Dieci considerazioni sulle elezioni spagnole

Steven Forti, che molti di voi hanno imparato a conoscere recentemente sul nostro sito e su altri con i suoi ottimi servizi dalla Spagna, ha scritto per noi in seguito alle recenti elezioni spagnole. Lo ringrazio molto per l’articolo e la puntualità con cui segue l’attualità spagnola e vi ricordo il suo libro, “Ada Colau. La città in comune”, recentemente recensito anche sul nostro sito. Buona lettura! A.G.

1. Il bipartitismo non è morto.
Le elezioni spagnole del 26 giugno rafforzano i partiti dell’establishment. Il Partido Popular (PP) è il vero vincitore di questa tornata elettorale: guadagna quasi 700 mila voti rispetto ai comizi di dicembre e con il 33% porta al Congreso di Madrid ben 137 deputati. Il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) regge il colpo e, con il 22,7% dei voti e 85 deputati, mantiene la seconda posizione, anche se perde 120 mila voti e 5 deputati rispetto a dicembre, ottenendo il peggior risultato di sempre. Per quanto in crisi, dunque, i partiti tradizionali hanno dimostrato di avere delle strutture solide che non si sono sfaldate ed il bipartitismo, dato per morto e sepolto più volte, non è andato in frantumi. Al contrario, si è rafforzato, passando dal 50,7% al 55,7%, un dato in controtendenza rispetto agli ultimi anni.

2. Il cambiamento che non c’è.
Il vento del cambiamento, annunciato da tutti i sondaggi e dagli exit poll, è stato più moderato di quel che ci si aspettava. Una brezza e nulla più. Unidos Podemos, la coalizone formata da Podemos e Izquierda Unida (IU), appoggiata dalle confluenze regionali in Catalogna, in Galizia, nelle Baleari e a Valencia, si è fermata al terzo posto (21,1% e 71 seggi), perdendo oltre un milione di voti rispetto ai comizi dello scorso 20 dicembre. Non c’è stato il tanto annunciato sorpasso, dato per certo da tutti i sondaggi e dagli exit poll: i socialisti mantengono un vantaggio di 375 mila voti e di ben 14 deputati su Unidos Podemos. La formazione guidata da Pablo Iglesias deve ora leccarsi le ferite e deve soprattutto capire le ragioni della crescita dell’astensione nel suo elettorato. Non si tratta di una sconfitta né di un fallimento, come molti giornali hanno scritto, ma di un risultato al di sotto delle aspettative, che, comunque, conferma l’esistenza di un partito consolidato a sinistra che ottiene oltre 5 milioni di voti.

3. Si riduce lo spazio per un’opzione di centro-destra liberal.
Per Ciudadanos il colpo è stato altrettanto duro. La formazione guidata da Albert Rivera, presentata come l’alternativa credibile e “pulita” di centro-destra, supera di poco i 3 milioni di voti (ne perde 390 mila) e, penalizzata dal sistema elettorale spagnolo, con il 13% ottiene solo 32 deputati (8 in meno rispetto a dicembre). Il futuro è ora incerto per gli arancioni. Possono giocare un ruolo chiave nella formazione di un nuovo esecutivo, ma rischiano di fare la fine di altre esperienze centriste nella Spagna degli ultimi quarant’anni (UPyD di Rosa Díez, CDS di Adolfo Suárez, PRD di Miquel Roca) ossia, essere divorati dal PP e dal PSOE.

4. In calo anche i partiti nazionalisti e regionalisti.
Ai partiti nazionalisti e regionalisti catalani e baschi non è andata meglio. Tranne gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), che racimolano qualche migliaio di voti in più e mantengono i 9 deputati, tutti gli altri perdono voti, soprattutto gli indipendentisti di Convergència Democràtica de Catalunya (CDC, 8 deputati), ma anche gli autonomisti del Partido Nacionalista Vasco (PNV), che perde un deputato (da 6 a 5), e gli indipendentisti baschi di sinistra di EH Bildu (2 deputati). La frammentazione del Parlamento e la difficoltà di formare una maggioranza può rendere indispensabili alcune di queste formazioni, ma il loro non è più il ruolo chiave di stampella di uno dei due grandi partiti come in passato (CDC con il PSOE di Felipe González o con il PP del primo governo di José María Aznar).

5. La storia non si ripete.
La Spagna del 2016 non è la Grecia dell’ultimo triennio, come molti pensavano al di qua e al di là dei Pirenei. Podemos non è Syriza, il PSOE non è il PASOK e il PP non è Nea Democratia. E la situazione spagnola, nonostante una crisi di cui non si vede la fine (disoccupazione al 20,9%, aumento delle disuguaglianze sociali, assottigliamento della classe media, aumento dei giovani che emigrano in cerca di lavoro, continui tagli al Welfare state, ecc.), non è quella del paese ellenico. Dunque, le strategie elettorali, soprattutto della sinistra, non possono calcare le orme della Syriza pre-2015.

6. Gli effetti della Brexit.
La vittoria del “Leave” nel referendum sulla Brexit ha pesato. E molto. Gli spagnoli, storicamente europeisti, hanno preferito non “rischiare” votando il cambiamento e si sono rifugiati nei partiti tradizionali, che per quanto colpiti da innumerevoli scandali di corruzione, sono percepiti come opzioni più “sicure” in una fase di profonda incertezza come quella attuale. “Se le acque si intorbidiscono, meglio lasciare i cambiamenti e le scommesse sul futuro per un’altra occasione”, ha segnalato Juan José Toharia di Metroscopia. È stato, quello di domenica scorsa, anche un voto dettato dalla paura per le conseguenze incerte della Brexit che il PP ha saputo sfruttare al meglio con un discorso basato sulla “stabilità” e che ha fatto presa soprattutto sulla popolazione over 55 che ha votato in massa i due grandi partiti. Un voto utile, dunque, dovuto anche a una generale stanchezza per l’impasse degli ultimi sei mesi e per la ripetizione delle elezioni.

7. Le biciclette non funzionano.
In politica 2 + 2 non fa mai 4, ma sempre meno. L’alleanza con Izquierda Unida (IU) si è saldata per Podemos con una perdita di oltre un milione di voti e con lo stesso numero di deputati (71) che le due formazioni avevano ottenuto separatamente a dicembre. Dal 20,6% ottenuto da Podemos sei mesi fa e dal 3,7% di IU si è passati al 21,1% di Unidos Podemos. L’aumento dell’astensione – la partecipazione è passata dal 73 al 69,8% – è dovuta in gran parte all’elettorato di sinistra, che, stanco e scontento sia per la ripetizione elettorale sia, forse, per la formula della coalizione, ha deciso di rimanere a casa. È proprio quel milione di voti che manca a Unidos Podemos rispetto a dicembre.
Le ragioni sono ancora da capire e la stessa dirigenza della formazione di Iglesias non ha una risposta in merito. Una prima analisi del voto dimostra che è proprio dove IU aveva ottenuto buoni risultati a dicembre che Unidos Podemos ha perso di più (Madrid, Asturias, Andalusia). Scontentezza da parte dell’elettore classico di IU verso il populismo laclauiano di Podemos? È possibile. Ma dall’altro lato c’è stata forse anche una parte dell’elettorato di Podemos che non si è sentito rappresentato dall’alleanza con IU e da una evidente e proclamata caratterizzazione ideologica di sinistra.

8. Le confluenze di Podemos non sfondano.
Anche le confluenze legate a Podemos che si sono presentate in diverse regioni non hanno fatto l’exploit che ci si aspettava. In Catalogna, En Comú Podem – formato da Barcelona en Comú, Podemos, ICV-EUiA ed Equo – si conferma primo partito, con 12 deputati, ma perde 80 mila voti, una parte anche nella stessa città di Barcellona, governata dalla sindaca Ada Colau. A Valencia, la coalizione “A la Valenciana”, formata da Compromís, Podemos e IU, si mantiene come secondo partito (9 deputati), ma perde circa 130 mila voti e aumenta la distanza con il PP (13 deputati). Anche nelle Baleari gli equilibri non cambiano: Units Podem Més, che riunisce Podemos, IU e i nazionalisti di sinistra di Més, non ha migliorato i risultati di dicembre (2 deputati, perde 28 mila voti), mentre in Galizia, En Marea – formata da Podemos, IU, i nazionalisti di sinistra di Anova e le liste municipaliste che governano a La Coruña e Santiago de Compostela – viene superata dai socialisti, diventando terzo partito, e perde 64 mila voti e un deputato (da 6 a 5).

9. Momento di riflessione e di autocritica per Podemos.
I risultati non soddisfano nessuno all’interno di Unidos Podemos. Lo hanno dichiarato tutti, a partire dallo stesso Iglesias, la notte delle elezioni. È il tempo della riflessione e dell’autocritica, ma potrebbe essere anche quello del redde rationem. A caldo nessuno ha messo in discussione l’alleanza con Izquierda Unida: l’obiettivo era quello di convertire una coalizione elettorale in un vero e proprio progetto politico. Ma dopo la perdita di oltre un milione di voti si cambierà idea? IU tornerà nel suo recinto? Podemos si sgancierà e continuerà la strada da solo? È presto per dirlo. Íñigo Errejón, il numero due di Podemos influenzato da Ernesto Laclau e Chantal Mouffe e sconfitto ad aprile, tornerà alla carica con la strategia di un partito trasversale? Iglesias abbandonderà? C’è chi sottovoce ne chiede la testa. E le confluenze in Catalogna, Galizia e Valencia si sganceranno da Podemos?

10. Governo in minoranza del PP o grande coalizione.
I risultati rendono praticamente inviabile un governo delle sinistre (PSOE e Unidos Podemos), che hanno perso voti e seggi rispetto a dicembre (da 161 a 156) rispetto al blocco di centro destra (da 163 a 169). In realtà, quest’ultima opzione sarebbe teoricamente possibile: PSOE e Unidos Podemos avrebbero però bisogno dei voti degli indipendentisti catalani e dei nazionalisti baschi (22 deputati in totale) per superare quota 176, che è la maggioranza assoluta nelle Cortes di Madrid. Ma il referendum catalano è inaccettabile per i socialisti che tra l’altro non ne vogliono sapere di avere Iglesias al governo.
Gli scenari più probabili sono dunque o un governo in minoranza del PP grazie ad un astensione dei socialisti o di un governo alla tedesca, con popolari e socialisti al governo. Rimane da capire se i popolari vorranno anche Ciudadanos in un governo di minoranza o in un eventuale governo di larghe intese o se preferiscono lasciarlo all’opposizione per eliminare l’unico possibile avversario che hanno nel centro-destra. La grande questione è poi capire se i socialisti (e Ciudadanos) chiederanno la testa di Rajoy: lo hanno ripetuto continuamente, ma il leader del PP ora può trattare da una posizione di forza. Si prevede una legislatura breve che, grande coalizione o meno, si centrerebbe su alcune questioni, come, ad esempio, la riforma della Costituzione, la riforma della legge elettorale e un tentativo limitato di soluzione della crisi territoriale.

Il 9 luglio si riunisce il Comitato Federale del PSOE e il 19 si forma il nuovo Parlamento. Saranno settimane di fuoco, segnate dalle decisioni europee sulla Brexit, dal rischio di una crisi dell’Euro e dalla decisione della Commissione Europea riguardo a una multa di 2 miliardi di euro alla Spagna per il deficit di bilancio del 2015. I mercati, Bruxelles e i poteri forti faranno pressioni per la formazione di un governo prima della pausa di agosto, ma si potrebbe arrivare a settembre. In ogni caso, è da scartare la ripetizione elettorale. Qualcuno cederà. Bisogna solo capire chi e in che cosa.

Da Barcellona, Steven Forti

(ricercatore presso l’Istituto de Història Contemporanea – Universidade Nova de Lisboa)
@StevenForti

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Aldo Giannuli

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Comments (12)

  • La Spagna poteva essere con l’Italia e la Francia parte di un blocco latino-mediterraneo in grado di fare fronte comune contro lo strapotere tedesco e di cambiare l’assetto di questa Europa fallimentare.
    Anche ieri sera a Ballarò è stato fatto notare come la Germania avrebbe dovuto reinvestire in infrastrutture continentali l’enorme surplus della sua bilancia commerciale (si è parlato di 240 miliardi di euro); chiaramente si è ben guardata dal farlo e nessuno è in grado di imporre il rispetto dei trattati al duo Merkel-Schauble.
    Questo perchè Paesi come l’Italia e la Spagna discutono con la Germania in ordine sparso.
    Certo, la situazione di stallo e confusione del sistema politico spagnolo, descritta nell’articolo da Steven Forti, aiutano solo il perpetuarsi del dominio tedesco.

  • Risultato abbastanza prevedibile, ciò che mi lascia interdetto è che il Partido Animalista Contra el Maltrato Animal (PACMA) ottenga circa 285.000 voti al Congresso e circa 1.200.000 voti al Senato!
    Il PACMA non elegge deputati ma dimostra una crescita inquietante, in un paese in cui la disoccupazione raggiunge quota 22,7% e i problemi sono decisamente altri.
    Anche da questi “fenomeni” si registra la crisi dell’umanità. O no?

  • Saluto Steven che è un amico.
    Si sono già scatenete le analisi sulla catastrofe del 26 Giugno.
    Si può citare l’astensionismo a sinistra dovuto alla scellerata alleanza tra Podemos e IU: in questi casi 2+2 non fa 4, un elettore comunista non avrebbe mai votato Podemos (anche con il rinnovamento di immagine IU rimane un partito stantío e stalinista nella gestione del potere).

    C’è chi punta il dito sull’arroganza e la prepotenza di Iglesias, che ha voluto a tutti costi entrare nelle stanze del potere senza fare gavetta, ed ha impedito ad aprile un governo PSOE+Ciudadanos anche in minoranza (quindi con un grosso potere contrattuale in aula) e di fatto, quindi, ha riconsegnato il potere alla destra. C’è chi tira in ballo l’ambiguità del suo discorso, specialmente per quanto riguarda l’indipendentismo, per accontentare tutti. Ma giocare con le stesse strategie della destra non paga. Se la nuova sinistra si presenta come socialismo riformista col codino per darsi un’aria giovane, perde.

    C’è chi accusa lo stesso PSOE di vedere come nemico Podemos e non la destra, ed è vero: Podemos rappresenta la nuova classe dirigente socialdemocratica che il PSOE vede come i barbari invasori che li scalzeranno dal potere.

    C’è chi dice che il PP ha giocato sulle rovine di questo scontro a sinistra e quindi proporsi come l’usato sicuro che porta stabilità. Il racconto dominante oggi è che senza un governo stabile che “decide” c’è l’anarchia primordiale, poco importa se questo governo è ultracorrotto e contro i lavoratori. La vittoria del PP è dovuta anche al voto utile che da Ciudadanos è tornato a casa.

    Tutto vero. Ma la realtà è che il PP ha promesso lavoro (anche se in condizioni di semi schiavitù è pur sempre un lavoro) in cambio di voti. Basta analizzare i flussi di voto per verificarlo. Nei quartieri dove più è alto lo sradicamento sociale e la sudditanza al potere, il voto è passato da Podemos (la speranza di dicembre) al PP (l’usato sicuro). Tipica logica da clan, in Spagna si chiama caciquismo. E finchè esisterà questa logica di dominio non ci potrà essere cambio o libertà.

    • Bravo! Soltanto, se mi permette, una brevissima postilla su catastrofi. Rajoy entra in campo in sostituzione di Pedro Sánchez, leggermente infortunato. La partita comincia ora, non siamo catastrofisti…

  • “Gli scenari più probabili sono dunque o un governo in minoranza del PP grazie ad un astensione dei socialisti”
    ___________________
    Non sottovalutare il ruolo dei partiti nazionalisti di destra, specie CDC il quale -e tralasciando per un attimino la questione territoriale- condivide col PP un’identica visione dell’economia e un sacco di processi penali in corso.

  • Un altro fallimento della “Sinistra” massimalista, dura e pura, in versione “noi si che capiamo tutto ed abbiamo idee e siamo gente seria, mica quei populisti improvvisatori guidati da un comico, con i quali non ci mischieremo mai!”.
    Beh! Anche se questa fine era ampiamente prevista e annunciata, lasciatemi gongolare un po’: con prossimi turni elettorali, si ridurranno al solito 4-5%, quanto compete a questi sbruffoni.

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