Tardo europeismo o europeismo tardo?

Mi è capitato recentemente di partecipare ad un dibattito nel quale avevo come interlocutore un fans particolarmente acceso dell’Europa Unita, nel senso di sostenitore della Ue. Ne è uscito un catalogo di tutti i luoghi comuni del “politicamente corretto” europeista:

a- Occorre proseguire sulla strada degli Stati Uniti d’Europa che sono la meta immancabile da perseguire

b- Lungo questo cammino, la Ue è solo una tappa che intanto non va rimessa in discussione se non per l’introduzione di correttivi democratici (referendum europeo, maggiori poteri al Parlamento ecc.)

c- l’unica forma concepibile di Europa è quella esistente, con la sua architettura di potere, la sua moneta unica, agli attuali partecipanti che, semmai, dovrebbero aumentare e non diminuire

d- se rimetti in discussione questi “dogmi” sei antieuropeista ed, in quanto tale, “retrogrado”, perché vuoi tornare al nazionalismo che ha generato le guerre europee, vuoi rimettere indietro le lancette della storia ecc.

L’uomo non era particolarmente intelligente ed esponeva il consueto catalogo di luoghi comuni europeisti senza alcuna originalità, ma in modo ordinato e zelante, offrendo un perfetto esempio di tardo europeista. O forse di europeista tardo… fate voi.

Del tardo europeista aveva le riconoscibilissime stimmate: l’incapacità assoluta di ascoltare, di considerare criticamente il presente, di immaginare qualcosa di diverso dell’esistente. Questo, per la verità, non è tanto l’abito mentale europeista in quanto tale, ma l’abito mentale neo liberista applicato all’Europa.

Il neo liberismo, che è stato essenzialmente un fenomeno di regresso culturale dell’Umanità, si basa essenzialmente su una serie di luoghi comuni di sconcertante semplicismo e, soprattutto, è una forma di fondamentalismo (al pari di quello islamico) che esclude contaminazioni, mediazioni, ripensamenti, autocritiche. E’ un’ideologia integralista capace di immaginare il futuro solo come eternizzazione del presente o, al massimo, come sua mera proiezione lungo le sue medesime tendenze, senza ammettere scarti o rotture. L’europeismo attuale è solo l’applicazione di questi principi ideologici di cui riflette l’identica anelasticità mentale.

Beninteso, l’idea dell’unità europea non era affatto una idea sbagliata al suo sorgere e non è necessariamente fallita del tutto oggi. Il problema è trovare le forme ed i modi adatti che, con ogni evidenza, non sono quelli attuali che hanno portato ad un cul de sac dal quale non si esce se non rimettendo in discussione tutto.

Gli “europeisti” attuali non sanno assolutamente come arrivare agli Stati Uniti d’Europa, ma ci vogliono arrivare subito, domani, anzi no: stasera. A chiunque gli faccia notare che la moneta unica ha prodotto risultati opposti a quelli sperati, che non c’è alcuna volontà unitaria di affrontare la crisi, che l’Europa non è esistita come soggetto politico unitario in nessuna delle crisi internazionali degli ultimi venti anni ecc. la risposta è sempre la stessa: “perché c’è stata poca Europa, ci vuole più Europa, ora facciamo sul serio”.

Solo che non sanno spiegare come mai sinora, a distanza di 65 anni dall’inizio del processo di unità europea, siamo ancora a questo punto e perché certe cose non sono state fatte prima. Ma, passiamoci su la mano leggera e parliamo del futuro. Vogliamo fare gli Stati Uniti d’Europa?

Benissimo, facciamoli. Però, per farli, dobbiamo risolvere prima alcuni problemi. Certo: si tratta di quisquilie, bagatelle, pinzillacchere:

1. primo fra tutti il problema linguistico, perché non si è mai visto uno Stato che non abbia una lingua veicolare condivisa. Ci sono Stati plurilingui (sono eccezioni per la verità), come la Svizzera, la Russia (e prima l’Urss), la Cina, l’India, o come lo era la Jugoslavia e moltissimi altri Stati ospitano minoranze linguistiche più o meno consistenti. Però, in nessun caso si è trattato di Stati con oltre 25 lingue ufficiali (oltre numerosissime minoranze linguistiche) e sempre c’è stata una lingua dominante in funzione veicolare per l’intero territorio statale (il tedesco in Svizzera, il russo in Russia, il Cinese Han in Cina, l’inglese in India, il serbo- croato in Jugoslavia). Qui non si capisce quale possa e debba essere la lingua veicolare. Molti pensano l’inglese, che, però, è lingua madre solo di circa il 10% degli abitanti. Inoltre una scelta del genere ammazzerebbe in Europa l’industria culturale (case editrici, cinematografiche, giornali, televisioni, canzoni ecce cc) di lingua diversa dall’inglese. I francesi, che sono quelli che lo hanno capito prima degli altri, infatti si oppongono strenuamente a questa insana proposta.

2. Il nazionalismo è una brutta cosa, d’accordo, ma il senso di appartenenza di un popolo ad uno Stato deve pur fondarsi su un sostrato culturale comune e dar luogo ad uno spettro organizzato  degli interessi sociali. Dopo di che, se qualcuno riesce ad organizzare questo spettro sociale e a darsi una base culturale condivisa, ha semplicemente dato vita ad una nuova aggregazione nazionale.

3. Nella Ue ci sono 7 monarchie parlamentari (Spagna, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Inghilterra, Danimarca, Svezia) e 21 repubbliche fra parlamentari e presidenziali. Gli Stati uniti d’Europa sottintendono il trasferimento di sovranità all’Unione, per cui non ha senso che ci siano “capi di Stato” dei singoli paesi. Lasciando per il momento da parte la differenza di forma di governo fra i due tipi di repubblica, questo significa che diventa imprescindibile il passaggio alla forma repubblicana degli stati monarchici, perché non si è mai vista uno stato anche federale che includa stati monarchici e stati repubblicani (unico precedente storico sarebbe la confederazione tedesca del XIX secolo, ma che, appunto, non era uno Stato). Saluteremmo con gran piacere una Spagna, una Inghilterra, una Danimarca, una Olanda ecc. repubblicane, ma siamo sicuri che spagnoli, inglesi, danesi, olandesi ecc. siano d’accordo? Proviamo a chiederglielo prima?

4. Attualmente l’Europa ha diversi paesi membri che fanno parte dell’Alleanza Atlantica e della Nato, ma altri (Irlanda, Cipro, Malta, Austria, Svezia, ecc.) che non ne fanno parte, per cui, in primo luogo occorre stabilire una posizione uguale per tutti, ma, soprattutto, occorrerebbe rinegoziare (eventualmente) l’adesione come Stati Unite d’Europa e non più come singoli stati. Va benissimo, ma perché nessuno ne parla?

5. Ci sono poi i problemi di ordine fiscale che ovviamente andrebbero risolti in un ordinamento unico (poi pensate: abbiamo fatto la moneta unica ma ci siamo dimenticati di unificare il fisco!) il che andrebbe benissimo per evitare i paesi-vampiro come l’Olanda che praticano un vero e proprio dumping fiscale dissanguando i paesi “deboli” come Portogallo e Italia (come dimostra il caso Fiat), ma, ancora una volta, come mai nessuno ne parla? Siamo sicuri che Olanda e simili siano disposti a discutere del tema?
Potremmo proseguire con i problemi sulla forma di Stato, con i diversi ordinamenti elettorali ecc. ma ci sembra che sia sufficiente elencare queste cinque priorità. Qualcuno può avere la bontà di spiegarci da dove iniziamo? Ma, soprattutto, come mai in questo chiacchiericcio inconcludente sugli Stati Uniti d’Europa, nessuno accenna a questi problemi?

L’Unità europea è un obiettivo cui non si deve rinunciare, ma la strada per arrivarci è quella attuale tutta tecnocratica e finanziaria? Sembra evidente che questa strada si ferma qui e non va oltre. Occorre ripensare tutta la costruzione. Ma gli “europeisti” (ove per essi si intendano i fautori dell’attuale ordinamento che sognano possa evolvere nei mitici “Stati Uniti d’Europa”) non intendono ragioni e si dividono in due categorie fondamentali: i “narco europeisti” e gli “europeisti narcotizzati”. I primi sono le èlite tecnocratico-finanziarie al potere che spacciano l’ideologia “europeista” sapendoo perfettamente che su questa strada non si arriva agli Stati Uniti d’Europa, che usano come slogan per legittimarsi. I secondi sono le “anime belle” affette da “narcosi ideologica” e che, nonostante tutto, credono ciecamente nel loro sogno, incapaci di affrontare il discorso in termini di crudo realismo politico e che, per questo, di immaginare nulla di diverso dall’esistente. E, al solito, sono quelli che fanno più danni, come sempre accade agli “strumenti ciechi d’occhiuta rapina”.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (16)

  • Tenerone Dolcissimo

    Scusi professore, noto che nell’articolo mentre sta criticando l’europeismo passa ex abrupto a criticare il neo liberismo, dando l’impressione (pittosto fondata) che per lei europeismo e liberismo siano la stessa cosa. Se le cose stessero così mi corre l’obbligo di avvertirla che sta prendendo un granchio e anche bello grosso.

    • Tenerone: legga meglio: dico che “un certo europeismo” è l’applicazione dei dogmi liberisti all’europa non che liberismo ed europeismo tout court sono la stessa cosa
      Quanto alla repubbklica e monarchi è questione di punti di vista, io sono repubblicano perchè democratico e libertario

  • Gli USE? Credo ci sia bisogno di un Jefferson Davis e di un Bobby Lee a Sud. L’ unica unione possibile, lo è attraverso l’ annessione. L’ unica Europa libera e democratica è possibile solo se gli stati nazionali tornino ad essere tali.
    Non sono riusciti in 65 anni, ad uniformare nemmeno le aliquote iva…

  • Tenerone Dolcissimo

    Ci sono poi i problemi di ordine fiscale che ovviamente andrebbero risolti in un ordinamento unico (poi pensate: abbiamo fatto la moneta unica ma ci siamo dimenticati di unificare il fisco!) il che andrebbe benissimo per evitare i paesi-vampiro come l’Olanda che praticano un vero e proprio dumping fiscale dissanguando i paesi “deboli” come Portogallo e Italia (come dimostra il caso Fiat), ma, ancora una volta, come mai nessuno ne parla? Siamo sicuri che Olanda e simili siano disposti a discutere del tema?
    ***
    1) Sta scritto nel Vangelo o nel Corano o nella Torah che la moneta unica porti necessariamente con se un’unica politica fiscale (e di bilancio)?
    2) Vampiro un par de coj(bip). Non mi sembra il caso di insultare uno stato sano che sa fare a meno di derubare le proprie imprese. Diciamo pure che è lo stato italiano ad essere ladro visto che le tasse non gli bastano mai. Non a caso è stato coniata la frase AFFAMARE LA BESTIA.

  • Tenerone Dolcissimo

    Saluteremmo con gran piacere una Spagna, una Inghilterra, una Danimarca, una Olanda ecc. repubblicane
    ***
    E perché? Che vantaggio c’e’ a vivere in una repubblica rispetto ad una monarchia? Un mio conoscente affermava che non gli andava di essere chiamato suddito. Io trovo invece che, dal punto di vista delle libertà personali, sia meglio essere suddito di sua maestà che cittadino di questa repubblica. O sbaglio?

  • Il felice declino dell’incubo europeo è parte integrante del declino dell’impero mondiale messo in piedi nel corso di tre guerre mondiali dal conquistatore anglosassone. Fortunatamente per vincerle la plutocrazia anglosassone ha dovuto forzare la propria natura e le proprie risorse e sta adesso perdendo la pace.

    Per quanto riguarda la crisi europea ecco comunque un ottimo articolo che sistematizza le idee di Giannulli da una prospettiva ideale vicina alla sua:

    http://blog.mondediplo.net/2014-06-30-Le-reve-eveille-europeiste

  • Mi sembra che l’ambiguità della costruzione europea stia nel fatto che si seguiti a mantenere due livelli di interpretazione: uno “ideale”, uguaglianza di tutti i cittadini, moneta unica per tutti, ecc. e uno “reale”, ogni paese con le sue leggi, una moneta unica ma con diverso valore effettivo in ogni paese, salari differenti, ecc.

  • Tenerone Dolcissimo

    aldogiannuli 7 luglio 2014 alle 16:24
    Tenerone: legga meglio: dico che “un certo europeismo” è l’applicazione dei dogmi liberisti all’europa
    ***
    Mi scusi professore, ma chi sono questi europeisti che voglioni meno leggi e meno tasse? Io vedo solo gente ansiosa di legiferare sulla lunghezza delle banane.
    Forse lei è in possesso di informazioni che a me mancano.

  • “… ci vuole più Europa, ora facciamo sul serio…”

    Proprio così. In Ucraina, ad esempio, gli europeisti hanno dato avvio ad una nuova fase del loro delirante progetto, e godono del sostegno dell’amministrazione di Washington, sempre solerte nel promuovere l’avvento di “libertà, democrazia e progresso” ovunque nel mondo.

    La portavoce del Dipartimento di Stato americano Jen Psaki riesce persino a sorridere rispondendo ad una giornalista di Russia Today che le chiede come si possa giustificare l’assassinio di civili all’interno delle loro case e dei loro cortili da parte delle truppe di Kiev: “Il governo ucraino ha tutto il diritto di difendere l’integrità dell’Ucraina perchè il popolo dell’Ucraina ha il diritto di vivere in pace e sicurezza senza che i separatisti russi attacchino le loro case e occupino gli edifici e penso che questa sia la causa principale di quanto sta accadendo nell’est Ucraina”.
    Va notato che è l’esatto contrario di quanto sostenuto ai tempi dei disordini a Kiev, quando gli Usa ammonivano Yanukovic dall’usare la forza contro i “pacifici” manifestanti che in realtà erano gruppi paramilitari nazisti da loro finanziati e assistiti logisticamente.

    “Vogliamo fare gli Stati Uniti d’Europa?”

    Personalmente lo sconsiglierei, anche alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina dove, terrorizzati da quanto l’Europa sta facendo per accoglierli al suo interno, i rifugiati ucraini in Russia sono già oltre 110.000, mentre altri 54.400 risultano sfollati.

  • io non credo che ripartire così l’esistente, dividendolo in europeista e antieuropeista, implichi incrementi di conoscenza sull’esistente in questione. anzi ritengo estremamente dannoso ricollocare il campo di gioco sul fumoso terreno dell’idea di europa, eredicandolo dal suo contesto naturale, che sarebbe quello della lotta per la giustizia e l’equità sociale. quindi sarei anche d’accordo con buona parte degli assunti qua esposti, ma trovo che la discussione parta troppo viziata e polarizzata per essere utile. viziata peraltro da un ordine del discorso imposto dalla stessa tecnocrazia: e restando in questo discorso il cittadino perde sempre, dato che lo scopo del tutto è creare un nemico per l’elettore socialdemocratico, in modo che, una volta caduta l’ostilità nei confronti degli ex nemici popolare, esso continui a compattarsi contro qualcosa (per paura, viva la democrazia), e tutto rimanga com’è.
    e quindi continuiamo così, bolliamo tutti quelli che non la pensano come noi con buffi epiteti ( i “narco europeisti” e gli “europeisti narcotizzati”: non si faceva prima a usare i sinonimi “stronzo” e “coglione”?), troviamo nuovi nemici con cui discutere al bar o ai margini di un’iniziativa, e il mondo sarà sempre più bello e puro.
    la cosa mi rincresce perchè trovo il

  • tutto uno spreco: mettersi a fare i galli che combattono nel pollaio è una cosa che può dare poche soddisfazioni a breve termine, ma che rende a lungo termine l’individuo ancora più isoddisfatto

  • lei professore ha semplicemente avuto a che fare con un nazionalista.

    nazionalista europeo 🙂

    aboliamo i nazionalismi per lasciare il posto al nazionalismo europeista (c’è la CINA da combattere!)
    allo stesso modo aboliamo gli stati in favore di un unico mega-stato con un mega-governo.

    ma sono passaggi logici semplici e dunque troppo scontati per chi vive nella realtà in cui causa-effetto sono sistematicamente invertite….cioè quella dipinta dai leader europei e dai media italiani.

  • Professore anche lei sembra su certe sue posizioni molto poco critico e aperto alla discussione, prima fra tutte la lingua che sembra essere per lei una specie di incubo. Io col mio pessimo inglese scolastico e internettiano queste 2 settimane che sono stato all’estero non ho avuto problemi: ho fatto discussione per una mezz’oretta con un tassista di Dusseldorf che aveva imparato l’inlgese che masticava dalle canzoni e poi con la ricezionista giordana dell’albergo per un’altra mezz’oretta, durante la quale ho anche scambiato qualche parola con una cameriera (molto carina) lettone. La nostra guida che aveva un accento inglese molto approssimativo viveva lì (Islanda) da circa 5 anni e non aveva mai avuto problemi (in realtà non ne aveva avuti neppure in Germania, alle Bermuda ed in Isvizzera dove aveva lavorato negli anni addietro). Quando ci siamo fermati per soccorrere una famiglia californiana con un copertone bucato non abbiamo avuto neppure in quel caso problemi a capire e farci capire. Il problema della lingua è un problema che non esiste, forse l’unico problema che non esiste. Di quelli che ha elencato lei io vedo come unico scoglio l’armonizzazione fiscale e magari i trattati internazionali che richiederebbero una rinegoziazione da parte dell’Europa Unita (soprattutto la buona volontà delle controparti in sede di negoziato).

  • Il prof. ha ragione da vendere su questo argomento.
    Lo declina e lo espone in un modo che trovo perfetto.

    Il problema non è l’internazionalismo della sinistra, ma il declinarlo in maniera stupida.
    Perseguire progetti di integrazione politica, ed anche economica, non è in é sbagliato ed in particolare non lo è da sinistra.
    Ancor di più è irrinunciabile necessità per chi voglia ricreare spazi di agibilità politica per poter lavorare ad un superamento del capitalismo, perchè è poco ma sicuro che nessuno potrà mai permettersi di fare una cosa simile in regime di sostanziale autarchia ed isolamento dal resto del mondo ( a meno che non sia disposto a trasformare la Siberia in una galera. E con Stalin direi che abbiamo già dato…. )

    Ma c’è modo e modo.

    L’nternazionalismo non è negazione della questione nazionale, virulenta lotta alla dissoluzione dello stato nazione ( per poi cosa infine, cercare semplicemente di creare una nazione più grande, come giustamente fa notare Giannuli. La contraddizione è palese ), ma trovare la maniera di farle collaborare e cooperare, perseguendo obiettivi il cui interesse di classe sia rivolto all’emancipazione degli esclusi e degli sfruttati.
    Questo passa necessariamente attraverso un campo di azione politica che è in primis nazionale, la dove effettivamente è possibile costruire una partecipazione ed un controllo, e la dove ci siano anche elementi leganti tra le componenti sociali che possano essere interessate in un simile percorso.
    Per Gramsci era normale pensare che la classe lavoratrici avesse bisogno di farsi classe nazionale, per poter arrivare a cambiare qualcosa, altrimenti resta solo classe in sé, in balia di chi ha leve più potenti a disposizione.
    Oggi invece sembra quasi che ragionare su questa questione sia “di destra”.
    Non capisco, le residuali dirigenze della sinistra radicale hanno intenzione di “regalare Gramsci” a Salvini?
    A tal punto arriva il vuoto spinto che hanno in testa.
    E fatto questo l’internazionalismo si costruisce nella forma di accordi interstati, non di istituzioni troppo lontane per essere controllate, e senza opinioni pubbliche comuni alle spalle per poter essere rappresentantive.

    In ultima istanza la sinistra deve abbandonare la presunzione di poter democratizzare dall’interno la globalizzazione finanziaria ed il laissez faire.
    Non sono democratizzabili da dentro.

    Su questo tema ribadirò sempre all’infinito: bisogna aprire una discussione seria a sinistra sul manifesto di Ventotene. Trovo più che irrealistico addirittura grottesco il fatto che a sinistra sia stato trasformato in un feticcio un manifesto pure scritto male nel quale si rimasticano principi di politica economica di riporto, che Rossi mutuò dal suo maestro Luigi Einaudi e che Spinelli semplicemente agghindò con un po’ di wishfull thinking apparentemente di sinistra….semplicemente perchè, credo, non ci aveva capito un accidente. La figura storica di Einaudi potrà anche essere per vari versi storicamente stimabile, ma il primo vero “liberista” che abbiamo avuto in Italia al punto che lui stesso coniò il termine, non può essere assunto come ideologo unico. Così si arriva addirittura al paradosso.

    La destra organicista, corporativa e fascista ( che nega la questione di classe all’interno e sfoga le tensioni di classe interne in politiche aggressive verso l’esterno, depredando le colonie per ridistribuire contentini in casa senza ridistribuire ricchezza nazionale onde perpettuare lo status quo. QUESTO è il nazionalismo, non l’esistenza di stati sovrani in sé ) è cosa diversa dalla “destra di classe”, quella che l’esistenza delle classi sociali la riconosce come la riconosce la sinistra, ma gioca la propria partita sul fronte del più forte e del più ricco.

    Ora per carità, è chiaro che la sinistra non può avere nulla a che fare con le “destre organiciste”, ma non per questo può trasformarsi in una “destra di classe”.

    Ma sostenere l’europeismo tardo/tardo europeismo, proprio questo significa: trasformarsi in una destra di classe.

  • Tenerone Dolcissimo

    Avviso per tutti: nell’attesa che il professor GIANNULI si pronuncia, chiunque si ritenga autorizzato a fornire informazioni sui fantomatici politici filoeuropee e/o burocrati europei che, ispirandosi ai principi di Milton FRIEDMAN o, comunque, ad idee liberali, si propongono lo scopo di rendere più leggera la normativa comunitaria e, soprattutto, di rendere meno esose le tasse.
    PS Siete cortesemente invitati a non tirare fuori la vecchia favoletta secondo cui Rigor Montis sarebbe esponente del liberalismo. Capimoci: se mi dite che importante esponente del liberalismo europeo è uno che ha aumentato le tasse e mantenuto le spese (soprattutto parassitarie) e messo il naso nei nostri conti correnti, io stavolta avverto la neurodeliri.

  • Nel Manifesto di Ventotene si nega pure la “lotta di classe”: è il primo gigantesco passo del neo-liberismo a sinistra e il primo feticcio per l’ingnegneria sociale necessaria per il frame federalismo ==> pacifismo ==> progressismo

    Non importa se il federalismo interstatale è ovviamente (“ovvio” tranne che per i “socialisti liberal” spinelliani…) nato con scopi oligarchici, ultra-reazionari, tanto che Rossi si rifà direttamente a Robbins, il compare di Hayek. Hayek che propugnava proprio il “federalismo intestatale” per far saltar il keynesismo e il… capitalismo. (Certo, bisognerebbe almeno conoscere un po’ di pensiero di quel retaggio da Sacro Romano Impero che è la Scuola Austriaca per scoprire che Menger e nipotini vedevano il capitalismo e il consumismo annesso come fumo negli occhi…)

    E qui certi vetero-marxisti una mezza riflessione dovrebbero farla: ma come mai il fascismo nasce dai “socialisti” e il “piddinismo” nasce dal PCI?

    Ma siamo così sicuri che il problema vero, il mostro assoluto, sia il capitale?

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