Elezioni in Venezuela: un commento

Subito dopo il risultato delle recentissime elezioni venezuelane, ho chiesto ad Angelo Zaccaria, esperto conoscitore dell’argomento e già ospite in passato del sito, un commento sul voto e sul contesto più generale. Grazie come sempre ad Angelo e buona lettura! A.G.

Premetto che ancora non abbiamo sufficienti elementi di valutazione più in dettaglio, in particolare su come si è spostata la geografia del voto e del non voto nei settori popolari urbani e nelle varie aree socio-economiche e geografiche del paese. Per questi approfondimenti rimanderei ad un ulteriore contributo. Detto questo partiamo dai numeri, e dal confronto con le precedenti elezioni parlamentari del 2010 e le ultime presidenziali del 2013.

Il fronte dei partiti antichavisti ha raccolto 112 seggi parlamentari, includendo i 3 seggi della rappresentanza indigena, su un totale di 167. Il PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela), ne ha raccolti 55. In Venezuela esiste un  sistema elettorale misto, dove due terzi dei deputati vengono eletti col sistema maggioritario e un terzo con sistema proporzionale. Esiste quindi una distorsione del voto che incrementa la rappresentanza a vantaggio di chi prende più voti, tipica “distorsione maggioritaria” che nei precedenti appuntamenti analoghi ha avvantaggiato il chavismo, ed oggi i suoi avversari.

Ma anche guardando al voto popolare e non ai seggi, il panorama per il chavismo al governo non è certo più tranquillizzante. Il CNE (Consiglio Nazionale Elettorale) ancora non ha pubblicato la sintesi nazionale dei voti popolari, che però è disponibile da altre fonti, per esempio Wikipedia e vari media. Su un totale di 19.504.106 elettori iscritti nelle liste elettorali, e un totale di 14.385.349 votanti, con un tasso di partecipazione al voto del 74,17% al quale vanno però detratti quasi 700.000 voti nulli, ecco i voti ottenuti dai vari blocchi.

L’antichavismo raccolto nella MUD (Tavolo della Allenza Democratica) ha totalizzato  7.707.422 voti, cioè il 56,26% dei voti validi, ed il PSUV ne ha presi 5.599.025, cioè il 40,87%. Le formazioni minori raccolgono consensi poco significativi.
Queste le aride e nude cifre, ora facciamo qualche prima valutazione.

Non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno, anche prescindendo dai vari sondaggi elettorali di questi mesi che avevano preannunciato dolori per il chavismo. Nelle precedenti elezioni parlamentari del Settembre 2010, con un corpo elettorale di aventi diritto inferiore di poco meno di due milioni, il chavismo prese 5.399.574 voti, e la MUD 5.312.293, e nemmeno è possibile dimenticare il quasi pareggio avvenuto anche alle elezioni presidenziali dell’Aprile 2013, dove Maduro, seppure con una maggiore partecipazione al voto come sempre avviene alle elezioni presidenziali, e col paese ancora scosso dall’onda emotiva seguita alla morte di Chavez, prese appena poco più di 223.000 voti in più di Capriles.

Se la tendenza al pareggio dei voti popolari, che in quella occasione non ebbe effetti negativi sui seggi ottenuti dal chavismo grazie alle distorsioni del sistema elettorale, si profilava già nel lontano Settembre 2010, con Hugo Chavez ancora vivo ed in salute ed una situazione economica e finanziaria migliore di quella attuale, non era difficile prevedere che i problemi per il PSUV in queste elezioni sarebbero stati non pochi.

In presenza di un nuovo consistente incremento degli aventi diritto al voto, mentre la MUD, galvanizzata dai pronostici a suo favore, fa il pieno di voti mobilitando tutto il suo elettorato ed intercettando parte rilevante dei nuovi elettori, il chavismo mantiene nella sostanza i voti popolari del 2010, raccoglie poco fra i nuovi elettori, ed al contrario della MUD non mobilita quella parte di elettorato che pure aveva votato per Maduro alle presidenziali del 2013. In altri termini, la minore partecipazione al voto che sempre si registra quando non si elegge il Presidente della Repubblica, ha colpito decisamente più il PSUV che la MUD. In questo senso va probabilmente letto anche l’alto numero di schede nulle.

Sulle ragioni di questa sconfitta, la prima vera sconfitta elettorale del campo bolivariano a 17 anni dalla prima vittoria di Chavez alle elezioni presidenziali del 1998, ed anche in quel caso era un 6 Dicembre: di certo al primo posto sta la difficile situazione economica e sociale: elevata inflazione; scarsità di una serie di beni di prima necessità, dagli alimentari, alle medicine ai ricambi per auto; persistenza del problema dell’insicurezza e dell’alto tasso di omicidi.

La propaganda elettorale del governo è stata incentrata sull’attribuzione di parte di questi problemi alla “guerra economica” scatenata in varie forme dalle forze economiche, finanziarie e politiche dell’antichavismo, con l’obiettivo di far peggiorare le condizioni di vita della base elettorale popolare del chavismo e della popolazione più in generale, ed al consistente calo dei prezzi del petrolio.

Entrambi questi fattori esistono, sono rilevanti ed hanno avuto un grosso peso nel determinare lo scenario di queste elezioni.
Difficile però credere che dopo 17 anni di governo, gran parte dei quali trascorsi beneficiando di alti prezzi del petrolio, il governo “rivoluzionario” che probabilmente ha beneficiato della maggiore disponibilità di risorse finanziarie nella storia di tutte le rivoluzioni, non abbia contribuito anche esso al risultato negativo del 6 Dicembre. Mi riferisco in particolare al problema della corruzione, che di certo ha agevolato la guerra economica sopra citata, anzi di fatto ne è stata parte, alla disorganizzazione della macchina statale, alla mancanza di efficienza ed allo spreco di risorse.

Certamente questa percezione di una corresponsabilità della classe dirigente chavista nel determinare la crisi che il paese attraversa, non è stata solo di chi scrive ma anche di una parte del bacino elettorale bolivariano, una parte di quel 58% della popolazione che in recenti sondaggi di opinione si è ancora riconosciuta nella figura del defunto presidente Chavez e ne ha riconosciuto il ruolo positivo nella recente storia del paese.

Che accadrà ora? Varie le ipotesi in campo. L’opposizione ora gode di una vasta maggioranza parlamentare, che avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei seggi, le da la possibilità non solo di bloccare le leggi e di revocare ministri e vicepresidenti, ma anche di promuovere leggi organiche che regolamentino interi settori, influire sulla composizione del Tribunale Supremo, promuovere una nuova Assemblea Costituente. E’ praticamente certo che essa userà questa forza per logorare Maduro, farlo cuocere a fuoco nemmeno troppo lento, creare nuovi conflitti e contraddizioni nel campo bolivariano, preparare le migliori condizioni per promuovere un referendum presidenziale revocatorio nel 2016, quando scade la prima metà del mandato presidenziale di Maduro, così come permesso dalla Costituzione Bolivariana.

Tutto questo potrà accadere in forma più o meno conflittuale, ma anche senza escludere forme di contrattazione ed accordi parziali fra i vari soggetti di potere,che non includono solo i due principali blocchi politici e le imprese private, ma anche le Forze Armate e la Chiesa Cattolica.

Non punterei invece molto sulla esplosione di lacerazioni o divaricazioni dentro l’eterogenea allenza della MUD: la prospettiva di ritornare al vertice del potere in un paese detentore di enormi ricchezze naturali come il Venezuela, faciliterà il lavoro di mediazione fra le varie anime e cordate interne alla MUD.

C’è però un terzo (o quarto o quinto) incomodo che potrebbe scombinare o variare questi scenari, tutti abbastanza foschi o problematici: i movimenti popolari, di base e di lotta, cresciuti in tutti questi anni nei quartieri, nelle campagne, nei Consigli Comunali e nelle Comuni Socialiste, movimenti in parte coincidenti con la base attiva del chavismo, ma che vanno oltre essa. Se la MUD vorrà usare la sua forza parlamentare per logorare Maduro, dovrà per forza intaccare parte di quelle politiche sociali, sanitarie, educative e di welfare, che hanno tanto contribuito al consenso goduto dal chavismo, e questo rischia di creare contraddizioni e problemi anche per loro. Già in questi primi giorni post-elettorali, dopo le prime dichiarazioni fatte da leader dell’opposizione sulle intenzioni di metter mano anche alle leggi a tutela del lavoro promosse dai governi bolivariani, si assiste a fermenti sindacali ed assemblee di lavoratori, soprattutto nel settore pubblico.

Di certo non sarà evitabile la sconfitta della Rivoluzione Bolivariana, senza quel “Golpe de Timon”, quel cambio di rotta nella azione di governo già chiesto da Chavez pochi mesi prima di morire, e senza un nuovo protagonismo, attivismo e discesa in campo dei movimenti popolari e di lotta e della base chavista.

Altro si potrebbe approfondire su come il 6 Dicembre siano arrivati al pettine alcuni limiti strutturali del processo bolivariano: permanenza di una economia fondata sulla rendita derivante dalle esportazioni energetiche, debole o parziale sviluppo della produzione nazionale e delle nuove forme di economia sociale di tipo solidale e cooperativo. Si potrebbe anche parlare del fatto che la lotta contro la povertà e lo sviluppo di forti politiche assistenziali, inevitabili in un paese che usciva dal disastro sociale umanitario degli anni ’80 e ’90, ha forse ingenerato in parte della popolazione una idea meramente distributiva o “consumistica” del Socialismo, intendendolo solo come possibilità di accesso a beni materiali e servizi o benefit vari, e non anche come costruzione di nuove relazioni umane e produttive fra le persone. E quindi questa attitudine mentale, in una fase economica di penuria e scarsità, potrebbe avere allargato lo spazio politico per l’antichavismo.

Su questo rimando alla lettura del libro “La Revolucion Bonita” pubblicato nel 2011 dalle Edizioni Colibri, ed all’opuscolo di aggiornamento pubblicato nel febbraio 2015, disponibili entrambi in versione cartacea, e nel caso dell’opuscolo anche in versione PDF dal seguente link.

Angelo Zaccaria
Milano 12 Dicembre 2015

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Aldo Giannuli

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Comments (3)

  • Permettetemi una nota:
    Ma in Venezuela non c’era una dittatura? Chavez ed i suoi scagnozzi non erano degli autoritari paleo-comunisti antidemocratici? Mi spiegate com’è che in uno stato (presunto) autoritario il partito che governa da anni perde le “elezioni”?
    Solo il tempo rende giustizia sulle menzogne e la vile propaganda promulgateci da Stati Uniti & C. verso un regime che rifiutava il modello Ultra-liberista, “religione” che pretende di essere universale.

  • Sul petrolio….Concordo col senso della battuta…Il fatto di avere tanto petrolio è stato punto di forze e nel contempo di debolezza…Il fatto di avere tanti soldi in entrata controllati dallo stato, facilita la persistenza di un modello fondato sulla monoesportazione energetica e l’importazione di beni strumentali e di consumo, ed è inoltre un co-fattore che incentiva la corruzione o anche l’idea che le politiche assistenziali di per se creino “coscienza socialista” o più brutalmente fidelizzazione elettorale….Sulla “dittatura venezuelana”….lì siamo talmente sul piano della propaganda di guerra o comunque animata da interessi torbidi, che non ne parlo in questo articolo, ma diffusamente in altri ed anche nel libro.

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