosacca in Italia, 1944-1945, Mursia, Milano 1993.

E. J. Hobsbawm, T. Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987.

P. J. Geary, The Myth of Nation. The medieval origins of Europe, Princeton University Press, Princeton 2003.

A. Giannuli, La guerra dei mondi – le internazionali  anticomuniste, vol. 1, Nuova Iniziativa Editoriale, Roma 2005.

G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo Reich, Il Mulino, Bologna 1975.

P. Stefanutti, “La svastica, il gladio e il fogolar: il ruolo e la funzione del giornale la voce di Furlanía nel Litorale Adriatico”, Ce fastu? Bollettino ufficiale della Società filologica friulana , LXXX, n. 2 (2004), p. 249-262.

K. Stuhlpfarrer, Le zone d’operazione: prealpi e Litorale adriatico, 1943-1945, Apih
Libreria Adamo, Gorizia 1979.

FONTI FOTO

1) P. A. Carnier, Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943-1945, Mursia, Milano 1988.

2) P. Stefanutti, “La svastica, il gladio e il fogolar: il ruolo e la funzione del giornale la voce di Furlanía nel Litorale Adriatico”, Ce fastu? Bollettino ufficiale della Società filologica friulana , LXXX, n. 2 (2004), p. 249-262.

3) Archivio Fotografico IRSML-FVG

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Aldo Giannuli

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