Lotta al terrorismo: quindici anni di fallimenti.

Martedì 10 marzo us, sono stato ascoltato, in qualità di esperto, dalle Commissioni Difesa e Giustizia della Camera, in seduta comune, sul DdL-antiterrorismo appena emesso dal governo. Qui di seguito riassunto quanto ho detto in proposito.

Per esprimersi a proposito del DdL 2893 19/feb. 2015 in materia di contrasto al terrorismo, credo sia utile e, addirittura necessario, premettere qualche considerazione più generale su tre lustri di lotta al terrorismo jihadista e tracciare un bilancio della linea sin qui seguita. Mi sembra paradossale questa situazione in cui nessuno prova a dire che la linea antiterroristica non abbia dato i risultati ripromessi.

Mai nella storia c’è stata una campagna antiterrorismo così prolungata e  generalizzata a tutto il Mondo, con un impiego così ampio di uomini,  denaro e mezzi tecnologici ma con risultati così desolanti.

Mi pare che i fatti parlino chiaro: dopo quindici anni di impegno di tutte le intelligence occidentali, tre guerre costate un patrimonio (quella sola dell’Afghanistan 700 miliardi di dollari, l’equivalente del piano Paulson), e numerose missioni minori, ci ritroviamo con il Califfato fra Iraq e Siria, l’enclave fondamentalista in Libia, Boko Haram in Nigeria, ed il pullulare di cellule islamiste in Mali, India, Indonesia, Pakistan, un altro failed state come lo Yemen, Al Quaeda in ripresa che firma gli attentati di Parigi e in Danimarca. E, infine, il fenomeno inedito dei foreign fighters nell’ordine di migliaia di persone. Difficile immaginare un bilancio più in perdita.

Eppure nessun governante o responsabile di intelligence sente il dovere di ammetterlo o di abbozzare una pallida autocritica; anche nella stampa le voci in questo senso sono pochissime ed assai fioche. Siamo di fronte ad un interessantissimo caso di rimozione che meriterebbe studi di psicologia e psicanalisi, ma qui ci interessa piuttosto capire cosa non ha funzionato, perché senza un esame impietoso degli errori compiuti, non se ne verrà fuori e si passerà da disastro in disastro.

Non si può dire che sia mancato l’impegno repressivo o che esso non abbia avuto tutti i supporti necessari, anzi, ripetiamo che non ci sono precedenti di un dispiegamento di mezzi così gigantesco, dunque è evidente che il difetto che dobbiamo cercare sta “nel manico”, cioè nell’impostazione generale.

Iniziamo dalle evenienze più facili da rilevare. A quanto pare le lezioni dell’11 settembre sono state perfettamente inutili. Negli anni immediatamente precedenti al grande attentato, furoreggiava la moda delle fonti tecniche: c’era Echelon, il “grande orecchio” in grado di intercettare tutte le telefonate, le mail ed in genere ogni comunicazione, c’erano i programmi di riconoscimento vocale, di fotografia satellitare, di trattamento dei dati attraverso sofisticatissimi programmi di elaborazione delle informazioni capaci di individuare e segnalare le telefonate sospette ecc. Un invincibile Moloch tecnologico. Eppure questo non impedì a due cellule islamiste, nel cuore dell’Impero, di dirottare tre aerei e portarli a schiantarsi contro le due torri e contro il Pentagono. Poi si è scoperto che gli jihadisti avevano regolarmente frequentato un corso di istruzione al volo, ma si erano mostrati poco interessati alla manovra di atterraggio…

La lezione era che la potenza delle fonti tecniche produce una sovrabbondanza di informazioni spesso inutilizzabili, proprio per il loro eccesso. Il problema è quello di scegliere e trattare le informazioni, attività nella quale le macchine possono dare solo un apporto limitato ed usare parole chiave non è minimamente sufficiente. I dati non servono a nulla se non sono letti, esaminati e trattati da uomini. Questo avrebbe dovuto portare a rivalutare le fonti umane (i confidenti, tanto per capirci) e dedicare molta più attenzione all’analisi.

Ma le correzioni sono state molto limitate. Le spie nella lotta all’islamismo sicuramente ci sono state, ma, a quanto pare, non abbondantissime. Può darsi che questo dipenda da particolari difficoltà di penetrazione dell’ambiente segnato da un alto tasso di adesione ideologica, forse dall’inaffidabilità di questo tipo di confidenti (come il caso Merah ci segnala) o forse da particolari soluzioni organizzative caratterizzate da un forte utilizzo del Web, in ogni caso non si ha la sensazione di un particolare impegno in questa direzione dei servizi, che sembrano fare ancora affidamento prevalente sui mezzi tecnici.

Di fatto, dopo 15 anni c’è grande penuria di notizie sulla struttura dei gruppi islamisti, sulle dinamiche interne, sulle discussioni nel gruppo dirigente, sulle fonti di finanziamento, sui canali di approvvigionamento delle armi ecc. ecc.

E’ comprensibile che i servizi non divulghino tutto quel che sanno sui loro avversari, per cui è logico che le fonti aperte diano sempre un’idea riduttiva del sapere di intelligence, ma i risultati ci autorizzano a pensare che, tutto sommato, i servizi non ne sappiano tanto di più di quello che leggiamo sui giornali. Certo: di più, ma non molto.

Dunque, la prima evidenza è che, nonostante il grande spiegamento di mezzi tecnologici, dell’islamismo radicale ne sappiamo poco e ne capiamo ancor meno, perché l’altra evidenza è il deficit dell’analisi: se un bel giorno ci si trova a sorpresa un esercito come quello dell’Isis che prende Mossul e avanza sin quasi alle porte di Baghdad, vuol dire che l’analisi precedente non era stata fatta bene. E lo stesso potremmo dire della fioritura dei nuovi vistosi fenomeni islamisti come quelli di Libia, Nigeria, del fenomeno dei foreign fighters ecc. Ma la cosa più sconcertante, che depone molto male tanto sulla raccolta di informazioni, quanto sul loro trattamento, è che risulta tutt’altro che chiaro l’operato dei governi e dei servizi saudita, pakistano, quatariota. Si sa vagamente di finanziamenti, di appoggi sotterranei, forse di coperture informative da parte di questi paesi che, sulla carta, continuano ad essere “alleati” nella lotta al fondamentalismo.

Quello che balza agli occhi è che, mentre c’è stato il contrasto poliziesco e militare (e forse in eccesso) è mancato un serio contrasto sui piani politico, culturale e psicologico .

Il fenomeno del radicalismo jihadista è rimasto largamente incompreso nella sua essenza politica, lo si è liquidato come un episodio di fanatismo religioso o, al più, politico-religioso, se ne è colpevolmente sottovalutata la possibile espansione di consensi nelle società islamiche, perché non è stata avviata nessuna seria analisi delle loro dinamiche interne. E così non è stato adeguatamente compreso il fenomeno delle primavere arabe (ed uso intenzionalmente il plurale, essendosi trattato di fenomeni abbastanza diversi fra loro, pur essendosi reciprocamente attivati per “contagio emotivo”), perché, da un lato se ne è sopravvalutata, la componente laica e “liberal”, mentre dall’altro si è fortemente sottovalutata quella fondamentalista e questo errore di prospettive ha impedito che l’Europa potesse giocare un ruolo positivo alimentando le spinte più innovative.

D’altro canto, quale contrasto politico effettivo al terrorismo è possibile se si privilegia il rapporto con l’Islam wahabita che è il ventre fecondo di tutti i movimenti jihadisti? Da sempre, l’Europa e gli Usa hanno ritenuto propri alleati di riguardo proprio Arabia Saudita e monarchie del Golfo, salvo scoprirne, di volta in volta, gli ambigui rapporti con le formazioni terroriste.

Ed è mancato anche un adeguato contrasto, anche per la sostanziale incomprensione della psicologia propria degli jihadisti, anzi, il fenomeno imprevisto dei foreign fighters ci dice che, su questo piano, sono loro ad essere all’attacco e non sarà una misura penale come l’istituzione del reato di arruolamento nelle formazioni jihadiste a fermarlo (come dimostra il fatto che c’era già l’articolo 288 del cp che, però, non sembra aver avuto alcun particolare effetto frenante).

Faremmo meglio a chiederci come mai migliaia di giovani occidentali (e non si tratta solo degli immigrati di seconda generazione, ma anche di europei ed americani “purosangue”) sentono questo richiamo che dovrebbe essere del tutto estraneo alla loro formazione culturale.

Sintomatico di questo atteggiamento politicamente “cieco” è la norma del disegno di legge dedicata alla repressione delle attività di propaganda ed organizzazione via web. Le misure tendono ad identificare e chiudere i siti jihadisti. Una misura difficile da applicare, inutile e controproducente.

Difficile da applicare perché, se il server è in uno stato straniero e magari in uno con cui non ci sono accordi di estradizione o cooperazione giudiziaria in genere, o che agisca in ritardo o non sia d’accordo con la valutazione del sito come jihadista o per cento altre ragioni, non si saprebbe come fare. Oscurare il server? Una misura da Repubblica Popolare Cinese con effetti economici disastrosi.

Inutile, perché il gruppo jihadista che si vedesse reso inaccessibile il sito, ne creerebbe un altro, magari presso altro server, ed i servizi occidentali dovrebbero ricominciare il lavoro di identificazione ed all’infinito.

Controproducente, perché, al contrario, l’interesse è quello di tenere aperti questi siti, per trarne il maggior numero di informazioni possibili, dall’analisi del linguaggio e dei simboli, all’individuazione dei segnali che azionano gli attentati, dall’esame degli eventuali contrasti fra le diverse organizzazioni, alle evoluzioni di linea politica ed alle dinamiche interne al gruppo dirigente di ciascuna ecc. Se poi il server fosse cooperante, si potrebbero ricavare insperate informazioni sul flusso dei contatti, sul loro andamento per zone e periodi, eventualmente si potrebbe persino identificare una parte delle persone che, in questo modo, entrano in contatto con gli jihadisti. Con un accorto monitoraggio e trattando queste informazioni con modelli di simulazione, si potrebbero ricavare interessanti anticipazioni su attentati, crisi interne, evoluzioni del gruppo dirigente ecc.

Semmai, sarebbe opportuno iniziare un’opera di contrasto nel web attraverso falsi siti jihadisti concorrenti, per creare spaccature, introdurre elementi di discorso che disorientino settori di queste aree,  vedere chi si collega, attaccare i siti esistenti come falsi ecc. O magari sostenere quei siti islamici radicali ma non jihadisti per limitare il bacino di pescaggio di quanti fanno lotta armata.

All’opposto, la logica del decreto è quella di una repressione cieca e priva di spessore politico che sortirà lo stesso risultato di questi quindici anni: molto prossimo allo zero.

Segnalo l’utilità di  consultare i seguenti testi:

Sameera AHMED Mona M. AMER “La psicoterapia con il paziente musulmano” Ferrari Sinibaldi, Milano 2014

Cristian CHESNOT George MALBRUNOT “Quatar” Michel Lafon, Neuilly sur Seine 2013

Lorenzo DELICH “L’Islam nudo” Jouvence, Milano 2015

Franco DE MASI “Trauma Deumanizzazione e distruttività” Franco Angeli, Milano 2009

Anna ERRELLE “Nella testa di una jihadista” ed Tre60, Milano 2015

Manlio GRAZIANO “Guerra Santa e santa alleanza” Il Mulino, Bologna 2014

Farhad KHOSROKHAVAR “I nuovi martiri di Allah” Bruno Mondadori, Milano 2003

Claudio VERCELLI “Pensare il radicalismo islamico” in “Prometeo” anno 32 n 128, dicembre 2014

Lorenzo VIDINO “Piccoli martiri nostrani crescono” in “Limes” “Dopo Parigi che guerra fa”, n 1 2015

Aldo Giannuli

11 settembre, al qaeda, aldo giannuli, arabia saudita, boko aram, commissione difesa, ddl antiterrorismo, estremismo islamico, fallimento intelligence occidentale, foreign fighters, intelligence, iraq, isis, medio oriente, nigeria, parlamento


Aldo Giannuli

Storico, è il promotore di questo, che da blog, tenta di diventare sito. Seguitemi su Twitter o su Facebook.

Comments (22)

  • il “jihadismo”, ha dei fenomeni secondari come una comoda risposta alla disoccupazione. Masse di disoccupati vanno alla lotta per il califfato, boko, ecc…, migliaia di persone sono occupati nel contrasto presidi e occupazioni militari e para-militari, analisi dei dati, divulgazione delle informazioni. Su entrambi i fronti è un lucroso affare, il colpi di testa come Atocha o charlie-hedbo incrementano gli affari, aumento dei proseliti per il jihadismo e maggiori investimenti in tecno-sicurezza. Invece di effettuare politiche di integrazione e piena occupazione, chi sa se Podemos in España riuscirà ha inserire nell’atto fondativo della BCE la piena occupazione.
    Su queste pagine si è analizzato bene il fenomeno per come emerge in europa, la discriminazione delle periferie e degli europei di seconda generazione “the next generation” che trovano una realizzazione nell’adesione ‘coranica’, non europei perché discriminati(disoccupati, carcere,ecc) non islamici perché cresciuti in occidente e mancanti di una formazione adeguata. Per i jihadisti locali del Africa e dell’oriente è una occupazione ideologicamente supportata.

    chi sa se ti hanno ascoltato?

    • si è vero ci sono queste ricadute “pratiche” ma non sottovalutiamo il fenomeno che ha una presa ideale vera su larghi strati di popolazione

      Mi hanno sacoltato? Le facce mi sembravano fra lo stupito, l’incredulo ed il costernato….

      • sull’ideale, sono pienamente d’accordo con te, sull’idea del mito del califfato, una ideologia blanda di poche regole applicate in modo ferreo a basso contenuto di contraddizione possa fare breccia nel mondo del disagio. Solo che a me sembra che si sia innescato meccanismo che si auto alimenta disagio-martirio che non intacca le cause che lo genera e nemmeno è interessato a modificarle. Quello che dici della commissione rafforza l’idea che non abbiano nemmeno gli strumenti per porsi il problema e che i parlamentari incluso quello americano contino come il 2 di picche con briscola a cuori )-:

      • Cioè, sono appena scesi dall’albero dei ceci? O magari sono attori consumati?
        Ma in tutto quello così ben detto, manca un accenno alla domanda più importante: atteso che i risultati alla lotta al terrorismo sono quelli denunciati e sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli, “cui prodest?”.
        A chi conviene il mantenimento di questa strategia chiaramente perdente?
        E un’altra cosa: “islamismo radicale”, “jihadismo” e “terrorismo islamico” sono sinonimi?
        Ah, saperlo, saperlo!

      • Roberto, a chi giova? come domanda è posta male perché il problema che stiamo affrontando adesso è definire il sistema ideologico che regge il jihadismo, le condizioni sociali e psicologiche su cui si alimenta, le condizioni politiche che lo favoriscono e lo contrastano. Come puoi leggere su altri commenti e post di questo blog, è lo scontro tra sunniti e sciiti, poi a seconda della regione lo scontro è tra sunniti e sunniti, c’è pure un fenomeno di pulizia etnica[dalla syria sono fuggiti più di 10 milioni di persone, dalla lybia 3 milioni], Qui trovi un pdf interessante sulla  condizione del sahara e le connivenze fra jihadismo, criminalita, popolazioni locali. Quello che dobbiamo capire è che non possiamo interpretare la visione jihadista con i parametri di pensiero cristiani o laici occidentali, altrimenti non capiamo perché i proseliti sentano il riscatto nel martirio e non nella soluzione politica del disagio.

        • Giusto, anzi giustissimo.
          Proprio per questo la domanda ha senso: “islamismo radicale”, “jihadismo” e “terrorismo islamico”, sono distinzioni nostre che, forse, dal loro punto di vista hanno poco senso.

      • veramente a quella domanda non te avevo risposto 🙂 cmq non penso che loro fanno di tutta l’erba un fascio, sopratutto quando leggi le notizie e vedi come bilancino le alleanze, sicuramente non seguono i nostri parametri di catalogazione. Anzi per queste tre definizioni “islamismo radicale”, “jihadismo” e “terrorismo islamico”, stiamo scoprendo che sono un po’ più articolate: “islamismo radicale”, “jihadismo” hanno anche una loro evoluzione storica che a seconda del periodo e al gruppo culturale le connota in modo diverso, sia per sunniti che per sciiti; mentre “terrorismo islamico” stiamo scoprendo che forse è un termine errato che svaluta la definizione di una guerra molto più estesa riducendo la percezione della medesima. Quello che succede che non è una guerra classica in stile ‘800, ma moderna informale nelle azioni e non dichiarata nei canoni di stati belligeranti. Una componente di questa guerra sono le idee di stato, e quella che emerge dal isis fondata sul guerriero non mi lascia molto tranquillo, perché sembra non esserci piani di mediazione.

  • Probabilmente a che comanda davvero va bene così: non si buttano via centinaia di miliardi di dollari per caso, visto che agli occhi degli attuali potenti i soldi sembrano l’ultimo valore sacro e intoccabile. E allora, cerchiamo di capire chi ci guadagna da tutto questo e perché. Non credo che chi decide veramente si circondi di incapaci e si affidi a loro sapendo quanto siano incompetenti. Se invece si mettono incapaci a fare danni in qualche settore, è segno che da quei danni forse qualcuno ci guadagna.

    • ho l’impressione che tu faccia governanti e finanzieri molto più furbi di quanto in realtà non siano. Ti assicuro che la stupidità esiste e non è un privilegio delle classi subalterne…. anzi….

  • È la terminologia che non funziona: se alla “lotta al terrorismo” diamo il nome appropriato di “guerra degli Stati Uniti d’America contro il Medio Oriente” tutto torna al suo posto, e i “15 anni di fallimenti” si mostrano per quello che sono: 25 anni di guerra contro un’intera area geografica. Infatti bisogna partire dalla prima guerra del Golfo, 1990; troppo comodo farlo dall’11 settembre, cioè dal pretesto che ci fornisce bell’e fatto l’aggressore e organizzatore (questo sì, fallimentare) di tutta la campagna.

  • Prof. Tempo fa riportò una intervista ad un tecnico americano che riteneva utile il califfato in quanto una volta concentrato il jihadismo si poteva fare un comodo bombardamento e cancellarlo. Il fenomeno dei foreign figjters sembra dare ragione allo analista lei essendo passati mesi dalla intervista riportata mi pare dal foglio cosa ne pensa?

      • Professore il “vecchio pazzo” nel medio oriente è notoriamente l’entità sionista d’occupazione.Uno stato che possiede duecento testate nucleari, in grado di distruggere metà del globo terracqueo,ma ufficialmento lo nega, un entità che da oltre settanta anni si rifiuta di applicare le risoluzioni ONU. Un entità che non ammette aprioristicamente l’esistenza dello stato palestinese e grazie alla lobby internazionale potentissima e altrettanto richissima,che lo finanzia e lo sostiene, ricatta perennemente tutto l’occidente con la shoah, ma soprattutto gli USA che di fatto sono il loro zerbino e il loro braccio armato nell’area. Ma ci vuole il coraggio della verità e l’onestà intellettuale che i mass media occidentali, in gran parte, non possiedono per dirlo.

        • I “mass media occidentali” ti hanno ascoltato: la vittoria nelle elezioni del criminale di guerra Netanyahu viene presentata stamattina come la vittoria della propria nazionale nella coppa del mondo di calcio.

          • sunto
            Gherardo Maffei: «I mass media occidentali dovrebbero avere il coraggio di smarcarsi dall’influenza della lobby sionista dicendo chiaro che l’entità sionista di occupazione è il “vecchio pazzo” del medio oriente violando tutto il diritto internazionale».
            Zerco: «detto fatto il Likud+destra razzista che nega l’esistenza ai palestinesi vince le elezioni e i mass media occidentali fanno la gara di coraggio a chi è più amico di Netanyahu»
            = c’entra

  • Domanda, le Commissioni Difesa e Giustizia della Camera, in seduta comune, hanno ascoltato la tua opinione di esperto sul ddl antiterrorismo dopo averlo emanato? E perché, a che serve sentire l’opinione di un esperto, dopo? E dopo che gli hai riferito che secondo te “la logica del decreto è quella di una repressione cieca e priva di spessore politico che sortirà lo stesso risultato di questi quindici anni: molto prossimo allo zero”, come hanno reagito?
    Ma, seconda domanda, l’incontro è stato fatto con l’intenzione seria di approfondire l’argomento o le Commissioni Difesa e Giustizia della Camera dormivano beatamente mentre parlavi?
    (per favore non considerare questo mio come un attacco personale, io ho letto con estremo interesse la tua analisi).

    • il decreto è stato emanato dal governo (come da Costituzione) poi convertito in disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento

      io sono stato ascoltatop come esperto proposto dal M5s e, come puoi immaginare, un espeerto segnalato dall’opposizione si sconbtra con un rifiuto pregiudiziale della maggioranza

        • sono intervenuti una docente di diritto internazionale che ha fatto un’ottima relazione della questione dei nostri marò in India ed il dott Roberto Sgalla resp. Escopost che ha fatto una relazione tecnica sui problemi del controllo Web

  • Professore, condivido complessivamente sia il suo giudizio sul fallimento dell’antiterrorismo, sia il punto che sottolinea sull’eccesso di informazioni disponibili. Temo, però, che l’esempio da lei portato riguardo al fallimento dell’intelligence sull’11 settembre sia errato o ricalchi senza volerlo una favola troppe volte raccontata.
    In questo caso mi limito a parlare della presenza di “fonti umane” contrapposte ad un presunto eccesso di “tecnologia”.

    1. Informatori vari sparsi per il mondo annunciarono attacchi ad aerei o per mezzo di aerei molti mesi prima l’11 settembre. Le informazioni furono raccolte da diverse intelligence (inglesi, russi, francesi, egiziani, israeliani…) e condivise (quasi sempre) immediatamente con gli USA. Almeno una delle fonti apparteneva agli americani stessi: non a caso si temeva per lo spazio aereo sopra Genova nel luglio 2001. Una buona fonte e raccolta di tali rapporti si trova nelle opere dell’accademico Nafeez Ahmed.

    2. Al-qaeda è stata sempre e facilmente infiltrata da diverse agenzie: inglesi, americani, pakistani e sauditi, sicuramente. Le ho inviato una volta un riepilogo biografico dell’ex-maggiore egiziano Alì Mohamed, ex-addestratore dei corpi speciali americani a Fort Bragg, ex-addestratore di mujaheddin in Bosnia e a New York (tra cui gli attentatori del ’93), ex-collaboratore di cia e fbi, ex-aguardia del corpo di binladen, organizzatore e reo-confesso delle bombe alle ambasciate africane (oggi ufficialmente condannato ma non detenuto).

    3. L’ex-capo dell’anterrorismo Richard Clark avanza l’ipotesi che due dei dirottatori fossero stati coperti dalla cia (che li seguiva e illegalmente non ha avvertito l’fbi) perché questa voleva arruolarli come talpe. O alternativamente, erano già stati arruolati dai servizi sauditi in contatto con la cia per avere informazioni su alqaeda.

    4. L’ufficiale americani antony shaffer ha denunciato l’esistenza di un programma di sorveglianza-infiltrazione segreto portato avanti dal pentagono e assistito da compagnie di intelligence private-subcontractors di nome Able Danger, il quale avrebbe segnalato e raccolto informazioni sul presunto capo Mohamed Atta almeno un anno prima gli attentati. Il materiale è stato malauguratamente distrutto.

    5. La storiella degli studenti non interessati agli atterraggi è una leggenda metropolitana. raccontata come battuta da qualche giornalista e subito accettata da milioni di persone. La verità è che Moussaoui, il presunto 20esimo dirottatore arrestato in agosto, venne fermato dall’fbi per via dei suoi legami con terroristi ceceni; questi ultimi, però, erano considerati solo dei “ribelli” dalle autorità americane e quindi non venne autorizzata la perquisizione del suo laptop. Muossaoui non era comunque a conoscenza di alcun dettaglio dell’attacco e presumeva si trattasse di un dirottamente tradizionale per richiedere la liberazione di ostaggi. (Come riportava già un memorandum della cia del 1998 declassificato che parla di un piano di alqaeda per sequestrare un senatore su un volo di linea e far liberare lo “sceicco cieco” abdel-rahman)

    6. Il procuratore David Schippers ricevette le confidenze-denunce di diversi agenti fbi e cercò di contattare allarmato il ministro ashcroft che si negò per mesi.

    mi fermo qui ma l’elenco sarebbe molto lungo e con esempi non meno significativi.
    Sufficienti forse a gettare il dubbio che le HUMINT fossero insufficienti o poco utilizzate rispetto al lato meramente SIGINT.
    Forse non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
    O forse persino qualcosa di peggio.

  • Per un errore di battitura mi sono mangiato una doppia negazione nella chiosa quasi finale. Intendevo dire, che le HUMINT erano ampliamente disponibili e chiare.
    Oppure volutamente ignorate o messe in giro a ‘mo di alibi (tradotto: tutti si aspettavano qualcosa, quasi nessuno se lo aspettava così grosso…)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.