
Elezioni in Turchia: quanti destini si incrociano nelle urne
Molto volentieri ospito questo articolo di Elio Catania sulle elezioni turche del prossimo 1 novembre. Elio, amico ed attivista della carovana di soldarietà Rojava Resiste, nelle scorse settimane è stato in Kurdistan, dove la comunità Curda è schiacciata da una parte dalla Turchia e dall’altra dall’Isis. Buona lettura!
Quanti destini si incrociano nelle urne turche questa domenica: per la Turchia in generale si tratta di bloccare il progetto autoritario di Erdogan e del partito-stato Akp (1) (già in parte avviato) e ridare fiato ad una democrazia mai realmente del tutto consolidata; per le opposizioni di sinistra (politicamente guidate dall’Hdp (2) filo-curdo), il movimento sindacale e i gruppi rivoluzionari aprire uno squarcio possibile nella lotta per l’egemonia tra il vecchio fronte kemalista e il nuovo nazionalismo del governo; per il movimento di liberazione curdo, mai così forte come oggi, la possibilità di fermare la guerra sporca degli ultimi mesi e consolidare l’autonomia democratica conquistata nelle strade (3).
Lo spartiacque dunque determinerà anche il livello di guerra civile interno, che risulta più elevato nel Bakur (4) (anche se sarebbe più corretto qui parlare di una rivolta di popolo che assume diverse forme), mentre resta a bassa (ma crescente) intensità nel resto del paese, in particolare nelle grandi città dell’ovest.
In tutto questo, ci sono una serie di incognite, legate al complesso scacchiere turco, su cui possiamo solo porre delle domande ed aspettare che sia l’evoluzione degli eventi a rispondere: la più importante è l’esercito, in prima linea nelle operazioni sulle montagne e nelle zone rurali, ma che già pochi giorni prima della strage di Ankara aveva posto una nuova distanza politica dal governo, dichiarando in un comunicato diretto al Parlamento “di non essere più in grado di portare avanti la guerra contro il Pkk (5) e le regioni curde ribelli”.
In caso di disordini post-elettorali, che ruolo deciderà di
coprire?
C’è poi la moltiplicazione degli apparati di sicurezza turchi, con obiettivi, posizioni politiche e ruoli differenti, spesso in competizione tra loro. La Hpo, la polizia speciale, utilizzata nelle operazioni antiterrorismo in città, composta da uomini non registrati, autorizzata ad uccidere e dipendente direttamente dal governo: i veri esecutori della guerra sporca di Erdogan, come si muoveranno in caso di sconfitta politica dell’Akp? Soprattutto, permetterà alle inchieste sulle operazioni nascoste nell’est di prendere il via?
Poi la polizia nazionale, che negli ultimi 14 anni ha visto ampliato notevolmente il proprio potere d’azione (assieme all’Hpo e in relazione alla neutralizzazione dell’esercito), e il Mit (i servizi segreti), profondamente legati a Daesh (6) e con un ruolo importante nei conflitti oltre confine.
E qui viene appunto il terzo livello, quello regionale: ciò di cui non si accorge la maggioranza degli analisti e dei media è che la tanto temuta “sirianizzazione” della Turchia sta già avvenendo, quando ad est i curdi dichiarano l’autogoverno un numerose province e città, spingendo per una unificazione con il Rojava sotto i princìpi del confederalismo democratico (7). Se con “sirianizzazione” intendiamo l’erosione dei confini storici e il moltiplicarsi di conflitti armati sul proprio territorio, nel Bakur siamo già entrati nella prima fase di questo processo. Le elezioni determineranno anche il proseguimento o meno del progetto neo-ottomano di Erdogan (e dell’ultradestra dei Lupi grigi (8)), fondato su una politica estera aggressiva di conquista e sullo sterminio dei curdi; le direttrici alternative sono l’isolazionismo promosso dai moderati del Chp (9), oppure la non interferenza a sostegno delle Forze democratiche siriane (la neonata coalizione militare autonoma (10) con a capo il Pyd (11) curdo-siriano, favorevoli ad una terza via (12) confederale), come sostenuto dall’Hdp.
Ogni indirizzo di politica estera ovviamente ha ripercussioni all’interno, considerando le relazioni strette da forze politiche turche e apparati di sicurezza statali con le alleanze a geometria variabile che si confrontano tra Iraq e Siria.
Infine, necessariamente collegato alle guerre in Medio Oriente, c’è la questione profughi che ci tocca più direttamente: la Turchia è infatti una delle principali porte d’accesso, l’accordo siglato recentemente con Germania e Grecia ha proprio l’obiettivo di bloccare il flusso di migranti, militarizzando ulteriormente frontiere e “prima accoglienza”, in cambio del sostegno fornito da Berlino (e, di conseguenza, da Bruxelles) alla politica anticurda e neo-ottomana di Ankara. Nuovi equilibri di potere potrebbero cambiare anche la non-gestione che finora il governo turco ha avuto nei confronti dei profughi, invece organizzati e supportati in Bakur dalle municipalità dell’Hdp e dalle organizzazioni curde, in Rojava da Ypj/Ypg (13).
Il voto di domenica quindi intercetta molti processi e destini. Tuttavia bisogna fare attenzione perché rappresenterà soltanto un momento, dopo il quale la partita resta apertissima. Soprattutto in caso di risultato incerto o poco netto. Una nuova sconfitta politica sarebbe un duro colpo per Erdogan e l’Akp, ma questo non significherebbe automaticamente la fine del suo potere in Turchia: in quasi 15 anni di governo ha neutralizzato gli avversari politici (kemalisti ed esercito), occupato tramite familiari e uomini d’affari a lui vicini le principali aziende pubbliche, posto le basi per la trasformazione dell’Akp in un partito-stato ed esteso la giurisdizione poliziesca ben oltre i limiti di uno stato di diritto. Non solo: ha rilanciato l’egemonia imperiale turca nella regione, dopo la crisi degli anni Novanta e dei primi Duemila. Per questo il Sultano si sta giocando il tutto per tutto: la sua strategia non è necessariamente lucida e l’arroganza con cui chiude e reprime di fronte al mondo giornali, tv e riviste non allineate col governo è la dimostrazione più palese. Ma l’alleanza con l’estrema destra, l’utilizzo della strage come metodo di lotta politica, la connivenza con Daesh e la capillare repressione poliziesca, oltre che il tentato genocidio contro i curdi nelle loro città, mostra la volontà del governo di spingere fino alle estreme conseguenze (leggi, guerra civile) la polarizzazione del paese.
Il meglio che ci possiamo aspettare da queste elezioni è una soluzione moderata ma di buon senso: la perdita di voti dell’Akp che ne causi l’isolamento in parlamento e un’alleanza tattica tra Chp e Hdp per isolare Erdogan, concedere un’ampia autonomia alle regioni curde e mettere così fine alla guerra sporca del Sultano. Questo lo diciamo soprattutto in vista di un probabile esito non definito. Tuttavia una soluzione moderata mal si addice a contesti di scontro politico radicale, tra una tendenza dichiaratamente autoritaria e nazionalista ed una rivoluzionaria. L’elettorato centrista si troverà molto probabilmente schiacciato, semmai facesse la scelta coraggiosa di allearsi con la sinistra dell’Hdp e l’ampio blocco sociale che lo sostiene. Da parte nostra, continuiamo a riporre estrema fiducia nella rivoluzione che i curdi e i popoli che ad essi si sono uniti stanno portando avanti nelle zone liberate tra Turchia, Siria e Iraq come unica soluzione di pace in Medio Oriente e concreto progetto di trasformazione sociale dal valore universale.
Buona fortuna.
Elio Catania, attivista della carovana Rojava Resiste
1) Partito della Giustizia e dello Sviluppo, fondato nel 2001 da Tayyip Erdogan
2) Partito democratico dei popoli, sinistra rivoluzionaria. Ha le sue roccaforti nelle regioni curde orientali
3) Sono numerose le città curde in Turchia che hanno dichiarato l’autogoverno sia in seguito alla vittoria dell’Hdp, sia attraverso le forze urbane di autodifesa
4) Kurdistan del nord, nome con cui i curdi indicano le loro regioni in territorio turco
5) Partito dei Lavoratori del Kurdistan, fondato nel 1978 da Abdullah Ocalan, formazione armata dal 1984 (con la messa fuori legge da parte dello Stato turco)
6) Acronimo arabo per Isis, così è comunemente chiamato anche in Turchia e Kurdistan
7) Programma politico rivoluzionario fondato sull’autonomia e la democrazia radicale, con l’obiettivo di sostituire il sistema degli Stati-Nazione imposto nel 1921 con una libera confederazione di popoli. Teorizzato da A. Ocalan in carcere, è dai primi Duemila l’ideologia ufficiale del Pkk e di tutto il movimento di liberazione curdo
8) Formazione ultranazionalista, rappresentata dall’Mhp (Partito del movimento nazionalista)
9) Partito repubblicano del popolo, fondato da Mustafa Kemal “Ataturk”. Oggi è una formazione nazionalista moderata, secondo partito in Turchia
10) Alleanza delle brigate autonome di diverse etnie, Ypj/Ypg curde, Brigate internazionaliste, parte dell’Esercito libero siriano
11) Partito democratico unificato, a capo delle Amministrazioni autonome del Rojava
12) “Terza via” rispetto alle due principali tendenze (chiamarle “coalizioni” non sarebbe corretto) in campo: Russia e fronte sciita a sostegno di Assad da un lato, Usa e fronte sunnita per la deposizione del governo baathista
13) Rispettivamente, Unità di difesa delle donne e Unità di difesa del popolo. Braccio armato del Pyd, sebbene composte in prevalenza da curdi, ormai il 30% degli effettivi sono arabi e il 15% assiri e turcomanni
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Gaz
Petrolio.
Herr Lampe
È andata male pare. Non sono per impiccare nessuno a una prospettiva errata – di questi tempi poi ci si piglia di più con una palla di vetro (cit. padre Florestano Pizarro) – però una revisione alla luce dei risultati sarebbe utile.