Energia: l’India sposta il baricentro mondiale verso est?

Come sempre con estremo piacere ed interesse vi propongo questo nuovo articolo di Daniele Pagani dall’India, che, a partire dal blackout del 2012 in India, pone serie questioni di carattere energetico, ma non solo… buona lettura!

Da New Delhi, Daniele Pagani. Nel luglio 2012 un blackout generale e simultaneo di diciannove stati dell’India settentrionale lasciava al buio 600 milioni di persone per più di due giorni. Le interruzioni di corrente elettrica, laddove è presente, rappresentano una costante della vita nella penisola indiana e sono la testimonianza tangibile di un problema energetico destinato a rallentare lo sviluppo economico. In India il fabbisogno di energia è in continua crescita e non trova risposta all’interno dei confini nazionali, costringendo Delhi a rivolgersi al mercato estero: garantirsi il necessario apporto energetico risulta vitale per un’economia dai progetti ambiziosi.

Secondo i dati forniti dalla International Energy Agency (IEA), nel 2010 il 37 per cento della produzione energetica indiana derivava dal carbone, il 27 per cento dalla lavorazione degli scarti e della biomassa, il 26 per cento dal petrolio, il 6 per cento dal gas naturale ed il restante 4 per cento da altre fonti. L’ampio utilizzo del carbone è dovuto principalmente alla relativa semplicità di estrazione e alla ricchezza dei giacimenti nazionali.

La combustione di questo elemento, tuttavia, risulta altamente inquinante, ragion per cui diverse nazioni – Cina in testa – stanno cercando di affrancarsene gradualmente. In India, inoltre, l’estrazione carbonifera rappresenta uno storico e redditizio settore di investimento della cosiddetta “mafia delle miniere”: in diversi stati settentrionali – Bihar, Uttar Pradesh e Jharkhand in testa – sono attive numerose miniere non autorizzate in cui lavorano – e muoiono – uomini, donne e bambini in condizioni oggettivamente disumane. La redditività del prodotto è garantita dal costante aumento della “fame” energetica nazionale: non risulta difficile allocare carbone che, data la sua estrazione esentasse e a basso costo, viene venduto a prezzi molto vantaggiosi.

Una possibile via d’uscita potrebbe passare per l’implementazione dello scarso utilizzo del gas naturale, risorsa di cui l’India è tutt’altro che povera. A differenza del carbone, però, i processi di estrazione e lavorazione necessitano di infrastrutture e reti di trasporto efficienti, entrambi strumenti di cui l’India risulta tradizionalmente sfornita. Fino ai primi anni Novanta il settore è stato gestito in regime di monopolio dai tre colossi statali Oil and Natural Gas Corporation (ONGC), Oil India Limited (OIL) e Gas Authority of India (GAIL). La quasi totalità del gas estratto era destinato alle grandi aziende produttrici di energia e fertilizzanti che, essendo giudicate di primario interesse nazionale, godevano di prezzi d’acquisto inferiori rispetto a quelli internazionali. La situazione sarebbe dovuta cambiare nel 1991, dopo l’avvio del programma di liberalizzazioni controllate portato avanti dall’allora Ministro delle Finanze Manmohan Singh. Tuttavia, la decisione del governo indiano di continuare a vendere il gas estratto da società statali ad un terzo del prezzo di mercato si è dimostrata un ostacolo insormontabile per gli investitori privati esteri e non, impossibilitati nel competere realmente contro ONGC e OIL.

Ulteriore impedimento è stata la carenza di adeguate infrastrutture per il trasporto finito: i pochi gasdotti nazionali, ad eccezione di quello che collega la costa orientale e Mumbai, raggiungono le aree settentrionali del paese; nel resto del territorio il gas deve viaggiare su strada, un metodo poco efficiente e molto dispendioso. Unico investimento privato degno di nota è rappresentato dalla costruzione nel Golfo del Bengala dell’impianto di estrazione Krishna Godavari KG-D6, frutto di una collaborazione tra il colosso privato energetico indiano Reliance Industruies Limited (RIL) ed i canadesi di Niko Resources.

Nonostante il nuovo impianto abbia incrementato la produzione nazionale, la domanda rimane troppo alta e l’importazione rappresenta una soluzione obbligata. Principale fornitore dell’India è il Qatar, dal quale il gas naturale raggiunge via nave il porto oceanico di Dahej, in Gujarat. Il trasporto marittimo, usato anche per il gas proveniente dall’Australia e da Trinidad e Tobago, non è il più conveniente: carburante e tempi di consegna agiscono in modo negativo sul prezzo del prodotto. L’Oceano, data l’assenza di gasdotti internazionali verso l’India, rappresenta però una scelta obbligata. Due grandi progetti sono in realtà sulla carta da molti anni – il gasdotto Iran-Pakistan-India (IPI) ed il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) -, ma problemi diplomatici e strutturali ne impediscono la realizzazione.

Il passaggio in territorio pakistano, specialmente dopo gli attentati di Mumbai del novembre 2008, è per l’India motivo di forte preoccupazione: i rapporti tra i due stati non godono di buona salute e difficilmente Delhi si assumerebbe il rischio di esporre le proprie forniture energetiche ad eventuali ricatti del vicino Pakistan. In questo senso, non è da escludersi che le aperture di Narendra Modi verso Islamabad mirino anche a garantirsi la sicurezza nell’approvvigionamento energetico. In aggiunta alle difficoltà diplomatiche, il progetto IPI si è arenato anche a causa dei problemi infrastrutturali dell’Iran che, nonostante possieda enormi riserve di gas naturale, non ha impianti di estrazione in grado di soddisfare la sua stessa domanda interna e si è trasformato da paese esportatore a paese importatore.

La necessità energetica dell’India potrebbe fornire una grande opportunità al governo di Mosca e al colosso nazionale Gazprom, che non nasconde il desiderio di sganciarsi gradualmente dal mercato europeo verso cui transita l’80 per cento del suo gas. La volontà di spostarsi verso est non è una novità, ma le recenti sanzioni europee in merito all’annessione russa della penisola di Crimea hanno trasformato la questione delle forniture in una prova di forza, contribuendo ad un’accelerazione del processo. Il cammino a oriente è iniziato meno di un mese fa con l’accordo da 400 miliardi di dollari firmato tra la Russia e Pechino: Gazprom si è impegnata per una fornitura trentennale di gas naturale alla Cina e per la costruzione di un gasdotto che colleghi i due paesi, un’infrastruttura di cui potrebbe beneficiare anche l’India. La conclusione dell’accordo e le intenzioni di Gazprom di esplorare il mercato indiano testimoniano la volontà russa di spostare gli equilibri energetici verso est, un ulteriore chiaro segnale della crisi dell’egemonia occidentale e degli assetti di potere sanciti alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Da New Delhi, Daniele Pagani

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Aldo Giannuli

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Comments (4)

  • chiedo scusa a tutti
    ma volevo sapere se c’è un avvocato, mi trovo a lavorare in deutsche bank a Milano MM5 zona bicocca, sto subendo delle pressioni da kgemini società per la quale sono consulente, perché non indosso giacca è cravatta (lo che molti diranno è ora che ti adegui ), ma penso che vestire decorosamente in camicia,pantaloni,mocassini sia più che sufficiente.Se è obbligatoria una divisa credo sia il datore di lavoro a fornirla o remunerare la spesa sostenuta

  • @Leopoldo
    E’ sconsigliaile fare causa perchè non indossa la cravatta – salvo che non sia vicino alla pensione.
    Il punto fondamentale è un altro: la kgemini sta studiando come libberaerasi di Lei ed ha cominciato ad attaccarsi al motivo risibile della cravatta – purtroppo vedo che Lei sta abboccando alla loro strategia. Le consiglio di mettersi subito la cravatta e di documentare tutte le azioni intraprese nei suoi confronti. Consulti poi un avvocato (purtroppo non essendo della zona non posso indicarle un nominativo) con il quale predisporre una strategia difensiva nei confronti del prossimo e ben più grave attacco che temo non tarderà.
    In bocca al lupo

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