Un’alleanza coi socialisti: l’ultima mossa dei repubblichini

Nell’estate 1944, alcuni gerarchi di Salò (il ministro Pisenti, Franco Colombo, capo della “Ettore Muti“, il capo della polizia Renzo Montagna, Junio Valerio Borghese ed altri) iniziarono a cercare una via d’uscita con l’ “operazione ponte”: spaccare il Cln, trattare una tregua con socialisti ed azionisti con i quali dare vita ad un governo di “unità nazionale”. Più tardi si arrivò ad ipotizzare una nuova repubblica socialista, neutrale. Questo avrebbe posto gli Alleati di fronte alla scelta di usare le armi contro una repubblica governata da partiti antifascisti o invitare i due governi (repubblica del nord e monarchia del sud) a trovare una mediazione. Ed avrebbe messo il Pci in una situazione assai imbarazzante: appoggiare il governo monarchico contro una repubblica socialista o rischiare di compromettere l’ intesa con gli inglesi. Nella situazione di stallo fra due governi antifascisti, avrebbe avuto qualche possibilità di sopravvivenza anche al progetto del “ridotto alpino” della Valtellina, tanto più che Mussolini si illudeva di giungere ad una pace separata con i sovietici. In questa ottica, il duce autorizzava la costituzione del Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista, guidato da Edmondo Cione e da Carlo Silvestri (già spia dell’Ovra).

L’offerta di collaborazione, avanzata dal Questore di Milano Bettini e dal generale Nunzio Luna (della Guardia Nazionale Repubblicana) trovò disponibile Corrado Bonfantini, capo delle Brigate Matteotti (Psi) e i suoi vice, l’ex comunista Gabriele Vigorelli e l’anarchico Germinale Concordia. Ma Riccardo Lombardi per il Pd’A e Sandro Pertini e Lelio Basso per il Psi avrebbero respinto l’offerta.

In realtà, Bonfantini ed i suoi non credevano affatto nel progetto, ma cercavano di ricavarne il massimo vantaggio. Infatti, essi chiesero -ed ottennero- la liquidazione della famigerata banda Koch, con la liberazione di parte dei loro prigionieri. Ed è probabile che si ripromettessero anche di migliorare i propri rapporti di forza rispetto alle altre componenti del Cln. Infatti, grazie a Luna, iniziarono una massiccia infiltrazione nella Gnr e nella X Mas, quel che gli consentirà, negli ultimi giorni, di occupare punti nevralgici come radio Milano. Prudenzialmente, in dicembre Bonfantini dichiarò di ritirarsi dall’operazione, una volta constatato che non se ne poteva ricavare altro.

Gli storici (con l’eccezione di Cesare Bermani) hanno dedicato poco spazio a questo piano, rilevandone il carattere disperato e sottolineando come l’indisponibilità di Pertini e Basso lo avesse fatto fallire sul nascere. Documenti recentemente emersi ci descrivono una vicenda più complessa, che merita un po’ più di attenzione, anche se resta fermo che il piano non aveva concrete possibilità di riuscita.

L’8 marzo 1945, la fonte C.O.M.O. riferiva al Servizio di Informazioni Militari del sud che, negli ultimi giorni di febbraio si erano riuniti il capo della Gnr, un rappresentate del Comando regionale dell’Esercito, uno del prefetto ed il capo ufficio stampa della Muti Gastone Gorrieri. Dall’incontro era scaturito un piano per il quale, nelle settimane successive, si sarebbe riunita una assemblea di Consigli operai che avrebbe proclamato la repubblica socialista. Gran parte delle Forze armate si sarebbe ammutinata, schierandosi con la nuova repubblica, nel cui governo si sperava di attirare socialisti ed azionisti.

Germinale Concordia
Germinale Concordia

Ma a complicare le cose era giunto l’arresto di Germinale Concordia, organizzatore della lega dei “consigli operai” che avrebbe dovuto proclamare la Repubblica (nota 4 aprile). Mussolini avrebbe chiesto al generale Wolff la sua liberazione, ma senza successo. Dunque, il tentativo era proseguito ben oltre dicembre, si era ulteriormente evoluto ipotizzando addirittura un governo dei consigli operai e prevedeva l’appoggio di una parte molto consistente delle Forze Armate della Rsi.

Il 7 febbraio 1946, un reparto della polizia ausiliaria (composto da partigiani) traeva in arresto il generale Nunzio Luna che viveva, sotto falsa identità, in una casa di Milano (rapporto del 9 febbraio 1946 del servizio speciale del ministero dell’interno); nulla di strano se la padrona di casa non fosse stata Carla Voltolina, futura moglie di Sandro Pertini e se lo stesso Luna non avesse dichiarato che Pertini era perfettamente a conoscenza della sua vera identità e che lo aveva nascosto per ringraziarlo dei servigi resi durante la guerra di Liberazione. Nell’abitazione di Luna vennero trovati anche documenti sulla situazione interna al Partito Socialista ed un mazzetto di assegni firmati da Bonfantini. Nonostante il generale fosse sospettato di essere finanziatore dei gruppi fascisti clandestini, l’inchiesta venne rapidamente avocata dal questore, che prendeva provvedimenti contro il tenente della polizia ausiliaria che aveva operato l’arresto. Il nome di Luna non comparirà fra gli imputati al processo contro le Squadre d’Azione Mussolini svoltosi poco dopo a Venezia. Nelle carte del Pci milanese compare un appunto su Bonfantini nel quale si richiama l’affaire Luna, sottolineando come esso “venne passato sott’acqua per non mettere in cattiva luce i socialisti”.

Un episodio sin qui sconosciuto: è plausibile che le esigenze della lotta clandestina abbiano imposto molti di questi negoziati sotto banco, anche in nome di ragioni in sè nobili, ma tutto questo diventava difficile da raccontare dopo la Liberazione, quando ognuno di essi sarebbe potuto apparire come un cedimento morale. E, probabilmente, fu questo ad obbligare Pertini – sulla cui dirittura morale e sui cui antifascismo non ci sono dubbi- a quella difficile operazione per salvare l’immagine del partito.

I documenti non ci permettono di far piena luce sulla vicenda e sulle reali motivazioni con cui si mossero i suoi singoli attori, ma sono sufficienti a farci capire che è una pagina di storia ancora da scrivere.

Aldo GIANNULI, L’Unità 28/04/09

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Aldo Giannuli

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Commento

  • Alessandro Giacone

    Un documento nuovo oggi c’è, un biglietto di Pertini a Nenni del 1945, in cui P. scrive:
    Sandro per Pietro. Riservatissimo. Vivamente pregati trattenere costi Corrado perché nostro lavoro procede qui ordinatamente.
    Impeditegli di ritornare. Attenetevi esclusivamente mie lettere et nostre relazioni scritte considerando qualsiasi dichiarazione di Corrado come personali.
    Saluti fraterni Sandro

    Sandro Pertini mette in guardia Nenni su Corrado Bonfantini, figura di grosso combattente partigiano nel nord Italia, comandante militare delle brigate Matteotti che grazie all’amicizia con il giornalista Carlo Silvestri aveva tentato più volte la strada del dialogo con Mussolini e la Repubblica di Salò al fine di giungere ad una transizione pacifica alla democrazia e di evitare inutili spargimenti di sangue. Operazione questa sconfessata da Pertini e da tutto il PSIUP. Dirà Pertini qualche anno dopo: «il compagno Corrado Bonfantini fu ripetutamente, da me personalmente, ed a nome del­l’Esecutivo del Partito, diffida­to di non tener contatti, per nes­sun motivo, con rappresentan­ti della pseudo repubblica di Salò e con loro intermediari» («Avanti!», 30 aprile 1947).

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